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Prove dall’estero: la Cassazione sui criptofonini

La Cassazione ha confermato la custodia cautelare per un indagato per traffico di stupefacenti, respingendo il ricorso sull’inutilizzabilità delle prove dall’estero. Le chat da criptofonini, acquisite tramite Ordine di Indagine Europeo, sono state ritenute utilizzabili. La Corte ha stabilito che spetta alla difesa l’onere di provare la violazione di diritti fondamentali nel Paese di origine, non potendo il giudice italiano riesaminare la procedura estera.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prove dall’estero e Criptofonini: La Cassazione fissa i limiti per la difesa

La crescente cooperazione giudiziaria europea rende sempre più frequente l’utilizzo di elementi raccolti in altri Stati membri. Un recente caso esaminato dalla Corte di Cassazione affronta un tema cruciale: l’utilizzabilità delle prove dall’estero ottenute dalla decriptazione di chat su telefoni cifrati, acquisite tramite un Ordine di Indagine Europeo (OIE). La sentenza chiarisce i confini del controllo del giudice italiano e gli oneri che gravano sulla difesa.

Il Caso: Chat Criptate e l’Ordine di Indagine Europeo

Un soggetto veniva sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per gravi reati legati al traffico internazionale di stupefacenti. Le accuse si basavano in gran parte su conversazioni estratte da una rete di comunicazione criptata, i cui dati erano stati acquisiti e decodificati dalle autorità francesi e successivamente trasmessi all’Italia tramite un Ordine di Indagine Europeo.

La difesa del ricorrente ha impugnato l’ordinanza, sostenendo l’inutilizzabilità di tali chat. Le principali obiezioni riguardavano la presunta violazione delle norme procedurali italiane sulle intercettazioni, l’impossibilità di verificare la legittimità delle operazioni svolte in Francia (incluse le modalità di decriptazione) e la lesione del diritto di difesa.

L’Utilizzabilità delle prove dall’estero secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, fornendo un’analisi dettagliata basata su recenti pronunce delle Sezioni Unite e della giurisprudenza europea. Il principio cardine è quello del reciproco riconoscimento e della fiducia tra le autorità giudiziarie dell’Unione Europea.

La Suprema Corte ha stabilito che, quando si acquisiscono prove da un altro Stato membro tramite OIE, il giudice italiano non è tenuto a verificare la legittimità degli atti compiuti all’estero, né ad acquisire i provvedimenti autorizzativi stranieri. L’unico limite all’utilizzabilità è se le intercettazioni sono state disposte per un reato per il quale la legge italiana non le consentirebbe. In questo caso, trattandosi di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, tale limite non sussisteva.

L’Onere della Prova a Carico della Difesa

Un punto fondamentale della decisione riguarda l’onere della prova. La Cassazione chiarisce che spetta alla difesa non solo contestare genericamente la procedura estera, ma allegare e dimostrare fatti specifici da cui si possa desumere una violazione dei diritti fondamentali. L’argomentazione della difesa, che lamentava una sorta di “probatio diabolica” (prova impossibile), è stata rigettata. Secondo la Corte, la difesa ha la possibilità di attivare i rimedi giurisdizionali previsti nello Stato di emissione (in questo caso, la Francia) per contestare le modalità di raccolta della prova e la sua trasmissione.

La Competenza del Giudice Straniero

La sentenza ribadisce una netta divisione di competenze. Il controllo sulla regolarità del procedimento di acquisizione della prova è di competenza esclusiva dello Stato membro di esecuzione (dove la prova è stata raccolta). Il giudice italiano interviene solo se emergono violazioni di diritti fondamentali che si ripercuotono direttamente sull’utilizzabilità della prova nel processo italiano. Non può, quindi, trasformarsi in un giudice della procedura estera.

La Valutazione sul Pericolo di Recidiva

Oltre alle questioni procedurali, la Cassazione ha ritenuto infondata anche la censura relativa alle esigenze cautelari. Il Tribunale aveva logicamente collegato il ritrovamento di una ingente somma di denaro (189.000 euro) e di materiale per il confezionamento di droga nell’abitazione del ricorrente a un concreto e attuale pericolo di recidiva. La gravità delle accuse, relative a un’associazione criminale operante a livello internazionale, giustificava, secondo la Corte, la misura della custodia in carcere come unica idonea a fronteggiare tale pericolo.

Le motivazioni

La decisione della Corte di Cassazione si fonda sul principio del mutuo affidamento tra gli Stati membri dell’UE, pilastro della cooperazione giudiziaria europea. Le regole dell’Ordine di Indagine Europeo prevedono un sistema di tutele distribuito tra lo Stato di emissione e quello di esecuzione. La parte interessata ha il diritto di contestare la raccolta delle prove nel paese in cui essa avviene. Una volta che le prove vengono trasmesse, il giudice dello Stato richiedente (l’Italia) deve presumere la loro legittimità, a meno che la difesa non fornisca elementi concreti che dimostrino una palese violazione dei diritti fondamentali. Questa impostazione evita la paralisi processuale e garantisce l’efficacia della cooperazione, bilanciandola con i diritti della difesa.

Le conclusioni

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro sull’utilizzo delle prove dall’estero acquisite tramite OIE. Per le difese, ciò significa che non è più sufficiente una contestazione generica della procedura straniera. Diventa essenziale un approccio proattivo, che può richiedere l’attivazione di strumenti legali direttamente nello Stato estero in cui le indagini hanno avuto origine. La decisione rafforza l’efficacia degli strumenti di cooperazione europea, ma al contempo impone un onere di diligenza maggiore agli avvocati difensori che si trovano a gestire procedimenti con un profilo transnazionale.

È possibile utilizzare in un processo italiano le chat criptate ottenute da un’autorità straniera?
Sì, è possibile a condizione che siano state acquisite tramite un Ordine di Indagine Europeo e che il reato per cui si procede in Italia consenta l’uso delle intercettazioni. Il giudice italiano non è tenuto ad acquisire i provvedimenti autorizzativi stranieri.

A chi spetta dimostrare che le prove dall’estero sono state raccolte violando i diritti fondamentali?
Secondo la sentenza, l’onere di allegare e provare i fatti specifici da cui desumere la violazione dei diritti fondamentali grava sulla difesa. Non sono sufficienti contestazioni generiche o il semplice richiamo all’impossibilità di accedere agli atti esteri.

Il giudice italiano può valutare la legittimità della procedura con cui le prove sono state raccolte all’estero?
No, il giudice italiano non ha la competenza per controllare la regolarità del procedimento svoltosi nello Stato estero di esecuzione. La tutela contro eventuali irregolarità deve essere cercata attraverso i rimedi legali disponibili in quello Stato. La valutazione italiana è limitata solo a violazioni di diritti fondamentali che si ripercuotono sull’utilizzabilità della prova in Italia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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