Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30032 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30032 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato a Locri il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 21/07/2023 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Reggio Calabria confermava, in sede di riesame, l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, che aveva applicato all’indagato NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di cui agli artt. 7 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990, 512-bis e 648-ter.1 cod. pen.
Il ricorrente era ritenuto gravemente indiziato della partecipazione, in qualità di promotore, dirigente e finanziatore, ad una associazione dedita al narcotraffico, con importazione di carichi di stupefacente che giungevano al porto di Gioia Tauro
dove venivano esfiltrati per essere poi rivenduti, nonché della partecipazione a vari reati fine di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 ed episodi di autoriciclaggi e di trasferimento fraudolento di valori.
Il Tribunale dava atto che il materiale indiziario era rappresentato principalmente da chat, generate da sofisticati sistemi di comunicazione criptati, associati a sim-card estere, utilizzate dagli indagati per organizzare in modo scuro i traffici di droga, e acquisite attraverso specifici ordini di indagini europei seguito o.e.i.) rivolti dalla Procura inquirente alle autorità giudiziarie francesi.
L’acquisizione con l’o.e.i. aveva avuto ad oggetto prove già acquisite in Francia nel corso di autonome investigazioni lì svolte e aventi ad oggetto comunicazioni già effettuate, decifrate e conservate in Francia presso il relativo server.
L’autorità francese aveva trasmesso su CD i file integrali, estratti dal server e decriptati delle comunicazioni riferibili allo specifico PIN oggetto di richiesta.
La Procura aveva individuato, tramite indagini di polizia giudiziaria (analizzando in particolare il traffico telefonico “ufficiale” degli indagati), i collegati alla piattaforma informatica di interesse (nella specie quella del sistema Sky ECC) utilizzati dagli indagati.
Tali prove, secondo il Tribunale, potevano essere utilizzate in Italia – in quanto prova statica già esistente – alla stregua dell’art. 234-bis cod. proc. pen., stante il consenso del titolare dei documenti (che andava individuato nella autorità giudiziaria francese).
Quanto alla impossibilità della difesa di verificare la corrispondenza tra il dato originale e quello trasmesso (essendo avvenuta già in Francia l’operazione di decriptazione delle chat e non essendo stati offerti i criteri di decifrazione e segnatamente l’algoritmo), il Tribunale riteneva che la difesa avesse avanzato una censura astratta sulla possibilità di verifica, non avendo indicato alcun elemento per dubitare della legittimità della prova così come acquisita in Francia secondo la lex loci e in base ad un provvedimento del giudice francese per l’acquisizione di dati informatici.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, denunciando, a mezzo dei suoi difensori, i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 125, 266, 267, 191 e 271 cod. proc. pen. e alla eccezione di inutilizzabilità dei dati presenti nelle chat scambiate attraverso la piattaforma RAGIONE_SOCIALE ECC ed acquisite con o.e.i.
Il compendio investigativo si fonda per gran parte su dette comunicazioni.
Le conclusioni sulla utilizzabilità di dette comunicazioni cui è giunto il Tribunale sono errate in quanto “a monte” l’autorità francese aveva acquisito le chat non ex post ma nel momento in cui venivano scambiate dagli interlocutori (tanto che il sistema non prevede la memorizzazione delle chat). Quindi il Tribunale avrebbe dovuto confrontarsi con le regole sull’utilizzabilità di detta prova in Italia a stregua del regime delle intercettazioni.
Peraltro, non è dato conoscere come sia stata autorizzata ed eseguita l’attività di intercettazione (autorizzazione, durata e modalità esecutive).
2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 234-bis cod. proc. pen. per assenza di indicazioni circa l’algoritmo utilizzato come “chiave di decifratura” dei messaggi e mancanza di motivazione sulla assenza di specifici 0.E.I relativi al ricorrente.
La difesa segnalava con memoria che si era in presenza di attività di intercettazione e che agli atti non vi era alcun atto autorizzativo riguardante il cripto-telefonino che si assume in uso al ricorrente o ad RAGIONE_SOCIALE coinvolti nell’indagine, con la conseguente impossibilità di verificare la presenza di un atto autorizzativo motivato.
