Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12420 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12420 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Foggetti NOMECOGNOME nato a ROSSANO il 04/01/1985 COGNOME NOME nato a ROSSANO il 09/12/1993
avverso la sentenza de! 02/05/2024 della Corte d’appello di Catanzaro
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; udito l’Avvocato NOME COGNOME in difesa dei ricorrenti, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Catanzaro ha confermato al sentenza con cui, in data 21/12/2021, il Tribunale di Castrovillari aveva riconosciuto NOME
NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili dei delitti di rapina pluriaggravata in concorso e di porto d’arma da fuoco per fatti commessi in Mandatoriccio il 12/12/2011 per cui, ritenuto il vincolo della continuazione tra le diverse violazioni di legge, li aveva condannati alla pena di anni 5 di reclusione ed euro 2.000 di multa, ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare; il primo giudice aveva applicato agli imputati la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici provvedendo, infine, quanto ai beni in giudiziale sequestro;
ricorrono per cassazione NOME e NOME COGNOME a mezzo del medesimo difensore che deduce:
2.1 nell’interesse di NOME COGNOME:
2.1.1 violazione di legge penale sostanziale e vizio motivazionale:
1. erronea valutazione delle risuìtanze processuali – carenza di un quadro probatorio adeguato ai fini della pronuncia di penale responsabilità in capo all’imputato: rileva che la Corte d’appello, anziché procedere ad un’analisi dell’iter logico seguito dal giudice di prime cure, si è acriticamente adagiata sulla sentenza del Tribunale di cui ha richiamato il contenuto e, nonostante le innumerevoli censure articolate con l’atto di gravame, ha condiviso l’apprezzamento finale operato dal primo giudice – nei termini pure testualmente riportati nel ricorso circa la idoneità degli elementi acquisiti a fondare la responsabilità del ricorrente; segnala che la Corte ha confermato la decisione di primo grado sulla scorta di un esame parcellizzato e superficiale degli elementi indiziari; riporta, ancora, passi della sentenza di primo grado che aveva segnalato la difficoltà di alcuni testi a ricordare con precisione alcuni passaggi della vicenda su cui erano stati chiamati a riferire ciò non di meno, tuttavia, giungendo a riferire il grave fatto delittuos all’odierno ricorrente;
I.a) il ritenuto comportamento del COGNOME NOME NOME volto ad ottenere la desistenza ed ostacolare l’azione di inseguimento delle pp.00. nei confronti dei rapinatori: riporta, ancora, un passo della sentenza di primo grado evidenziando come, secondo il Tribunale, l’atteggiamento serbato dal COGNOME nell’occasione della rapina non potesse rappresentare un indizio univocamente interpretabile e che la Corte d’appello ha sinteticamente ripreso la ricostruzione del Tribunale eludendo le doglianze difensive articolate con l’atto di gravame dove era stato evidenziato che: 1) il COGNOME non era intervenuto spontaneamente ma su invito delle stesse pp.00. che lo avevano scambiato per un loro amico; 2) il COGNOME non aveva stazionato sul posto come il classico “palo” ma proveniva da una strada diversa ed era diretto verso Mandatoriccio per suo conto; 3) il
rallentamento del Foggetti era stato frutto di una sensazione del teste e, in ogni caso, era legato al traffico ed alla notoria pericolosità di quel tratto stradale essendosi l’episodio risolto in pochi secondi con condotta non finalizzata ad ostacolare le pp.00.; sottolinea che i canoni della logica e della comune esperienza, prima ancora che la precisione e la concordanza richiesti dall’art. 192 cod. proc. pen., imponevano di escludere ogni rilievo agli elementi invece valorizzati dai giudici di merito;
