Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35038 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35038 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato in Gioia Tauro il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa in data 29.02.2024 dal Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, anche in sostituzione del codifensore NOME COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME, avverso l’ordinanza emessa in data 30
dicembre 2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria di rigetto della richiesta di revoca della misura della custodia cautelare in carcere.
2. Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, nell’interesse del COGNOME, ricorrono avverso tale ordinanza e ne chiedono l’annullamento, deducendo congiuntamente, con unico motivo, l’inutilizzabilità dei flussi comunicativi scambiati sulla piattaforma di messaggistica SkyEcc acquisiti dagli inquirenti mediante emissione di ordine europeo di indagine e il vizio di motivazione sul punto.
Ad avviso dei difensori, il Tribunale di Reggio Calabria illegittimamente non ha revocato la misura della custodia cautelare in carcere per la sopravvenuta inutilizzabilità dei gravi indizi di colpevolezza, in ragione dell’overruling verificatosi nella giurisprudenza di legittimità in ordine all’asserita “insindacabilità” dell’acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria estera dei messaggi acquisita sulla piattaforma SkyEcc e alla doverosità di un sindacato dell’autorità giudiziaria italiana sui provvedimenti dell’autorità giudiziari francese in ordine al rispetto del diritto di difesa e alla garanzia di un equo processo.
Se, infatti, la giurisprudenza di legittimità aveva originariamente ritenuto che in materia operasse la presunzione di legittimità dell’acquisizione dei dati da parte dell’autorità giudiziaria estera, successivamente, riconducendo l’attività di acquisizione delle comunicazioni criptate intervenute sulla piattaforma SkyEcc all’attività di intercettazione di comunicazioni, ha ammesso la doverosità di un sindacato dell’autorità giudiziaria italiana su tali acquisizioni.
Il Tribunale di Reggio Calabria nell’ordinanza impugnata avrebbe, tuttavia, illegittimamente ribadito il postulato della insindacabilità delle modalità di acquisizione dei dati predetti, distorcendo il significato dei principi enunciati dall’informazione provvisoria della sentenza delle Sezioni unite del 29 febbraio 2024.
Ad avviso dei difensori, inoltre, l’autorità giudiziaria francese, una volta avuta contezza della localizzazione dei dispositivi intercettati in territorio italian avrebbe dovuto procedere alla notifica o, comunque, all’informativa prevista dall’art. 31 della direttiva 2014/41/UE all’autorità giudiziaria italiana.
La violazione di tale disposizione comporterebbe un difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria estera e, dunque, l’inutilizzabilità delle prove acquisite per violazione del giudice naturale precostituito per legge.
Agli atti non sarebbe presente, infatti, la notifica eseguita dall’autorità giudiziaria francese, né la valutazione autonoma sul punto eseguita dall’autorità giudiziaria italiana.
Sarebbe stato, inoltre, violato il diritto di difesa, in quanto nel presente
procedimento è stata preclusa al difensore la possibilità di verificare la conformità alla legge degli atti adottati e delle procedure di intercettazione massiva disposte dall’autorità giudiziaria francese.
In data 5 aprile 2024 gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato richiesta tempestiva di trattazione orale del ricorso.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 15 aprile 2024, il Procuratore generale, NOME COGNOME, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
All’udienza del 9 maggio 2023, il Collegio ha disposto il rinvio a nuovo ruolo della trattazione del procedimento, in attesa del deposito della motivazione delle sentenze delle Sezioni unite di questa Corte, che all’udienza del 29 febbraio 2024 si sono pronunciate in ordine a plurime questioni relative all’utilizzabilità delle comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera e pervenute all’autorità giudiziaria italiana mediante il ricorso ad ordine europeo di indagine.
Con memoria depositata in data 3 maggio 2023, i difensori, richiamando le statuizioni della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, emessa il 30 aprile 2024 nella causa C-670/22, hanno dedotto due motivi nuovi.
6.1. Con il primo motivo i difensori deducono la violazione dell’art. 31, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2014/41 41 del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa all’ordine europeo di indagine penale, in ragione dell’omessa notifica all’autorità giudiziaria italiana delle intercettazioni eseguite dall’autorità giudiziaria francese.