Il Tribunale non ha risposto alla questione e comunque erroneamente ha ritenuto di qualificare l’esito di una attività di intercettazione c:ome documenti ex art. 234-bis cod. proc. pen., pur in assenza di specifico o.e.i. riguardanti la posizione apicale del ricorrente.
Dell’attività investigativa francese non è dato alla difesa di conoscere nulla anche con riferimento al modo con cui si sia realizzato l’abbinamento IMEI-PIN, essendo stato messo a disposizione il solo dato finale già decriptato, con il ricorso indispensabile ad un algoritmo come chiave di cifratura.
Il Tribunale ha ritenuto illegittimamente che non fosse diritto della difesa di poter accedere alla fonte diretta delle chat per verificare la correttezza delle operazioni di decifratura, limitandosi a definire “generica” la doglianza difensiva sul punto, senza chiarire che cosa la difesa avrebbe potuto provare in assenza di tali dati.
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 191 e 729 cod. proc. pen.
Dagli atti relativi all’o.e.i. si rileva che oggetto della richiesta non erano le so chat decriptate ma ogni ulteriore informazione in possesso dell’autorità giudiziaria francese relativa alle utenze connesse ai dispositivi.
L’autorità francese ha trasmesso i soli CD con i file integrali, estratti dal server e decriptati, delle comunicazioni richieste.
Tale materiale andava vagliato ai sensi dell’art. 729 cod. proc. pen. per il mancato rispetto delle modalità previste dall’autorità roganl:e, che avrebbero consentito di verificare il modus operandi degli inquirenti rispetto agli strumenti, ,—–ai metodi e alle attività di identificazione degli indagati (associati ai telefonini).
In tal modo risulta pregiudicata la catena di genuinità della prova.
Quanto al ricorrente, il Tribunale ha attribuito al medesimo un determinato account (Pin) con non meglio precisati “incroci di dati”, senza che gli stessi fossero verifica bili.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla gravità indiziaria per la partecipazione con ruolo apicale al reato associativo.
Il ricorrente in base alle chat non ha fatto altro che eseguire alla lettera altrui direttive e non ha mai utilizzato proprie risorse per finanziare gli acquisti d stupefacente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va complessivamente rigettato.
I primi tre motivi possono essere affrontati insieme, alla luce dei principi di recente affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, che si sono pronunciate in merito alle questioni di diritto sollevate dal ricorrente, tra l’altro anche c riferimento ai ricorsi di RAGIONE_SOCIALE indagati del medesimo procedimento (c.d. Eureka) (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, COGNOME; Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME).
Anche nei casi sottoposti alle Sezioni Unite il compendio indiziario posto alla base delle misure cautelari personali era costituito principalmente da elementi acquisiti tramite o.e.i. da parte dell’autorità giudiziaria italiana (nella speci pubblico ministero) e segnatamente da comunicazioni scambiate su chat di gruppo mediante un sistema cifrato, e già a disposizione dell’autorità giudiziaria francese.
In primo luogo, le Sezioni Unite hanno chiarito che, trattandosi di prove già disponibili in Francia, tanto per la competenza ad emettere l’o.e.i. tanto per le condizioni di ammissibilità ed utilizzabilità delle prove così acquisite, occorreva far riferimento al sistema di circolazione delle prove nel processo penale italiano.
Il pubblico ministero e, più in generale, la parte che vi ha interesse possono, nell’ordinamento italiano, chiedere ed ottenere la disponibilità di prove già formate in un procedimento penale al fine di produrle in un altro procedimento penale, senza necessità di alcuna autorizzazione preventiva da parte del giudice competente per quest’ultimo. Ciò anche nel caso di prove, come le intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, per la cui formazione è indispensabile la preventiva autorizzazione del giudice competente.
Se non occorre la preventiva autorizzazione, sul piano generale resta invece impregiudicato il potere del giudice competente del procedimento penale ad quem
di valutare se le prove così acquisite siano ammissibili e utilizzabili ai fini dell decisione: tale assetto si ricava dalle regole dettate dagli artt. 238, 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen.
