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Provvedimento abnorme: il giudice non può restituire atti

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di un Tribunale che, in un processo per reati fiscali, aveva restituito gli atti al Pubblico Ministero ritenendo che il fatto dovesse essere qualificato diversamente. La Suprema Corte ha stabilito che tale atto costituisce un provvedimento abnorme, poiché determina un’indebita regressione del procedimento. Il giudice, infatti, avrebbe dovuto decidere nel merito, applicando autonomamente la corretta qualificazione giuridica al fatto, senza rinviare il processo a una fase precedente.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Provvedimento abnorme: la Cassazione chiarisce i poteri del giudice

Un provvedimento abnorme è uno degli istituti più interessanti e complessi della procedura penale. Si tratta di una decisione del giudice talmente anomala da non poter essere tollerata dall’ordinamento. Con la sentenza n. 37691 del 2025, la Corte di Cassazione torna a delineare i confini di questa figura, annullando un’ordinanza con cui un Tribunale aveva restituito gli atti al Pubblico Ministero invece di decidere la causa. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I fatti del processo

Il caso trae origine da un processo per reati fiscali a carico di due amministratori di una società. L’accusa era quella di omessa dichiarazione ai fini IVA (art. 5 del D.Lgs. 74/2000), per non aver presentato la dichiarazione relativa all’anno 2018, evadendo così un’imposta di oltre 600.000 euro a fronte di elementi attivi non dichiarati per circa 3,7 milioni di euro.

La decisione del Giudice di primo grado: una restituzione inattesa

Conclusa l’istruttoria dibattimentale, il giudice del Tribunale, invece di emettere una sentenza di condanna o di assoluzione, ha emesso un’ordinanza. In questo provvedimento, ha affermato che il ‘fatto’ emerso in dibattimento era ‘diverso’ da quello contestato. Secondo il giudice, la società in questione era una ‘società cartiera’ che emetteva fatture per operazioni inesistenti. Di conseguenza, il fatto poteva essere ricondotto a un’altra fattispecie di reato, ovvero l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 del D.Lgs. 74/2000).
Sulla base di questa convinzione, il Tribunale ha disposto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero ‘per le determinazioni di competenza’, invitandolo di fatto a valutare un nuovo esercizio dell’azione penale.

Il ricorso in Cassazione e il concetto di provvedimento abnorme

Il Pubblico Ministero ha impugnato questa ordinanza davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo che si trattasse di un provvedimento abnorme. La tesi dell’accusa era chiara: il giudice non poteva restituire gli atti in una situazione del genere. La legge (art. 521 del codice di procedura penale) fornisce al giudice gli strumenti per gestire un’eventuale diversa qualificazione giuridica del fatto, ma non gli consente di ‘rimandare la palla’ alla Procura, causando così un’illegittima regressione del processo a una fase già superata.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente il ricorso del Pubblico Ministero, qualificando l’ordinanza del Tribunale come un provvedimento abnorme e annullandola senza rinvio.

I giudici di legittimità hanno spiegato che il provvedimento impugnato era viziato sotto diversi profili. Innanzitutto, confondeva il piano della ‘diversità del fatto’ con quello della ‘diversa qualificazione giuridica’. L’articolo 521 del codice di procedura penale stabilisce che il giudice restituisce gli atti al PM solo se il fatto storico che emerge dal dibattimento è radicalmente diverso da quello descritto nell’imputazione. Nel caso di specie, invece, il nucleo storico del fatto (l’attività illecita della società e dei suoi amministratori) era rimasto lo stesso; era cambiata, secondo il giudice, solo la sua etichetta giuridica (da omessa dichiarazione a emissione di fatture false).

In una simile situazione, il giudice non solo può, ma deve decidere nel merito. Se ritiene che i fatti provati integrino un reato diverso da quello contestato, deve riqualificare egli stesso la condotta e pronunciare una sentenza di conseguenza, sempre che non si determini una lesione del diritto di difesa. Restituire gli atti al PM, in questo contesto, significa esercitare un potere al di fuori dei casi consentiti dalla legge, creando una stasi processuale ingiustificata e un’indebita regressione del procedimento.

La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’abnormità non si valuta solo in base alle conseguenze dell’atto (abnormità funzionale), ma anche e soprattutto in base alla sua struttura, quando esso si pone al di fuori del sistema processuale (abnormità strutturale).

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

La decisione della Cassazione è di grande importanza pratica. Essa riafferma la netta distinzione tra il potere del giudice di riqualificare un fatto e l’ipotesi eccezionale della sua restituzione al PM. Un giudice non può sottrarsi al suo dovere di decidere delegando di fatto al PM una nuova valutazione che spetta a lui compiere in sede di giudizio. Questa sentenza rafforza i principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, impedendo che i processi possano regredire a fasi precedenti per questioni che il giudice ha il potere e il dovere di risolvere autonomamente con una sentenza.

Cos’è un provvedimento abnorme secondo questa sentenza?
Un provvedimento è abnorme quando, pur essendo previsto in astratto dalla legge, viene emesso in una situazione radicalmente diversa da quella contemplata, causando un’illegittima regressione del procedimento. Nel caso specifico, è abnorme l’ordine di restituzione degli atti al PM per una diversa qualificazione giuridica del fatto.

Cosa avrebbe dovuto fare il giudice del Tribunale invece di restituire gli atti?
Il giudice avrebbe dovuto pronunciarsi sul fatto originariamente contestato. Se avesse ritenuto che lo stesso fatto storico integrasse una diversa fattispecie di reato (art. 8 invece di art. 5 D.Lgs. 74/2000), avrebbe dovuto procedere autonomamente alla riqualificazione giuridica e decidere la causa con una sentenza, senza far regredire il processo.

Quando è legittima la restituzione degli atti al Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 521 c.p.p.?
La restituzione degli atti al Pubblico Ministero è legittima solo quando il fatto che emerge durante il dibattimento è ‘diverso’ da quello contestato nell’imputazione, cioè quando si tratta di un episodio storico completamente differente, e non di una semplice diversa interpretazione giuridica dello stesso episodio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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