Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 19644 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 19644 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MILANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/11/2023 del TRIBUNALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del PG, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore della parte civile COMUNE DI MILANO, che ha chiesto che il ricorso venga rigettato o dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
1.11 sig. NOME COGNOME ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 10 novembre 2023 del Tribunale di Milano che, accertata la diversità del fatto rispetto a quello descritto nell’imputazione, ha disposto la restituzione degli atti alla Procura della Repubblica di Milano per quanto di competenza.
1.1.Con unico motivo deduce l’abnormità dell’ordinanza impugnata.
Lamenta, in particolare, che secondo quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale (e secondo quanto risulta dalla lettura della stessa ordinanza impugnata) egli avrebbe dovuto essere assolto piuttosto che (testualmente) esser lasciato “tra coloro che son sospesi” in attesa delle eventuali determinazioni del pubblico ministero, non essendo la sua impresa produttrice (e dunque titolare) dei rifiuti illecitamente smaltiti, essendosi egli limitato a segnalare al committente dei lavori, e su richiesta di questi, il soggetto incaricato del trasporto (non abilitato allo smaltimento) nell’erronea convinzione che il materiale dovesse solo essere spostato da una struttura alberghiera ad un’altra e non smaltito illecitamente.
Esclusa la diversità del fatto storico contestato rispetto a quello ritenuto (non potendosi ritenere tale il possibile concorso di altra persona nel reato), l’ordinanza impugnata ha comportato l’indebita regressione del procedimento, restituito alla fase delle indagini preliminari con conseguente abnormità dell’ordinanza stessa.
2.11 Comune di Milano, parte civile costituita nel processo a carico del ricorrente, ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile o che venga comunque rigettato, con vittoria di spese.
3.11 Procuratore generale ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
2.Premesso che:
2.1.11 ricorrente è stato tratto a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 81, 110 cod. pen., 256, comma 1, lett. a) e b), comma 2, d.lgs. n. 152 del
2006, in concorso con gli autori materiali dell’abbandono dei rfiuti (tali NOME COGNOME);
2.2.gli si imputa, in particolare, di aver provveduto all’illecita gestione di rifiuti pericolosi e non pericolosi, prodotti a seguito di lavori di manutenzione da lui eseguiti presso una struttura alberghiera, affidandoli per lo smaltimento ad un soggetto privo di autorizzazione alla raccolta ed al trasporto dei rifiuti (il COGNOME) che, con l’ausilio di altra persona (il COGNOME), li abbandonava su un’area a fondo naturale all’interno del parco Agricolo Sud di Milano;
2.3.all’esito dell’istruttoria dibattimentale, il Tribunale ha ritenuto la radicale diversità del fatto rispetto a quello contestato sul rilievo c:he: a) l’impresa produttrice dei rifiuti era altra (la RAGIONE_SOCIALE, legalmente rappresentata da tal NOME COGNOME), cui competeva anche lo smaltimento dei rifiuti; b) l’RAGIONE_SOCIALE non aveva subappaltato lo smaltimento dei rifiuti all’odierno ricorrente; c) questi si era limitato a segnalare il nominativo del trasportatore dei rifiuti; d) in conclusione: l’attività di smaltimento dei rifiuti pericolosi è st gestita dall’COGNOME tramite il trasportatore COGNOME COGNOME dallo COGNOME.
