Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34999 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34999 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a BIANDRATE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 04/01/2024 del GIP TRIBUNALE di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
8004/2024
RITENUTO IN FATTO
1.NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, con separati atti a firma dei rispettivi difensori, per l’annullamento dell’ordinanza del 4 gennaio 2023 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino che, a seguito di opposizione avverso il decreto penale di condanna emesso nei loro confronti per i reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 38-bis d.lgs. n. 81 del 2015 (capo 1) e 110 cod. pen., 55, commi 5 lett. e), e 6 bis d.lgs. n. 81 del 2008 in relazione all’art. 18 comma 1 lett. g) d.lgs. n. 81 del 2008 (capo 3), li ha ammessi all’oblazione determinando in euro 12040 di ammenda la somma da versare.
1.1.Con motivi comuni deducono l’abnormità del provvedimento impugnato a causa della inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 81, secondo comma, cod. pen. sotto il duplice profilo: 1) della ritenuta (ed immotivata) esistenza di un unico disegno criminoso nemmeno contestato dalla rubrica, né ritenuto dal giudice che aveva emesso il decreto penale di condanna; 2) della erronea determinazione della pena, superiore persino al cumulo materiale delle sanzioni autonomamente applicabili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.1 ricorsi sono ammissibili e fondati.
3.0sserva il Collegio:
3.1.con decreto penale del 10 ottobre 2023 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino aveva condannato gli odierni ricorrenti alla pena complessiva di 4764 euro di ammenda cumulando le pene calcolate per ogni singolo reato nel modo che segue:
3.1.1.capo 1: pena base euro 12040 di ammenda, ridotta ad euro 8027 per la applicazione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen., ulteriormente ridotta della metà ai sensi dell’art. 459, comma 2, cod. proc. pen., nella misura finale di euro 4014 di ammenda;
3.1.2.capo 3: pena base 2250 euro di ammenda, ridotta ad euro 1500 per la applicazione delle circostanze attenuanti generiche, ulteriormente ridotta della metà nella misura di euro 750 di ammenda;
3.2.con opposizione al decreto penale i due ricorrenti avevano chiesto l’ammissione all’oblazione;
3.3.il Giudice li aveva ammessi determinando in euro 12040 di ammenda la somma dovuta da ciascuno di essi;
3.4.1a pena, in particolare, è stata così determinata: ritenuta la continuazione tra i reati e più grave quello di cui al capo 1, la pena base è stata indicata nella misura di 12040 euro (pari a 20 euro per ogni giornata lavorativa) ed è stata aumentata del triplo in dichiarata applicazione dell’ultimo comma dell’art. 81 cod. pen., ottenendo il risultato di euro 36120 di ammenda; la pena è stata ridotta di due terzi, ad euro 12040, in dichiarata applicazione dell’art. 162 cod. pen.
4.Tanto premesso, trattandosi di contravvenzioni punite entrambe con la sola ammenda, la somma dovuta ai fini dell’oblazione deve essere pari alla terza parte del massimo della pena edittale prevista per ciascuna di esse (art. 162 cod. pen.) e, dunque, pari a 4013 euro per il reato di cui al capo 1 e a 1333 euro per il reato di cui al capo 3.
4.1.Nel caso di specie il Giudice ha ritenuto invece la continuazione tra i reati e ha conseguentemente applicato il principio di diritto secondo il quale, qualora siano contestate più violazioni continuate della medesima disposizione di legge, l’importo al quale commisurare la somma da pagare per l’ammissione all’oblazione speciale va individuato nel triplo del massimo dell’ammenda prevista per il reato contestato (Sez. 1, n. 24909 del 27/05/2009, Zanutto, Rv. 243816 – 01; Sez. 1, n. 2414 del 02/12/2005, Polci, Rv. 232880 – 01; Sez. 1, n. 48483 del 25/11/2004, Loro, Rv. 230156 – 01). E’ stato al riguardo spiegato che le somme da pagare a titolo di oblazione sono predeterminate e non suscettibili, alla stregua della chiara formulazione normativa di cui all’art. 162 cod. pen., di adeguamento discrezionale da parte del giudice. Detto principio opera anche nell’ipotesi di reato continuato per il quale si applica la pena prevista per la violazione più grave aumentata fino al triplo, sicché, per effetto dell’oblazione, su tale aumento massimo deve essere calcolata la somma corrispondente alla terza parte. Nell’ipotesi, invece, in cui non sia ravvisato il vincolo della continuazione oppure il concorso dei reati, occorrerà riferirsi a ciascuna violazione e richiedere distinti versamenti per ciascuna di essi (Sez. 1, n. 29434 del 17/04/2003, COGNOME, Rv. 225033 – 01; Sez. 3, n. 13850 del 03/12/1999, COGNOME, Rv. 216517 – 01; Sez. 3, n. 25046 del 03/03/2016, COGNOME, non mass.).