Questo comporta dunque che anche gli atti oggetto dell’o.e.i. costituenti «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione» possono essere legittimamente richiesti e acquisiti dal pubblico ministero italiano senza la necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si vorrebbe utilizzarli.
Spetta invece al giudice nazionale al quale il pubblico ministero presenterà le prove così acquisite di controllare se vi siano le condizioni per emettere l’o.e.i. e per utilizzarle nel processo italiano.
Le Sezioni Unite hanno poi affrontato la questione controversa della corretta qualificazione dell’atto trasmesso tramite l’o.e.i.
Questione, che anche il presente ricorso solleva.
In mancanza di certezze sul materiale acquisito all’estero – ovvero se lo stesso consisteva o meno in risultati di intercettazioni svolte in Francia – le Sezioni Unite hanno esaminato le possibili soluzioni prospettate dall’ordinanza impugnata e dalla difesa.
4.1. Nei casi sottoposti all’esame delle Sezioni Unite, le ordinanze impugnate – al pari della ordinanza relativa al presente ricorso – avevano ritenuto che le trascrizioni di queste chat costituissero “documenti informatici”, acquisiti ex art. 234-bis cod. proc. pen.
Soluzione che le Sezioni Unite hanno escluso, chiarendo che l’art. 234-bis disciplina non un mezzo di prova, bensì una modalità di acquisizione di particolari tipologie di elementi di prova presenti all’estero, che viene attuata in via “diretta dall’autorità giudiziaria italiana e prescinde da qualunque forma di collaborazione con le autorità dello Stato in cui tali dati sono custoditi (in RAGIONE_SOCIALE termini sono d informatici disponibili al pubblico e quindi “accessibili” – senza autorizzazione dello Stato territoriale – dall’autorità giudiziaria procedente).
Secondo le Sezioni Unite, poteva venire invece in considerazione la nozione di “prova documentale” ex art. 234 cod. pen., in quanto essa può ricomprendere anche le comunicazioni elettroniche, ancorché per alcune tipologie di documenti siano previste regole specifiche, come nel caso della tutela accordata dall’art. 15 Cost. alla corrispondenza (anche di tipo messaggistico, come precisato dalla Corte costituzionale), che tuttavia non richiede per la sua acquisizione processuale un provvedimento del giudice, ma solo un atto motivato dell’a.g.
4.2. Nel caso invece che gli atti acquisiti siano il risultato di intercettazioni gi effettuate in via autonoma in Francia, le Sezioni Unite hanno ribaditoe è (h
(– ‘
sufficiente che il relativo o.e.i. sia emesso dal pubblico ministero, avendo questi lo stesso potere sul piano interno.
Mentre il parametro di riferimento nel sistema processuale nazionale per verificare l’esistenza delle condizioni di ammissibilità dell’o.e.i. e di utilizzabi della prova è costituito dalla disciplina prevista dall’art. 270 cod. proc. pen.
Con la conseguenza che vengono in applicazione i seguenti corollari:
i risultati delle intercettazioni possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali le operazioni sono state disposte solo se «risultino rilevanti ed indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatori l’arresto in flagranza»
ai fini dell’utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazio comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo, in quanto l’art. 270 cod. proc. pen. prevede esclusivamente il deposito, presso l’autorità giudiziaria competente per il “diverso” procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime, né sono RAGIONE_SOCIALEmenti previste sanzioni di inutilizzabilità (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229244 – 01, e Sez. 1, n. 49627 del 14/11/2023, COGNOME, Rv. 285579).