5.Tanto premesso, osserva il Collegio:
5.1.1a legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere impugnati. Così recita l’art. 568, comma 1, cod. proc. pen., che fissa il principio della tipicità e tassatività dei provvedimenti impugnabili e dei relativi mezzi di impugnazione, secondo il quale: a) non è possibile impugnare un provvedimento se la legge non lo consente espressamente; b) non è possibile impugnare un provvedimento con un mezzo diverso da quello espressamente previsto. E tuttavia, l’art. 111, comma settimo, Cost., consente sempre il ricorso per cassazione contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali. L’art. 568, comma 2, cod. proc. pen., codifica il principio stabilendo, a sua volta, che sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non sono altrimenti impugnabili i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze, salvo quelle che possono dare luogo a un conflitto di giurisdizione o di competenza a norma dell’art. 28. La giurisprudenza di legittimità ne ha tratto argomento per dar corpo, già in costanza del precedente codice di rito, alla figura dei provvedimenti cd. abnormi, astrattamente non impugnabili in base al principio di tassatività e tipicità dei mezzi di impugnazione e tuttavia ricorribili per cassazione;
5.2.1a figura dell’abnormità dei provvedimenti del giudice – spiega la Suprema Corte (Sez. U, n. 11 del 09/07/1997, COGNOME) – rappresenta il risultato di una lunga elaborazione giurisprudenziale con cui – a partire dall’entrata in vigore del codice del 1930 – è stata creata, accanto a quella
tradizionale della invalidità, la categoria del provvedimento abnorme. L’intento dichiarato di tale operazione di integrazione normativa è stato quello di introdurre un correttivo al principio della tassatività dei mezzi di impugnazione, nel senso che si è inteso apprestare il rimedio del ricorso per cassazione contro quei determinati provvedimenti che, pur non essendo oggettivamente impugnabili, risultino, tuttavia, affetti da anomalie genetiche o funzionali così radicali da non poter essere inquadrati in alcuno schema legale e da giustificarne la qualificazione dell’abnormità. Il ricorso per cassazione costituisce, pertanto, “lo strumento processuale utilizzabile per rimuovere gli effetti di un provvedimento che, per la singolarità e la stranezza del suo contenuto, deve essere considerato avulso dall’intero ordinamento giuridico” (cfr. Sez. Un., 9 maggio 1989, Goria). In mancanza di una definizione legislativa, la giurisprudenza della Suprema Corte ha configurato il paradigma del provvedimento abnorme ponendone in risalto i caratteri salienti nel fatto che esso si discosta e diverge non solo dalla previsione di determinate norme ma anche dall’intero sistema organico della legge processuale, tanto da porsi come atto insuscettibile di ogni inquadramento normativo e da risultare imprevisto e imprevedibile rispetto alla tipizzazione degli atti processuali compiuta dal legislatore (Sez. 3, 9 luglio 1996 P.M. in proc. COGNOME; Sez. 1, 19 maggio 1993, COGNOME ed altro; Sez. 6, 19 novembre 1992, COGNOME; Sez. 5, 22 giugno 1992, P.M. in proc. Zinno). In altre decisioni è stato precisato che è abnorme non solo il provvedimento che, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell’ambito dell’ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste,, al di là di og ragionevole limite (Sez. 3, 21 febbraio 1997, COGNOME ed altro; Sez. 1, 11 giugno 1996, P.M. in proc. Settegrana; Sez. 5, 13 gennaio 1994, P.M. in proc. Marino ed altro). Nella ricerca degli elementi qualificanti la figura del provvedimento abnorme è stato altresì stabilito che l’atto abnorme rappresenta un’evenienza del tutto eccezionale essendo emesso in assoluta carenza di potere, oltre che con radicale divergenza dagli schemi e dai principi ispiratori dell’ordinamento processuale (Sez. 6, 30 settembre 1993, COGNOME ed altro), e che l’abnormità inerisce soltanto a quei provvedimenti che si presentano avulsi dagli schemi normativi e non anche a quelli che, pur essendo emessi in violazione di specifiche norme processuali, rientrano tra gli atti tipici dell’ufficio che li adotta (Sez. 2, 10 aprile 1995, P.M. in proc. Saraceno). Inoltre, è stato posto in luce che l’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché, per la sua singolarità, si pone fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando, pur non estraneo al sistema normativo, determina la stasi del processo e l’Impossibilità di proseguirlo (Sez. 3, 14 luglio 1995, P.M. in proc. COGNOME ed altri; Sez. 5, 11 marzo 1994, P.M. in Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