4.2.Sennonché, come correttamente stigmatizzato dai ricorrenti, il giudice che si pronuncia sulla richiesta di oblazione non può ritenere la continuazione tra reati se non è contestata nell’editto accusatorio.
4.3.La applicazione della continuazione comporta la valutazione dei fattireato e la loro riconduzione, a seconda dei casi, ad un’unica azione ovvero ad un unico disegno criminoso e, come tale, pertanto, necessariamente presuppone che il procedimento penale sia portato a compimento, pervenendo ad un giudizio di responsabilità dell’imputato. Di contro la oblazione incide a monte sul singolo
fatto-reato contestato, determinandone la estinzione e quindi la improcedibilità della azione penale, di tal che al giudice è preclusa la valutazione di qualsiasi ipotesi di continuazione, a meno che le varie ipotesi di reato siano già state contestate come avvinte dal vincolo di cui all’art. 81 cod. pen. (Sez. 3, n. 45944 del 08/11/2012, COGNOME, Rv. 253877 – 01; Sez. 3, n. 35967 del 19/03/2015, COGNOME, non mass.).
5.E’ necessario a questo punto verificare se l’ordinanza impugnata possa essere ricorsa per cassazione.
5.1.La legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere impugnati. Così recita l’art. 568, comma 1, cod. proc. pen., che fissa il principio della tipicità e tassatività dei provvedimenti impugnabili e dei relativi mezzi di impugnazione, secondo il quale: a) non è possibile impugnare un provvedimento se la legge non lo consente espressamente; b) non è possibile impugnare un provvedimento con un mezzo diverso da quello espressamente previsto. E tuttavia, l’art. 111, comma settimo, Cost., consente sempre il ricorso per cassazione contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali. L’art. 568, comma 2, cod. proc. pen., codifica tale principio stabilendo, a sua volta, che sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non sono altrimenti impugna bili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze, salvo quelle che possono dare luogo a un conflitto di giurisdizione o di competenza a norma dell’art. 28. La giurisprudenza di legittimità ne ha tratto argomento per dar corpo, già in costanza del precedente codice di rito, alla figura dei provvedimenti cd. abnormi, astrattamente non impugnabili in base al principio di tassatività e tipicità dei mezzi di impugnazione e tuttavia ricorribili per cassazione. La figura dell’abnormità dei provvedimenti del giudice – spiega la Suprema Corte (Sez. U, n. 11 del 09/07/1997, COGNOME) – rappresenta il risultato di una lunga elaborazione giurisprudenziale con cui – a partire dall’entrata in vigore del codice del 1930 – è stata creata, accanto a quella tradizionale della invalidità, la categoria del provvedimento abnorme. L’intento dichiarato di tale operazione di integrazione normativa è stato quello di introdurre un correttivo al principio della tassatività dei mezzi di impugnazione, nel senso che si è inteso apprestare il rimedio del ricorso per cassazione contro quei determinati provvedimenti che, pur non essendo oggettivamente impugnabili, risultino, tuttavia, affetti da anomalie genetiche o funzionali così radicali da non poter essere inquadrati in alcuno schema legale e da giustificarne la qualificazione dell’abnormità. Il ricorso per cassazione costituisce, pertanto, “lo strumento processuale utilizzabile per rimuovere gli effetti di un provvedimento che, per la singolarità e la stranezza