grava sulla parte che eccepisce l’invalidità o l’inutilizzabilità dell intercettazioni provenienti da altro procedimento l’onere di allegare e provare il fatto dal quale dipende la patologia denunciata (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229245 – 01), e, quindi, nel caso di censura concernente il vizio di motivazione apparente, di produrre sia il decreto di autorizzazione emesso nel procedimento diverso sia il documento al quale esso rinvia (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229246, nonché Sez. 1, n. 11168 del 18/02/2019, COGNOME, Rv. 274996);
nel caso di acquisizione degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale siano state rilasciate le relative autorizzazioni, il controllo del giudice sulla legalità dell’ammissione dell’esecuzione delle operazioni – di carattere meramente incidentale e, come tale, ininfluente nel procedimento a quo riguarda esclusivamente la serietà e la specificità delle esigenze investigative, come individuate dal P.M. in relazione alla fattispecie criminosa ipotizzata, e non comporta alcuna valutazione di fondatezza, neanche sul piano indiziario, della ipotesi in questione (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229247);
l’omesso deposito degli atti relativi, ivi compresi i nastri di registrazione presso l’autorità competente per il diverso procedimento, non ne determina l’inutilizzabilità, in quanto detta sanzione non è prevista dall’art. 270 cod. proc. pen. e non rientra nel novero di quelle di cui all’art. 271 cod. proc. pen. aventi
carattere tassativo (così ex plurimis: Sez. 5, n. 1801 del 16/07/2015, dep. 2016, Tunno, Rv. 266410 – 01; Sez. 5, n. 14783 del 13/03/2009, COGNOME, Rv. 243609 – 01; Sez. 6, n. 27042 del 18/02/2008, COGNOME, Rv. 240972);
la trasmissione dei risultati delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni dal procedimento in cui sono state disposte ad altro procedimento in cui si intende utilizzarle non richiede alcun intervento preventivo da parte del giudice di quest’ultimo, al fine di autorizzare le parti interessate a procedere all’acquisizione di copia dei relativi atti, perché tale intervento non è previst dall’art. 270 cod. proc. pen., né è imposto da altre disposizioni o dal sistema normativo.
4.3. I principi sopra affermati sono applicabili, secondo le Sezioni Unite, anche quando le operazioni di intercettazioni siano state realizzate all’estero con l’inserimento di un captatore informatico sui server della piattaforma di un sistema informatico o telematico, al fine di acquisire le chiavi di cifratura dell comunicazioni, custodite nei dispositivi dei singoli utenti.
Tale mezzo investigativo opera un’intrusione nel domicilio informatico di una persona allo scopo di captare non comunicazioni, ma dati necessari per rendere intellegibili le comunicazioni.
Secondo le Sezioni Unite, anche nel nostro sistema, deve ritenersi ammissibile, ai fini dell’utile effettuazione di intercettazioni telefoniche e ambientali, l’autorizzazione, da parte del giudice, del compimento di quegli atti che ne costituiscono una naturale e necessaria modalità attuativa, pur quando gli stessi comportino l’intrusione nel dispositivo elettronico di una persona.
All’esito di tale impostazione, le Sezioni Unite hanno ritenuto che dalla inapplicabilità dell’art. 234-bis cod. proc. pen. non derivasse di per sé la illegittimità dell’acquisizione e Vinutilizzabilità dei dati trasmessi con Vo.e.i.
5.1. Invero, l’errore di qualificazione in cui erano incorse le ordinanze impugnate non ne determinava l’annullamento, in quanto nel caso sussistevano comunque le condizioni necessarie per emettere legittimamente l’o.e.i.
In particolare:
anche a voler ritenere, come prospettato dalla difesa, che le prove trasmesse siano qualificabili come risultati di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, la loro acquisizione poteva essere effettuata sulla base di o.e.i. emesso dal pubblico ministero in assenza di preventiva autorizzazione del giudice, come sopra già indicato;
gli atti ottenuti mediante o.e.i. erano stati inoltre richiesti in quanto riten «rilevanti ed indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatori l’arresto in flagranza»;
GLYPH
c(è
l’asserita violazione delle garanzie procedimentali di cui all’art. 268, commi 6, 7 e 8, cod. proc. pen. non rileva ai fini delle condizioni di ammissibilità di cu all’art. 6, paragrafo 1, lett. b), Direttiva cit., ma viene in considerazione in u fase successiva e di controllo, sicché la loro attuazione può essere differita anche dopo l’utilizzazione degli esiti delle captazioni a fini cautelari.