proc. Luchino ed altro). L’assenza di criteri omogenei e uniformi di identificazione dei caratteri distintivi del provvedimento abnorme ha contribuito ad una progressiva estensione di tale categoria alla quale la giurisprudenza di legittimità ha fatto ricorso per rimuovere situazioni processuali “extra ordinem” altrimenti non eliminabili – create da provvedimenti del giudice inficiati da anomalie genetiche o funzionali che ne impediscono l’inquadramento nei tipici schemi normativi e li rendono incompatibili cori le linee fondanti del sistema processuale. È opportuno, poi, osservare che il legislatore del 1988, pur prendendo atto del diritto vivente e della flessibilità inerente alla nozione di provvedimento abnorme, ha preferito astenersi da qualsiasi diretto intervento normativo, motivando la scelta dell’esclusione di una espressa previsione dell’impugnazione dei provvedimenti abnormi con «la rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione e la necessità di lasciare sempre alla giurisprudenza di rilevarne l’esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini della impugnabilità. Se infatti, proprio per il principio di tassatività, dovrebbe essere esclusa ogni impugnazione non prevista, è vero pure che il generale rimedio del ricorso per cassazione consente comunque l’esperimento di un gravame atto a rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema processuale o adottato a fini diversi da quelli previsti dall’ordinamento» (Relazione al prog. prel., pag. 126). Delineata nei termini sopra indicati la figura del provvedimento abnorme, e rilevato che uno dei suoi tratti essenziali è quello di sottrarsi ad una rigida tipizzazione classificatoria, deve porsi in evidenza che l’abnormità è stata considerata dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione come motivo di deroga al principio di tassatività delle impugnazioni e non anche come ragione che dispensi dall’osservanza delle forme e dei termini ordinari prescritti dalla legge processuale per l’ammissibilità del ricorso per cassazione. L’operatività dei normali termini di decadenza per l’impugnazione dei provvedimenti abnormi è stata affermata sia con riferimento alla disciplina dettata dagli artt. 190 e 199 del codice del 1930 (Sez. 1, 28 aprile 1987, COGNOME; Sez. 5, 25 novembre 1983, Corleone; Sez. 4, 11 novembre 1983, COGNOME; Sez. 5, 22 giugno 1983, COGNOME; Sez. 5, 18 dicembre 1968, Portanova) sia rispetto alla corrispondente normativa posta dagli artt. 569 e 585 del codice vigente (Sez. 5, 3 dicembre 1996, COGNOME; Sez. 4, 16 maggio 1995, ric. P.M.; Sez. 1, 28 febbraio 1992, Macedonio) (così, in motivazione, Sez. U, n. 11 del 09/07/1997, COGNOME, cit.); Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
5.3.in sintesi: è affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, s
ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Sez. U, n. 17 del 10/12/1997 dep. 1998 – COGNOME; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999 – dep. 2000 – COGNOME);
5.4.dunque, come ricordato in motivazione da Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, COGNOME, «non si può ricorrere alla categoria dell’abnormità quando l’atto o il provvedimento che si vuole rimuovere rientri nei poteri del Giudice che lo ha adottato, e cioè discende da un potere riconosciuto o attribuito dalla legge, dato che in tal caso nessuna estraneità al sistema può evidenziarsi. Così è nell’ipotesi in cui si faccia valere l’inosservanza di norme che prevedono l’adozione di un determiNOME atto a date condizioni di fatto, e l’eventuale insussistenza delle stesse ne determina l’illegittimità ma non l’abnormità e, quindi, si tratterà di un provvedimento “contro norma” ma non “extra norma” (…) la configurazione di un atto abnorme non richiede verifica ulteriore rispetto a quella concernente