Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 44046 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 44046 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 06/03/1981; avverso l’ordinanza del 22/06/2023 del Tribunale di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; uditi i difensori, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22 giugno 2023, il Tribunale di Bologna, quale giudice del riesame, ha confermato l’ordinanza emessa in data 23 marzo 2023 dal Gip del medesimo Tribunale, con la quale era stata applicata, nei confronti del ricorrente, la misura della custodia cautelare in carcere, giacché indagato per plurimi reati ex art. 73, commi 1 e 4, del d.P.R. n. 309 del 1990 – capi di imputazione 14), 17), 20), 34), 107), 108), 114), 116), 118), 120), 123), afferenti, in particolare, alla
detenzione illecita e al commercio di cocaina e hashish – variamente circostanziati, nonché per il reato di cui agli 110 cod. pen., 2 e 7 della legge n. 897 del 1965, perché, in concorso con altri, deteneva illecitamente un’arma comune da sparo, e per il delitto previsto dagli artt. 74, commi 1, 2, 3 e 4, del medesimo decreto, 61bis e 416-bis.1 cod. pen. perché si associava con altri allo scopo di commettere più delitti di cui all’art. 73, commi 1 e 4, del d.P.R. n. 309 del 1990, nella specie costituiti da acquisti, importazioni e successive rivendite e cessioni di sostanza stupefacente (principalmente del tipo cocaina, hashish e marijuana). Nell’ipotesi accusatoria, l’indagato supportava l’attività di distribuzione dello stupefacente, fornendo ai corrieri sia i furgoni della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, a lui fatto riconducibili, sia i fittizi documenti per giustificare i viaggi finalizz trasporti della droga in un periodo in cui risultavano operanti le restrizioni per la pandemia da Covid-19; in talune occasioni, egli fungeva, inoltre, da intermediario, procurando al sodalizio acquirenti interessati, altresì acquistando alcune partite di cocaina di cui poi curava la rivendita.
Avverso la sentenza l’indagato, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione dell’art. 191 cod. proc. pen. per l’inutilizzabilità delle comunicazioni intercorse tramite il sistema di nnessaggistica Sky Ecc, acquisite a mezzo di ordine europeo di indagine, censurando, in particolare, la motivazione soltanto apparente resa dal Tribunale del riesame in ordine alle modalità di acquisizione, la cui mancata ostensione avrebbe impedito, non solo la verifica del necessario rispetto delle norme inderogabili e dei principi fondamentali del nostro ordinamento, ma anche la possibilità di sollevare eccezioni al riguardo.
Nello specifico, sostiene il ricorrente che il giudice cautelare avrebbe erroneamente disatteso le doglianze difensive circa la mancata messa a disposizione della difesa della documentazione attestante le modalità acquisitive delle conversazioni, sulla base di una presunzione, meramente astratta, di garanzia dell’integrità e affidabilità dei dati, in virtù dell’utilizzo di un algoritm sarebbe, però, omesso di considerare che proprio la doverosa valutazione dello standard qualitativo dei documenti informatici in esame – altrimenti inutilizzabili, secondo la giurisprudenza di legittimità, per l’impossibilità di instaurare i contraddittorio – postulerebbe necessariamente la conoscenza delle modalità di acquisizione e captazione ai sensi dell’art. 191 cod. proc. pen. Né si sarebbe tenuto conto della circostanza che, nel caso specie, non vi è traccia della eventuale generazione di un doppio codice hash e, dunque, del rispetto delle indicazioni tecniche generalmente condivise. Vi sarebbero, al contrario, una serie di anomalie
rinvenute nella documentazione versata in atti dal consulente tecnico della difesa, quali: a) il possibile pregiudizio della catena di conservazione delle evidenze digitali, derivante dalla mancata indicazione del rispetto della metodologia forense e dei valori hash della copia effettuata sul primo server; b) l’abbinamento dei messaggi degli utenti, espletato dalle autorità olandesi, in modo non specificato; c) l’assenza di documentazione o protocollazione di ciò che sia accaduto prima delle traduzioni delle chat intercettate; d) la presenza, nelle conversazioni captate, di un chiaro riferimento alla perdita di pacchetti pari al 40%, tale da far emergere che l’intercettazione sarebbe stata incompleta e soltanto parziale. A conferma dell’inaffidabilità della messaggistica Sky Ecc captata, la difesa richiama, peraltro, l’anomala assenza di risposte – tale, a suo parere, da pregiudicare la perfetta corrispondenza della testualità di tale materiale al tenore letterale dei messaggi originariamente inviati e ricevuti – nonché l’inaffidabile successione cronologica delle predette conversazioni, inverosimile giacché attestante la scrittura e l’invio, da parte dell’indagato, di ben tre messaggi, di diversa lunghezza, in un solo secondo. Da qui – per il ricorrente – la loro denunciata inutilizzabilità e l conseguente inconsistenza del residuo patrimonio indiziario.
2.2. Con un secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 191 cod. proc. pen., per inutilizzabilità patologica ed assoluta delle comunicazioni intercorse tramite il sistema di messaggistica Sky Ecc, sul rilievo che esse sarebbero state consegnate dalle autorità francesi in formato Excel modificabile, con procedure di captazione, decodificazione, riversamento e consegna, non solo ignote e non documentate, ma certamente violative delle regole dell’informatica forense, nonché degli standard europei imposti, in materia di raccolta e conservazione delle prove digitali, dalla Convenzione di Budapest, attuata, nel nostro ordinamento, con legge n. 48 del 18 marzo 2008.
Più precisamente, ritiene il ricorrente che le autorità francesi si sarebbero limitate a comprimere i file Excel in una zip apribile con password, ricorrendo tuttavia ad una cautela al più idonea a garantire la riservatezza dei dati e non certo l’integrità degli stessi, mancando altresì di eseguire una procedura di hashing, la quale, ancorché non idonea, secondo la difesa, a garantire il segmento precedente dell’iter di acquisizione della messaggistica originale – ovvero il passaggio dalla “Joint Investigation Team”, che li ha captati, alle autorità giudiziarie francesi – avrebbe comunque potuto assicurare quantomeno l’affidabilità dei predetti dati consegnati alla Procura di Bologna.