Tale disposizione sancisce che se, ai fini del compimento di un atto di indagine, l’intercettazione di telecomunicazioni è autorizzata dall’autorità competente di uno Stato membro e l’indirizzo di comunicazione della persona soggetta a intercettazione indicata nell’ordine di intercettazione è utilizzato sul territorio di un altro Stato membro la cui assistenza tecnica non è necessaria per effettuare l’intercettazione, lo Stato membro di intercettazione ne dà notifica all’autorità competente dello Stato membro notificato dell’intercettazione
Ricevuta la notifica, l’autorità dello “Stato membro notificato” dovrà verificare se l’attività di intercettazione sia «ammessa in un caso interno analogo».
Tale disposizione contemplerebbe, dunque, un pieno vaglio giurisdizionale di conformità alle norme di diritto interno che disciplinano la stessa materia.
Ad avviso dei difensori, tuttavia, il legislatore italiano ha recepto il disposto dell’art. 31 della direttiva, all’art. 24, comma 2, del d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108,
con una formulazione, che, anche alla luce dei principi espressi dalla Corte di Giustizia, limita irragionevolmente la portata del controllo giurisdizionale del giudice italiano («Il giudice per le indagini preliminari ordina l’immediata cessazione delle operazioni se le intercettazioni sono state disposte in riferimento a un reato per il quale, secondo l’ordinamento interno, le intercettazioni non sono consentite…»).
Si imporrebbe, dunque, la necessità di un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, o una disapplicazione della medesima norma con contestuale operatività “diretta” della disposizione di cui all’art. 31 della direttiva (da considerarsi self-executing in ragione della specificità del precetto).
Ove, invece, si ritenga di non poter disapplicare la norma di diritto interno, in ragione della non immediata applicabilità della norma del diritto dell’Unione, si dovrebbe, inevitabilmente, porre una questione di legittimità costituzionale sul punto.
Ad avviso del ricorrente, nei casi nei quali, in ragione dell’omessa notifica, l’autorità giudiziaria italiana non sia potuta intervenire tempestivamente – inibendo l’attività di captazione o decretando l’inutilizzabilità dei risultati – deve poterlo fare successivamente, anche in via incidentale, ove si ritrovi a dover utilizzare – in un procedimento penale interno – i risultati di una attività «sfuggita» al controllo della doppia conformità.
6.2. Con il secondo motivo i difensori deducono la violazione dell’art. 14, paragrafo 7, della direttiva 2014/41 UE.
Questa disposizione, nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza del 30 aprile 2024, nella causa C-670/22, «impone al giudice penale nazionale di espungere, nell’ambito di un procedimento penale avviato a carico di una persona sospettata di atti di criminalità, informazioni ed elementi di prova se tale persona non è in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni su tali informazioni ed elementi di prova e questi ultimi siano idonei ad influire in modo preponderante sulla valutazione dei fatti…».
Il Tribunale di Reggio Calabria, sebbene sollecitato con l’atto di appello, avrebbe omesso di verificare le effettive “possibilità” che la difesa abbia avuto – in concreto – al fine di svolgere efficacemente, nelle condizioni date, le proprie osservazioni in ordine all’indisponibilità: 1) dei c.d. dati grezzi (flussi comunicativi nella loro “versione” originale non decriptata); 2) delle “chiavi” utilizzate per la decodifica; 3) dei verbali afferenti alle attività tecniche di captazione, di decriptazione, di conservazione, selezione ed estrapolazione dei dati; 4) di ogni ulteriore dato incidente sulla “formazione” del risultato probatorio; sulla sua “integrità” e sulla completezza del compendio trasmesso.
La difesa aveva dedotto che, in relazione ai flussi comunicativi intercettati ed utilizzati per le determinazioni cautelari, l’autorità giudiziaria francese avesse
trasmesso “solo” documenti che riportavano il testo (decriptato) delle conversazioni (spesso – ingiustificatamente – «monche»), indicazioni afferenti Pin, codici IMEI, e “alias” associati, nonché provvedimenti autorizzativi di una generica attività tecnica di captazione e decriptazione.
Nessuna utile informazione, dunque, in ordine ai dati afferenti alle circostanze di tempo, luogo e, soprattutto, modalità di acquisizione del risultato probatorio sarebbe stata trasmessa.
