Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26188 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26188 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 16/06/2025
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, applicata la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6, cod. pen., ha rideterminato la pena irrogata a NOME COGNOME con la diminuente del rito abbreviato, in anni cinque e
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mesi uno di reclusione. Ha confermato nel resto la sentenza impugnata e le statuzioni in favore della parte civile costituita, il fallimento RAGIONE_SOCIALE
La Corte di appello di Napoli ha condiviso le ragioni della condanna svolte nella sentenza di primo grado in punto di responsabilità dell’imputato, dottore commercialista nominato curatore fallimentare o custode giudiziario nelle procedure di espropriazione meglio descritte ai capi C) E), F), 3), L), N), Q), T), U), V), W), X), Y), e Z) delle imputazioni, per essersi appropriato di somme di spettanza delle procedure da lui curate (art. 314 cod. pen.). Il ricorrente risponde, altresì, di reati di falso, taluno in concorso con il reato di truffa (art. 640 cod. pen.) o peculato (art. 314 cod. pen.), ascrittigli ai capi A), B), D), G), H), I), K),M), O), P), R), S). A carico dell’imputato la Corte di appello ha valorizzato le risultanze delle indagini documentali svolte dalla Guardia di Finanza che con riferimento ai singoli capi di imputazione comprovavano l’appropriazione delle somme, analiticamente descritte nelle imputazioni, giacenti sui conti delle procedure amministrate. Sono state accertate anche condotte di falso, relative alle annotazioni sui conti di gestione o consistite nella predisposizione di falsa documentazione per coprire l’appropriazione.
2.11 ricorrente, con i motivi di ricorso sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione chiede l’annullamento della sentenza impugnata per vizio di violazione di legge (art. 438 e ss. cod. proc. pen. e 192 e ss. cod. proc. pen,, nonché per l’omessa valutazione dell’eccezione difensiva sulla inutilizzabilità delle prove, eccezione proposta con i motivi di appello.
2.1.A tal riguardo deduce che la sentenza impugnata non ha esaminato le deduzioni difensive svolte con i motivi di appello con riferimento ai reati di cui ai capi O), P) e V), per i quali aveva contestato il profilo della responsabilità. Sostiene che, sebbene avesse rinunciato al primo motivo di appello – che concerneva la nullità della sentenza di primo grado perché fondata su prove inutilizzabili- non aveva, invece, rinunciato all’eccezione di inutilizzabilità della prova con riferimento ai reati innanzi indicati, come si rileva dalla parte conclusiva dei motivi di appello in cui aveva insistito, invece, per l’accoglimento dell’impugnazione trattandosi di prove rilevanti ai fini della sussistenza della condotta appropriativa, da lui contestata. Rileva, in particolare, che, con riguardo a detti capi di imputazione il giudizio di colpevolezza è fondato sulle risultanze delle attività di indagine che il Pubblico Ministero aveva effettuato dopo che l’imputato aveva richiesto, all’udienza preliminare del 20 luglio 2021, il giudizio abbreviato, udienza differita per la sola discussione al 23 novembre 2021 e nella quale, invece, il Pubblico Ministero aveva depositato l’esito delle attività investigative che, in realtà, riguardavano le
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deduzioni che il ricorrente aveva già proposto dopo avere ricevuto l’avviso di conclusioni delle indagini ai sensi dell’art. 415-bis cod. proc. pen’ indagini difensive a seguito delle quali l’ufficio inquirente, per alcune delle provvisorie contestazioni, aveva chiesto l’archiviazione.
Le prove prodotte dal Pubblico Ministero, in tal modo acquisite, hanno violato la piattaforma probatoria a base della scelta dell’imputato di chiedere il rito abbreviato e il diritto al contraddittorio (di cui all’art. 111 Cost.), trattandosi prove a sfavore: le indagini svolte non rientrano nelle ipotesi, previste dall’art. 438, comma 4, cod. proc. pen.
2.2.Con il secondo motivo denuncia la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonché la sua omissione in punto di responsabilità con riferimento ai reati ascrittigli e alle deduzioni difensive svolte con la memoria difensiva già in primo grado (memoria depositata il 16 luglio 2021): si tratta di deduzioni rilevanti ai fini di ritenere la sussistenza della condotta appropriativa smentita, per tabulas, dalla documentazione e dalle dichiarazioni testimoniali prodotte dalla difesa.