del suo contenuto, deve essere considerato avulso dall’intero ordinamento giuridico” (cfr. Sez. Un., 9 maggio 1989, Goria). In mancanza di una definizione legislativa, la giurisprudenza della Suprema Corte ha configurato il paradigma del provvedimento abnorme ponendone in risalto i caratteri salienti nel fatto che esso si discosta e diverge non solo dalla previsione di determinate norme ma anche dall’intero sistema organico della legge processuale, tanto da porsi come atto insuscettibile di ogni inquadramento normativo e da risultare imprevisto e imprevedibile rispetto alla tipizzazione degli atti processuali compiuta dal legislatore (Sez. 3, 9 luglio 1996, P.M. in proc. COGNOME; Sez. 1, 19 maggio 1993, COGNOME ed altro; Sez. 6, 19 novembre 1992, COGNOME; Sez. 5, 22 giugno 1992, P.M. in proc. Zinno). In altre decisioni è stato precisato che è abnorme non solo il provvedimento che, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell’ambito dell’ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite (Sez. 3, 21 febbraio 1997, COGNOME ed altro; Sez. 1, 11 giugno 1996, P.M. in proc. Settegrana; Sez. 5, 13 gennaio 1994, P.M. in proc. Marino ed altro). Nella ricerca degli elementi qualificanti la figura del provvedimento abnorme è stato altresì stabilito che l’atto abnorme rappresenta un’evenienza del tutto eccezionale essendo emesso in assoluta carenza di potere, oltre che con radicale divergenza dagli schemi e dai principi ispiratori dell’ordinamento processuale (Sez. 6, 30 settembre 1993, COGNOME ed altro), e che l’abnormità inerisce soltanto a quei provvedimenti che si presentano avulsi dagli schemi normativi e non anche a quelli che, pur essendo emessi in violazione di specifiche norme processuali, rientrano tra gli atti tipici dell’ufficio che li adotta (Sez. 2, 10 aprile 1995, P.M. in proc. Saraceno).
5.2.L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché, per la sua singolarità, si pone fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando, pur non estraneo al sistema normativo, determina la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Sez. 3, 14 luglio 1995, P.M. in proc. COGNOME ed altri; Sez. 5, 11 marzo 1994, P.M. in proc. COGNOME ed altro). L’assenza di criteri omogenei e uniformi di identificazione dei caratteri distintivi del provvedimento abnorme ha contribuito ad una progressiva estensione di tale categoria alla quale la giurisprudenza di legittimità ha fatto ricorso per rimuovere situazioni processuali “extra ordinem” -altrimenti non eliminabili – create da provvedimenti del giudice inficiati da anomalie genetiche o funzionali che ne impediscono l’inquadramento nei tipici schemi normativi e li rendono incompatibili con le linee fondanti del sistema processuale. È opportuno, poi, osservare che il legislatore del 1988, pur prendendo atto del diritto vivente e della flessibilità inerente alla nozione di provvedimento abnorme, ha preferito astenersi da qualsiasi diretto intervento
normativo, motivando la scelta dell’esclusione di una espressa previsione dell’impugnazione dei provvedimenti abnormi con «la rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione e la necessità di lasciare sempre alla giurisprudenza di rilevarne l’esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini della impugnabilità. Se infatti, proprio per il principio di tassatività, dovrebbe essere esclusa ogni impugnazione non prevista, è vero pure che il generale rimedio del ricorso per cassazione consente comunque l’esperimento di un gravame atto a rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema processuale o adottato a fini diversi da quelli previsti dall’ordinamento» (Relazione al prog. prel., pag. 126).
