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Prove da comunicazioni criptate: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato in custodia cautelare, confermando la piena utilizzabilità delle prove da comunicazioni criptate ottenute da un’autorità giudiziaria francese tramite un servizio di messaggistica. La difesa sosteneva l’inutilizzabilità per violazione delle norme sulle intercettazioni e per mancata notifica all’Italia. La Corte ha stabilito che l’acquisizione di dati già decrittati non è un’intercettazione, ma una circolazione di prove regolata dall’ordine europeo di indagine e dal principio di mutuo riconoscimento, limitando il controllo del giudice italiano alla sola ammissibilità del reato per cui si procede alle intercettazioni secondo la legge nazionale.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prove da comunicazioni criptate: la Cassazione fa chiarezza sulla loro utilizzabilità

La Suprema Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato una questione cruciale per il processo penale moderno: l’utilizzabilità delle prove da comunicazioni criptate ottenute da autorità giudiziarie straniere. La decisione consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale, basato sul principio di mutuo riconoscimento tra Stati membri dell’Unione Europea, e chiarisce i confini del controllo del giudice italiano su tali prove.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato dalla difesa di un soggetto sottoposto a custodia cautelare in carcere per reati legati al narcotraffico. La misura cautelare si fondava in modo significativo su prove acquisite tramite un Ordine Europeo di Indagine (OEI) da parte delle autorità giudiziarie francesi. Tali prove consistevano in conversazioni scambiate su una piattaforma di messaggistica cifrata, che le autorità francesi erano riuscite a decrittare nell’ambito di un’altra indagine.

Le Doglianze del Ricorrente e l’uso delle prove da comunicazioni criptate

La difesa ha contestato la legittimità dell’ordinanza cautelare, sollevando diverse eccezioni sull’utilizzabilità delle chat. I motivi del ricorso si concentravano su tre punti principali:
1. Natura dell’acquisizione: Secondo i legali, l’acquisizione dei messaggi doveva essere equiparata a un’intercettazione di comunicazioni e, di conseguenza, assoggettata alle rigide garanzie previste dal codice di procedura penale italiano.
2. Violazione del diritto di difesa: La difesa lamentava l’impossibilità di verificare le modalità di acquisizione, decrittazione e conservazione dei dati originali (i cosiddetti “dati grezzi”), ritenendo leso il diritto a un equo processo.
3. Mancata notifica all’Italia: Il punto più contestato era l’omessa notifica da parte dell’autorità francese all’autorità italiana, prevista dalla Direttiva 2014/41/UE (art. 31) quando l’intercettazione riguarda un utente che si trova sul territorio di un altro Stato membro. Tale omissione, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto comportare l’inutilizzabilità delle prove.

La questione della “doppia conformità”

La difesa ha inoltre sostenuto che la normativa italiana di recepimento della direttiva europea creerebbe una disparità di trattamento incostituzionale. Mentre nel caso di intercettazioni attive, con assistenza tecnica richiesta all’Italia, il controllo giurisdizionale è più stringente, nel caso di intercettazioni eseguite all’estero senza assistenza e notificate, il controllo del giudice italiano sarebbe limitato alla verifica che il reato contestato rientri tra quelli per cui la legge italiana ammette le intercettazioni. Questa differenza, secondo i legali, violerebbe i principi di uguaglianza e ragionevolezza.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo infondate tutte le censure. La sentenza si articola su argomentazioni precise che definiscono il quadro normativo applicabile.

In primo luogo, la Corte ha ribadito un principio già affermato dalle Sezioni Unite: l’acquisizione di comunicazioni già avvenute, decrittate e in possesso di un’autorità giudiziaria estera, non costituisce un’attività di “intercettazione” in senso tecnico. Si tratta, invece, di un atto di acquisizione di prove documentali che rientra nella disciplina della circolazione delle prove tra procedimenti penali, gestita tramite l’Ordine Europeo di Indagine. Pertanto, non si applicano le garanzie procedurali previste per le intercettazioni in corso, come l’autorizzazione preventiva del giudice.

Per quanto riguarda la presunta violazione del diritto di difesa, la Corte ha ricordato che l’onere di provare una violazione dei diritti fondamentali nel procedimento estero grava sulla parte che la eccepisce. La semplice impossibilità di accedere all’algoritmo di decrittazione o ai dati grezzi non è sufficiente, di per sé, a determinare l’inutilizzabilità delle prove, salvo specifiche allegazioni di alterazione dei dati.

Il punto centrale della decisione riguarda la mancata notifica da parte delle autorità francesi. La Corte, pur ammettendo che il controllo sulla notifica possa essere effettuato anche in sede cautelare, ha concluso che la sua eventuale assenza non determina l’inutilizzabilità delle prove nel caso specifico. Il controllo del giudice italiano, previsto dalla direttiva e dalla legge nazionale, è finalizzato a verificare se l’intercettazione sarebbe stata ammissibile “in un caso interno analogo”. Questo controllo, secondo l’interpretazione della Corte, si limita a una verifica astratta e generale: il reato per cui l’autorità estera ha proceduto (in questo caso, associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico) deve essere uno di quelli per i quali l’ordinamento italiano consente il ricorso alle intercettazioni. Non è richiesto un controllo sul merito, come la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, che resta di esclusiva competenza dell’autorità che ha emesso il provvedimento.

Le Conclusioni

La sentenza della Cassazione stabilisce con fermezza che l’utilizzabilità delle prove da comunicazioni criptate, acquisite da un altro Stato membro dell’UE, si fonda sul principio di fiducia e mutuo riconoscimento. Il controllo del giudice nazionale non è una duplicazione del giudizio svolto all’estero, ma una verifica di compatibilità del reato con l’ordinamento interno. La Corte ha ritenuto che questa interpretazione, pur limitando la portata del controllo, sia pienamente conforme al diritto dell’Unione e non crei alcuna disparità di trattamento incostituzionale, data la profonda differenza tra le situazioni procedurali.

Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche: rafforza l’efficacia dell’Ordine Europeo di Indagine e conferma la possibilità per gli inquirenti italiani di utilizzare prove digitali cruciali raccolte da partner europei, bilanciando le esigenze investigative con il rispetto dei principi fondamentali del giusto processo.

L’acquisizione dall’estero di chat già decrittate è considerata un’intercettazione secondo la legge italiana?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’acquisizione di comunicazioni già avvenute, decrittate e in possesso di un’autorità giudiziaria estera, non è un’intercettazione ma un’acquisizione di prove documentali, regolata dall’Ordine Europeo di Indagine e dalle norme sulla circolazione delle prove.

Cosa succede se l’autorità giudiziaria estera non notifica all’Italia un’intercettazione su un utente presente sul territorio italiano?
Secondo la sentenza, anche in assenza di notifica, il giudice italiano può effettuare un controllo successivo. Tale controllo è limitato a verificare se il reato per cui si procede all’estero è uno di quelli per i quali la legge italiana ammette le intercettazioni. Se questa condizione è soddisfatta, come nel caso di narcotraffico, le prove sono utilizzabili.

È possibile contestare l’utilizzabilità delle prove digitali estere per violazione del diritto di difesa?
Sì, ma spetta alla difesa allegare e provare fatti specifici da cui si possa desumere una violazione dei diritti fondamentali, come l’alterazione dei dati. La semplice impossibilità di accedere ai dati grezzi o alle chiavi di decrittazione non è, di per sé, sufficiente a rendere le prove inutilizzabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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