In particolare con riferimento ai reati di cui al:
-capo 0),( art. 479 cod. pen.) già il Tribunale errando, e la Corte ha perseverato nell’errore, ai fini del giudizio di responsabilità, non aveva tenuto conto delle dichiarazioni rese dall’avvocato NOME COGNOME che aveva documentato (attraverso la produzione della fattura n. 22 e le annotazioni contabili relativi all’incasso della somma recata da assegno circolare) di avere ricevuto il pagamento delle spettanze nel solo importo di euro 7.446,00, precisando che in seguito il giudice gli aveva liquidato l’ulteriore importo di soli euro 9.009,83. Il Tribunale (pag. 27) aveva, dunque, affermato la falsità dell’annotazione in relazione al pagamento, con assegni circolari, dell’ulteriore somma di euro 9.009,63. Il ricorrente aveva, invece, dimostrato che le annotazioni riportate nel conto di gestione erano erronee sol perché riferite ad avvocato avente diverso nominativo, insistendo sulla circostanza che all’avvocato COGNOME era stato corrisposto anche l’ulteriore assegno dell’importo di euro 9.009,63;
-capo P), (art. 314 cod. pen. in relazione al fallimento “RAGIONE_SOCIALE): erroneamente la Corte ha respinto l’appello del ricorrente, in punto di responsabilità per tale reato, sul rilievo che si trattava di motivo rinunciato, afferente alla inutilizzabilità della prova che, invece, non era stata oggetto di rinuncia.
-Capo V), (art. 314 cod. pen. in danno del fallimento RAGIONE_SOCIALE): anche in tal caso, i rilievi della difesa si incentrano sull’utilizzazione di prove acquisite all’udienza del 23 novembre 2021 – l’accertamento della Guardia di Finanza sulla falsità del modello F24, posta a fondamento del giudizio di
colpevolezza- sulla scorta della documentazione già prodotta dall’imputato a comprova del pagamento, conclusione che non si confronta con le deduzioni del ricorrente secondo il quale, invece, la somma era stata restituita alla procedura con assegno circolare in pari data;
-capo F), (art. 314 cod. pen. in relazione alla somma dovuta ad RAGIONE_SOCIALE e a Unicredit);
il ricorrente deduce che erroneamente la Corte di appello non ha tenuto conto della comunicazione di RAGIONE_SOCIALE, secondo la quale, in relazione alla procedura in contestazione, alla data dell’ultima asta del 25 maggio 2018 le fatture risultavano tutte pagate e della natura meramente colposa dell’appropriazione in danno della Unicredit;
-Capi 3) e K) (art. 314 cod. pen in relazione al fallimento Alvi e falso attestato nel conto di gestione):
il ricorrente sostiene che i giudici del merito hanno compiuto una valutazione approssimativa sulla sussistenza delle condotte di reato perché, in ragione della coeva misura cautelare e delle conseguenti difficoltà attraversate dal ricorrente, le somme dovute non erano state versate per mera dimenticanza e sono state immediatamente restituite; si trattava, comunque, di somme così esigue (euro 353,74 quale ritenuta d’acconto da versare per gli onorari dovuti al dottor COGNOME), da non potersene inferire l’elemento soggettivo del reato.
-Capo N) (art. 314 cod. pen. in relazione alla procedura fallimentare della RAGIONE_SOCIALE):
il ricorrente sostiene che erroneamente la Corte di merito, valorizzando il dato della mancanza di supporti giustificativi dei prelievi, ha ritenuto accertate tutte le condotte appropriative, anche quelle dell’8 ottobre 2012 e 2 novembre 2012 in relazione alle quali l’imputato aveva prodotto, invece, le autorizzazioni rilasciate dal giudice delegato; è erronea l’affermazione che si trattasse di atti falsi in mancanza della contestazione del reato di falso;
-Capo U) (art. 314 cod. pen. in danno della procedura fallimentare RAGIONE_SOCIALE ):
il ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla sussistenza del reato di peculato poiché la natura fungibile del denaro osta all’affermazione di responsabilità in relazione all’appropriazione della somma di euro 3.797, prelevata il 15 marzo 2018, autorizzata dal giudice delegato per effettuare il pagamento dell’I.M.U.;
-Capo W) (art. 314 cod. pen. in relazione alla procedura fallimentare RAGIONE_SOCIALE):
il ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale (art. 314 cod. pen.) poiché la esiguità e modestia degli importi non giustifica la ritenuta
sussistenza dell’elemento psicologico del reato; la Corte di appello, anziché esaminare la concreta e specifica condotta di reato, ha ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato valorizzando le condotte complessive e, quindi, ha ritenuto comprovato il dolo.