5.3.Delineata nei termini sopra indicati la figura del provvedimento abnorme, e rilevato che uno dei suoi tratti essenziali è quello di sottrarsi ad una rigida tipizzazione classificatoria, deve porsi in evidenza che l’abnormità è stata considerata dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione come motivo di deroga al principio di tassatività delle impugnazioni e non anche come ragione che dispensi dall’osservanza delle forme e dei termini ordinari prescritti dalla legge processuale per l’ammissibilità del ricorso per cassazione. L’operatività dei normali termini di decadenza per l’impugnazione dei provvedimenti abnormi è stata affermata sia con riferimento alla disciplina dettata dagli artt, 190 e 199 del codice del 1930 (Sez. 1, 28 aprile 1987, COGNOME; Sez. 5, 25 novembre 1983, COGNOME; Sez. 4, 11 novembre 1983, COGNOME; Sez. 5, 22 giugno 1983, COGNOME; Sez. 5, 18 dicembre 1968, COGNOME) sia rispetto alla corrispondente normativa posta dagli artt. 569 e 585 del codice vigente (Sez. 5, 3 dicembre 1996, Pavan; Sez. 4, 16 maggio 1995, ric. P.M.; Sez. 1, 28 febbraio 1992, Macedonio) (così, in motivazione, Sez. U, n. 11 del 09/07/1997, COGNOME, cit.).
5.4.In sintesi: è affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, s ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Sez. U, n. 17 del 10/12/1997 -dep. 1998 – COGNOME; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999 – dep. 2000 – COGNOME).
5.5.Come ricordato in motivazione da Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, COGNOME, «non si può ricorrere alla categoria dell’abnormità quando l’atto o il provvedimento che si vuole rimuovere rientri nei poteri del Giudice che lo ha adottato, e cioè discende da un potere riconosciuto o attribuito dalla legge, dato che in tal caso nessuna estraneità al sistema può evidenziarsi. Così è nell’ipotesi in cui si faccia valere l’inosservanza di norme che prevedono l’adozione di un
determinato atto a date condizioni di fatto, e l’eventuale insussistenza delle stesse ne determina l’illegittimità ma non l’abnormità e, quindi, si tratterà di un provvedimento “contro norma” ma non “extra norma” (…) la configurazione di un atto abnorme non richiede verifica ulteriore rispetto a quella concernente l’assenza di potere del giudice di provvedere, con la conseguenza che il ricorso per cassazione con denuncia di abnormità non può autorizzare la verifica, in sede di legittimità, di un vizio di legge del provvedimento, ex art. 606 comma 1 lett. c) C.P.P., “salvo eludere lo stesso fondamento del concetto di abnormità” e porre nel nulla il principio di tassatività delle impugnazioni» (nello stesso senso, già Sez. U, n. 4 del 31/01/2001, COGNOME, secondo cui «va peraltro ribadita la rigorosa affermazione giurisprudenziale (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 22.11.2000, P.M. in proc. Boniotti) per la quale il solo fatto che un provvedimento sia inficiato da una qualsivoglia violazione di legge non ne giustifica, di per sé, l’immediata ricorribilità per cassazione in nome della categoria dell’abnormità, la quale non può essere surrettiziamente utilizzata, dilatandone i confini, al fine di aggirare la preclusione correlata alla tipicità dei mezzi d’impugnazione secondo il dettato degli artt. 568 e 586 del codice di rito, insieme con il principio di tassatività delle nullità stabilito dall’art. 177 stesso codice»).
