Prove d’ufficio: il Potere Discrezionale del Giudice è Insindacabile
Nel processo penale, la ricerca della verità è un obiettivo primario, ma le modalità con cui si acquisiscono le prove sono rigidamente disciplinate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale riguardo alle cosiddette prove d’ufficio, ovvero quelle che il giudice può disporre di sua iniziativa. La decisione chiarisce che tale potere è una prerogativa esclusiva del giudice di merito e il suo mancato esercizio non può essere motivo di ricorso in Cassazione.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente lamentava il fatto che i giudici di merito non avessero accolto la sua istanza di disporre una nuova audizione sia della consulente tecnica del pubblico ministero, sia dei propri consulenti di parte. Secondo la difesa, queste nuove audizioni sarebbero state necessarie per un completo accertamento dei fatti. La questione è quindi approdata dinanzi alla Suprema Corte, chiamata a valutare se il rifiuto del giudice di merito costituisse un vizio della sentenza impugnata.
La Decisione della Corte di Cassazione sulle prove d’ufficio
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso “manifestamente infondato” e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno stabilito che la richiesta del ricorrente si scontra con un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. La decisione di acquisire nuove prove ai sensi dell’articolo 507 del codice di procedura penale rientra nelle “attribuzioni del giudice, e non delle parti”. Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e a versare una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha basato la sua decisione su un principio cardine della procedura penale: la distinzione dei ruoli tra giudice e parti. L’articolo 507 c.p.p. conferisce al giudice il potere di disporre, anche d’ufficio, l’assunzione di nuovi mezzi di prova se lo ritiene “assolutamente necessario” ai fini della decisione.
Questo potere, sottolinea la Corte, è eminentemente discrezionale e funzionale all’accertamento della verità processuale. Le parti possono certamente “sollecitare” il giudice a farne uso, come ha fatto il ricorrente nel caso di specie, ma non possono pretenderlo. Il giudice del merito è l’unico arbitro della necessità di un’ulteriore istruzione probatoria.
La Suprema Corte ha richiamato precedenti pronunce (tra cui Cass. n. 4672/2017 e n. 9763/2013) per ribadire che il mancato accoglimento di un’istanza di questo tipo “non possa essere sindacato in sede di legittimità”. In altre parole, la Cassazione non può entrare nel merito della scelta del giudice di primo o secondo grado di non acquisire nuove prove d’ufficio, poiché tale valutazione attiene alla ricostruzione del fatto, preclusa al giudice di legittimità.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza offre un importante monito per la strategia difensiva. Dimostra che le parti devono concentrare i loro sforzi probatori durante la fase dibattimentale ordinaria. Attendere o sperare che il giudice eserciti i suoi poteri d’ufficio per colmare eventuali lacune probatorie è una strategia rischiosa e, come dimostra questo caso, non tutelabile in Cassazione.
La discrezionalità del giudice nell’ammissione delle prove d’ufficio è quasi assoluta. Le parti hanno il diritto di stimolare l’attenzione del giudice su determinati aspetti, ma la decisione finale spetta unicamente a quest’ultimo, e tale scelta, se non viziata da palese illogicità, è insindacabile. Pertanto, è fondamentale che la difesa presenti un quadro probatorio il più completo possibile fin dalle prime fasi del processo, senza fare affidamento su un potenziale, ma non garantito, intervento giudiziale successivo.
Le parti processuali possono obbligare il giudice a disporre nuove prove?
No, la decisione di ammettere nuove prove d’ufficio, ai sensi dell’art. 507 c.p.p., rientra nel potere discrezionale del giudice e non costituisce un diritto delle parti.
È possibile ricorrere in Cassazione se il giudice rigetta una richiesta di nuova audizione di un consulente?
No, secondo la giurisprudenza consolidata citata nell’ordinanza, il mancato accoglimento di un’istanza per l’acquisizione di nuove prove non può essere contestato in sede di legittimità.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3627 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3627 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SIENA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/06/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione;
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso sono manifestamente infondati, in quanto i contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità che ritiene che la pr disposta ex art. 507 cod. proc. pen. rientri nelle attribuzioni del giudice, e non delle par possono sollecitarne l’utilizzo al giudice del merito (come ha fatto il ricorrente, sia chie nuova audizione della consulente tecnica del pubblico ministero, primo motivo, sia chiedendo nuova audizione dei propri consulenti di parte, secondo motivo) senza che, però, il mancato accoglimento dell’istanza possa essere sindacato in sede di legittimità (Sez. 5, Sentenza n. 4672 del 24/11/2016, dep. 2017, Fiaschetti, Rv. 269270; Sez. 2, Sentenza n. 9763 del 06/02/2013, PG in proc. Muraca, Rv. 254974);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2023.