Capo U) (art. 314 cod. pen. in danno della procedura fallimentare RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE) e
-Capo W) ((art. 314 cod. pen. in danno della procedura fallimentare RAGIONE_SOCIALE):
anche a tal riguardo il ricorrente sostiene che la modestia degli importi non giustificava la ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
2.3. Con il terzo motivo denuncia carenza di motivazione per la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. La motivazione della Corte di merito è di pura apparenza e valorizza la strumentalità della confessione (per alcuni dei reati) per finalità difensive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
E’ manifestamente infondato il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denuncia vizio di violazione di legge (artt. 438 cod. proc. pen.) e il vizio di omessa motivazione della sentenza impugnata che, con riferimento ai reati di cui ai capi O), P) e V), non ha esaminato la questione della dedotta inutilizzabilità delle prove a carico dell’imputato prodotte dal Pubblico Ministero all’udienza del 21 novembre 2021, in quanto si tratta di risultanze di prove “a sfavore” acquisite dopo che all’udienza del 20 luglio 2021 l’imputato aveva richiesto la definizione del processo con il rito abbreviato. Il ricorrente sostiene che, sebbene avesse rinunciato al primo motivo di appello (concernente la nullità della sentenza di primo grado perché fondata su prove inutilizzabili), non aveva, invece, rinunciato a tale motivo di impugnazione con riferimento ai reati ascrittigli ai capi O), P) e V).
Rileva il Collegio che, effettivamente, benché sintetici, i motivi di appello in punto di inutilizzabilità della prova con riferimento ai reati di cui ai capi O), P) e V) venivano svolti anche nella trattazione dei motivi di appello specifici su detti reati e nella parte conclusiva dei motivi di impugnazione, sicché tali deduzioni avrebbero dovuto essere oggetto specifico di rinuncia.
La Corte di appello, inoltre, non ha esaminato le deduzioni difensive che, tuttavia, sono manifestamente infondate, il che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non comporta l’annullamento della sentenza quando la censura, se
esaminata, non sarebbe stata in astratto suscettibile di accoglimento, in quanto l’omessa motivazione sul punto non arreca alcun pregiudizio alla parte e, se trattasi di questione di diritto, all’omissione può porre rimedio, ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen., la Corte di cassazione quale giudice di legittimità (Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, COGNOME, Rv. 263980).
Il motivo di ricorso in parola è, infatti, manifestamente infondato in fatto e in diritto.
La deduzione difensiva, che si innesta sulla disamina dello sviluppo dell’udienza preliminare, ha comportato l’esame dei verbali di udienza degli atti trasmessi a questa Corte nella sola forma cartacea ma il cui contenuto non è stato contestato dalla difesa.
Orbene, mentre dal verbale dell’udienza del 20 luglio 2021 risulta che, in apertura di udienza, l’imputato aveva avanzato richiesta di giudizio abbreviato, né dallo stesso verbale, né da quelli successivi, risulta la formale ammissione di tale rito, ammissione che si era perfezionata solo all’udienza del 20 luglio 2022, quando il giudice aveva dato la parola alle parti per le conclusioni.
Certamente non risulta l’ammissione del giudizio abbreviato all’udienza del 21 luglio 2021, in cui, immediatamente dopo, veniva prodotta documentazione relativa alle indagini difensive, in varie tranches, la prima riferibile proprio ai reati di cui ai capi O) e P).
A seguito di tale produzione, il P.M. chiedeva espressamente termine per la effettuazione di indagini sulla documentazione prodotta, termine che veniva concesso dal giudice perché si trattava di documentazione successiva alla scadenza del termine delle indagini preliminari.