5.2. Quanto all’utilizzabilità delle prove, le Sezioni unite hanno chiarito i riparto di competenze tra Stato di esecuzione e Stato di emissione dell’o.e.i.
5.2.1. Le questioni relative all’esecuzione dell’o.e.i (quindi anche alla trasmissione degli atti) sono proponibili in linea generale solo nello Stato di esecuzione, al quale compete la verifica della regolarità degli atti ivi compiuti.
Nel caso affrontato dalle Sezioni Unite, il ricorrente aveva eccepito con il riesame la incompleta trasmissione degli atti autorizzativi emessi in Francia e la Suprema Corte ha rilevato che la difesa non aveva nemmeno allegato con il ricorso di aver presentato istanza a quell’autorità per contestare tale punto.
Tra l’altro, come ha rilevato il Supremo Consesso, non risultavano, né erano state indicate, disposizioni da cui desumere la giuridica necessità dell’acquisizione e del deposito, nel procedimento in Italia, dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria straniera aventi ad oggetto l’autorizzazione di attività di indagine in un procedimento pendente davanti ad essa, i cui esiti sono stati successivamente richiesti dall’autorità giudiziaria italiana mediante o.e.i.
Lo stesso 270 cod. proc. pen. nulla prevede al riguardo.
5.2.2. Il principio della applicazione della lex loci nell’esecuzione dell’o.e.i, se comporta l’esclusione quindi della proponibilità di questioni ad essa relativa nello Stato di emissione, fa «salve le garanzie dei diritti fondamentali nello Stato di esecuzione» (art. 14 Direttiva OEI).
La soluzione accolta, del resto, corrisponde alla costante tradizione del nostro ordinamento, e alla consolidata elaborazione della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di rogatoria internazionale, trovano applicazione le norme processuali dello Stato in cui l’atto viene compiuto, con l’unico limite che la prova non può essere acquisita in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano e dunque con il diritto di difesa (mentre irrilevante è la mera inosservanza delle regole dettate dal codice di rito dello Stato italiano richiedente).
Nel sistema della Direttiva 2014/41/UE, è inoltre espressamente riconosciuto il principio della «presunzione relativa che gli RAGIONE_SOCIALE Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, in particolare, i diritti fondamentali» (Corte giustizia, 11/11/2021, Gavanozov, C-852/19, § 54; cfr., nello stesso senso, Corte giustizia, 08/12/2020, Staatsanwaltschaft Wien, C-584/19, § 40). Il che comporta dunque che anche nello Stato di emissione va assicurato il rispetto di tali diritti.
5.3. Ciò premesso, le Sezioni Unite hanno affermato che, ai fini dell’accertamento del “rispetto dei diritti fondamentali”, assumono rilievo i seguenti principi:
della presunzione relativa di conformità ai diritti fondamentali dell’attività svolta dall’autorità giudiziaria estera nell’ambito di rapporti di collaborazione ai fi dell’acquisizione di prove;
e dell’onere per la difesa di allegare e provare il fatto dal quale dipende la violazione denunciata (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244329 01, e, in termini analoghi, Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229245).
5.4. Quanto ai «diritti fondamentali» da rispettare in caso di risultati di intercettazioni, le Sezioni Unite hanno rammentato l’elaborazione in materia della giurisprudenza della Corte EDU e delle condizioni poste dalla specifica disciplina fissata nella Direttiva 2014/41/UE.
Ed in particolare:
le intercettazioni non autorizzate da un giudice o da un’autorità indipendente, e le intercettazioni disposte sulla base di provvedimenti non motivati in ordine all’esistenza in concreto dei presupposti richiesti dalla legge per procedervi, si pongono in contrasto con i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU;
non emerge un divieto di effettuare intercettazioni di vaste proporzioni, purché siano previste efficaci garanzie contro rischi di abusi e di arbitri nelle fasi dell’adozione della misura, della sua esecuzione e del controllo successivo (cfr. Corte EDU, Grande Camera, 25/05/2021, Big Brother Watch ed RAGIONE_SOCIALE c. Regno Unito, e Corte EDU, Grande Camera, 25/05/2021, Centrum fiir Ràttvisa c. Svezia, le quali, sebbene con riguardo ad intercettazioni effettuate dai servizi segreti e non nell’ambito di un procedimento penale, hanno escluso che, in generale, le c.d. “intercettazioni di massa”, anche quando disposte per contrastare attività delittuose concernenti il traffico di sostanze illecite, integrino una violazione degl artt. 8 e 10 CEDU, se effettuate nel rispetto di “dovute” garanzie).