Né contrario argomento potrebbe trarsi, secondo la prospettazione difensiva, dalla circostanza che i file, pur consegnati in formato modificabile, fossero stati trasfusi su un supporto CD-R o DVD-R, che non consente la successiva modifica così sostituendosi la immodificabilità del contenitore alla immodificabilità del
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contenuto – dal momento che le criticità riguarderebbero la conformità del dato originario a quello trasposto sul supporto consegnato all’autorità giudiziaria italiana. Sostiene l’indagato che la non modificabilità del supporto finale con cui i dati sarebbero giunti alla Procura di Bologna rassicurerebbe sul fatto che questi non siano stati modificati dopo la trascrizione su quel supporto, ma in nessun modo garantirebbe la genuinità del trasferimento dal supporto precedente a quello giunto in Italia, la cui inaffidabilità, sarebbe, anzi, riscontrabile, osserva l’indagat non solo dalla consulenza tecnica di parte – secondo cui la stessa carenza della catena di custodia non potrebbe che generare incertezza sulla integrità dei dati ma anche dalle diverse mail inviate dal Maresciallo Capo della Guardia di Finanza, attestanti la mancanza o la non conformità tra i dati acquisiti con l’O.E.I. rispetto al supporto proveniente dalla autorità giudiziaria francese destinataria della rogatoria.
2.3. Con un terzo motivo di censura, il ricorrente denuncia, invece, la contraddittorietà e la mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui al capo 45), costituente, a parere della difesa, un’indebita duplicazione del capo 46) dell’incolpazione.
Dopo avere Specificato di non aver contestato alcunché in merito alla gravità indiziaria per quanto concerne questo secondo capo di incolpazione, l’indagato asserisce che l’episodio contestato come commesso in data 16 giugno 2020 – del tutto identico a quello verificatosi il giorno successivo – attiene in realtà all’atti prodromica alla consegna, avvenuta effettivamente in data 17 giugno dello stesso anno. Ciò che, a parere del ricorrente, sarebbe corroborato da molteplici elementi – quali: l’interpretazione fornita dalla difesa della frase dell’indagato «Lo rimasto in capannone»; il rilievo che la consegna sarebbe stata organizzata ed effettuata in un lasso di tempo molto breve, con un’inutile amplificazione del rischio; l’assenza di qualsivoglia chat relativa alle modalità di consegna, nonché la circostanza che il corriere COGNOME, quel giorno, si sarebbe trovato a La Spezia sui quali il giudice cautelare non avrebbe fornito alcun supporto motivazionale, limitandosi a riferirsi alla sola circostanza dell’assenza del presunto corriere con evidente contraddittorietà, nella parte in cui si conferma la sussistenza di un grave quadro indiziario in relazione al reato in contestazione, anche a prescindere dal fatto che il concorrente COGNOME potesse risultarne estraneo.
2.4. In quarto luogo, ci si duole della violazione degli artt. 273, commi 1 e 1bis cod. proc. pen., 110 cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, nonché il connesso difetto di motivazione, con riferimento ai capi d’incolpazione nn. 107), 108), 114), 116), 118), 120) e 123).
Secondo la ricostruzione difensiva, il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente ritenuto che l’odierno indagato, benché estraneo alle condotte
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materiali di narcotraffico, avesse consapevolmente messo il proprio furgone a disposizione dell’associazione criminosa, per il trasporto delle singole partite di droga, mediante l’intestazione dello stesso alla società RAGIONE_SOCIALE, da lui gestita – secondo la prospettazione accusatoria, di fatto, benché formalmente intestata alla moglie del Silipo – al fine di giustificare documentalmente i viaggi illeciti d farsi, omettendo tuttavia di considerare che il mezzo in questione non sarebbe stato di sua proprietà, giacché nella piena ed esclusiva disponibilità del promotore COGNOME NOMECOGNOME come comprovato dalla circostanza che il camion fosse già originariamente intestato alla moglie di costui.
A tale proposito, osserva dunque la difesa che il mezzo di trasporto sarebbe entrato a far parte del patrimonio strumentale del sodalizio ben prima della data di trasferimento della proprietà del camion dalla Sirto alla RAGIONE_SOCIALE, amministrata dalla stessa donna; di talché l’indagato si sarebbe al più limitato a tollerare l’originaria intestazione fittizia alla RAGIONE_SOCIALE del furgone, senza alcun correità nei delitti in contestazione e senza alcuna efficacia eziologica della primigenia condotta a lui ascritta rispetto ai singoli reati fine lui contestati, ta che i fatti di reato sarebbero stati programmati, organizzati ed eseguiti a distanza di oltre un mese dall’avvenuto passaggio di proprietà del veicolo. Né, secondo il difensore, alcun elemento di prova avrebbe restituito il coinvolgimento dell’odierno ricorrente nella formazione delle bolle di trasporto utili a schermare i singoli viaggi in contestazione; attività gestita, all’opposto, dai coniugi COGNOME e COGNOME, tanto pi alla luce della pacifica circostanza che COGNOME non conoscesse le coordinate spaziali e temporali dei singoli episodi delittuosi.
Apparente, oltre che illogica e contraddittoria, sarebbe, infine, la motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, tenuto conto delle produzioni difensive allegate al ricorso, comprovanti, secondo la difesa, la netta ed inequivoca volontà dell’indagato di non prendere parte alcuna, neppure moralmente, ai reati di narcotraffico perpetrati dal Silipo, pur a fronte dei tentativi di coinvolgimento operati, nei suoi confronti, da quest’ultimo. Tali deduzioni difensive sarebbero state disattese dal giudice cautelare mediante il ricorso a congetture disancorate dai fatti reali, sostenendosi dapprima il carattere meramente labiale delle esortazioni del COGNOME, poi paventandosi, illogicamente, il carattere interessato dei buoni consigli dispensati nel corso delle chat ed, infine, ipotizzandosi l’intento dell’odierno ricorrente d soppiantare il Silipo in seno all’organizzazione.