l’assenza di potere del giudice di provvedere, con la conseguenza che il ricorso per cassazione con denuncia di abnormità non può autorizzare la verifica, in sede di legittimità, di un vizio di legge del provvedimento, ex art. 606 comma 1 lett. c) C.P.P., “salvo eludere lo stesso fondamento del concetto di abnormità” e porre nel nulla il principio di tassatività delle impugnazioni» (nello stesso senso, già Sez. U, n. 4 del 31/01/2001, COGNOME, secondo cui «va peraltro ribadita la rigorosa affermazione giurisprudenziale (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 22.11.2000, P.M. in proc. Boniotti) per la quale il solo fatto che un provvedimento sia inficiato da una qualsivoglia violazione di legge non ne giustifica, di per sé, l’immediata ricorribilità per cassazione in nome della categoria dell’abnormità, la quale non può essere surrettiziamente utilizzata, dilatandone i confini, al fine di aggirare la preclusione correlata alla tipicità dei mezzi d’impugnazione secondo il dettato degli artt. 568 e 586 del codice di rito, insieme con il principio di tassatività delle nullità stabilito dall’art. 177 stesso codice»); Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
5.5.più recentemente, le Sezioni Unite della Corte ci cassazione, in fattispecie di dedotta abnormità dell’ordinanza del giudice che, in caso di nullità dell’atto introduttivo del giudizio, aveva restituito gli atti al pubblico ministero, hanno ribadito che il dato dirimente è costituito dal fatto che quando la nullità rilevata attiene alla notificazione della citazione a giudizio, il provvedimento di restituzione degli atti è adottato in chiaro difetto di potere, per la semplice ragione che l’ordinamento processuale, siccome conferisce al giudice il potere di rinnovazione della notifica, al contempo e per necessità logica non può che privarlo del potere di restituzione degli atti all’organo di accusa. Quando è l’attribuzione a mancare difetta il legittimo esercizio della funzione giurisdizionale, con la conseguenza obbligata dall’abnormità del provvedimento.
Il provvedimento di regressione in caso di nullità della notificazione della citazione a giudizio rientra nell’area della abnormità strutturale, perché il giudice esercita un potere che non gli è dato, o meglio esercita una attribuzione completamente al di fuori dei casi consentiti, perché il potere, espressamente concessogli, di rinnovare la notificazione implica che il generale potere di disporre la regressione in caso di nullità afferente ad un atto propulsivo non gli è, in tale situazione, riconosciuto. L’abnormità funzionale sollecita, invece, un’indagine sull’atto che si giustifica solo quando non si sia già in grado di cogliere i caratteri dell’abnormità strutturale per carenza di potere in astratto o anche solo in concreto, quando il potere è esercitato in assenza delle condizioni legislativamente poste. Quando un provvedimento causa la stasi processuale, se non si è in grado di individuare le specifiche ragioni normative di un difetto di potere, occorre interrogarsi se il sistema accordi altri rimedi perché, ammoniscono le Sezioni Unite, non va mai dimenticato il carattere eccezionale dell’istituto dell’abnormità (che, proprio per questo motivo, resta pur sempre “residuale”). Se altri rimedi sono possibili, dò significa che l’ordinamento, pur non regolando la modalità espressiva del potere il cui esercizio ha dato luogo alla stasi, non la disconosce, tanto da aver in sé gli strumenti per fronteggiarla. Quando, invece, non si rinvengono altre vie per porre rimedio all’esercizio di un potere non regolato, neanche implicitamente’ dal sistema, perché se il pubblico ministero desse impulso al processo incorrerebbe in un atto nullo, non può che configurarsi l’abnormità di tipo funzionale che, in fondo, è essa stessa rivelatrice di un difetto di potere in capo al giudice che ha emesso l’atto, perché quell’atto, seppure riconducibile in astratto ad una previsione di legge, nella concretezza della singola vicenda si rivela radicalmente incompatibile con la progressione processuale e quindi con la destinazione funzionale che gli è propria. Non si può negare che, nel caso di restituzione degli atti al pubblico ministero per nullità della notificazione della citazione a giudizio, il regresso è disposto in carenza di potere, perché al giudice spetta il potere di rinnovare la notificazione e gli è tacitamente preclusa la modalità di esercizio della potestà decisoria che alla dichiarazione di nullità fa seguire l’ordine di restituzione degli atti al pubblico ministero e quindi la regressione (Sez. U, n. 42603 del 13/07/2023, El Karti, Rv. 285213 – 02); Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