non esiste l’incompatibilità con le garanzie della CEDU della trasmissione dei risultati di intercettazioni disposte in un procedimento penale ad un diverso procedimento penale da parte di un pubblico ministero;
neppure determina, almeno in linea di principio, una violazione di «diritti fondamentali» l’impossibilità, per la difesa, di accedere all’algoritmo utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazioni per “criptare” il contenuto delle stesse (se la disponibilità dell’algoritmo di criptazione è funzionale al controll dell’affidabilità del contenuto delle comunicazioni acquisite al procedimento, è onere infatti della difesa dedurre specifiche allegazioni di segno contrario, quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato a GLYPH sua
chiave di cifratura, per cui una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo, anche solo parzialmente (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 46833 del 26/10/2023, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 6 n. 48838 dell’11/10/2023, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 16347 del 05/04/2023, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022, dep. 2023, COGNOME, non mass. sul punto); né la giurisprudenza sovranazionale risulta aver affermato che l’indisponibilità dell’algoritmo di decriptazione agli atti del processo costituisca, per sé, violazione dei «diritti fondamentali» (così Corte EDU, Grande Camera, 26/09/2023, NOME c. Turchia, § 336);
in ogni caso, inoltre, resta fermo che l’onere dell’allegazione e della prova in ordine ai fatti da cui desumere la violazione dei «diritti fondamentali» grava sulla parte interessata;
quanto poi alla Direttiva, è prevista l’inutilizzabilità dei risultat intercettazioni disposte da autorità di altro Stato ed effettuate nei confronti d persone il cui «indirizzo di comunicazione» è attivato in Italia sussiste solo se l’autorità giudiziaria italiana rileva che le captazioni non sarebbero state consentite «in un caso interno analogo», perché disposte per un reato per il quale la legge nazionale non prevede la possibilità di ricorrere a tale mezzo di ricerca della prova.
Affrontati alla stregua di tali principi i ricorsi, le Sezioni Unite hanno ritenu soddisfatta la condizione di ammissibilità posta dall’art. 6, par. 1, lett. a), Direttiva 2014/41/UE, relativa alla necessità e proporzionalità delle attività richieste mediante o.e.i., anche in considerazione dei diritti degli indagati.
L’esame di tale profilo deve essere compiuto avendo riguardo al procedimento nel cui ambito è emesso l’ordine europeo di indagine. E, nella specie, l’o.e.i. risulta formulato con espresso riferimento all’acquisizione delle comunicazioni relative a persone nominativamente indicate, tra le quali i ricorrenti, in quel momento già sottoposte ad indagini per i reati di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di cocaina e di acquisto, detenzione, importazione e cessione di partite di tale sostanza stupefacente.
I dati probatori trasmessi dall’autorità giudiziaria francese sono stati acquisiti in un procedimento penale pendente davanti ad essa sulla base di provvedimenti autorizzativi adottati da un giudice in relazione ad indagini per gravi reati, ed ampiamente motivati in ordine all’esistenza in concreto dei presupposti ritenuti necessari dalla giurisprudenza della Corte EDU.
Le Sezioni Unite hanno escluso anche la plausibilità della prospettazione difensiva secondo cui le autorità francesi avrebbero effettuato intercettazioni generalizzate ed indiscriminate.
Il ricorso al sistema Sky-Ecc, per le modalità di accesso, per la impenetrabilità dall’esterno, e per l’utilizzo che risulta esserne stato fatto, costituiva una concreta e specifica fonte indiziante a carico dei singoli utenti proprio con riguardo a tali reati.