5.6.3iù recentemente, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, in fattispecie di dedotta abnormità dell’ordinanza del giudice che, in caso di nullità dell’atto introduttivo del giudizio, aveva restituito gli atti al pubblico ministero, hanno nuovamente sostenuto che il dato dirimente è costituito dal fatto che quando la nullità rilevata attiene alla notificazione della citazione a giudizio, il provvedimento di restituzione degli atti è adottato in chiaro difetto di potere, per la semplice ragione che l’ordinamento processuale, siccome conferisce al giudice il potere di rinnovazione della notifica, al contempo e per necessità logica non può che privarlo del potere di restituzione degli atti all’organo di accusa. Quando è l’attribuzione a mancare difetta il legittimo esercizio della funzione giurisdizionale, con la conseguenza obbligata dall’abnormità del provvedimento. L’abnormità funzionale sollecita, invece, un’indagine sull’atto che si giustifica solo quando non si sia già in grado di cogliere i caratteri dell’abnormità strutturale per carenza di potere in astratto o anche solo in concreto, quando il potere è esercitato in assenza delle condizioni legislativamente poste. Quando un provvedimento causa la stasi processuale, se non si è in grado di individuare le specifiche ragioni normative di un difetto di potere, occorre interrogarsi se il sistema accordi altri rimedi perché, ammoniscono le Sezioni Unite, non va mai dimenticato il carattere eccezionale dell’istituto dell’abnormità (che, proprio per questo motivo, resta pur sempre “residuale”). Se altri rimedi sono possibili, ciò significa che l’ordinamento, pur non regolando la modalità espressiva del potere
il cui esercizio ha dato luogo alla stasi, non la disconosce, tanto da aver in sé gli strumenti per fronteggiarla. Quando, invece, non si rinvengono altre vie per porre rimedio all’esercizio di un potere non regolato, neanche implicitamente, dal sistema, perché se il pubblico ministero desse impulso al processo incorrerebbe in un atto nullo, non può che configurarsi l’abnormità di tipo funzionale che, in fondo, è essa stessa rivelatrice di un difetto di potere in capo al giudice che ha emesso l’atto, perché quell’atto, seppure riconducibile in astratto ad una previsione di legge, nella concretezza della singola vicenda si rivela radicalmente incompatibile con la progressione processuale e quindi con la destinazione funzionale che gli è propria. Non si può negare che, nel caso di restituzione degli atti al pubblico ministero per nullità della notificazione della citazione a giudizio, il regresso è disposto in carenza di potere, perché al giudice spetta il potere di rinnovare la notificazione e gli è tacitamente preclusa la modalità di esercizio della potestà decisoria che alla dichiarazione di nullità fa seguire l’ordine di restituzione degli atti al pubblico ministero e quindi la regressione (Sez. U, n. 42603 del 13/07/2023, COGNOME, Rv. 285213 – 02).
5.7.In altra fattispecie di dedotta abnormità dell’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito della richiesta di rinvio a giudizio, aveva disposto, ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, Sez. U, n. 37502 del 28/04/2022, Scarlini, Rv. 283552 – 01, ha richiamato (e ribadito) la copiosa giurisprudenza secondo la quale è abnorme non solo il provvedimento che, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell’ambito dell’ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché, per la sua singolarità, si ponga fuori dal sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e la impossibilità di proseguirlo. Le Sezioni Unite hanno rimarcato la necessità di un inquadramento rigoroso di un istituto che ha caratteri di eccezionalità escludendosi che la nozione possa essere riferita a situazioni di mera illegittimità, considerate altrimenti non inquadrabili e non rimediabili. In tale prospettiva, nel rapporto tra giudice e pubblico ministero, la Sez. U, COGNOME, cit., ha delimitato l’abnormità strutturale in termini di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale, nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione legale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge, cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché
al di là di oltre ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto). L’abnormità funzionale, ravvisabile nei casi di stasi del procedimento e di impossibilità di proseguirlo, è stata riferita, dalle Sez. U, COGNOME, all’ipotesi in cui i provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo, rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo: solo in tali limiti il pubblico ministero può ricorrere, lamentando che il conformarsi al provvedimento minerebbe la regolarità del processo; altrimenti è tenuto ad ottemperare, in un sistema che non ammette la possibilità di conflitto in caso di contrasto tra pubblico ministero e giudice, senza che possa dirsi di per sé caratterizzante dell’abnormità l’effetto della regressione del processo ad una fase precedente. Le Sezioni Unite osservano: viene in rilievo un potere in astratto attribuito al giudice ed esercitato nella sede propria e nel tempo previsto, ma in violazione della concreta disciplina sul riparto dei procedimenti e oltre i limiti consentiti, così da determinare un’alterazione nello sviluppo della sequenza procedimentale; ciò non si traduce solo in una violazione dei principi di rilievo costituzionale, ex art. 111, comma 2, Cost., di efficienza e di ragionevole durata, ma anche in una situazione di stasi, derivante non dal mero fatto della regressione in sé, quanto dall’imposizione al pubblico ministero di un adempimento ‘contra legem’che dà luogo ad un atto affetto da nullità, rilevabile nel corso del giudizio; il decreto di citazione diretta a giudizio che il pubblico ministero sarebbe “costretto” ad emettere è certamente nullo: l’erronea attribuzione di un processo, infatti, determina un vizio assimilabile alla nullità a regime intermedio, suscettibile di essere rilevata entro precise scansioni temporali; poiché l’udienza preliminare rappresenta uno snodo processuale maggiormente garantito, la cui mancanza produce un evidente, specifico “vulnus” alle facoltà difensive, l’atto propulsivo che ne pretermette lo svolgimento determina una nullità certamente rilevabile nello sviluppo del processo; la mancanza dell’udienza preliminare dà luogo anche ad una grave alterazione della corretta sequenza procedimentale, che concerne, fra l’altro, la competenza funzionale in materia di riti alternativi, oltre a determinare la diretta esposizione delle parti ad una fase processuale connotata da pubblicità, prima del momento in cui il vaglio assicurato dal giudizio demandato al giudice dell’udienza preliminare sia stato svolto; tali considerazioni non valgono invece nell’ipotesi inversa, cioè quella dello svolgimento, pur non previsto, dell’udienza preliminare, la quale costituisce una causa di espansione delle facoltà difensive e la cui fissazione non può di per sé dare luogo ad alcuna nullità, salva la deducibilità con le modalità e nei limiti stabiliti, della relativa questione, al fine di salvaguardare l’assetto normativamente previsto; la centralità del ruolo assunto dallo svolgimento dell’udienza preliminare nella disciplina dedicata dal codice di rito ai vari tipi di patologie che possono verificarsi in sede di riparto di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
attribuzioni si evince dal fatto che, nel caso di svolgimento dell’udienza preliminare, può porsi solo una questione di riparto delle attribuzioni in senso orizzontale (artt. 33-septies, comma 1, cod. proc. pen.; art. 516, comma 1-bis cod. proc. pen.), essendo prevista invece la trasmissione degli atti al pubblico ministero nei casi in cui sia rilevata la mancata celebrazione dell’udienza preliminare (art. 33-septies, comma 2, cod. proc. pen. e art. 516, comma 1-ter cod. proc. pen.); non possono perciò nutrirsi dubbi sul fatto che la questione del mancato svolgimento dell’udienza preliminare, ove tempestivamente dedotta, possa essere riproposta nel corso del giudizio, anche in sede di impugnazione, pur non essendo specificamente menzionata dall’art. 33-octies, cod. proc. pen.; né possono desumersi argomenti di segno contrario dal disposto dell’art. 33novies, cod. proc. pen., che esclude l’invalidità degli atti e l’inutilizzabilità delle prove per il solo fatto dell’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale; va invece rilevato come sia stata ribadita l’insussistenza di una nullità nel caso della celebrazione dell’udienza preliminare, seppur non prevista per il reato oggetto del procedimento. In conclusione, in tutti i casi di indebita restituzione degli atti ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., perché si proceda con citazione diretta a giudizio, ricorre – affermano le Sezioni Unite – almeno un’ipotesi di abnormità funzionale, da cui discende una situazione di stasi, in quanto il provvedimento, di cui non può direttamente ravvisarsi e dichiararsi la nullità, si risolve nell’imposizione di un successivo