I.b) riporta, ancora, il passo della sentenza di appello in cui i giudici di secondo grado hanno dato rilievo a guarii.° rinvenuto indosso e vicino al ricorrente intercettato dopo circa un’ora dalla rapina e, secondo la tesi sposata nella sentenza gravata, senza che, sul punto, l’imputato avesse fornito una valida giustificazione; richiama, allora, il verbale dell’interrogatorio di garanzia reso dall’imputato che aveva indicato il “Ristobar” dove aveva conseguito la vincita, in termini che avrebbero consentito di riscontrare la sua versione; quanto al passamontagna, segnala che ciò che era stato rinvenuto — ovvero la manica di un maglione – aveva cinque fori e non i classici tre e che, comunque, la persona offesa non aveva potuto riconoscere né il “passamontagna” e nemmeno i guanti, oggetti sui quali non era mai stato eseguito alcun ulteriore accertamento; riporta, ancora, passi della sentenza di primo grado dove erano state riassunte le deposizioni di NOME COGNOME, madre del COGNOME, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME che, senza alcuna contraddizione, avevano confermato l’assunto difensivo ma di cui i giudici di merito non hanno tenuto conto alcuno;
II. erronea qualificazione del fatto-reato; inconfigurabilità delle circostanze aggravanti delle più persone riunite e dell’uso dell’arma: riporta la motivazione resa dalla Corte d’appello e segnala l’erroneità della decisione quanto alla ritenuta integrazione degli estremi della aggravante delle “più persone riunite” alla luce della giurisprudenza di legittimità e della differenza tra i presupposti dell’aggravante rispetto al mero concorso di persone; riporta, ancora, la motivazione della sentenza della Corte d’appello quanto all’aggravante dell’uso dell’arma e quella di primo grado che aveva dato conto di come la persona offesa avesse pensato si trattasse di una semplice scacciacani; segnala come la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito che l’aggravante si fonda sul maggiore effetto intimidatorio collegato alla percezione della vittima di essere minacciata da un’arma che, nel caso di specie, era talmente dubbia da non avere impedito alle persone offese di porsi all’inseguimento dei rapinatori;
III. insussistenza o erronea qualificazione dei reati di cui al capo B) della rubrica: riporta, anche in tal caso, un ampio passo della sentenza d’appello sottolineandone la contrarietà ai principi vigenti nel sistema con particolare
riguardo alla esclusione della continenza del reato di porto d’arma nel delitto di rapina aggravata;
III. ingiusto trattamento sanzionatorio; errata considerazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen.: rileva come la pena finale sia ingiusta sia per le ritenut circostanze aggravanti che per l’ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche; riporta, sul punto, la sentenza di primo grado rilevando che il Tribunale si era discostato dal minimo edittale senza fornire una congrua motivazione ed evidenzia l’illogicità della motivazione della sentenza d’appello laddove ha respinto la richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche;
2.2 nell’interesse di NOME COGNOME:
2.2.1 violazione di legge sostanziale e vizio motivazionale:
I. erronea valutazione delle risultanze processuali – carenza di un quadro probatorio adeguato ai fini della pronuncia di penale responsabilità in capo all’imputato: rileva che la Corte d’appello, anziché procedere ad un’analisi dell ‘iter logico seguito dal giudice di prime cure, si è acriticamente adagiata sulla sentenza del Tribunale di cui ha richiamato il contenuto e, nonostante le innumerevoli censure articolate con l’atto di gravame, ha condiviso l’apprezzamento finale operato dal primo giudice – nei termini pure testualmente riportati nel ricorso circa la idoneità degli elementi acquisiti a fondare la responsabilità del ricorrente; segnala che la Corte ha confermato la decisione di primo grado sulla scorta di un esame parcellizzato e superficiale degli elementi indiziari; riporta, ancora, passi della sentenza di primo grado che aveva segnalato la difficoltà di alcuni testi a ricordare con precisione alcuni passaggi della vicenda su cui erano stati chiamati a riferire ciò non di meno, tuttavia, giungendo a riferire il grave fatto delittuos all’odierno ricorrente;
I.A) segnala che gli elementi a carico del ricorrente si sostanzierebbero nel fatto che costui, quella sera, si era trovato, senza giubbino e telefono, in un bar di Marina di Pietrapaola dove due persone, NOME COGNOME e NOME COGNOME, avevano accettato di dargli un passaggio accompagnandolo a casa e che lo avrebbero riconosciuto, sia pure non con assoluta certezza; rappresenta che i giudici d’appello non hanno tenuto conto del contenuti dei relativi verbali di riconoscimento fotografico ma, anche, delle risultanze dell’esame dibattimentale dei due fratelli COGNOME