Nelle condizioni date, alla difesa risulterebbe preclusa ogni possibilità di esercitare le proprie prerogative di verifica e sindacato (finanche sul piano del basilare controllo di liceità e/o regolarità formale dell’acquisizione).
Tale vulnus determinerebbe l’inutilizzabilità dei risultati dell’attività di intercettazione eseguite e l’annullamento/caducazione del titolo custodiale per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Con note depositate in data 8 maggio 2024,LAvvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME deducono che l’art. 24, comma 2, del d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108, ha sostituito il criterio della “ammissibilità dell’intercettazione in un caso interno analogo”, con il criterio della formale inclusione del reato per cui si procede nel novero dei reati per i quali il diritto interno consente le intercettazioni.
Questa discrasia, tuttavia, radica una disparità di trattamento, in quanto nella procedura attiva (in cui, invece, è l’autorità italiana ad eseguire attività d intercettazione su dispositivi che insistono su territorio estero e senza ausilio del Paese estero) è previsto (art. 44) per l’Autorità del Paese (estero) di notificazione, un più penetrante potere di controllo, mediante il quale potrà essere addirittura anche modulato il regime di utilizzabilità dei risultati dell’attività tecnica.
La rigida applicazione “letterale” delle disposizioni richiamate, oltre ad integrare la palese violazione del principio di reciprocità (artt. 11 e 117 Cost.), realizza anche una irragionevole disparità di trattamento tra cittadini europei, in quanto i cittadini intercettati mentre risiedono su territorio estero godranno di maggiori garanzie e, segnatamente, di un vaglio giurisdizionale di «doppia conformità» pieno.
L’attività tecnica, infatti, in questo caso dovrà essere pienamente conforme (anche sul fronte delle modalità) al diritto del Paese di intercettazione e a quello del Paese in cui gli “intercettandi” si trovino (Paese di notificazione).
I cittadini che, invece, durante l’intercettazione si trovano in territorio italiano possono contare su – un controllo pieno in ordine alla conformità dell’attività tecnica al diritto dello Stato di intercettazione; – e un control minimale-formale operato dal giudice italiano, il quale dovrà limitarsi a verificare se il reato per cui si procede rientri nel novero dei reati per i quali in Italia son consentite le intercettazioni.
Ad avviso dei difensori, si impone, dunque, la necessità di una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, o una disapplicazione della medesima norma con contestuale operatività “diretta” della disposizione di cui all’art. 31 (da considerarsi self executing in ragione della specificità del precetto). Laddove si ritenga di non poter disapplicare la norma di diritto interno (art. 24 comma 2 Decreto Legislativo 21 giugno 2017, n. 108) in ragione della “non immediata applicabilità” della norma di diritto unionale (art. 31 Direttiva 2014/41), dovrebbe inevitabilmente essere proposta una questione di legittimità costituzionale.
In data 24 giugno 2024 l’AVV_NOTAIO ha ribadito la richiesta di trattazione orale del ricorso.
All’udienza del 10 luglio 2024 le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato, in quanto i motivi proposti sono infondati.
Con la prima censura proposta nel primo motivo il difensore censura la mancata applicazione della disciplina delle intercettazioni e con la seconda censura dedotta nello stesso motivo eccepisce l’inutilizzabilità dell’esito delle acquisizioni e delle captazioni delle conversazioni intervenute sulla piattaforma SkyEcc in ragione dell’impossibilità per la difesa di controllare il procedimento di acquisizione dei dati operati dall’autorità giudiziaria estera.
3. Il motivo è infondato.
3.1. La prima censura, volta a ricondurre l’attività di acquisizione delle comunicazioni criptate intercorse sulla piattaforma estera SkyEcc all’attività di intercettazione di comunicazioni e alla sua disciplina legale, è infondata.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che in materia di ordine europeo di indagine, la trasmissione del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 234-bis cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, bensì nella disciplina relativa alla circolazione delle prove tra procedimenti penali, quale desumibile dagli artt. 238 e 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286573 – 01, fattispecie in tema di prove, costituite da
messaggi scambiati su chat di gruppo mediante un sistema cifrato, già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione).
