Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2911 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2911 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 20/08/1963
avverso il provvedimento del 14/06/2024 del TRIBUNALE di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta presentata dal Sostituto Procuratore generale presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato impugnato il provvedimento in data 14 giugno 2024 con il quale il Tribunale di Napoli ha rigettato la richiesta d prendere visione ed estrarre copia degli atti del procedimento di prevenzione, in cui la medesima istante era terza interessata e all’esito del quale è stata disposta aa confisca anche di beni a lei intestati.
La difesa ha denunciato che il provvedimento – reso in violazione degli artt. 24 Cost., 43 d. att. cod. proc. pen. e 116 cod. proc. pen., oltre che degli art. 7 d. Igs settembre 2011, n. 159 e 666 cod. proc. pen., considerato che la Lamonica era parte del detto procedimento e, dunque, ha il diritto di prendere visione estrarre copia degli atti di esso – sarebbe abnorme perché minerebbe il diritto di difesa nonché in quanto, sotto il profilo strutturale, si porrebbe al di fuori del sistema processuale in ragi della singolarità della motivazione (del tutto irragionevole in quanto, in assenza d qualsivoglia interesse contrario a quello a sostegno dell’istanza, si fonderebbe sul fatto che la ricorrente avrebbe già svolto le proprie difese nel procedimento di prevenzione già definito, non considerando la possibilità di chiedere la revoca della confisca o proporre incidente di esecuzione) e, sotto il profilo funzionale, determinerebbe la stasi del procedimento (per l’impossibilità di proseguirlo, in particolare impedendo al difensore di avanzare richiesta di revoca della confisca o incidente di esecuzione al medesimo fine previa contezza degli atti onde evitare di reiterare questioni già poste dai precedenti difensori). Inoltre, la difesa ha prospettato che il provvedimento impugnato spiegherebbe un effetto preclusivo (alla luce della sua motivazione) rispetto alla proposizione di analoghe istanze anche se diversamente motivate o argomentate.
Il Procuratore generale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
In primo luogo deve osservarsi come, per costante giurisprudenza, il provvedimento in discorso non rientri nel novero di quelli impugnabili, tenuto conto del principio di tassatività posto dall’art. 586, comma 1, cod. proc. pen. e del difetto alcuna previsione in tal senso (né nell’art. 116 cod. proc. pen. né in altra disposizione processuale), nonché della non riconducibilità di esso rientra nelle categorie contemplate dall’art. 111 Cost. (cfr. Sez. 6, n. 14999 del 13/12/2013 – dep. 2014, Cisterna, Rv. 260884 – 01; Sez. 6, n. 27737 del 11/06/2013, COGNOME, Rv. 255788 01; Sez. 6, n. 36167 del 09/04/2008, COGNOME, Rv. 241910 – 01). Tanto che la stessa difesa ha fondato il ricorso sulla diversa categoria dell’abnormità.
2. Tuttavia, neppure tale ultimo vizio ricorre.
Come hanno chiarito le Sezioni Unite, «provvedimento abnorme» – a seguito della cui emissione il rimedio è il ricorso per cassazione – «è quello che presenta anomalie genetiche o funzionali tanto radicali da non potere essere inquadrato nello schema normativo processuale»; «l’abnormità integra – sempre e comunque – uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciu dall’ordinamento»; dunque, «è affetto da vizio di abnormità, sotto un primo profilo, il provvedimento che, per singolarità e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e d ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite. Sotto altro profilo, l’ab può discendere da ragioni di struttura allorché l’atto si ponga al di fuori del siste organico della legge processuale, ovvero può riguardare l’aspetto funzionale nel senso che l’atto stesso, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo» (Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590 – 01; cfr. pure più di recente, Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, COGNOME, Rv. 272715 – 01; Sez. U, n. 10728 del 16/12/2021 – dep. 2022, COGNOME, Rv. 282807 – 01).
Dunque, «il fatto che un provvedimento sia illegittimo non giustifica di pe sé la sua impugnabilità con ricorso per cassazione in nome della categoria dell’abnormità» (cfr. Sez. 2, n. 24633 del 17/07/2020, COGNOME, Rv. 279668 – 01).
2.1. Nel caso in esame, a prescindere dal corretto apprezzamento da parte del Tribunale dei presupposti per consentire alla terza interessata l’accesso gli atti de procedimento già concluso, cui la stessa aveva preso parte, e l’estrazione di copia, il provvedimento di diniego non può dirsi eccentrico, ossia avulso o estraneo all’ordinamento giuridico, in quanto rientra tra i poteri del medesimo Giudice il vagli dei presupposti per provvedere nel senso richiesto (ex art. 116 cod. proc. pen.), anche dopo la definizione del procedimento; pertanto, il provvedimento non è stato reso in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti al di là di ogni ragionevol limite (non occorrendo, allora, dilungarsi sulla dedotta sussistenza dei presupposti di cui all’art. 43 d. att. cod. proc. pen.).
Tantomeno può parlarsi di stasi del procedimento poiché la richiesta difensiva «non si inserisce in alcuna fase processuale in corso, dal momento che il procedimento si è concluso» e il dedotto interesse alla conoscenza e all’estrazione di copia degli atti contenuti nel fascicolo si riferisce a un eventuale procedimento da
incoare, volto a ottenere la revoca della già disposta confisca (cfr. Sez. 6, n 36167/2008, cit.).
Deve disporsi, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila, atteso che l’evidente inammissibilità dei motivi d’impugnazione impone di attribuirgli profili colpa (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 267585 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 23/10/2024.