5.6.in altra fattispecie di dedotta abriornnità dell’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito della richiesta di rinvio a giudizio, aveva disposto, ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, Sez. U, n. 37502 del 28/04/2022, Scarlini, Rv. 283552 – 01, hanno richiamato (e ribadito) la propria copiosa giurisprudenza secondo la quale è abnorme non solo il provvedimento che, per la sua singolarità, non sia
inquadrabile nell’ambito dell’ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché, per la sua singolarità, si ponga fuori dal sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e la impossibilità di proseguirlo. In questo contesto, la anomala regressione del procedimento ad una fase anteriore nonostante la regolare costituzione del rapporto processuale costituisce sintomo tipico della abnormità dell’atto (vengono citate, Sez. U, n. 19 del 18/06/1993, COGNOME, Rv. 194061; Sez. U, n. 8 del 24/03/1995, COGNOME, in motivazione; Sez. U, n. 10 del 09/07/1997, COGNOME, Rv. 208220; Sez. U., n. 4 del 31/01/2001, COGNOME, in motivazione; Sez. U. n. 22807 del 29/05/2002, Manca, Rv. 221999; Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, Battistella, Rv. 238240). L’indebita regressione – affermano – costituisce un serio vulnus all’ordo processus, inteso come sequenza logico-cronologica ordinata di atti, in spregio dei valori costituzionali dell’efficienza e della ragionevole durata del processo. Tuttavia, come detto, l’indebita regressione costituisce solo un sintomo della natura abnorme dell’atto che l’ha disposta, non un suo predicato esclusivo, dando così atto, la sentenza, della giurisprudenza che ha escluso la natura abnorme dei provvedimenti che hanno erroneamente disposto la regressione del procedimento. E così, non è stato considerato abnorme il provvedimento del giudice del dibattimento che, rilevata l’invalidità della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., in realtà ritualmente eseguita, aveva dichiarato erroneamente la nullità del decreto di citazione a giudizio, disponendo la trasmissione degli atti al PM, in quanto si tratta di provvedimento che, lungi dall’essere avulso dal sistema, costituisce espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall’ordinamento e che non determina la stasi del procedimento, potendo ill PM disporre la rinnovazione della notificazione del predetto avviso (Sez. U, n. 25957 del 26/03;2009, COGNOME, Rv. 243590). L’esigenza è quella di rimarcare la necessità di un inquadramento rigoroso di un istituto che ha caratteri di eccezionalità escludendosi che la nozione possa essere riferita a situazioni di mera illegittimità, considerate altrimenti non inquadrabili e non rimediabili. In tale prospettiva, nel rapporto tra giudice e pubblico ministero, la Sez. U, COGNOME, cit., ha delimitato l’abnormità strutturale in termini di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale, nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione legale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge, cioè completamente al di Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
fuori dei casi consentiti, perché al di là di oltre ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto). L’abnormità funzionale, ravvisabile nei casi di stasi del procedimento e di impossibilità di proseguirlo, è stata riferita, dalle Sez. U, COGNOME, all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo, rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo: solo in tali limiti il pubblico ministero può ricorrere, lamentando che il conformarsi al provvedimento minerebbe la regolarità del processo; altrimenti è tenuto ad ottemperare, in un sistema che non ammette la possibilità di conflitto in caso di contrasto tra