In materia di ordine europeo di indagine, le prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione possono essere legittimamente richieste ed acquisite con un ordine europeo di indagine emesso dal pubblico ministero italiano, senza la necessità della preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si intende utilizzarle (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286589 – 02).
L’emissione, COGNOME da COGNOME parte COGNOME del COGNOME pubblico COGNOME ministero, COGNOME in COGNOME materia di ordine europeo di indagine, diretto ad ottenere il contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano, quale condizione necessaria a norma dell’art. 6 Direttiva 2014/41/UE, perché tale autorizzazione, nella disciplina nazionale relativa alla circolazione delle prove, non è richiesta per conseguire la disponibilità del contenuto di comunicazioni già acquisite in altro procedimento (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286573 – 03).
L’acquisizione delle chat intercorse sulla piattaforma SkyEcc che hanno coinvolto il ricorrente e i coindagati sono, dunque, state legittimamente acquisite dal Pubblico ministero presso il Tribunale di Reggio Calabria mediante ordine europeo di indagine, senza necessità di alcun intervento da parte del giudice per le indagini preliminari.
3.2. Parimenti infondata è la seconda censura proposta dai difensori con primo motivo di ricorso e con il secondo motivo aggiunto, relativo alla violazione del diritto di difesa in ragione della mancata disponibilità dei dati afferenti alle circostanze di tempo, di luogo e, soprattutto, alle modalità di acquisizione del dato probatorio nel procedimento estero.
Le Sezioni unite nelle sentenze COGNOME e nella sentenza COGNOME, a fronte di censure analoghe a quelle proposte nel presente procedimento, hanno, inoltre, statuito che l’utilizzabilità del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in u procedimento penale pendente davanti ad essa, e trasmesse sulla base di ordine europeo di indagine, deve essere esclusa se il giudice italiano rileva che il loro impiego determinerebbe una violazione dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, fermo restando che l’onere di allegare e provare i fatti da cui inferire tale violazione grava sulla parte interessata (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286573 – 05; Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286589 – 04).
L’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse non determina, tuttavia, una violazione dei diritti fondamentali, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, ed una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286573 – 05, par. 13 del Considerato in diritto; Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, COGNOME, par. 16 del Considerato in diritto).
Le conversazioni acquisite sono, dunque, pienamente utilizzabili sotto i profili censurati con i predetti motivi.
Con l’ulteriore censura proposta nel primo motivo di ricorso e con i motivi aggiunti, i difensori hanno eccepito l’inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite sull’utenza del ricorrente dall’autorità giudiziaria francese in ragione dell’omessa notifica allo Stato italiano delle intercettazioni eseguite dall’autorità giudiziaria francese prescritta dall’art. 31, paragrafo 1, della direttiva 2014/41 del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa all’ordine europeo di indagine penale.
Tale disposizione, ad avviso del ricorrente, imporrebbe, infatti, un pieno vaglio giurisdizionale di conformità alle norme di diritto interno che disciplinano la stessa materia, volto non solo a verificare non solo se l’intercettazione disposta dallo Stato membro sia stata disposta per un delitto che consente il ricorso a tale mezzo di ricerca della prova, ma anche se gli indizi posti a fondamento della captazione siano adeguati ai sensi della disciplina interna.
5. Il motivo è infondato.
5.1. La direttiva 2014/41, riprendendo sia pure in parte il contenuto della Convenzione di assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea, firmata a Bruxelles il 29 maggio 2000, distingue le intercettazioni in ragione della necessità o meno dell’assistenza tecnica di un altro Stato.
Con riferimento alle prime, l’art. 31, paragrafo 1, della direttiva 2014/41 sancisce che «…Se, ai fini del compimento di un atto di indagine, l’intercettazione di telecomunicazioni è autorizzata dall’autorità competente di uno Stato membro e l’indirizzo di comunicazione della persona soggetta a intercettazione indicata nell’ordine di intercettazione è utilizzato sul territorio di un altro Stato membro (lo «Stato membro notificato») la cui assistenza tecnica non è necessaria per effettuare l’intercettazione, lo Stato membro di intercettazione ne dà notifica all’autorità competente dello Stato membro notificato dell’intercettazione…»
prima, durante o dopo l’attività di intercettazione e comunque, non appena la collocazione del dispositivo intercettato su territorio estero risulti nota.