I.B) gli ulteriori elementi ritenuti a conforto della partecipazione all’evento delittuoso: riporta, anche in tal caso, un passo della sentenza di primo grado riepilogativa degli elementi indiziari ad avviso del Tribunale acquisiti a carico del ricorrente e giudicati idonei anche dai giudici d’appello; ribadisce che l’intera
costruzione sviluppata dai giudici di merito non ha tenuto conto del fatto che il telefono contenente la scheda 327.3656280, intestato alla madre degli imputati, non era affatto in uso a NOME COGNOME in quanto, come dato atto dagli stessi investigatori nella CNR del 29/12/2011, la scheda riferibile all’odierno ricorrente era quella 327.365650 diversa, seppur simile, a quella sopra indicata, con conseguente superamento di tutte le considerazioni spese dai giudici di merito circa le celle telefoniche impegnate ed i contatti con l’utenza di NOME NOME COGNOME osserva che su tali aspetti la difesa, con l’atto d’appello, aveva formulato delle specifiche censure cui la Corte non ha dato alcun riscontro; aggiunge che, con riguardo al presunto passamontagna, nessuna indagine di tipo genetico è stata effettuata risultando per contro del tutto inadeguato il riconoscimento operato dalla persona offesa che, sul punto, come per altri aspetti, aveva reso una deposizione incerta e confusa; segnala, ancora, come la sentenza impugnata non abbia ritenuto di vagliare le deposizioni dei testi addotti dalla difesa a partire dall madre degli imputati e del cognato NOME COGNOME e la teste NOME COGNOME, fidanzata di NOME NOME COGNOME che, complessivamente, ed in termini del tutto coerenti, avevano riscontrato la alternativa ricostruzione fornita già in primo grado;
II. erronea qualificazione del fatto-reato; inconfigurabilità delle circostanze aggravanti delle più persone riunite e dell’uso dell’arma: riporta la motivazione resa dalla Corte d’appello e segnala l’erroneità della decisione quanto alla ritenuta integrazione degli estremi della aggravante delle “più persone riunite” alla luce della giurisprudenza di legittimità e della differenza tra i presupposti dell’aggravante rispetto al mero concorso di persone; riporta, ancora, la motivazione della sentenza della Corte d’appello quanto all’aggravante dell’uso dell’arma e quella di primo grado che aveva dato conto di come la persona offesa avesse pensato si trattasse di una semplice scacciacani; segnala come la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito che l’aggravante si fonda sul maggiore effetto intimidatorio collegato alla percezione della vittima di essere minacciata da un’arma che, nel caso di specie, era talmente dubbia da non avere impedito alle persone offese di porsi all’inseguimento dei rapinatori;
III. insussistenza o erronea qualificazione dei reati di cui al capo B) della rubrica: riporta, anche in tal caso, un ampio passo della sentenza d’appello sottolineandone la contrarietà ai principi condivisi con particolare riguardo alla esclusione della continenza del reato di porto d’arma nel delitto di rapina aggravata;
III. ingiusto trattamento sanzionatorio; errata considerazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen.: rileva come la pena finale sia ingiusta sia per le ritenut
circostanze aggravanti che per l’ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche; riporta, sul punto, la sentenza di primo grado rilevando che il Tribunale si era discostato dal minimo edittale senza fornire una congrua motivazione ed evidenzia l’illogicità della motivazione della sentenza d’appello laddove ha respinto la richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità dei ricorsi.
la difesa, in data 17/02/2025, ha trasmesso una memoria in replica alle argomentazioni svolte dalla Procura Generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata va annullata, senza rinvio, limitatamente al delitto di cui al capo B), in quanto estinto per intervenuta prescrizione, con conseguente eliminazione della pena corrispondente; i ricorsi sono nel resto inammissibili perché articolati su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede di legittimità.