2.5. Con un quinto motivo di impugnazione, si lamentano la violazione degli artt. 125, comma 3, 273, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen. e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, ed il connesso vizio motivazionale, relativamente al capo 183)
dell’incolpazione, afferente all’appartenenza dell’indagato al sodalizio criminale, capeggiato dal Silipo.
Premessa la possibilità di suddividere i delitti in contestazione in due gruppi, in ragione del periodo in cui gli stessi sarebbero stati consumati, osserva il ricorrente che, per quanto concerne il primo gruppo di reati – commessi nel ristretto arco temporale compreso tra il 5 marzo 2020 e il 17 giugno 2020 l’acquirente COGNOME non avrebbe potuto essere considerato intraneo all’associazione, non avendo il rapporto sinallagmatico con il fornitore mai assunto quelle caratteristiche di significatività e stabilità, rilevanti per la vita dell’associaz come riscontrabile da: a) il concorso con il solo COGNOME, estraneo all’associazione, nella maggior parte di tali delitti; b) l’esiguità dei quantitativi da costoro trat rispetto a quelli commercializzati complessivamente dal gruppo criminale; c) il breve lasso di tempo in cui si sarebbero consumate le condotte di acquisto; d) l’interruzione dei rapporti commerciali con il gruppo; f) l’evidente volontà dell’odierno ricorrente di non essere coinvolto nelle illecite attività di narcotraffic
Già di fronte al Tribunale, del resto, il ricorrente aveva sostenuto che non avrebbero potuto considerarsi sintomatici della sua appartenenza al sodalizio il rimprovero mosso a COGNOME il 5 marzo 2020 per non avere aperto il pacco alla consegna e la richiesta, rivolta dal COGNOME al COGNOME, di inviargli una fotografia di sostanza stupefacente del tipo cocaina, tanto che anche il provvedimento impugnato ne avrebbe poi abbandonato l’illogico carattere indiziante conferito dal Gip del Tribunale ai fini dell’integrazione del reato associativo, assegnato, invece, a tali condotte ai soli fini del concorso del Masi nel delitto ex art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
Per quanto concerne, invece, il contenuto della chat del 15 marzo 2020 intercorsa tra l’indagato e il COGNOME, primo promotore dell’associazione, e a fronte della quale, contrariamente a quanto prospettato dal Gip nell’ordinanza genetica, la difesa, nell’atto di appello, aveva prospettato che avrebbe avuto ad oggetto la messa a disposizione, soltanto occasionale, della documentazione e dei furgoni della RAGIONE_SOCIALE, per un lasso di tempo di cinque giorni, in ragione delle insistenze dell’interlocutore, disperato per le restrizioni alla circolazione di mezzi persone, imposte dall’emergenza sanitaria da Covid-19 – là stessa potrebbe al più rappresentare indizio del reato di cui all’art. 73 del d.P.R., senza sconfinare nel reato associativo di cui all’art. 74 del medesimo decreto.
2.6. Con un ultimo motivo di ricorso, si denuncia, infine, la violazione dedli artt. 273, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen., 110 cod. pen. e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, sul rilievo che la condotta ascritta al COGNOME avrebbe dovuto essere qualificata in termini di concorso esterno rispetto all’associazione contestata al capo 183), in considerazione dell’occasionalità del contributo ad essa prestato
quale acquirente della cocaina e dell’estraneità del medesimo all’attuazione del programma criminoso e alla distribuzione dei relativi profitti.
Con memoria datata 12 marzo 2024, la difesa ha presentato un motivo nuovo, con il quale, lamentando la violazione degli artt. 191, 271, 273 e 125, comma 3, cod. proc. pen., ribadisce quanto già dedotto nel ricorso principale in punto di lesione dei principi del giusto processo e del diritto di difesa. Si rappresenta, nello specifico, come anche le Sezioni Unite di questa Corte, con decisione del 29 febbraio 2024, abbiano affermato il principio di diritto secondo cui l’autorità giurisdizionale dello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali, ivi compresi il diritto di dife la garanzia di un equo processo; di talché, nel caso di specie, tenuto conto di quanto osservato dal consulente tecnico di parte, dovrebbe ritenersi integrata la predetta violazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Giova preliminarmente ricordare che, proprio in materia di ordine europeo di indagine, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno recentemente chiarito – risolvendo un contrasto giurisprudenziale afferente all’individuazione della disciplina applicabile in tema di acquisizione e di utilizzabilità delle comunicazioni acquisite mediante O.E.I. – che la trasmissione del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 234-bis cod. proc. pen., il quale opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, bensì nella disciplin relativa alla circolazione delle prove tra procedimenti penali, quale desumibile dagli artt. 238 e 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. U. n. 23755 del 29/02/2024, Rv. 286573-01; Sez. U., n. 23756 del 29/02/2024, Rv. 28658901). Con riferimento all’acquisizione, effettuata mediante 0.E.I., di messaggi scambiati su chat di gruppo tramite un sistema cifrato, e già a disposizione dell’autorità giudiziaria straniera, dunque, non è applicabile la disciplina di cui all’art. 234-bis cod. proc. pen., perché la stessa è alternativa e incompatibile rispetto a quella dettata in tema di O.E.I. Ed invero, l’art. 234-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 2, comma 1-bis, del d.l. n. 7 del 18/02/2015, convertito cob modificazioni, dalla legge n. 43 del 17/04/2015, prevede testualmente che: «È sempre consentita l’acquisizione di documenti e dato informatici conservati
all’estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest’ultimo caso, del legittimo titolare».