Il paragrafo 3 dell’art. 31 della direttiva prevede, inoltre, che: «ualora l’intercettazione non sia ammessa in un caso interno analogo, l’autorità competente dello Stato membro notificato può, senza ritardo e al più tardi entro 96 ore dalla ricezione della notifica di cui al paragrafo 1, notificare all’autorità competente dello Stato membro di intercettazione che: a) l’intercettazione non può essere effettuata o si pone fine alla medesima; e b) se necessario, gli eventuali risultati dell’intercettazione già ottenuti mentre la persona soggetta ad intercettazione si trovava sul suo territorio non possono essere utilizzati o possono essere utilizzati solo alle condizioni da essa specificate. L’autorità competente dello Stato membro notificato informa l’autorità competente dello Stato membro di intercettazione dei motivi di tali condizioni».
Il legislatore italiano ha recepito il disposto dell’art. 31 della direttiv 2014/41, all’art. 24 del d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108.
Il primo comma di questa disposizione sancisce che «uando è disposta, senza richiesta di assistenza tecnica, l’intercettazione di un dispositivo, anche di sistema informatico o telematico, in uso a persona che si trovi nel territorio dello Stato, il AVV_NOTAIO della Repubblica, trasmette immediatamente al giudice per le indagini preliminari la notificazione dell’avvio delle operazioni effettuata dall’autorità giudiziaria dello Stato membro che procede».
Il secondo comma dell’art. 24 cit. aggiunge, inoltre, che «l giudice per le indagini preliminari ordina l’immediata cessazione delle operazioni se le intercettazioni sono state disposte in riferimento a un reato per il quale, secondo l’ordinamento interno, le intercettazioni non sono consentite e ne dà contestuale comunicazione al AVV_NOTAIO della Repubblica».
Il terzo comma della disposizione, da ultimo, prevede la sanzione processuale per il caso di intercettazioni non consentite e sancisce che «Il AVV_NOTAIO della Repubblica senza ritardo, e comunque non oltre novantasei ore dalla ricezione della notifica, dà comunicazione all’autorità giudiziaria dello Stato membro del provvedimento di cessazione delle operazioni e della non utilizzabilità a fini di prova dei risultati delle intercettazioni eseguite».
Pur non avendo enunciato il d.lgs. n. 108 del 2017 la disciplina applicabile in caso di omessa notifica, ritiene il Collegio che la verifica circa la notificazione dell’avvio delle operazioni effettuata dall’autorità giudiziaria dello Stato membro che procede, posto che refluisce su profili di inutilizzabilità della prova, possa essere effettuata in ogni stato e grado del giudizio e, dunque, anche nella sede cautelare.
Ove la notifica non sia stata eseguita, inoltre, l’autorità giudiziaria italiana, che non sia potuta intervenire tempestivamente può intervenire successivamente,
anche in via incidentale, ove sia chiamata a valutare – in un procedimento penale interno – i risultati di una attività di intercettazione disposta ai sensi dell’art. del d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108.
5.2. L’esercizio di questo sindacato, ammesso in sede di legittimità in assenza di una prova dell’avvenuta notifica da parte dell’autorità giudiziaria francese, tuttavia, esclude che le intercettazioni disposte nei confronti del COGNOME dovessero essere inibite, in quanto sono state eseguite per reati di cessione di sostanza stupefacente e di partecipazione ad associazione a delinquere diretta al narcotraffico per i quali il ricorso alla captazione delle conversazioni è ammesso dalla legge processuale italiana.
L’art. 31, § 3, della direttiva 2014/41 direttiva, del resto, prevede che il giudice dello Stato membro notificato dispone la cessazione delle operazioni di intercettazione «qualora l’intercettazione non sia ammessa in un caso interno analogo» (where the interception would not be authorised in a similar domestic case).