È sintomatica, invero, la premessa di carattere generale sviluppata in entrambi gli atti di impugnazione in cui si deduce promiscuamente, violazione di legge e vizio di motivazione (cfr., pag. 1) per denunciare la “erronea valutazione delle risultanze processuale” e la “carenza di un quadro probatorio adeguato ai fini della pronuncia di penale responsabilità” (cfr., ivi, pag. 2), contestandosi, in ta modo, con un approccio riservato al giudice di merito, l’adeguatezza degli elementi acquisiti a fondare un giudizio di responsabilità.
Il contenuto dei punti I, I.A e I.B dei due ricorsi si risolve, quindi, nella contestazione del giudizio di responsabilità, ovvero del risultato probatorio cui sono approdati i giudici di merito che, con valutazione conforme delle medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ritenere l’ipotesi accusatoria compendiata nell’imputazione pienamente riscontrati all’esito della ricostruzione delle concrete vicende processuali; il vizio di violazione di legge, d’altra parte fondato sulla lett. b) dell’art. 606 cod. proc. pen., deve essere articolato sotto profilo della contestazione della riconducibilità del fatto – così come ricostruito da giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; operazion tutt’affatto diversa è, invece, come accade sovente ed anche nel caso di specie, quella di mettere in dubbio o contestare che le emergenze istruttorie acquisite consentano di ricostruire la condotta di cui si discute in termini idonei a ricondurla
al paradigma legale ovvero alla persona dell’imputato; quanto al pur denunciato vizio di motivazione, è appena il caso di ribadire che il sindacato del giudice di legittimità deve essere mirato a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. n. 36119 del 4.7.2017, COGNOME; Sez. 1, n. 41738 del 10.10.2011 n. 41.738, COGNOME; Sez. 6, n. 108ì951 del 15.3.2006, COGNOME), sicché non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilit dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento.
Non è dunque consentito, in questa sede, formulare doglianze che tendono a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati da giudice del merito, estranee al sindacato del presente giudizio, essendo preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dai giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure, in ipotesi, anch’essa logica, dei dati processuali o percorrere una diversa ricostruzione storica dei fatti ovvero formulare un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (cfr., tra l tante, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv.
265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148).
1. La responsabilità dei ricorrenti per il delitto di cui al capo A) della rubric
Rileva il collegio che la Corte territoriale ha dato conto, in maniera puntuale ed esaustiva, delle emergenze processuali che avevano consentito di ritenere la responsabilità di entrambi i ricorrenti per il delitto di rapina in concorso (tra lor con lo sconosciuto complice) (cfr., pagg. 2-4 della sentenza): dopo aver riepilogato i motivi di appello, ha motivato, in termini incensurabili, in ordine alla complessiva attendibilità di NOME COGNOME nemmeno costituitosi parte civile, non animato da risentimento tanto da essere stato particolarmente prudente e le cui dichiarazioni erano state riscontrate, sul piano oggettivo, dagli altri elementi acquisiti i comprese, con riguardo al germano NOME, le deposizioni dei due COGNOME (cfr., pag. 3).
Correttamente, infatti, i giudici di merito hanno potuto ricondurre l’iniziativa delittuosa (anche) a NOME NOME COGNOME pervenendo a tale approdo decisorio sulla scorta di una serie di riscontri di cui hanno fornito specifica contezza (cfr., pag. 5 della sentenza): hanno spiegato, infatti, che, immediatamente dopo la rapina, l’odierno ricorrente, per sua diretta ammissione quel giorno alla guida della vettura BMW di cui aveva riferito il COGNOME, aveva tentato di dissuadere quest’ultimo (sia a voce che poi frapponendosi con la propria auto a quella delle persone offese) dal tentativo di inseguire i rapinatori che, dal canto loro fuggiti a piedi, avevano ad un certo punto esploso dei colpi d’arma da fuoco per poi dileguarsi.