2.1. Tale disposizione, dunque, disciplina non un mezzo di prova, bensì una modalità di acquisizione di particolari tipologie di elementi di prova presenti all’estero, che viene attuata in via diretta dall’autorità giudiziaria italian prescinde da qualunque forma di collaborazione con le autorità dello Stato in cui i dati sono custoditi. Il sistema dell’O.E.I. regola anch’esso una modalità di acquisizione degli elementi di prova transfrontalieri, che però si realizza nell’ambito di rapporti di collaborazione tra autorità giudiziarie di Stati diversi, tu membri dell’Unione Europea. Trattasi, dunque, di discipline che si riferiscono a vicende tra loro diverse già per il presupposto di applicazione: la prima riguarda l’acquisizione di elementi conservati all’estero che prescinde da forme di collaborazione con l’autorità giudiziaria di altro Stato; la seconda attiene, invece, all’acquisizione di elementi conservati all’estero da ottenere od ottenuti con la collaborazione dell’autorità giudiziaria di altro Stato.
2.2. Cionondimeno, tale assunto non rende illegittima l’acquisizione, né preclude l’utilizzabilità dei dati relativi alle comunicazioni intercorse attraverso sistema criptato Sky Ecc, ottenuti dall’autorità francese in esecuzione di 0.E.I. emesso dal Pubblico Ministero italiano. Invero, l’errore di qualificazione in cui è incorsa l’ordinanza impugnata non determina l’annullamento della stessa, sulla base di quanto previsto dall’art. 619, comma 1, cod. proc. pen.: l’errore rilevato, infatti, non ha avuto influenza decisiva sul dispositivo, in quanto, nella specie, sussistono le condizioni di ammissibilità necessarie per emettere legittimamente l’O.E.I. e non risulta alcuna violazione dei diritti fondamentali.
Tanto premesso, i primi due motivi di impugnazione – che possono essere trattati congiuntamente perché attinenti alla denunciata inutilizzabilità delle comunicazioni intercorse tramite il sistema di messaggistica RAGIONE_SOCIALE, acquisite a mezzo di ordine europeo di indagine – sono infondati.
3.1. Sul punto occorre innanzitutto precisare che, come correttamente rilevato dal Tribunale del riesame di Bologna, il Pubblico Ministero, nel caso di specie, ha agito nell’ambito dei poteri previsti nel Capo I del Titolo III del d.lgs. n. 108 d 21 giugno 2017, contenente le norme di attuazione della direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa all’ordine europeo d’indagine penale. Si tratta di strumento inteso ad implementare le già esistenti forme di cooperazione penale nell’ambito dell’Unione di cui all’art. 82, paragrafo 1, TFUE, che si fonda sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie. Tale principio è a sua volta fondato sulla fiducia reciproca, nonché sulla presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino il
diritto dell’Unione e, in particolare, i diritti fondamentali. La previsione di t strumento, dunque, si correla all’esigenza di assicurare un meccanismo efficace, di carattere generale, rispettoso del principio di proporzione (posto dall’undicesimo Considerando della direttiva), a sua volta collegato a quello del reciproco riconoscimento e della fiducia nel rispetto del diritto dell’Unione (di cui al sesto Considerando) da parte degli Stati membri e che, comunque, deve assicurare il rispetto dei diritti fondamentali (dodicesimo Considerando). In tale cornice, si inseriscono l’art. 2 della direttiva, secondo cui «Gli Stati membri eseguono un O.E.I. in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alla presente direttiva» e l’art. 9, secondo cui «L’autorità di esecuzione riconosce un 0.E.I., trasmesso conformemente alle disposizioni della presente direttiva, senza imporre ulteriori formalità e ne assicura l’esecuzione nello stesso modo e secondo le stesse modalità con cui procederebbe se l’atto d’indagine in questione fosse stato disposto da un’autorità dello Stato di esecuzione, a meno che non decida di addurre uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione ovvero uno dei motivi di rinvio previsti dalla presente direttiva». Pertanto, l’ordine europeo di indagine deve avere ad oggetto una prova acquisibile nello Stato di emissione e deve essere eseguito in conformità di quanto previsto nello Stato di esecuzione per il compimento di un analogo atto di acquisizione probatoria, potendosi peraltro presumere il rispetto di tale disciplina e dei diritti fondamentali, salvo concreta verifica di segno contrario (Sez. 6, n. 48330 del 25/10/2022, Rv. 284027, in motivazione).
Il Pubblico Ministero, con l’O.E.I. in esame, non ha richiesto all’autorità giudiziaria dell’altro Stato membro UE di procedere ad un atto di indagine, ma ha agito ai sensi dell’art. 45 del decreto citato, ai limitati fini di chieder trasmissione di documentazione già acquisita nel corso di un diverso procedimento pendente in quel Paese. Nel caso in esame, dunque, l’ordine europeo di indagine doveva solo dare conto dello specifico oggetto della prova, essendo rimessa allo Stato di esecuzione, con le modalità previste in quell’ordinamento, la concreta acquisizione della prova da trasferire (Sez. 2, n. 2173 del 22/12/2016, dep. 2017; 269000). E, nella specie, è indiscusso che tali prove – rappresentate dalle chat del sistema Sky Ecc siano state già acquisite dal Tribunale di Parigi autonomamente e non su richiesta dell’ufficio di Procura procedente nel nostro Paese.
In linea di principio, peraltro, gli atti oggetto dell’O.E.I., costituenti prove g in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione, come nel caso di specie, possono essere legittimamente richiesti e acquisiti dal Pubblico Ministero italiano senza la necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si vorrebbe utilizzarli. Unico presupposto di ammissibilità dell’ordine europeo di indagine, infatti, sotto il profilo del soggetto legittimato
presentarlo, è che l’atto o gli atti di indagine richiesti nell’O.E.I. avrebbero potu essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo. Ora, nell’ordinamento processuale penale italiano, le prove già disponibili in altri procedimenti possono essere richieste ed acquisite dalle parti interessate, e quindi anche dal Pubblico Ministero, al fine di utilizzarle da parte del giudice competente per quest’ultimo. Con la conseguenza che, quando l’O.E.I. avanzato dal Pubblico Ministero italiano riguarda prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione, non vi sono ragioni per ritenere che il medesimo debba munirsi di preventiva autorizzazione del giudice del procedimento nel quale si vorrebbe utilizzarle, quale condizione necessaria ex art. 6 della Direttiva 2014/41/UE, siccome condizione non prevista nel nostro ordinamento, né altrimenti desumibile dal sistema dell’O.E.I. (Sez. U., n. 23755 del 29/02/2024, Rv. 286573-02; Sez. U., n. 23756 del 29/02/2024, Rv. 286589-02).