La Corte di giustizia, nella sentenza della Grande Sezione del 30 aprile 2024, ha rilevato che «’articolo 31 della direttiva 2014/41 mira quindi non solo a garantire il rispetto della sovranità dello Stato membro notificato, ma anche ad assicurare che il livello di tutela garantito in tale Stato membro in materia di intercettazione delle telecomunicazioni non sia compromesso. Pertanto, poiché le intercettazioni telefoniche costituiscono un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata e delle comunicazioni, sancito dall’articolo 7 della Carta, della persona sottoposta all’intercettazione (v., in tal senso, sentenza del 17 gennaio 2019, Dzivev e a., C-310/16, EU:C:2019:30, punto 36), si deve ritenere che l’articolo 31 della direttiva 2014/41 miri altresì a tutelare i diritti delle persone interessate da una misura di questo tipo, finalità che si estende all’utilizzo dei dati ai fin dell’esercizio dell’azione penale nello Stato membro notificato» (Corte Giustizia, Grande Sezione, 30 aprile 2024, causa C-670/22, § 124).
La Corte di Giustizia, tuttavia, non ha chiarito meglio l’ambito del sindacato giudiziale riservato al giudice dello Stato membro notificato.
L’art. 24, secondo comma, d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108 sancisce, infatti, che «Il giudice per le indagini preliminari ordina l’immediata cessazione delle operazioni se le intercettazioni sono state disposte in riferimento a un reato per il quale, secondo l’ordinamento interno, le intercettazioni non sono consentite e ne dà contestuale comunicazione al AVV_NOTAIO della Repubblica».
Il legislatore italiano ha optato chiaramente per un sindacato di legalità meno penetrante di quello richiesto nel caso in cui le operazioni di intercettazioni richiedano l’assistenza dello Stato italiano (art. 23, commi 2 e 3, d.lgs. n. 108 del 2017), in quanto spetta al solo giudice ordinare la cessazione delle operazioni se
le intercettazioni sono disposte in riferimento ad un reato per il quale, secondo l’ordinamento interno, non sono consentite (art. 24, comma 2, del d.lgs. cit.).
Questa disposizione, come evidenziato anche dalla dottrina, richiama, infatti, soltanto i presupposti penalistici stabiliti dagli artt. 266 e 266 bis cod. proc. pen., e non gli altri requisiti di ammissibilità previsti dall’art. 267 cod. proc. pen., secondo una logica pienamente rispettosa del mutuo riconoscimento.
Nella Relazione allo schema di decreto legislativo si precisano le ragioni di tale scelta, rilevando che: «non è pensabile, a fronte del testo della direttiva che non contempla alcuna verifica in tema di “indizi” (né gravi, né sufficienti) imporre alle autorità straniere di avventurarsi in valutazioni calibrate sulle forme tipiche del sistema italiano e verosimilmente estranee alle abitudini ed alla cultura dello Stato richiedente; chiedendo al contrario di precisare “i motivi che rendono necessaria l’attività richiesta” si pone il giudice nazionale nella sostanziale condizione di riproporre schemi di valutazione molto vicini a quelli che normalmente applica nei casi interni analoghi, senza tuttavia essere vincolato alle formule di rito. Ed invero, non fosse altro che per una questione di tempi, non è pensabile che l’a.g. italiana possa e debba esaminare integralmente e direttamente gli elementi in fatto posti a fondamento delle richieste. Del resto si tratta pur sempre di dare esecuzione ad un provvedimento già emesso dalla competente autorità giudiziaria dello Stato richiedente. Il sistema della direttiva non può che fondarsi infatti su un atto di reciproca fiducia da parte degli Stati, il che consente al giudice italiano di fondare il proprio giudizio su di un quadro “attestato” dall’autorità richiedente».
Anche le Sezioni unite, nella sentenza COGNOME, hanno ritenuto che la formulazione dell’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 108 del 2017 faccia esclusivo riferimento ai limiti di ammissibilità delle intercettazioni posti dall’art. 266 cod. proc. pen., in quanto hanno rilevato, in fattispecie analoga alla presente, relativa all’utilizzabilità delle chat intercorse sul sistema criptato di SkyEcc e acquisite dall’autorità giudiziaria francese, che « non risulta configurabile la violazione delle garanzie previste dalla Direttiva 2014-41-UE… per il caso di captazioni disposte all’estero ed effettuate nei confronti di persone il cui «indirizzo di comunicazione» è attivato in Italia.., perché le stesse sono state disposte in ordine a reati per i quali la legge italiana prevede la possibilità di ricorrere a tale mezzo di ricerca della prova, e, in particolare, per reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di traffico di sostanze stupefacenti (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, NOME, Rv. 286589 – 04, par. 18.5.4 del considerato in diritto).