Il sistema Sky-Ecc, per le garanzie di anonimato assicurate agli utenti, non è certamente compatibile con la disciplina italiana, che richiede l’identificazione degli stessi, mediante l’acquisizione di dati anagrafici riportati su un documento di identità, prima dell’attivazione anche di singole componenti di servizi di telefonia mobile (cfr. art. 98-undetricies d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259).
I provvedimenti dell’autorità giudiziaria francese evidenziavano che: a) l’acquisto del singolo dispositivo richiedeva il versamento di parecchie migliaia di euro in funzione di una utilizzazione limitata ad alcuni mesi e, quindi, lasciava presupporre la percezione di elevati «redditi conseguenti»; b) la vendita dei singoli dispositivi avveniva in condizioni di clandestinità, tali da garantire l’anonimato del venditore e dell’acquirente, anche perché effettuata dietro pagamenti in contanti, con conseguente esclusione della tracciabilità delle operazioni; c) il gestore del sistema di crittografia garantiva il massimo anonimato delle comunicazioni, in quanto precisava esplicitamente sul sito internet di non conservare alcun dato diverso da quello concernente l’apertura del rapporto e da quello della sua ultima utilizzazione; d) il sistema di crittografia era estremamente sofisticato, in quanto caratterizzato da ben quattro chiavi di cifratura, memorizzate in luoghi diversi.
Le medesime ordinanze, poi, anche facendo richiamo ad episodi specifici, rappresentano che il sistema Sky-Ecc è stato utilizzato da organizzazioni criminali operanti in Francia, in Belgio, nei Paesi Bassi e a livello internazionale, proprio in materia di traffico di sostanze stupefacenti. Espongono, ancora, che l’inserimento del captatore informatico sui server della piattaforma della società Sky-Ecc è da ritenere indispensabile perché unico mezzo per decifrare i messaggi individuali degli utilizzatori del sistema di crittografia in questione, determinare il livello utilizzazione criminale dello stesso, identificare i dirigenti della società “RAGIONE_SOCIALE” che lo gestisce e conoscere i legami di costoro con le organizzazioni criminali.
Le indagini francesi miravano anche ad individuare i dirigenti della società preposta alla gestione del sistema Sky-Ecc e a precisare il loro livello di coinvolgimento nelle attività illecite degli utenti.
Le Sezioni Unite hanno infine escluso che l’indisponibilità delle chiavi di cifratura necessarie per rendere le comunicazioni acquisite intelligibili costituisca una violazione dei diritti di difesa e della garanzia di un giusto processo, alla luce sia del rilievo che la conoscibilità dell’algoritmo di criptazione attiene no all’acquisibilità o all’utilizzabilità dei dati relativi alle comunicazioni, ma alla ver
di affidabilità del loro contenuto; sia della genericità delle critiche sulla asseri alterazione dei dati.
7. Va rilevato infine che, a seguito delle richiamate decisioni delle Sezioni Unite, sui temi in esame si è pronunciata la Corte di giustizia dell’Unione europea (Corte giust. UE, Grande Sezione, 30 aprile 2024, C-670/22, M.N., EncroChat), affermando il principio secondo cui l’art. 6, par. 1, lett. b) , della direttiva 2014/41 non richiede – neppure in una situazione come quella in cui i dati in questione sono stati raccolti dalle autorità competenti dello Stato di esecuzione nel territorio dello Stato di emissione e nell’interesse di quest’ultimo – che l’emissione di un ordine europeo di indagine diretto alla trasmissione di prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione sia soggetta alle stesse condizioni sostanziali applicabili, nello Stato di emissione, in materia di raccolta di tali prove.
Infatti, alla luce del principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie, che è alla base della cooperazione giudiziaria in materia penale, l’autorità di emissione non è autorizzata a controllare la regolarità del procedimento distinto mediante il quale lo Stato membro di esecuzione ha raccolto le prove già in possesso di quest’ultimo e di cui l’autorità di emissione chiede la trasmissione.