pubblico ministero e giudice, senza che possa dirsi di per sé caratterizzante dell’abnormità l’effetto della regressione del processo ad una fase precedente. Le Sezioni Unite osservano: viene in rilievo un potere in astratto attribuito al giudice ed esercitato nella sede propria e nel tempo previsto, ma in violazione della concreta disciplina sul riparto dei procedimenti e oltre i limiti consentiti, così da determinare un’alterazione nello sviluppo della sequenza procedimentale; ciò non si traduce solo in una violazione dei principi di rilievo costituzionale, ex art. 111, comma 2, Cost., di efficienza e di ragionevole durata, ma anche in una situazione di stasi, derivante non dal mero fatto della regressione in sé, quanto dall’imposizione al pubblico ministero di un adempimento ‘contra legem’ che dà luogo ad un atto affetto da nullità, rilevabile nel corso del giudizio; il decreto di citazione diretta a giudizio che il pubblico ministero sarebbe “costretto” ad emettere è certamente nullo: l’erronea attribuzione di un processo, infatti, determina un vizio assimilabile alla nullità a regime intermedio, suscettibile di essere rilevata entro precise scansioni temporali; poiché l’udienza preliminare rappresenta uno snodo processuale maggiormente garantito, la cui mancanza produce un evidente, specifico “vulnus” alle facoltà difensive, l’atto propulsivo che ne pretermette lo svolgimento determina una nullità certamente rilevabile nello sviluppo del processo; la mancanza dell’udienza preliminare dà luogo anc:he ad una grave alterazione della corretta sequenza procedimentale, che concerne, fra l’altro, la competenza funzionale in materia di riti alternativi, oltre a determinare la diretta esposizione delle parti ad una fase processuale connotata da pubblicità, prima del momento in cui il vaglio assicurato dal giudizio demandato al giudice dell’udienza preliminare sia stato svolto; tali considerazioni non valgono invece nell’ipotesi inversa, cioè quella dello svolgimento, pur non previsto, dell’udienza preliminare, la quale costituisce una causa di espansione delle facoltà difensive e la cui fissazione non può di per sé dare luogo ad alcuna nullità, salva la deducibilità con le modalità e nei limiti stabiliti, della relativa questione, al fine d salvaguardare l’assetto normativamente previsto; la centralità del ruolo assunto dallo svolgimento dell’udienza preliminare nella disciplina dedicata dal codice di rito ai vari tipi di patologie che possono verificarsi in sede di riparto di Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
attribuzioni si evince dal fatto che, nel caso di svolgimento dell’udienza preliminare, può porsi solo una questione di riparto delle attribuzioni in senso orizzontale (artt. 33-septies, comma 1, cod. proc. pen.; art. 516, comma 1-bis cod. proc. pen.), essendo prevista invece la trasmissione degli atti al pubblico ministero nei casi in cui sia rilevata la mancata celebrazione dell’udienza preliminare (art. 33-septies, comma 2, cod. proc. pen. e art. 516, comma 1-ter cod. proc. pen.); non possono perciò nutrirsi dubbi sul fatto che la questione del mancato svolgimento dell’udienza preliminare, ove tempestivamente dedotta, possa essere riproposta nel corso del giudizio, anche in sede di impugnazione, pur non essendo specificamente menzionata dall’art. 33-octies, cod. proc. pen.; né possono desumersi argomenti di segno contrario dal disposto dell’art. 33novies, cod. proc. pen., che esclude l’invalidità degli atti e l’inutilizzabilità dell prove per il solo fatto dell’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale; va invece rilevato come sia stata ribadita l’insussistenza di una nullità nel caso della celebrazione dell’uchenza preliminare, seppur non prevista per il reato oggetto del procedimento. In conclusione, in tutti i casi di indebita restituzione degli atti ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., perché si proceda con citazione diretta a giudizio, ricorre – affermano le Sezioni Unite – almeno un’ipotesi di abnormità funzionale, da cui discende una situazione di stasi, in quanto il provvedimento, di cui non può direttamente ravvisarsi e dichiararsi la nullità, si risolve nell’imposizione di un successivo