5.3. Il Collegio ritiene di aderire a questa interpretazione, in quanto l’art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 108 del 2017 non richiede al giudice italiano un controllo di ammissibilità delle intercettazioni eseguite dallo Stato membro che impone
l’integrale applicazione della disciplina italiana (sulla consistenza indiziaria, sulla necessità di ricorrere alle intercettazioni, etc.), ma solo un controllo, in via generale e astratta, sull’ammissibilità, nella valutazione del legislatore, dell’intercettazione per quel tipo di reato e sul tipo di intercettazione eseguito.
Questa interpretazione, del resto, non contrasta con il diritto dell’Unione, ma dà attuazione al principio del mutuo riconoscimento e della rapida circolazione delle decisioni giudiziarie in materia di prova nell’Unione, in quanto la verifica dei presupposti procedurali per disporre l’intercettazione (e, dunque, anche dell’idoneità degli indizi raccolti a fondare il ricorso alla captazione) è demandata esclusivamente all’autorità giudiziaria dello Stato membro che la esegue.
I considerando 2, 6 e 19 della direttiva 2014/41/UE precisano che l’ordine europeo di indagine è uno strumento che rientra nella cooperazione giudiziaria in materia penale di cui all’articolo 82, paragrafo 1, TFUE, che si fonda sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie.
Tale principio, che costituisce la «pietra angolare» della cooperazione giudiziaria in materia penale, è a sua volta fondato sulla fiducia reciproca nonché sulla presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, in particolare, i diritti fondamentali (v., in tal senso, Corte Giustizia 11/11/2021, Gavanozov, § 54; Corte Giustizia, 8/12/2020, Staatsanwaltschaft Wien, § 40; Corte Giustizia, 24/10/2019, Gavanozov, § 35).
5.4. Proprio il riferimento a questi principi dimostra la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente relativamente alla diversa ampiezza del sindacato giudiziale (nella previsione dell’art. 31, §3 della direttiva 2014/41 e nell’art. 24, secondo comma, d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108) nelle intercettazioni disposte in esecuzione della disciplina dell’ordine europeo di indagine, in ragione della necessità o meno dell’assistenza tecnica di un altro Stato.
Quando le intercettazioni disposte da uno Stato membro necessitano dell’assistenza tecnica di altro Stato, il doppio controllo di legalità è maggiormente stringente, in quanto la misura, pur disposta pur in conformità alla lex fori, deve necessariamente essere riconosciuta secondo la lex foci.
Nel caso, invece, in cui l’intercettazione sia disposta da uno Stato membro senza richiesta di assistenza tecnica, il provvedimento è adottato integralmente sulla base della lex fori.
L’unico limite imposto dal diritto dall’Unione è quello volto a verificare che la captazione sia ammessa per quel tipo di reato dall’ordinamento della persona che si trovi in altro Stato membro e, dunque, che sia rispettato il bilanciamento tra libertà di comunicazione e legittime esigenze investigative posto dalla legislazione di tale Stato.
La profonda differenza che intercorre tra le due situazioni prospettate esclude che la diversa disciplina dettata dal legislatore italiano, peraltro, in ottemperanza ai vincoli posti dagli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. possa integrare un’irragionevole disparità di trattamento, suscettiva di essere devoluta all’esame della Corte costituzionale.
Le censure formulate dal ricorrente sono, dunque, anche sotto questo profilo infondate.
5.5. Il Tribunale di Reggio Calabria ha, dunque, legittimamente ritenuto pienamente utilizzabili nel caso di specie le chat acquisite dall’autorità giudiziaria francese, pur in assenza della prova della notifica delle intercettazioni disposte, in quanto le stesse sono state eseguite per reati relativi al narcotraffico che ammettono il ricorso alle captazioni delle conversazioni anche nell’ordinamento processuale italiano.
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere rigettato.
Il ricorrentedeve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.