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Prove da comunicazioni criptate: la Cassazione decide

Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23756/2024, hanno risolto un importante contrasto giurisprudenziale sull’utilizzabilità delle prove da comunicazioni criptate, acquisite tramite Ordine Europeo di Indagine (OEI) da un’autorità giudiziaria straniera. Il caso riguardava messaggi provenienti da una nota piattaforma criptata, usati come prova in un procedimento per traffico internazionale di stupefacenti. La Corte ha stabilito che l’acquisizione di tali dati, in quanto prove già esistenti e a disposizione dell’autorità estera, non richiede una preventiva autorizzazione del giudice italiano. La disciplina di riferimento è l’art. 270 c.p.p. (uso di intercettazioni in altri procedimenti) e non l’art. 234-bis c.p.p. L’utilizzabilità è ammessa, salvo che la difesa fornisca prova concreta della violazione di diritti fondamentali.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prove da comunicazioni criptate: Le Sezioni Unite fanno chiarezza sull’uso dei dati

L’avanzata tecnologica ha introdotto nuove sfide nel mondo del diritto, specialmente in ambito penale. L’uso diffuso di piattaforme di comunicazione criptata da parte della criminalità organizzata ha reso cruciale per gli inquirenti poter accedere a tali conversazioni. Una recente e fondamentale sentenza delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione (n. 23756 del 2024) ha finalmente delineato un quadro normativo chiaro sull’acquisizione e l’utilizzo delle prove da comunicazioni criptate ottenute tramite cooperazione giudiziaria europea.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’indagine per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Le prove principali a carico di due indagati erano costituite da messaggi scambiati su una nota piattaforma di comunicazione cifrata, nota per garantire l’anonimato. Questi dati non sono stati ottenuti tramite un’intercettazione diretta delle autorità italiane, bensì acquisiti dall’autorità giudiziaria francese, che era riuscita a penetrare e decriptare i server della piattaforma. Successivamente, la Procura italiana ha ottenuto la trasmissione di questi dati tramite un Ordine Europeo di Indagine (OEI).

L’Utilizzo delle prove da comunicazioni criptate e le Doglianze dei Ricorrenti

La difesa degli indagati ha sollevato numerose eccezioni, sostenendo l’inutilizzabilità dei messaggi. I principali motivi di ricorso si fondavano su tre argomenti chiave:

1. Violazione del diritto di difesa: Mancata acquisizione degli atti originali francesi che autorizzavano l’intercettazione, impedendo di verificarne la legittimità.
2. Qualificazione giuridica errata: L’ordinanza impugnata aveva qualificato l’attività come acquisizione di documenti (ex art. 234-bis c.p.p.), mentre la difesa sosteneva si trattasse di vere e proprie intercettazioni, soggette a garanzie procedurali molto più stringenti.
3. Violazione dei presupposti dell’OEI: Si contestava che l’intercettazione originaria fosse stata massiva e indiscriminata, violando i principi di necessità e proporzionalità, e che mancassero le garanzie procedurali previste dalla legge italiana (come il deposito delle registrazioni).

L’Analisi delle Sezioni Unite: Prove Già Esistenti vs. Intercettazioni in Diretta

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella distinzione fondamentale tra l’acquisizione di prove già formate e disponibili presso un’autorità estera e la richiesta di compiere un nuovo atto di indagine, come un’intercettazione in tempo reale. Le Sezioni Unite hanno chiarito che, nel caso di specie, l’autorità italiana non ha chiesto alla Francia di ‘intercettare’, ma di ‘trasmettere’ i risultati di un’attività di captazione già conclusa. Si tratta, quindi, di una procedura di ‘circolazione della prova’ e non di ‘formazione della prova’.