E, tuttavia, la responsabilità di NOME NOME COGNOME è stata congruamente motivata anche sugli ulteriori elementi acquisiti quando, alle 20,20, il vicebrigadiere COGNOME aveva notato un tizio che, sotto un piccolo ponte, era intento a sistemarsi i pantaloni stazionando accanto ad una BMW con targa coincidente con quella che era stata (sia pure in parte) annotata dal COGNOME e segnalata agli investigatori; è pacifico che quel soggetto fosse proprio NOME COGNOME che aveva con sé monete da uno e due euro per la somma complessiva 152 euro mentre altre monete, per 198 euro, erano a terra, vicino a lui, che pertanto era stato trovato in possesso di una somma esattamente corrispondente a quella – per l’appunto in monete da 1 o 2 euro che era stata sottratta nel bar del Caruso; a terra e nell’autovettura erano stati inoltre rinvenuta la manica di un maglione di lana con dei fori tali da poter essere indossata a mo’ di passamontagna oltre un paio di guanti da lavoro in tela bianca, riconosciuti dal COGNOME come quelli indossati dai rapinatori.
Nell’autovettura, inoltre, vi erano due telefonini ed un giubbino.
I giudici di merito hanno inoltre altrettanto puntualmente dato conto di quanto emerso nei corso delle indagini e, in particolare, del fatto che, alle 20,10 un giovane senza giubbino e senza telefono, era entrato in un bar di Marina di Pietrapaola chiedendo se qualcuno fosse disponibile ad accompagnarlo sino a Rossano; il giovane era stato accompagnato dai due fratelli COGNOME che lo avevano lasciato presso le case popolari dove aveva detto di abitare con il padre e, successivamente, lo avrebbero riconosciuto, sia pure non con assoluta certezza, in NOME COGNOME.
L’identificazione del predetto NOME COGNOME come hanno segnalato le due sentenze di merito, era stata corrobora’La dalle informazioni che il giovane aveva dato ai due fratelli COGNOME circa la propria residenza e la titolarità di un’impresa pulizie da parte del di lui padre, elementi sulla cui portata i ricorsi non si sono i alcun modo confrontati.
La Corte d’appello, inoltre, ha replicato (cfr., pag. 6 della sentenza) alle considerazioni difensive circa la attribuibilità a NOME COGNOME della scheda telefonica inserita nel telefono rinvenuto nella autovettura del fratello NOME NOME; vero che quella scheda, come quella richiamata dalla difesa, erano entrambe intestate alla madre dei due ricorrenti e che nella CNR evocata nel ricorso, a NOME COGNOME era stata ricondotta la disponibilità dell’altra scheda; ma, e sul punto il ricorso è silente, i giudici di merito, per ricondurre al ricorrent anche la scheda inserita nel telefono rinvenuto nell’auto del fratello, hanno spiegato che la rubrica del cellulare riportava il numero di NOME NOME con abbinato il riferimento a “NOME NOME” mentre la rubrica del telefono di quest’ultimo conteneva il numero di quella scheda con il nominativo di “NOME NOME” (cfr., pag. 6 della sentenza).
Una volta attribuito il telefono a NOME COGNOME la Corte ha inoltre fatto presente che i due telefoni avevano “colloquiato” tra loro tra le 18,00 e le 19,40 ed il telefono di NOME aveva impegnato la cella comprendente il luogo della rapina nell’ora in cui era stata commessa (cfr., ancora, ivi).
In definitiva, i giudici di merito hanno formulato il giudizio di responsabilità per il delitto di rapina alla luce ed in forza di un apprezzamento complessivo e globale degli elementi acquisiti e che sono stati oggetto di una lettura logicamente coordinata ed assolutamente coerente.