Nella specie, poi, è altrettanto certo, per quanto efficacemente evidenziato nel provvedimento impugnato, alle pagg. 19-20, che si è trattato di recepire una prova statica, già presente, non soggetta ad una procedura dinamica di acquisizione.
3.2. Ebbene, a fronte di tale premessa, non può non rilevarsi come la difesa , erri nel ritenere sussistente un potere di vaglio della legittimità del procedimento di acquisizione della documentazione di che trattasi in capo all’autorità decidente italiana, essendo tale argomento smentito dal contesto normativo di riferimento e dalla natura dello strumento investigativo utilizzato. Contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, infatti, si è già affermato nella giurisprudenza di legittimità che l’utilizzazione degli atti trasmessi mediante rogatoria attiva non è condizionata ad un accertamento da parte del giudice italiano concernente la regolarità delle modalità di acquisizione esperite dall’autorità straniera, in quanto vige la presunzione di legittimità dell’attività svolta e spetta al giudice straniero verifica della correttezza della procedura e l’eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarità lamentata nella fase delle indagini preliminari (ex multis, Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, in motivazione; Sez. 6, n. 44882 del 04/10/2023, Rv. 285386; Sez. 3, n. 1396 del 12/10/2021, dep. 2022, in cui in motivazione si rinvia anche a Sez. 5, n. 1405 del 16/11/2016, dep. 2017, Rv. 269015; Sez. 2, n. 24776 del 18/5/ .2010, Rv. 247750; Sez. 1, n. 21673 del 22/1/2009, Rv. 243796; Sez. 5, n. 45002 del 13/7/2016, Rv. 268457). Va quindi ribadito il principio per cui è precluso all’autorità richiedente un vaglio in ordin alla legittimità delle modalità di esecuzione dell’atto rogatoriale qualora non sia stata indicata alcuna specifica formalità nella richiesta di assistenza giudiziaria, ed a maggior ragione quando l’atto di indagine sia stato svolto in precedenza, nel corso di autonome investigazioni intraprese dallo Stato estero, fermo restando che tale atto, una volta introdotto nel procedimento italiano a seguito di relazioni
rogatoriali, e quindi utilizzabile, sarà poi sottoposto a tutte le regole processuali sostanziali proprie dell’ordinamento italiano, in particolare quanto alla valutazione da parte del giudice del compendio delle acquisizioni documentali ed investigative ed alle possibilità di esercitare le prerogative di tutela da parte dell’indagato (Sez. 3, n. 1396 del 12/10/2021, dep. 2022). Ciò che, in altri termini, equivale a dire che il giudice italiano non può e non deve conoscere della regolarità degli atti di esecuzione di attività di indagine compiuta dall’autorità giudiziaria straniera, giacché detta attività investigativa è eseguita secondo la legislazione dello Stato straniero; e, a maggior ragione, ciò vale ove l’originaria attività investigativa non sia stata compiuta su richiesta dell’autorità giudiziaria italiana, ma sia stat eseguita, nell’ambito di altro procedimento instaurato nello Stato estero, su iniziativa di quell’autorità giudiziaria i cui esiti sono stati trasmessi, come dati c. freddi, siccome acquisiti in epoca antecedente alla richiesta di O.E.I. (Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022, dep. 2023. Rv. 283998, in motivazione). Nel caso in esame, del resto, trattasi non di una richiesta di procedere a intercettazioni, ma di una richiesta di acquisizione degli esiti documentali di attività di indagine che l’autorit straniera ha già svolto, nella sua piena autonomia, nel rispetto della sua legislazione in relazione ad altri reati; di talché la tutela giurisdizionale relativ tali atti non può che trovare spazio in tale ordinamento.
Peraltro, in linea generale, occorre segnalare che il diritto straniero è un fatto e spetta a chi eccepisce il difetto di compatibilità delle norme di quell’ordinamento con quelle interne dimostrarne il contenuto, e ciò tanto più laddove si tratti, come nel caso di specie, del diritto di un Paese membro dell’Unione Europea (Sez. 4, n. 19216 del 06/11/2019, dep. 2020, Rv. 274296).
3.3. Quanto, poi, alla più specifica denuncia della violazione del diritto di difesa, conseguente all’impossibilità, per il ricorrente, di conoscere le modalità di acquisizione e decriptazione dei messaggi scambiati sul sistema Sky Ecc, va rilevato che non risultano, né sono indicate, disposizioni da cui desumere la giuridica necessità dell’acquisizione e del deposito, nel procedimento in Italia, dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria straniera aventi ad oggetto l’autorizzazione di attività di indagine in un procedimento pendente davanti ad essa, i cui esiti sono stati successivamente richiesti dall’autorità giudiziaria italiana mediante O.E.I. In particolare, l’art. 78 disp. att. cod. proc. pen., nel disciplinare l’acquisizione di di un procedimento penale compiuti da autorità giudiziaria straniera, non richiede anche l’acquisizione dei provvedimenti giudiziaria in forza dei quali tali atti sono stati compiuti. La medesima conclusione si evince anche dalla disciplina per l’acquisizione di atti compiuti o-formati in altro procedimento sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, ossia quella relativa ai risultati intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, dettata dall’art. 270 cod. proc.