Sia nel prosieguo dell’udienza che in quelle successive la difesa del ricorrente produceva ulteriore documentazione e anche il giudice disponeva, di ufficio, a seguito della produzione difensiva, l’acquisizione di altra documentazione.
Rileva la Corte che l’art. 438, comma 4, cod. proc. pen., a seguito delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 4, legge n. 103 del 23 giugno 2017, a decorrere dal 3 agosto 2017, prevede che « …sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato. Quando l’imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvede solo dopo che sia decorso il termine non superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal pubblico ministero, per lo svolgimento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa. In tal caso, l’imputato ha facoltà di revocare la richiesta».
Nel caso in esame, premesso che la stessa produzione di atti difensivi è stata successiva alla richiesta di rito abbreviato, certamente su tale richiesta non era ancora intervenuta la decisione del giudice – che nel vigente sistema è pressoché
automatica ove il giudice ritenga il processo definibile allo stato degli atti – e il Pubblico Ministero aveva chiesto temine per effettuare ulteriori indagini a seguito della produzione delle indagini difensive, termine accordato dal giudice.
La disposizione in esame non prevede un limite in relazione alla “tempistica” delle indagini difensive, limite che, quindi, non rileva neppure con riferimento alle indagini successivamente svolte dal Pubblico Ministero e che deriva solo dalla pertinenza delle indagini svolte alle risultanze di prova prodotte dalla difesa (potendo, altrimenti, aggirarsi le norme in materia di durata delle indagini preliminari).
L’art. 438 cod. proc. pen. fa salva, in esito alla produzione del Pubblico Ministero, la facoltà dell’imputato di revocare la richiesta di giudizio abbreviato perché la decisione del giudice si sarebbe fondata su una piattaforma probatoria diversa da quella sulla quale si era fondata la richiesta dell’imputato.
Non risulta dai verbali prodotti che il ricorrente abbia revocato la richiesta di giudizio abbreviato né che abbia, in sede di udienza preliminare, espressamente contestato la legittimità delle acquisizioni del Pubblico Ministero – se non nelle conclusioni- inutilizzabilità che, in ogni caso, non era inficiata da inutilizzabilità cd. patologica – inerente, cioè, agli atti probatori assunti “contra legem”, la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, nonché le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito -trattandosi, al più, di una mera irregolarità, conseguente, del resto, alla sequenza della richiesta di abbreviato/produzione documentale che, sulla scorta della disposizione di cui all’art. 438, comma 6, cit. avrebbe dovuto essere inversa cioè produzione indagini difensive/richiesta di giudizio abbreviato.
La descritta dinamica dell’udienza preliminare, come evincibile dai verbali non espressamente contestati nel ricorso, esclude che la produzione degli atti di indagine del Pubblico Ministero, successivi alla produzione delle indagini difensive all’udienza del 21 luglio 2021, sia idonea ad integrare una inutilizzabilità cd. patologica, potendo, invece, l’imputato revocare, in presenza di atti a lui sfavorevoli, la richiesta di giudizio abbreviato.
3.11 secondo motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato.
I giudici di appello hanno motivato il giudizio di colpevolezza dell’imputato, richiamando, per relationem, la motivazione della sentenza di primo grado, operazione ex se non censurabile nel caso in cui il complessivo quadro argomentativo fornisca una giustificazione propria del provvedimento e si confronti con le deduzioni e con le allegazioni difensive provviste del necessario grado di specificità (Sez. 2, n. 18404 del 05/04/2024, Lo, Rv. 286406).
La sentenza impugnata non si è sottratta all’esame dei motivi di impugnazione ed ha compiutamente esaminato, alla luce delle censure difensive, le conclusioni alle quali era pervenuto il giudice di primo grado sulla sussistenza della condotta materiale di appropriazione, falso e truffa – come rispettivamente ascritti all’imputato- facendo corretta applicazione dei principi in materia ai fini della ricostruzione, sia della condotta appropriativa che dell’elemento psicologico del reato, in particolare del reato di cui all’art. 314 cod. pen..
Il ricorrente denuncia il vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione che, come noto, a norma dell’articolo 606, lett. e), cod. proc. pen., deve risultare dal testo della motivazione e deve consistere, rispettivamente, nell’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa sottoposto al giudice di merito, non già nella mancata confutazione di un argomento specifico relativo ad un punto della decisione che pur è stato trattato, sebbene in un’ottica diversa, dal giudice della sentenza impugnata, dando una risposta solo implicita all’osservazione della parte; e nella frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse nel caso di sillogisnno, e le conseguenze che se ne traggono. (Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999, Commisso, Rv. 215132).