adempimento, cioè l’atto di impulso consistente nell’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio, che è affetto da nullità rilevabile nello sviluppo del processo, nullità che non deve essere inquadrata tra le nullità assolute. Di conseguenza il pubblico ministero, il quale non può opporsi al provvedimento, sollevando conflitto, ha uno specifico interesse alla sua rimozione, non essendo a tal fine sufficiente il meccanismo contemplato dall’art. 550, comma 3, cod. proc. pen., incentrato sulla successiva formulazione dinanzi al giudice del dibattimento di eccezione avente ad oggetto il mancato svolgimento della prevista udienza preliminare. Non si tratta, spiegano le Sezioni Unite, tanto di evitare il relativo, tortuoso meccanismo processuale quanto di prendere atto dell’esigenza di scongiurare l’imposizione di un atto derivante da una patologia processuale e affetto da nullità rilevabile, e del conseguente interesse a ricorrere, correlato all’esigenza di assicurare l’ordiNOME svolgimento del processo, secondo le cadenze prestabilite, evitando l’adozione di un successivo atto nullo, idoneo ad arrecare pregiudizio alle parti, la cui costituzione nel giudizio dibattimentale si sarebbe potuta prevenire con lo svolgimento dell’udienza preliminare. L’esigenza, annotano le Sezioni Unite, di restringere la nozione di atto abnorme, che fra l’altro può costituire illecito disciplinare del magistrato, non sussiste in questo caso ove si discute di una nozione che assume rilievo tecnico-processuale, Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
mentre la formula usata per definire l’illecito disciplinare fa immediato riferimento ad un’ipotesi di provvedimento emesso in carenza di potere, primariamente produttivo di sviamento della giurisdizione in chiave strutturale, e rinvia più in generale, nella prospettiva deontologica, ad un complessivo giudizio di macroscopicità e di inescusabilità, che, al di fuori di qualsivoglia automatismo, implica la valutazione del caso concreto.
6.Nel caso di specie viene in rilievo la regressione del processo ad una fase precedente all’esercizio dell’azione penale sulla base del dedotto malgoverno dell’art. 521 cod. proc. pen.; in buona sostanza, la regressione non sarebbe giustificata perché non sussiste la radicale diversità del fatto ritenuto dal giudice rispetto a quello contestato dal pubblico ministero con l’editto accusatorio sicché la regressione è ingiustificata.
6.1.Secondo l’autorevole e consolidato insegnamento di questa Corte, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concretai nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619).
6.2.La diversità del fatto che impone la modifica del capo di imputazione e preclude al giudice di pronunciarsi, imponendogli di restituire gli atti al pubblico ministero, è solo quella che determina una effettiva lesione del diritto al contraddittorio e del conseguente diritto di difesa. Per “fatto” si deve intendere quello storico costituito dalla condotta, dall’evento e dal nesso causale, dalla riferibilità soggettiva della prima e dalla sua realizzazione nelle circostanze di tempo e di luogo date (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231799; Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, COGNOME, Rv. 2:73220).
6.3.Non v’è dubbio che, nel caso di specie, l’individuazione di un concorrente nel reato ulteriore e diverso da quelli già indicati dalla rubrica non determina la radicale diversità del fatto contestato. Si è affermato, al riguardo, che non sussiste violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza quando, contestato a taluno un reato commesso “uti singulus”, se ne affermi la responsabilità in concorso con altri (Sez. 2, n. 22173 del 24/04/2019, Michetti, Rv. 276535 – 01; Sez. 6, n. 21358 del 05/05/2011, Cella, Rv. 250072 – 01; Sez.
6, n. 24438 del 06/05/2005, Rv. 231855 – 01; Sez. 1, n. 2794 del 29/01/1998, Presti, Rv. 210005 – 01); correlativamente, è stata esclusa la violazione del principio di correlazione tra sentenza e accusa contestata, allorché, contestata a taluno una condotta concorsuale, ne venga, poi, affermata la responsabilità per attività individualmente svolta (Sez. 1, n. 9545 del 10/07/1995, Verme, Rv. 202422 – 01).