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pen. Questa disposizione, infatti, prevede il deposito dei verbali e delle registrazioni relativi alle intercettazioni effettuate in altri procedimenti, ma no anche il deposito dei relativi provvedimenti autorizzativi. E sulla base di questa disciplina, l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte ritiene che: a) ai fini dell’utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazio comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo, essendo sufficiente il deposito, presso l’autorità giudiziaria competente per il diverso procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime (Sez. U. n. 45189 del 17/11/2004, Rv. 229244); b) spetta alla parte che eccepisce nel procedimento ad quem la mancanza o l’illegittimità dell’autorizzazione, e si oppone all’utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in un procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, l’onere di produrre il decreto autorizzativo, in modo da consentire al giudice di verificare l’effettiva inesistenza nel procedimento a quo del controllo giurisdizionale prescritto dall’art. 15 Cos1:. (ex plurimis, Sez. 2, n. 6947 del 29/10/20019, dep. 2020, Rv. 278246; Sez. 6, n. 41515 del 18/09/2015, Rv. 264741).
3.4. Sotto il profilo concernente la mancata generazione del doppio codice hash nonché sotto il versante della ritenuta inutilizzabilità patologica ed assoluta delle comunicazioni intercorse tramite il sistema di nnessaggistica Sky Ecc, sul rilievo che esse sarebbero state consegnate dalle autorità francesi in formato Excel modificabile, va evidenziato che l’acquisizione di dati in giacenza (definiti freddi) o l’intercettazione di dati telematici in transito permette l’acquisizione, qualora i messaggio telematico sia criptato mediante l’impiego di un algoritmo o di una chiave di cifrature e trasformato in un mero dato informatico, di una stringa informatica composta da un codice binario. In questo caso, l’intelligibilità del messaggio è subordinata all’attività di decriptazione che presuppone la disponibilità dell’algoritmo che consente di trasformare il codice binario in un contenuto dimostrativo, ma ogni messaggio cifrato è inscindibilmente accoppiato alla sua chiave di cifratura, sicché la sola chiave esatta produrrà una decifratura corretta, dovendosi escludere che possa decifrarne una parte corretta e una non corretta; né vi sono possibilità che una chiave errata possa decrittare il contenuto, anche parziale, del codice umano contenuto (Sez. 1, 6364 del 13/10/2022, dep. 2023, Rv. 283998). Si richiama in proposito quanto chiarito da questa Corte (Se2. 2, n. 30395 del 21/04/2022, Rv. 283454; Sez. 6, n. 14395 del 27/11/2018, dep. 2019, Rv. 275534) secondo cui, in assenza dell’algoritmo necessario alla decrittazione, secondo la scienza informatica, risulta impossibile ottenere un testo difforme dal reale, potendosi al più imbattersi in una sequenza alfanumerica simbolica (detta stringa) priva di senso alcuno. Pertanto, salva l’allegazione cli
specifici e concreti elementi di segno contrario, deve escludersi la ricorrenza di alterazioni ovvero manipolazione dei testi captati.
Sul punto, del resto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno, ancora una volta, precisato che l’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazione per criptare il testo non determina quella violazione dei diritti fondamentali rappresentante l’unica causa di esclusione della utilizzabilità del contenuto di tali comunicazioni, dovendo negarsi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura. Ed una chiave errata non ha – come visto – alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente (Sez. U., n. 23755 del 29/02/2024, Rv. 286573-06; Sez. U., n. 23756 del 29/02/2024, Rv. 286589-05). Né, d’altra parte – precisano le citate Sezioni Unite – la giurisprudenza sovranazionale risulta aver affermato che l’indisponibilità dell’algoritmo di decriptazione agli atti del processo costituisca, di per sé, violazione dei diritti fondamentali. In proposito, anzi, la Cort EDU, pronunciandosi in relazione ad una vicenda in cui i dati acquisiti non erano stati messi a disposizione della difesa e la pronuncia di colpevolezza era stata fondata sul mero fatto dell’uso di un sistema di messaggistica criPtata denominato ByLock, si è limitata ad affermare che dare al ricorrente l’opportunità di prendere conoscenza del materiale decriptato nei suoi confronti poteva costruire un passo importante per preservare i suoi diritti di difesa senza avere, al contempo, affermato che tale mancata messa a disposizione integrasse un vulnus dei diritti fondamentali (Corte EDU, Grande Camera, 26/09/2023, NOME COGNOME c. Turchia, § 336).
3.5. Anche a prescindere da ciò, peraltro, occorre precisare che – per la parte che qui più interessa – quella dell’algoritmo hash non è l’unica, sebbene sia la più diffusa, metodica idonea a garantire una corretta catena di custodia, ben potendosi la stessa ottenere legandola al contenitore, invece che al contenuto, attraverso l’uso di contenitori non modificabili, ovverosia l’uso di supporti di memoria a tecnologia ottica non riscrivibile, quali CD e DVD (Sez. 1, n. 6363 del 13/10/2022, dep. 2023); ciò che, nel caso di,specie, è stato debitamente fatto dalle autorità francesi, risultando in atti che i dati richiesti, oltre ad essere stati compressi formato zip, soggetto a password, sono stati riversati in supporti ottici non riscrivibili (CD-ROM).
3.6. Per quanto concerne, infine, la garanzia dell’integrità e dell’affidabilità dei dati nella fase subito antecedente alla trasposizione degli stessi nei supporti di memoria a tecnologia non riscrivibile, osserva il Collegio come, nel caso di specie, si sia in presenza di un’attestazione di conformità da parte del Tribunale di Parigi che, sulla base del già richiamato principio della reciproca fiducia in forza delle
relazioni intercorrenti tra gli Stati, consente di realizzare la presunzione d legittimità degli atti compiuti dalle autorità straniere secondo la legislazione dell specifico stato straniero.
3.7. Come correttamente rilevato dal Tribunale del riesame, dunque, non può ritenersi lesiva del diritto di difesa la mancata acquisizione, e, quindi, la conseguente mancata messa a disposizione della difesa, della documentazione concernente le modalità acquisitive della nnessaggistica Sky Ecc, acquisita nel corso di un procedimento penale straniero, sottratta alla valutazione della Autorità giudiziaria italiana; mentre deve ritenersi legittima, perché idonea a garantire una corretta catena di custodia, la trasposizione dei dati, ancorché in formato modificabile, in dispositivi fisici a tecnologica non riscrivibile, potendo logicamente sopperire alla modificabilità del contenuto con la immodificabilità del supporto contenitore.