Per come sarà di seguito precisato, con riferimento ai singoli capi di imputazione, il ricorrente evoca il controllo della Suprema Corte che dovrebbe risolversi nella valutazione delle risultanze di prova in una prospettiva favorevole all’imputato, operazione, come noto, preclusa in sede di legittimità.
3.1. Depurati dal vizio di violazione di legge, correlato alla valutazione di una prova inutilizzabile, i motivi di ricorso in relazione ai reati di cui ai capi O), P) e V) si rivelano del tutto generici.
In relazione alla condotta di falso contestata al capo O) i giudici del merito hanno valorizzato a carico dell’imputato le dichiarazioni rese dall’avvocato COGNOME che, escusso il 27 settembre 2021, aveva confermato le sue precedenti dichiarazioni, nel senso che non aveva ricevuto il pagamento delle spettanze per euro 18.000,00 (ma quello inferiore di euro 9.000. circa, recato da assegni circolari).
Ne risulta, pertanto, confermata la condotta di falso nella relazione del rendiconto di gestione, nel quale non erano indicati anche i prelievi di cui al capo N), falso di cui il ricorrente sostiene la insussistenza, da qui la richiesta di valutazione alternativa delle risultanze di prova, alla stregua di un mero errore nella indicazione del destinatario del pagamento indicato dal giudice.
3.2.Con riferimento al reato di cui al capo P) la Corte di merito, richiamando la motivazione della sentenza di primo grado (pag. 27), ha analizzato le risultanze delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza che, chiamata a verificare
l’attendibilità del documento prodotto dalla difesa all’udienza del 23 novembre 2021, ne ha ribadito la falsità.
3.3. Anche con riferimento al reato di cui al capo V), i rilievi della difesa sull’utilizzazione di prove acquisite all’udienza del 23 novembre 2021 l’accertamento della Guardia di Finanza sulla falsità del modello F24, posto a fondamento del giudizio di colpevolezza prodotto a comprova del pagamentorisultano generici, posto che l’imputato, con l’odierno ricorso, in relazione all’importo di euro 4.433, 11 (di cui egli si era appropriato non effettuando il prescritto versamento della somma dovuta a titolo di ritenuta di acconto) sostiene che detta somma sarebbe confluita nell’assegno circolare dell’importo di euro 13.702,36 versato sul conto della procedura, a fronte del mancato versamento della somma, dovuta a titolo di ritenuta d’acconto, mai effettuato.
3.4.Con riferimento al reato di cui al capo F) – la condotta di peculato mediante appropriazione delle somme derivanti da prelievo in contanti del 31 ottobre 2018 di euro 1.628,70 destinate ad Aste Legali ed euro 369,30 in danno di Unicredit il ricorrente sostiene che erroneamente la Corte di appello non ha tenuto conto della comunicazione di RAGIONE_SOCIALE secondo la quale, in relazione alla procedura in contestazione, alla data dell’ultima asta del 25 maggio 2018 le fatture risultavano tutte pagate nédella natura meramente colposa dell’appropriazione in danno della Unicredit.
Rileva il Collegio che la documentazione prodotta è del tutto generica /avuto riguardo alla data della contestazione (31 ottobre 2021), relativa al prelievo della somma, e alla inconferenza, rispetto a tale momento, dell’attestazione che indica una data antecedente.
Correttamente, GLYPH inoltre, GLYPH a GLYPH confutazione GLYPH della GLYPH natura GLYPH “colposa” dell’appropriazione in danno di Unicredit, il ricorrente ha allegato la carenza dell’elemento psicologico del reato, come per altre contestazioni.
3.5.Anche con riferimento ai reati di cui ai capi 3) e K), (peculato in danno del fallimento COGNOME e falso attestato nel conto di gestione) il ricorrente sostiene che l’esiguo importo trattenuto era relativo al fondo cassa per le spese della procedura, fondo che, per mera dimenticanza, dovuta alle difficoltà da lui attraversate a causa dell’esecuzione della prima misura cautelare a suo carico, era dovuto a mera dimenticanza, tanto è vero che le somme in parola erano state immediatamente restituite e che la somma – di euro 353,74, quale ritenuta d’acconto che avrebbe co dovuto essere versata per gli onorari dovuti al dottor COGNOME – erg t rsigua da non potersene inferire l’elemento soggettivo del reato.