6.4.E’ stato così ritenuto abnorme il provvedimento con cui il giudice dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero rilevando che all’esito dell’istruttoria sia emerso un “fatto diverso”, nel caso in cui da detta istruttoria risulti che a concorrere nel reato contestato vi sia stato anche un altro soggetto oltre agli imputati (Sez. 5, n. 17938 del 18/12/2017, Carducci, I2v. 273716 – 01, secondo cui il tribunale avrebbe dovuto limitarsi a trasmettere gli atti al pubblico ministero per le iniziative di competenza in ordine alla posizione del solo “nuovo” concorrente nel reato; nello stesso senso Sez. 6, n. 29114 del 30/03/2012, COGNOME, secondo cui non comporta mutamento del fatto, l’aggiunta di un ulteriore concorrente rispetto a quelli originariamente indicati nella imputazione, nel caso in cui la condotta contestata rimanga invariata).
6.5.Nel caso di specie, la ritenuta responsabilità dell’COGNOME a titolo concorsuale non muta (tantomeno in modo radicale) il fatto storico attribuito al ricorrente costituito, pur sempre e comunque, dalla condotta dell’aver materialmente individuato la persona incaricata del materiale trasporto (e abbandono) dei rifiuti.
6.6.Ne consegue che il Tribunale non poteva restituire gli atti al pubblico ministero non ricorrendone le condizioni.
7.Sennonché: a) l’indebita regressione costituisce, come ampiamente spiegato, solo un indice dell’abnormità dell’atto, sopratutto quando espressione di una prerogativa del giudice; b) manca, nel caso di specie, la sollecitazione al compimento di un atto nullo, non potendosi ritenere tale il rinrovato esercizio dell’azione penale per un fatto (erroneamente) ritenuto diverso dal giudice; c) manca la prova della stasi del procedimento; ci) ma sopratutto, ed è questo il punto, il ricorrente non ha un qualificato interesse a impugnare l’ordinanza in questione.
7.1.Anche per essere legittimati al ricorso per abnormità del provvedimento occorre avere interesse (Sez. 3, n. 43127 del 12/09/2019, COGNOME., Rv. 277177 – 01). L’interesse sussiste, nel caso di pronuncia asseritamente abnorme, quando la stessa produca effetti pregiudizievoli per l’interessato, in via primaria e diretta, e sussista dunque un interesse pratico e attuale alla sua rimozione (Sez. 6, n. 25683 del 02/04/2003, COGNOME, Rv. 228307 – 01).
7.2.Sicché, è stata ritenuta inammissibile l’impugnazione dell’imputato contro il provvedimento del giudice del dibattimento che, erroneamente ritenendo la diversità o la novità del fatto a norma dell’art. 521 cod. proc. pen. abbia trasmesso gli atti al pubblico ministero, il quale abbia provveduto a richiedere un nuovo decreto di rinvio a giudizio con l’imputazione modificata. In tal caso, l’interesse ad impugnare l’ordinanza del tribunale è del RM., che si vede coartato dal Tribunale nelle modalità di esercizio dell’azione penale, mentre quel provvedimento non viola alcun diritto dell’imputato che, pertanto, non ha interesse all’impugnazione (Sez. 6, n. 3606 del 02/02/1995, Gualtieri, Rv. 201106 – 01).
7.3.Né tale interesse può consistere nella prospettata possibilità astratta di una assoluzione nel merito non garantendo l’eliminazione del provvedimento impugNOME altro se non la restituzione del processo alla fase decisoria, non di certo l’impossibile previsione dell’esito.
6.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 3.000,00.
Il giudice della cognizione provvederà alla liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile nella presente fase di giudizio
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 20/03/2024.