È allora ribadire che la certezza dell’indizio, in particolare, non va confusa con la certezza del fatto da provare, giacché la caratteristica propria dell’indizio è quella di una qualche ambiguità proprio in relazione alla circostanza che si vuole
provare tanto che, se così non fosse, verrebbe meno la stessa differenza tra prove ed indizi atteso che mentre la prova è idonea ad attribuire carattere di certezza al fatto storico che si vuole provare, l’indizio, per sé solo, non ha per oggetto un fatto direttamente dimostrativo (della colpevolezza), ma un fatto suscettibile soltanto di essere assunto come indicativo della medesima, fornendo nulla più di una traccia di un percorso logico argomentativo che può avere diverse sfaccettature (cfr., in tal senso, Sez.5, n. 16397 del 21/02/2014, Maggi; Sez. 1, n. 9151 del 28/06/1999, Capitani, Rv. 213922); si è condivisibilmente affermato che l’indizio deve essere certo con riferimento al suo contenuto intrinseco, mentre per sua natura è incerto con riferimento al fatto diverso ed ulteriore, oggetto dell’accertamento penale ed è per tale ragione che la legge richiede, al fine di acquisire la prova dei fatto (e, dunque, per l’affermazione della penale responsabilità), l’esistenza di indizi plurimi, dotati del requisito della gravi precisione e concordanza (cfr., Sez. 5, n. 16397 del 21/02/2014, Maggi; conf., (cfr., Sez. 2, n. 35827 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 276743 – 01; Sez. 5, n. 36152 del 30/04/2019, Barone, Rv. 277529 – 02; cfr., anche, Sez. 2, n. 45851 del 15/09/2023, COGNOME, Rv. 285441 – 02, in cui la Corte ha chiarito che, in tema di processo indiziario, il giudice può fondare il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche sulla concatenazione logica degli indizi, dalla quale risulti che il loro complesso possiede quella univocità e concordanza atta a convincere della loro confluenza nella certezza in ordine al fatto stesso); il sindacato consentito in sede di legittimità, infine, è quello sul massime di esperienza adottate nella valutazione degli indizi nonché la verifica sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per qualificare l’elemento indiziario, e non certo formulare nuovo accertamento, nel senso della ripetizione dell’esperienza conoscitiva del giudice del merito, per cui l’esame della gravità, precisione e concordanza degli indizi da parte del giudice di legittimità è semplicemente controllo sul rispetto, da parte del giudice di merito, dei criteri dettati in materia di valutazione delle prove dall’ar 192 cod. proc. pen., controllo eseguito con il ricorso ai consueti parametri della completezza, della correttezza e della logicità del discorso motivazionale e che non può consistere nella rivalutazione della gravità, della precisione e della concordanza degli indizi, in quanto ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito (cfr., in tal senso, tra le tante Sez. 5, Sentenza n. 602 del 14/11/2013, dep. 09/01/2014, COGNOME, Rv. 258677 – 01; Sez. 6, n. 20474 del 15/11/2002, dep. 08/05/2003, COGNOME, Rv. 225245 – 01; Sez. 1, n. 42993 del 25/09/2008, COGNOME, Rv. 241826 – 01); Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2. L’aggravante delle “più persone riunite”
Il motivo, comune ai due ricorsi, è manifestamente infondato in quanto, specificamente per NOME COGNOME articolato su una errata impostazione in diritto: è pacifico, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte, che l’aggravante delle più persone riunite, avendo riguardo alle modalità dell’azione, ha natura oggettiva sicché si comunica ai correi non presenti nel luogo di consumazione del reato, se siano stati consapevoli che il reato stesso sarebbe stato consumato da più persone riunite, ovvero se abbiano ignorato per colpa tale circostanza (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 46221 del 08/11/2023, COGNOME, Rv. 285443 – 01, resa in una fattispecie relativa a imputato che aveva conferito incarico a più persone, affinché, in sua assenza, riscuotessero un credito usurario presso la persona offesa con violenza e minaccia; Sez. 2, n. 36926 del 04/07/2018, COGNOME, Rv. 273521 01; Sez. 2, n. 31199 del 19/06/2014, Posteraro, Rv. 259987 – 01 in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata laddove aveva applicato l’aggravante in questione ai concorrenti morali non presenti sul luogo e nel momento in cui era formulata la richiesta estorsiva).
3. L’aggravante dell’uso dell’arma
Il motivo, anche in tal caso comune ad entrambi i ricorsi, è manifestamente infondato.