Le argomentazioni difensive, come si è anticipato in premessa, propongono una valutazione alternativa delle incontestate risultanze di prova.
3.6. Con riferimento al reato di cui al capo N) (si tratta del reato di peculato in relazione alla procedura fallimentare della RAGIONE_SOCIALE) la Corte di merito, valorizzando il dato della mancanza di supporti giustificativi dei prelievi, ha ritenuto accertate tutte le condotte appropriative, ivi comprese quelle dell’8 ottobre 2012 e del 2 novembre 2012 in relazione alle quali l’imputato aveva prodotto le autorizzazioni rilasciate dal giudice delegato. Il ricorrente sostiene che è erronea l’affermazione che si trattasse di atti falsi in mancanza della contestazione del reato di falso.
Le deduzioni difensive sono, tuttavia, generiche e manifestamente infondate: già il Tribunale, infatti, aveva argomentato il giudizio di colpevolezza spiegando che agli atti delle procedure non erano state rinvenute le autorizzazioni del giudice competente, affermazione rispetto alla quale si pongono come generiche e puramente assertive le deduzioni difensive.
Sono generiche e manifestamente infondate le deduzioni difensive svolte sulla sussistenza del delitto di peculato riconducibile alla procedura fallimentare RAGIONE_SOCIALE: le modalità del fatto denotano, avuto riguardo alla natura di bene fungibile del denaro, la condotta di appropriazione che si è consumata con la mancata destinazione della somma prelevata alla sua destinazione (il pagamento dell’I.M.U.) e con la diretta utilizzazione della stessa “uti dominus” da parte dell’imputato.
Né rileva, ai fini della consumazione del reato, la circostanza che l’imputato, con somme prelevate da altra procedura, abbia poi effettivamente corrisposto il pagamento dell’imposta dovuta.
3.7. In relazione ai reati di cui ai capi J), K) , U) e W) il difensore ha sostenuto che i giudici del merito sono incorsi nel vizio di motivazione e nel conseguente vizio di violazione di legge (art. 314 cod. pen.) per la ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato, aspetto sul quale il difensore ha insistito anche nel corso dell’odierna discussione, evidenziando che la motivazione del giudice non può investire la totalità degli addebiti ascritti all’imputato, ma va calibrata sulla singola e specifica condotta.
Il Collegio non ritiene che l’argomento utilizzato dalla Corte di merito secondo cui sono le modalità dei fatti a denotare l’elemento psicologico poiché l’imputato era solito appropriarsi di somme non ingenti confidando sul fatto che proprio la modesta entità delle somme sarebbe bastata a non attirare l’attenzione degli organi delle procedure – sia manifestamente illogico.
Premesso che il reato di cui all’art. 314 cod. pen. è punito a titolo di dolo generico, la prova dell’elemento soggettivo può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione crinninosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva
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del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato, quali la condotta di appropriazione che, nel caso in esame, si è contrassegnata per le modalità reiterative che rivelano, secondo l’apprezzamento dei giudici del merito, anche la consapevolezza e volontà della condotta appropriativa.
4.11 motivo di ricorso sul diniego di applicazione delle circostanze attenuanti generiche è riproduttivo di censure già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito.
La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, e, pertanto, insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, COGNOME, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489).
Nel caso in esame la Corte di merito non solo ha escluso che fossero stati allegati positivi elementi di valutazione della personalità del ricorrente ma, al contrario, ha sottolineato la obiettiva gravità dei comportamenti dell’imputato, che ha tradito la fiducia accordatagli nello svolgimento della funzione pubblicistica, e la intensità del dolo, rivelata dalla pluralità dei comportamenti tenuti.
Ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo.
5.Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
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Il ricorrente va, infine, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE
ammessa al patrocinio dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Napoli con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83
d.P.R. n. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile
fallimento RAGIONE_SOCIALE, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Napoli con separato decreto di
pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso il 16 giugno 2025.