Anche a prescindere da quanto sopra specificato in punto di diritto, occorre peraltro rilevare come nessun rilievo possa attribuirsi alle asserite anomalie segnalate dalla difesa nel senso dell’inaffidabilità dei risultati acquisiti. Ed inver come correttamente rilevato dal Tribunale del riesame con motivazione logica e coerente, alle pagg. 38-39 del provvedimento impugnato, la mancata indicazione delle risposte può facilmente ascriversi alla sussistenza di ricorrenti anomalie, dovute alla mancata archiviazione, nel server, dei messaggi di risposta, oltre che alla pur possibile anticipata cancellazione dei messaggi di risposta da parte dell’interlocutore, nelle cui facoltà rientra anche quella di programmare un termine più breve per la cancellazione di quegli stessi messaggi anche dal server medesimo. Né, del pari, possono ritenersi decisive le censure rilevate in ordine alla successione cronologica dei messaggi, stante la possibilità di scindere temporalmente il momento della scrittura del messaggio e quello della trasmissione dello stesso. Quanto, infine, alle diverse mai/ inviate dal maresciallo capo della Guardia di Finanza, ed attestanti, secondo la difesa, la mancanza o la non conformità tra i dati acquisiti con l’O.E.I. rispetto al supporto proveniente dalla autorità giudiziaria francese destinataria della rogatoria, correttamente il giudice cautelare, con motivazione del tutto illogica, specifica che trattasi di uno scambio di mail interlocutorie dalle quali si evince, più che una manipolazione dei dati, un difetto di trasmissione o di ricezione degli stessi, non essendo peraltro possibile sapere se i dati mancanti non siano stati ricevuti successivamente, trattandosi di un’attività in itinere, da ritenersi conclusa soltanto con la notificazione dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari.
Il terzo motivo di doglianza, relativo al difetto di motivazione in ordine alla presunta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui al capo 45),
ritenuto un’indebita duplicazione del capo 46) dell’incolpazione, è inammissibile, poiché teso a delineare un’arbitraria interpretazione delle risultanze probatorie, diversa da quella recepita dai giudici di merito e, come tale, preclusa al sindacato di legittimità (ex multis, Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
4.1. Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, infatti, l’epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (ex plurimis, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv. 235507).
In materia di intercettazioni, del resto, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni costituisce proprio questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione (ex plurimis, Sez.3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389; Sez. LI, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv. 257784). A ciò si aggiunga che, nell’attribuire significato ai contenuti delle intercettazioni, siano esse conversazioni . telefoniche, ovvero sms, il giudice del merito deve dare mostra dei criteri adottati per attribuire un significato piuttosto che un altro. Tale iter argonnentativo è certamente censurabile in cassazione, ma soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza, mentre è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 1532 del 09/09/2020). Con specifico riferimento all’interpretazione delle risultanze delle intercettazioni delle conversazioni ambientali e telefoniche, infine, il giudice di merito è libero di ritenere ch l’espressione adoperata assuma, nel contesto della conversazione, un significato criptico, specie allorché non abbia alcun senso logico nel contesto espressivo in cui è utilizzata ovvero quando emerge, dalla valutazione di tutto il complesso probatorio, che l’uso di un determinato termine indica altro, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene (Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Rv. 267650).
4.2. Nel caso di specie, la censura mossa nell’interesse del ricorrente ruota intorno a due differenti aspetti: l’interpretazione dell’espressione «lo rimasto in capannone», proferita dal COGNOME al COGNOME ed oggetto di captazione datata 16 giugno 2020, e l’individuazione del luogo in cui si trovava, quello stesso giorno, il COGNOME.
Ebbene, la circostanza che il giorno 17 giugno 2020 il COGNOME coinvolto nella vicenda in esame in qualità di corriere, non fosse a La Spezia è pacifica, giacché non contestata nemmeno dal ricorrente.
Ciò che, all’opposto, viene espressamente contestato è quanto il Tribunale del riesame ha ritenuto accaduto il giorno precedente, in data 16 giugno 2020, quando il corriere, sulla base della stessa messaggistica acquisita mediante piattaforma Sky Ecc, risulterebbe effettivamente collocato nella città ligure. Ma proprio il fatto che il COGNOME fosse a La Spezia il 16 giugno costituisce, in realtà, circostanza controproducente per la difesa, giacché confermativa – a livello indiziario e salvo ogni approfondimento dibattimentale – della diversità dei due episodi: uno, in cui lo stupefacente è stato, inizialmente, lasciato nel capannone dal COGNOME e poi ritirato dal COGNOME, datato 16 giugno 2020, come si evince dalle espressioni «Lo rimasto nel capannone» e «Ci vediamo la lo prendo», captate mediante intercettazione; l’altro, in cui è invece lo stesso COGNOME ad eseguire la consegna della sostanza illecita. Come logicamente rilevato dal Tribunale del riesame nell’ordinanza gravata, dunque, lungi dal rappresentare un’indebita duplicazione del capo 46) dell’incolpazione, in quanto afferente ad attività ad esso prodronniche, il reato di cui al capo 45) costituisce autonoma fattispecie di cessione, la quale risulta, pertanto, specificamente corredata da autonomo ed esaustivo compendio indiziario, sì da fondare correttamente l’applicazione del titolo cautelare impugnato, ferma restando la possibilità per il giudice di merito di accertare, nello specifico, non solo le modalità e i tempi della consegna effettuata dal COGNOME ma anche l’eventuale diversità dello stupefacente di cui al capo 46) dell’incolpazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5. Il quarto motivo di censura, riferito alla violazione degli artt. 273, commi 1 e 1-bis cod. -proc. pen., 110 cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, nonché al connesso difetto di motivazione,. con riferimento ai capi d’incolpazione nn. 107), 108), 114), 116), 118), 120) e 123), è parimenti inammissibile, giacché rivolto, ancora una volta, ad ottenere sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
A fronte di rilievi difensivi di tipo strettamente valutativo e congetturale, diretti a sconfessare la consistenza probatoria delle risultanze di indagine, l’ordinanza del Tribunale del riesame offre un’autonoma valutazione in ordine alla gravità indiziaria, valorizzando correttamente la sussistenza del quadro indiziario
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richiesto dall’art. 273, cod. proc. pen., per l’applicazione delle misure cautelari, allorché fotografa il coinvolgimento del COGNOME nella commissione dei reati-fine a lui ascritti. Logicamente saldo appare, infatti, il dato afferente alla consapevole messa a disposizione, da parte dell’indagato, del furgone di sua proprietà per il traffico illecito di stupefacenti, specificamente scrutinato dal giudice del riesame alle pagg. 43-45 del provvedimento impugnato. L’analisi delle intercettazioni delle conversazioni intrattenute dall’odierno ricorrente con il COGNOME, del resto, ha consentito di dimostrare che la società RAGIONE_SOCIALE, ancorché formalmente intestata alla Sirto, fosse formalmente amministrata dal COGNOME – ciò che riscontrabile anche dal fatto che proprio il COGNOME, in data 17 febbraio 2021, ha pagato alla Sirto il compenso da amministratrice, oltre che dalla circostanza che era costui a detenere i timbri della società – nonché la sussistenza del coefficiente psicologico del dolo, emergendo dalle medesime la specifica consapevolezza dell’indagato che il furgone da lui messo a disposizione sarebbe stato utilizzato per trasportare lo stupefacente – risultando dirimente, sul punto, la conversazione captata in data 30 settembre 2020: «Ovviamente sei» (sai) «quello che vado a fare» – a nulla rilevando che lo stesso non fosse al corrente delle esatte coordinate spazio-temporali dei singoli viaggi.
