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Prove digitali: usabili le chat criptate dall’estero

La Corte di Cassazione ha stabilito la piena utilizzabilità delle prove digitali consistenti in chat criptate acquisite da server esteri tramite Ordine Europeo di Indagine. La sentenza chiarisce che se i dati vengono estratti da copie di backup già archiviate, si qualificano come prova documentale e non come intercettazione. Di conseguenza, la loro acquisizione è legittima anche se il metodo di decrittazione è coperto da segreto di stato dall’autorità estera, non ledendo il diritto di difesa.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Le Prove Digitali: Cassazione sull’Utilizzo di Chat Criptate da Server Esteri

Nell’era della comunicazione digitale, l’acquisizione e l’utilizzo di prove digitali sono diventati un tema centrale nel processo penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato una questione cruciale: l’ammissibilità delle conversazioni scambiate su piattaforme criptate, i cui dati sono stati ottenuti da autorità giudiziarie straniere. La decisione fornisce un chiarimento fondamentale, distinguendo nettamente tra l’intercettazione di un flusso di comunicazioni in tempo reale e l’acquisizione di dati già archiviati su un server.

Il Fatto

Il caso trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un individuo, gravemente indiziato di tentato omicidio aggravato e detenzione illegale di armi. L’impianto accusatorio si basava in modo significativo su conversazioni ottenute da una nota piattaforma di messaggistica criptata.

La difesa dell’indagato aveva contestato la legittimità di tali prove, poiché acquisite dall’autorità giudiziaria italiana tramite un Ordine Europeo di Indagine (OIE) rivolto alla Francia. Le autorità francesi avevano precedentemente svolto una complessa operazione che includeva l’intercettazione dei dati e il sequestro dei server del provider del servizio. Successivamente, avevano eseguito una copia forense dei server, decriptato le conversazioni e fornito i dati rilevanti all’Italia.

Il fulcro del ricorso difensivo verteva sulla presunta violazione delle norme processuali italiane in materia di intercettazioni e sul mancato rispetto del diritto di difesa, aggravato dal fatto che le autorità francesi avevano opposto il segreto di stato sulle tecniche di decriptazione utilizzate.

La qualificazione delle prove digitali: Intercettazione o documento?

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, ha aderito ai principi stabiliti da recenti sentenze delle Sezioni Unite. Il punto dirimente è la distinzione tra la fase ‘dinamica’ della comunicazione (il flusso in tempo reale) e la sua fase ‘statica’ (i dati archiviati).

L’acquisizione di un flusso di comunicazioni in corso rientra nella disciplina delle intercettazioni (art. 270 cod. proc. pen.). Al contrario, l’acquisizione di trascrizioni di comunicazioni già avvenute e conservate nella memoria di un server costituisce acquisizione di prova documentale (art. 238 cod. proc. pen.).

La decisione del Tribunale del riesame e le sue implicazioni

Nel caso di specie, l’autorità francese aveva fornito all’Italia i risultati di un’analisi effettuata su una copia forense dei server sequestrati. Questi server contenevano il backup delle conversazioni. Pertanto, ciò che l’Italia ha acquisito non era il frutto di un’intercettazione in diretta, ma un insieme di dati ‘cristallizzati’, assimilabili a un documento informatico. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione come prova documentale, con l’applicazione del regime giuridico previsto dall’art. 238 c.p.p., e non quello, più stringente, delle intercettazioni.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha sviluppato il suo ragionamento su due pilastri fondamentali.

In primo luogo, ha chiarito la natura delle prove digitali acquisite. Basandosi sull’orientamento delle Sezioni Unite, ha ribadito che la modalità con cui l’autorità estera ottiene il dato è determinante. Poiché i dati forniti all’Italia provenivano da un server sequestrato e da un backup preesistente, essi rappresentano un ‘dato statico’. Questa qualificazione li sottrae alla disciplina delle intercettazioni, rendendo inapplicabili le relative garanzie procedurali previste dall’art. 270 del codice di procedura penale. L’operazione è stata quindi correttamente inquadrata come un’acquisizione di documenti, pienamente legittima ai sensi dell’art. 238 del codice.

In secondo luogo, la Corte ha affrontato la questione del segreto di stato opposto dalla Francia sulle tecniche di decriptazione. La difesa sosteneva che tale segretezza impedisse un controllo sulla correttezza e l’integrità del dato, ledendo il diritto di difesa. Anche su questo punto, la Cassazione ha respinto la doglianza. Citando ancora le Sezioni Unite, ha affermato che l’impossibilità di accedere all’algoritmo di decriptazione non comporta di per sé una violazione dei diritti fondamentali. Si presume, salvo prova contraria specifica e concreta fornita dalla difesa, che non vi sia stata alterazione dei dati. La natura stessa della crittografia rende inscindibile il messaggio dalla sua chiave: una chiave errata non produrrebbe un messaggio alterato, ma una sequenza di dati incomprensibile. L’onere di allegare elementi specifici che facciano dubitare della genuinità del dato ricade quindi sulla difesa.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza pratica per le indagini penali nell’era digitale. Stabilisce un chiaro criterio per la qualificazione e l’utilizzo delle prove digitali ottenute tramite cooperazione giudiziaria internazionale. La distinzione tra dato ‘dinamico’ e ‘statico’ definisce il perimetro applicativo delle garanzie previste per le intercettazioni, bilanciando le esigenze investigative con il diritto di difesa.

In conclusione, le chat criptate, una volta archiviate su un server e acquisite tramite copia forense, diventano a tutti gli effetti prove documentali. La loro utilizzabilità nel processo penale italiano è piena, anche qualora le modalità tecniche di accesso al loro contenuto non siano completamente accessibili alla difesa, a meno che non vengano sollevati dubbi concreti e specifici sulla loro integrità.

I messaggi di una chat criptata, acquisiti da un server estero, sono sempre utilizzabili come prova in Italia?
Sì, sono utilizzabili se vengono acquisiti come dati già archiviati su un server (ad esempio, da una copia di backup). In questo scenario, sono considerati prove documentali ai sensi dell’art. 238 del codice di procedura penale e non sono soggetti alle più stringenti regole previste per le intercettazioni in tempo reale.

Il segreto di stato posto da un’autorità straniera sul metodo di decriptazione rende le chat inutilizzabili?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il segreto sulle procedure tecniche di decriptazione non costituisce di per sé una violazione del diritto di difesa. L’impossibilità di accedere all’algoritmo non determina l’inutilizzabilità della prova, a meno che la difesa non fornisca allegazioni specifiche e concrete che suggeriscano un’alterazione dei dati.

È necessaria l’autorizzazione di un giudice italiano per chiedere a un’autorità estera di trasmettere prove digitali che già possiede?
No. Quando il pubblico ministero italiano, tramite un Ordine Europeo di Indagine (OIE), richiede prove che sono già in possesso di un’autorità giudiziaria di un altro Stato membro, non è necessaria una preventiva autorizzazione del giudice italiano. Questa attività è considerata ‘circolazione della prova’ tra Stati e non un atto di acquisizione originaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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