adempimento, cioè l’atto di impulso consistente nell’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio, che è affetto da nullità rilevabile nello sviluppo del processo, nullità che non deve essere inquadrata tra le nullità assolute. Di conseguenza il pubblico ministero, il quale non può opporsi al provvedimento, sollevando conflitto, ha uno specifico interesse alla sua rimozione, non essendo a tal fine sufficiente il meccanismo contemplato dall’art. 550, comma 3, cod. proc. pen., incentrato sulla successiva formulazione dinanzi al giudice del dibattimento di eccezione avente ad oggetto il mancato svolgimento della prevista udienza preliminare. Non si tratta, spiegano le Sezioni Unite, tanto di evitare il relativo, tortuoso meccanismo processuale quanto di prendere atto dell’esigenza di scongiurare l’imposizione di un atto derivante da una patologia processuale e affetto da nullità rilevabile, e del conseguente interesse a ricorrere, correlato all’esigenza di assicurare l’ordinato svolgimento del processo, secondo le cadenze prestabilite, evitando l’adozione di un successivo atto nullo, idoneo ad arrecare pregiudizio alle parti, la cui costituzione nel giudizio dibattimentale si sarebbe potuta prevenire con lo svolgimento dell’udienza preliminare. L’esigenza, annotano le Sezioni Unite, di restringere la nozione di atto abnorme, che fra l’altro può costituire illecito disciplinare del magistrato, non sussiste in questo caso ove si discute di una nozione che assume rilievo tecnico-processuale, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
mentre la formula usata per definire l’illecito disciplinare fa immediato riferimento ad un’ipotesi di provvedimento emesso in carenza di potere, primariamente produttivo di sviamento della giurisdizione in chiave strutturale, e rinvia più in generale, nella prospettiva deontologica, ad un complessivo giudizio di nnacroscopicità e di inescusabilità, che, al di fuori di qualsivoglia automatismo, implica la valutazione del caso concreto.
5.8.In ultima analisi, non ogni errore rende di per sé abnorme il provvedimento del giudice.
6.Nel caso di specie, il Giudice ha (male) esercitato un potere che comunque gli compete, quello cioè di ammettere gli imputati all’oblazione, determinando erroneamente l’importo dovuto in conseguenza della applicazione di un istituto di diritto penale sostanziale estraneo all’editto accusatorio, non oggetto di esercizio di azione e insuscettibile di essere applicato al di fuori della fase della cognizione.
6.1.In termini generali, questa Corte ha più volte affermato il principio secondo il quale l’ordinanza che, a seguito dell’opposizione a decreto penale di condanna, rigetta la domanda di oblazione, non è autonomamente impugnabile, potendosi far valere eventuali vizi di essa con l’impugnazione della sentenza che definisce il giudizio di opposizione (Sez. 3, n. 35550 del 26/04/2017, COGNOME, Rv. 271137 – 01; Sez. 4, n. 34667 del 22/06/2010, COGNOME, Rv. 248081 – 01; Sez. 4, n. 48622 del 19/11/2003).
6.2.E’ stato altresì precisato che in tema di opposizione a decreto penale con contestuale richiesta di oblazione, il mancato pagamento di quest’ultima non dà luogo ad inammissibilità dell’opposizione, dovendo invece il giudice disporre il giudizio (Sez. 3, n. 44467 del 08/10/2009, COGNOME, Rv. 245216 – 01; Sez. 3, n. 9180 del 14/01/2009, COGNOME, Rv. 243008 – 01; Sez. 3, n. 16345 del 23/01/2003, COGNOME, Rv. 226678 – 01; Sez. 3, n. 3027 del 26/09/1997, COGNOME, Rv. 209366 – 01).
6.3.Si potrebbe, dunque, sostenere che il provvedimento del giudice non determina una stasi del procedimento perché l’imputato può decidere di non pagare e, tuttavia, proprio per questo, egli non potrebbe reiterare la richiesta di oblazione nel successivo giudizio posto che tale possibilità presuppone il rigetto della richiesta, non il suo accoglimento.
6.4.Nella situazione data i ricorrenti subiscono l’iniziativa del giudice che arrogandosi poteri a lui non concessi ha frapposto alla possibilità di estinguere i reati un provvedimento non altrimenti elinninabile.
6.5.Ne consegue che, trattandosi di provvedimento abnorme, esso è impugnabile con la conseguenza che deve essere annullato senza rinvio, con trasmissione degli atti al giudice procedente perché si pronunci sulla richiesta di oblazione osservando i principi sopra indicati ai §§ 4.2-4.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la ordinanza impugnata disponendosi la trasmissione degli atti al Tribunale di Torino per l’ulteriore corso. Così deciso in Roma, il 29/05/2024.