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Prove da chat criptate: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato per narcotraffico, la cui misura cautelare si basava su prove da chat criptate ottenute dalla Francia tramite Ordine di Indagine Europeo (O.E.I.). La Corte ha stabilito la piena utilizzabilità di tali prove, conformandosi ai recenti principi espressi dalle Sezioni Unite e dalla Corte di Giustizia UE. È stato chiarito che si tratta di acquisizione di prove preesistenti, non di intercettazioni, e che la legalità della raccolta originaria è presunta, con l’onere per la difesa di dimostrare specifiche violazioni dei diritti fondamentali.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prove da Chat Criptate: la Cassazione consolida il nuovo orientamento

L’utilizzo di prove da chat criptate nei processi penali è uno dei temi più dibattuti e complessi della giurisprudenza moderna. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 30032/2024, torna sulla questione, consolidando i principi già espressi dalle Sezioni Unite e dalla Corte di Giustizia Europea. Il caso riguarda un’indagine per narcotraffico internazionale basata in larga parte su conversazioni acquisite da una piattaforma di comunicazione sicura, ottenute tramite un Ordine di Indagine Europeo (O.E.I.). Vediamo nel dettaglio la decisione e le sue implicazioni.

I Fatti di Causa

Il procedimento nasce da un’indagine su un’associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di valori. L’impianto accusatorio si fondava in modo significativo su conversazioni scambiate tramite una nota piattaforma di comunicazione criptata. Tali comunicazioni, già decifrate e conservate dalle autorità francesi nel corso di una loro autonoma indagine, erano state trasmesse alla Procura italiana tramite un Ordine di Indagine Europeo.

L’indagato, destinatario di una misura di custodia cautelare in carcere, proponeva ricorso per cassazione, contestando la legittimità e l’utilizzabilità di tali prove digitali.

L’Utilizzo di Prove da Chat Criptate: I Motivi del Ricorso

La difesa dell’indagato ha sollevato diverse eccezioni, incentrate sulla presunta violazione delle norme processuali italiane in materia di intercettazioni. I motivi principali del ricorso erano i seguenti:

1. Errata qualificazione giuridica: Le chat non potevano essere considerate semplici ‘documenti’ (art. 234-bis c.p.p.), ma l’esito di un’attività di intercettazione captata in tempo reale. Pertanto, la loro acquisizione avrebbe dovuto seguire le rigide garanzie previste per le intercettazioni (artt. 266 ss. c.p.p.).
2. Mancanza di autorizzazione e controllo: La difesa lamentava l’assenza agli atti dei provvedimenti autorizzativi francesi e l’impossibilità di verificare la legittimità dell’intera operazione, inclusi i criteri e l’algoritmo di decifrazione.
3. Violazione del diritto di difesa: L’impossibilità di accedere alla ‘fonte’ originale dei dati e all’algoritmo di decriptazione avrebbe impedito un’efficace difesa, pregiudicando la verifica della genuinità e integrità delle prove.

Prove da Chat Criptate: L’Analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, basando la sua decisione sui recenti e fondamentali arresti delle Sezioni Unite (sentenze ‘Giorgi’ e ‘Gjuzi’) e sulla successiva pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (caso ‘EncroChat’). La Suprema Corte ha chiarito che l’acquisizione tramite O.E.I. di dati già in possesso di un’autorità giudiziaria estera rientra nel sistema di circolazione delle prove e non richiede una nuova autorizzazione come se fosse una nuova intercettazione.

La Corte ribadisce che si tratta di acquisizione di una prova ‘statica’ e preesistente. La regolarità della sua originaria raccolta è disciplinata dalla lex loci, ovvero la legge francese, e si presume conforme ai diritti fondamentali, secondo il principio di reciproca fiducia tra gli Stati membri dell’UE.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della sentenza si articolano su alcuni pilastri fondamentali:

* Qualificazione della Prova: Le chat acquisite in questo modo non sono il frutto di una intercettazione ‘italiana’, ma sono ‘risultati’ di intercettazioni già legittimamente eseguite all’estero. La loro acquisizione in Italia segue le regole sulla prova documentale o, al più, quelle sull’utilizzo di risultati di intercettazioni provenienti da un diverso procedimento (art. 270 c.p.p.), che non richiede la produzione del decreto autorizzativo originario.
* Onere della Prova a Carico della Difesa: Spetta alla parte che eccepisce l’inutilizzabilità allegare e provare i fatti specifici da cui deriverebbe la violazione dei diritti fondamentali. Le censure generiche sull’impossibilità di verificare l’algoritmo di decifrazione non sono sufficienti a superare la presunzione di legittimità degli atti compiuti dallo Stato estero.
* Principio del Reciproco Riconoscimento: L’autorità giudiziaria italiana non può sindacare la regolarità del procedimento estero, salvo che non emerga una palese violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento. Il diritto di difesa è garantito nel procedimento italiano, dove la prova acquisita può essere oggetto di contraddittorio.
Integrità della Prova: La Corte di Giustizia UE ha specificato che l’integrità delle prove può essere valutata nel procedimento ad quem* (quello italiano), garantendo un processo equo. Se un organo giurisdizionale ritiene che la difesa non possa effettivamente contestare una prova, deve disapplicarla.

Conclusioni

La sentenza consolida un principio di cruciale importanza per la cooperazione giudiziaria europea e la lotta alla criminalità organizzata. L’acquisizione di prove da chat criptate tramite Ordine di Indagine Europeo è una procedura legittima e valida. La decisione chiarisce che il baricentro del controllo si sposta dalla verifica formale degli atti compiuti all’estero alla garanzia sostanziale di un giusto processo in Italia. La difesa, per ottenere l’inutilizzabilità di tali prove, non può limitarsi a contestazioni astratte, ma deve fornire elementi concreti che dimostrino una specifica e grave violazione dei propri diritti fondamentali.

È possibile utilizzare in un processo penale italiano le trascrizioni di chat criptate ottenute da un altro Stato dell’Unione Europea?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che è possibile. Se le prove sono già state raccolte e sono in possesso dell’autorità giudiziaria estera, possono essere acquisite tramite un Ordine di Indagine Europeo (O.E.I.). Non vengono considerate come nuove intercettazioni, ma come prove documentali preesistenti, la cui utilizzabilità è ammessa.

A chi spetta dimostrare che la raccolta delle chat all’estero è avvenuta illegalmente?
L’onere di provare l’eventuale illegalità spetta alla difesa. Vige un principio di presunzione di legittimità degli atti compiuti dalle autorità di un altro Stato membro dell’UE. La difesa non può limitarsi a una contestazione generica, ma deve allegare e provare fatti specifici che dimostrino una violazione dei diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento.

La difesa ha il diritto di accedere all’algoritmo usato per decifrare le comunicazioni?
No, la sentenza chiarisce che, in linea di principio, non sussiste un diritto della difesa ad accedere all’algoritmo di decriptazione. L’impossibilità di accedere a tale algoritmo non costituisce di per sé una violazione dei diritti fondamentali, a meno che la difesa non fornisca elementi specifici per dubitare della genuinità e affidabilità del contenuto delle comunicazioni decifrate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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