È sufficiente, a tal fine, ribadire che non rileva, ai fini dell’aggravan contestata e ritenuta sul delitto di cui al capo A), che si trattasse o meno di un’arma vera essendo come è noto sufficiente alla sua integrazione il ricorso ad un’arma giocattolo qualora questa non sia immediatamente riconoscibile come tale a causa della mancanza dei segni dell’arma giocattolo (tappo rosso e similari nel caso di specie pacificamente assenti) o dell’assenza di visibilità o riconoscibilità di tali segni da parte della vittima (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 39253 del 22/06/2021, COGNOME, Rv. 282203 01; Sez. 2, n. 4712 del 17/11/2017, dep. 01/02/2018, COGNOME, Rv. 272012 – 01 ma, già, Sez. U, n. 3394 del 06/03/1992, COGNOME, Rv. 189520 01).
D’altra parte, le due sentenze di merito hanno dato conto della desistenza della persona dall’inseguimento dei due rapinatori per effetto della esplosione di colpi di arma da fuoco da parte di costoro che, in tal modo, erano riusciti a dileguarsi a piedi sfruttando proprio l’effetto intimidatorio derivante dall’us dell’arma di cui disponevano.
4. La responsabilità dei ricorrenti per il capo B)
Il motivo è fondato.
Il Tribunale prima e la Corte d’appello poi, hanno motivato, sul punto della disponibilità di un’arma autentica da parte dei rapinatori, in termini palesemente illogici e contraddittori.
Il primo giudice, infatti, ha dato conto del fatto che il COGNOME, inesperto in materia, aveva dichiarato “… di non sapere se era una pistola vera o giocattolo” (cfr., pag. 13 della sentenza di primo grado) essendosi limitato a riferire dell’effetto intimidatorio comunque prodotto dalla sua disponibilità e dalla sua utilizzazione da parte dei rapinatori (cfr., ivi); ha aggiunto che la persona offesa non “… ha fornito elementi per catalogarla come arma giocattolo” (cfr., ancora, ivi).
La Corte d’appello, dal canto suo, ha sostenuto fosse indubbio che si trattasse di un’arma vera “… poiché il teste COGNOME COGNOME non era nelle condizioni di poterne comprendere la natura, in assenza anche del tappo rosso o di altri elementi distintivi tali da catalogarla come arma giocattolo” (cfr., pag. 8 della sentenza d’appello).
In definitiva, entrambi i giudici di merito hanno ritenuto di poter concludere per la veridicità dell’arma sul rilievo, comune, secondo cui non vi erano elementi per comprendere di cosa effettivamente si trattasse e se, in particolare, fosse un’arma giocattolo.
Hanno pertanto incongruamente desunto la prova certa di un dato fattuale dall’incertezza della ipotesi contraria.
La sentenza pertanto annullata sul punto per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione atteso che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di prendere atto immediatamente della causa estintiva (cfr., Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244273 – 01 ; Sez. 5, n. 588 del 04/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258670 – 01; Sez. 2, n. 2545 del 16/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262277 – 01).
L’esame del motivo articolato – in entrambi i ricorsi – sul concorso tra l’ipotesi delittuosa della detenzione con quella del porto d’arma è, naturalmente, precluso.
4. L’annullamento senza rinvio per il delitto di cui al capo B) comporta, inoltre, la necessità di rideterminare la pena finale eliminando quella stabilita, in aumento ex art. 81 cod. pen., per il delitto in esame e pari a mesi 4 di reclusione ed euro 500 di multa.
Per il resto, va rilevato come la sentenza d’appello abbia motivato, sul diniego delle circostanze attenuanti generiche (cfr., pag. 9 della sentenza impugnata), in termini non censurabili in questa sede essendo appena il caso di ribadire che non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente un congruo riferimento agli elementi negativi ritenuti decisivi o rilevanti ovvero all’assenza di elementi positivi, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (cfr., Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, COGNOME, Rv. 275509 – 03; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826 – 01).
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui al capo b), perché sono estinti per prescrizione, ed elimina il relativo aumento di pena in continuazione nella misura di mesi quattro di reclusione ed euro cinquecento di multa.hichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Così è deciso, 18/02/2025