Sotto altro, ma connesso profilo, occorre tuttavia considerare che la disposizione di cui all’art. 6, par. 1, lett. a), della citata direttiva 2014/41 consente l’emissione di un ordine europeo di indagine anche nell’ipotesi in cui l’integrità dei dati intercettati non possa essere verificata in tale fase della procedura a causa della riservatezza delle basi tecniche dell’intercettazione, purché il diritto ad un processo equo venga garantito nel corso del successivo procedimento penale. Infatti, l’integrità delle prove trasmesse può, in linea di principio, essere valutat solo nel momento in cui le autorità competenti dispongono effettivamente delle prove di cui trattasi.
Per tale ragione la Corte di Lussemburgo ha altresì precisato che l’art. 14, par. 7, della richiamata direttiva 2014/41 impone agli Stati membri di assicurare, senza pregiudizio dell’applicazione delle norme processuali nazionali, che nel procedimento penale avviato nello Stato di emissione siano rispettati i diritti della difesa e sia garantito un giusto processo nell’ambito della valutazione delle prove acquisite tramite l’ordine europeo di indagine. Di conseguenza, quando un organo giurisdizionale nazionale considera che una parte non è in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni su un tale elemento di prova che sia idoneo ad influire in modo preponderante sulla valutazione dei fatti, tale organo giurisdizionale deve constatare una violazione del diritto a un processo equo ed espungere tale elemento di prova.
Declinati i suddetti principi in relazione al caso in esame, nessuno dei primi tre motivi può portare all’annullamento dell’ordinanza impugnata.
8.1. Quanto alla qualificazione giuridica dell’atto trasmesso, anche nel caso in esame, la corretta soluzione indicata dalla difesa (ovvero che non si verta nell’ipotesi di cui all’art. 234-bis cod. proc. pen., bensì di risultati di intercettaz già disposte autonomamente in Francia) non comporta riflessi sulla ammissibilità e utilizzabilità della prova trasmessa.
Con il primo motivo, la difesa ha invero soltanto allegato la erronea applicazione degli artt. 266-bis e 267 cod. proc. pen., senza tuttavia specificare le violazioni rilevanti.
8.2. Quanto alla mancata acquisizione dei provvedimenti francesi (dedotta con il secondo e terzo motivo), le Sezioni Unite hanno da un lato chiarito che la questione della completezza del materiale trasmesso dalle autorità francesi va posta davanti a tali autorità e dall’altro che spetta alla parte che eccepisce l’inutilizzabilità dei risultati delle captazioni produrre i provvedimenti da c discende il vizio.
Pertanto, il ricorso risulta infondato in relazione ad entrambe le suddette affermazioni.
8.3. In ordine al mancato accesso alle chat e alle operazioni di decifratura (secondo motivo), è sufficiente rinviare a quanto sul punto chiarito dalle Sezioni Unite.
Anche nel presente caso, le deduzioni della difesa si presentano astratte e non in grado di superare la presunzione di legittimità degli atti compiuti all’estero, mentre alcuna istanza risulta essere stata avanzata presso lo Stato di esecuzione per accedere direttamente agli atti.
Resta in ogni caso fermo il principio affermato dalla Corte di giustizia, in ordine al diritto della difesa di poter svolgere nel corso del procedimento in relazione alla prova acquisita tramite l’o.e.i. le prerogative, nel rispetto del diritto nazionale proprie del contraddittorio e del giusto processo.
8.4. Quanto alla questione dell’associazione dei Pin all’utente (terzo motivo), il motivo è aspecifico posto che il Tribunale ha spiegato alle pag. 8-10 come si sia pervenuti ad associare al ricorrente le chat correlate a determinati dispositivi telefonici.
Con l’ultimo motivo il ricorrente ha contestato la ritenuta gravità indiziaria con riferimento al ruolo apicale attribuito al ricorrente.
Il motivo è,in primo luogo, non privo di interesse, posto che il Tribunale fondato su tale ruolo la motivazione in punto di esigenze cautelari.
Le censure sono comunque generiche, in quanto reiterano la medesima questione sollevata in sede di riesame, senza confrontarsi con la analitica risposta fornita sul punto (pagg. 15-17) dal Tribunale.
Conclusivamente, sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il O i /2024.