Il Principio di Diritto: L’Art. 270 c.p.p. come Norma di Riferimento

Sulla base di questa distinzione, la Corte ha stabilito che la norma di riferimento non è l’art. 234-bis c.p.p. (relativo all’acquisizione diretta di documenti all’estero), ma l’art. 270 del codice di procedura penale. Questa norma disciplina l’utilizzabilità dei risultati di intercettazioni effettuate in un altro procedimento. L’applicazione di questo articolo comporta una conseguenza procedurale di enorme rilievo: il pubblico ministero può acquisire i verbali e le registrazioni da un altro procedimento (anche straniero, tramite OEI) senza la necessità di una preventiva autorizzazione del giudice. Il controllo giurisdizionale non è eliminato, ma semplicemente posticipato: avverrà nel momento in cui il giudice del procedimento ‘di destinazione’ dovrà valutare l’ammissibilità e la rilevanza di quelle prove.

Le Motivazioni

La Corte ha rigettato le censure difensive sulla base di un solido impianto motivazionale. Innanzitutto, ha ribadito il principio di presunzione di legittimità degli atti compiuti da un’altra autorità giudiziaria UE, in base alla fiducia reciproca su cui si fonda lo spazio di giustizia europeo. L’onere di provare una violazione dei diritti fondamentali ricade sulla parte che la eccepisce. L’emissione di un OEI da parte del PM per acquisire prove da comunicazioni criptate già esistenti è ammissibile perché l’ordinamento italiano consente al PM di acquisire i risultati di intercettazioni da altri procedimenti. Anche l’uso di un captatore informatico sui server non costituisce un mezzo di prova atipico, ma una modalità tecnica per eseguire un’intercettazione, compatibile con il sistema italiano. Infine, la Corte ha specificato che l’impossibilità di analizzare l’algoritmo di decriptazione non costituisce, di per sé, una violazione del diritto di difesa, poiché il legame inscindibile tra messaggio e chiave di cifratura offre una garanzia intrinseca contro l’alterazione dei dati.

Le Conclusioni

La sentenza n. 23756/2024 delle Sezioni Unite rappresenta un punto fermo nella gestione processuale delle moderne forme di criminalità. I principi affermati sono chiari:

1. L’acquisizione di risultati di intercettazioni su piattaforme criptate, già svolte da un’autorità straniera, rientra nella disciplina dell’art. 270 c.p.p.
2. Il pubblico ministero può richiedere tali prove tramite OEI senza una preventiva autorizzazione del giudice.
3. Le prove così ottenute sono utilizzabili, a meno che il giudice non riscontri una violazione dei diritti fondamentali.
4. L’onere di allegare e provare tale violazione grava sulla difesa.

Questa decisione fornisce agli inquirenti uno strumento procedurale chiaro ed efficace per contrastare i reati più gravi, bilanciando le esigenze investigative con la tutela dei diritti fondamentali nel processo penale.

È necessaria l’autorizzazione di un giudice italiano perché il pubblico ministero possa acquisire, tramite Ordine Europeo di Indagine, i risultati di intercettazioni già svolte all’estero su una piattaforma criptata?
No, la Corte ha stabilito che per l’acquisizione di prove già in possesso delle autorità di un altro Stato membro (in questo caso, i messaggi decriptati), il pubblico ministero italiano può procedere direttamente senza una preventiva autorizzazione del giudice. Il controllo del giudice avverrà successivamente, al momento di valutare l’utilizzabilità di tali prove nel procedimento.

Qual è la disciplina applicabile all’acquisizione di messaggi scambiati su chat criptate e già acquisiti da un’autorità straniera?
La disciplina applicabile è quella dell’art. 270 del codice di procedura penale, che regola l’utilizzazione dei risultati di intercettazioni in procedimenti diversi. Non si applica l’art. 234-bis c.p.p. (acquisizione di documenti informatici all’estero), in quanto la procedura tramite Ordine Europeo di Indagine è uno strumento di collaborazione giudiziaria che prevale.

L’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo di decriptazione viola i diritti fondamentali?
No, secondo la Corte, la mancata disponibilità dell’algoritmo non determina di per sé una violazione dei diritti fondamentali. Si presume che l’alterazione dei dati sia improbabile, poiché il contenuto di un messaggio è inscindibilmente legato alla sua chiave di cifratura. Spetta alla difesa fornire allegazioni specifiche e concrete su possibili alterazioni dei dati per contestarne l’affidabilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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