Anche il quinto ed il sesto motivo di ricorso – che possono essere trattati congiuntamente giacché entrambi afferenti alla contestazione della gravità indiziaria per quanto concerne la contestazione del reato associativo – devono, infine, dichiararsi inammissibili.
6.1. Deve preliminarmente evidenziarsi come le censure del ricorrente, seppure formalmente riferite anche a violazioni di legge, non rechino alcuna argomentazione circa effettivi vizi nell’interpretazione delle disposizioni richiamate, risolvendosi in rilievi fattuali relativi alla sussistenza di gravi indizi reato associativo. Si tratta, in altri termini, di doglianze sostanzialmente riconducibili ai soli vizi motivazionali, corredate da formule di stile quanto a pretesi, non identificati, vizi di violazione di legge. In ogni caso, la difesa non fornisce neanche in via di mera prospettazione, elementi tali da scardinare la tenuta logica del provvedimento impugnato, perché richiede sostanzialmente una rivalutazione del quadro indiziario, preclusa in sede di legittimità, perché non riconducibile allo schema delle doglianze deducibili ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen.
Peraltro, con riguardo ai denunciati vizi di motivazione, rileva il Collegio che la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove riconosce la sussistenza di un’associazione ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 – con riferimento ad entrambi i gruppi di delitti caratterizzata da uno stabile e indeterminato disegno criminoso, ove l’indagato ha
assunto il ruolo di partecipe, supportando la distribuzione dello stupefacente, mediante la fornitura ai corrieri sia dei furgoni della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, da lui amministi -ate di fatto, sia dei fittizi documenti per giustificare gli spostamenti della droga in un periodo caratterizzato dalle restrizioni alla circolazione imposte dall’emergenza sanitaria, fungendo talvolta da intermediario con acquirenti interessati ad acquistare lo stupefacente, nonché acquistando, in prima persona, alcune partite di cocaina, di cui poi curava la vendita.
Invero, con riferimento alla messa a disposizione dei camion della RAGIONE_SOCIALE per i traffici illeciti del sodalizio, è del tutto logica la parte dell’ordinanza impugnata laddove (pagg. 46-47) rileva come l’acquisizione della predetta ditta da parte del COGNOME fosse stata finalizzata esclusivamente a fornire mezzi di trasporto all’associazione, in considerazione del fatto che, pur non adempiendo alle proprie mansioni lavorative di autista magazziniere ed intermediario con nuovi clienti, costui percepisse uno stipendio mensile di circa C 2.500,00, oltre che della circostanza che, già nel 2016, questi ne avesse acquistato le quote dall’allora amministratrice. Parimenti logico è ritenere il rimprovero del COGNOME al COGNOME non incompatibile con l’esistenza del sodalizio: come correttamente rilevato dal Tribunale del riesame (pag. 47 dell’ordinanza gravata), affinché possa parlarsi di associazione criminosa dedita al narcotraffico, non è necessaria la sussistenza di un vincolo particolarmente stretto, o strutturato, tra i vari solidali, essendo piuttosto sufficiente la consapevolezza del soggetto di agire in un contesto organizzato all’interno del quale operano più persone; di talché la figura di partecipe all’associazione è riconosciuta anche a colui che abbia la consapevolezza che il proprio contributo confluisce in un’azione collettiva più ampia. Né può considerarsi manifestamente illogico ritenere che la richiesta di mostrare ad un terzo interessato la disponibilità dello stupefacente, mediante una fotografia, possa essere prodromica e coerente rispetto ad una possibile cessione successiva. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con riferimento, invece, al secondo gruppo di delitti, valgono sul punto le considerazioni svolte sub 5.
Quanto, infine, alla censura relativa all’erronea qualificazione dei fatti ex art. 74 del d.P.R., anziché nella fattispecie del concorso esterno, occorre rilevare che trattasi di doglianza formulata in modo del tutto astratto e aspecifico, che non svolge la funzione di una critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso (ex plurimis, Sez. 2, n. 21432 del 15/03/2023, Rv. 284718; Sez. 6, ri. 17372 del 08/04/2021, Rv. 281112).
Alla luce delle considerazioni svolte sub 3., deve ritenersi infondato anche il motivo aggiunto, presentato dalla difesa con successiva memoria, datata 12 marzo 2024, ampiamente ripetitivo di considerazioni già svolte.
Tenuto conto di quanto precede, il ricorso deve essere dunque rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 26/09/2024.