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Prove da chat criptate: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione ha confermato una misura di custodia cautelare per associazione mafiosa, basata su prove da chat criptate acquisite da un altro Stato UE tramite Ordine di Indagine Europeo (O.I.E.). La sentenza ribadisce i principi delle Sezioni Unite: tali prove sono utilizzabili e spetta alla difesa dimostrare una concreta violazione dei diritti fondamentali, non essendo sufficiente una mera difformità dalle procedure italiane. È stata inoltre confermata la possibilità di provare la continuità operativa di una cosca sulla base di precedenti sentenze irrevocabili.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prove da Chat Criptate: La Cassazione Consolida i Principi sull’Utilizzabilità

L’uso di prove da chat criptate nei processi penali è uno dei temi più dibattuti e tecnicamente complessi degli ultimi anni. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna ad affrontare la questione, consolidando l’orientamento già tracciato dalle Sezioni Unite. La pronuncia offre importanti chiarimenti sull’utilizzabilità delle comunicazioni digitali acquisite all’estero tramite Ordine di Indagine Europeo (O.I.E.), specialmente in contesti di criminalità organizzata.

I Fatti del Caso: Associazione Mafiosa e Comunicazioni Cifrate

Il caso origina da un’indagine su un presunto affiliato a una nota cosca della ‘ndrangheta. A suo carico, il Tribunale aveva disposto la custodia cautelare in carcere sulla base di gravi indizi di colpevolezza per il reato di associazione mafiosa, ai sensi dell’art. 416-bis del codice penale. L’elemento probatorio decisivo era costituito da una serie di conversazioni avvenute su una piattaforma di chat cifrata, acquisite dalle autorità italiane tramite un Ordine di Indagine Europeo emesso verso le autorità giudiziarie francesi, le quali erano riuscite a decriptare il sistema di comunicazione.

La difesa dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione, articolando diversi motivi, tra cui spiccava la presunta inutilizzabilità delle chat. Secondo il ricorrente, la captazione sarebbe avvenuta senza un valido provvedimento autorizzativo e con modalità non conformi alla legge italiana, assimilando l’operazione a un’intercettazione illegittima.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, dichiarandolo in parte infondato e in parte inammissibile. I giudici hanno confermato la piena legittimità dell’ordinanza cautelare, ritenendo le prove da chat criptate pienamente utilizzabili nel procedimento. La decisione si fonda sull’applicazione rigorosa dei principi stabiliti dalle recenti sentenze “Giorgi” e “Gjuzi” delle Sezioni Unite, che hanno tracciato le linee guida per la gestione di prove digitali provenienti da altri Stati membri dell’Unione Europea.

Le Motivazioni: Analisi sull’Utilizzabilità delle Prove da Chat Criptate

La Corte ha smontato le argomentazioni difensive attraverso un’analisi dettagliata, che tocca i punti nevralgici della cooperazione giudiziaria europea e del diritto processuale interno.

L’Ordine di Indagine Europeo e i Principi delle Sezioni Unite

Il punto centrale della motivazione riguarda la corretta qualificazione dell’attività investigativa. La Cassazione chiarisce che non si tratta di un’intercettazione disposta ex novo dall’Italia, ma dell’acquisizione di prove già esistenti e nella disponibilità di un’autorità giudiziaria straniera (quella francese). In questo scenario, lo strumento corretto è l’Ordine di Indagine Europeo, che regola la circolazione delle prove tra Stati membri.

Seguendo l’insegnamento delle Sezioni Unite, la Corte ribadisce che:
1. Si applica la lex loci: La regolarità delle procedure con cui la prova è stata originariamente raccolta deve essere valutata secondo la legge dello Stato di esecuzione (in questo caso, la Francia).
2. Presunzione di conformità: Esiste una presunzione che gli Stati membri dell’UE rispettino i diritti fondamentali. Non si può dare per scontata una violazione.
3. Onere della difesa: Spetta alla parte che eccepisce l’inutilizzabilità allegare e provare in modo specifico la violazione di un diritto fondamentale, non essendo sufficiente lamentare la mancata osservanza delle norme procedurali italiane. Deduzioni generiche o “esplorative” sono inammissibili.

La Continuità del Sodalizio Mafioso

Un altro aspetto rilevante affrontato dalla sentenza è la prova della persistente operatività dell’associazione mafiosa. La difesa sosteneva che i fatti contestati fossero troppo limitati nel tempo per dimostrare che la cosca fosse ancora attiva. La Corte respinge questa tesi, richiamando l’art. 238-bis c.p.p., che consente di utilizzare sentenze irrevocabili precedenti come prova dell’esistenza storica di un’associazione criminale. In questi casi, l’onere dell’accusa non è di provare da zero l’esistenza del sodalizio, ma di dimostrarne la continuità operativa. Attività come il supporto ai latitanti e il sostentamento alle famiglie dei detenuti sono state considerate dalla Corte come chiari indicatori di tale continuità, smentendo la tesi difensiva.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza consolida un quadro giuridico chiaro e stabile per l’utilizzo di prove digitali transnazionali. Le conclusioni pratiche sono significative:
– Le prove da chat criptate acquisite tramite O.I.E. da un altro Stato membro sono, in linea di principio, utilizzabili nel processo penale italiano.
– La difesa non può limitarsi a contestare genericamente le modalità di acquisizione, ma deve fornire elementi concreti che dimostrino una palese violazione dei diritti fondamentali garantiti a livello europeo.
– Viene rafforzato il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie in ambito UE, rendendo più fluida ed efficace la cooperazione investigativa contro la criminalità organizzata.
– Si conferma la validità probatoria delle sentenze passate in giudicato per dimostrare la storicità e la struttura di un sodalizio mafioso, semplificando l’onere probatorio dell’accusa nei processi che ne documentano la continuità.

Le chat criptate ottenute da un altro Stato UE tramite Ordine di Indagine Europeo sono utilizzabili come prova in Italia?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che tali prove sono utilizzabili. Non si tratta di nuove intercettazioni soggette alla legge italiana, ma dell’acquisizione di prove già formate e disponibili presso l’autorità di un altro Stato membro, la cui circolazione è regolata dall’O.I.E.

A chi spetta l’onere di dimostrare che le prove acquisite all’estero violano i diritti fondamentali?
L’onere spetta alla difesa. Secondo la Corte, non è sufficiente lamentare una generica difformità dalle procedure italiane. La difesa deve allegare e provare in modo specifico e concreto che l’acquisizione della prova all’estero ha comportato una violazione dei diritti fondamentali della persona, superando la presunzione di legittimità degli atti compiuti da un altro Stato membro dell’UE.

Una precedente condanna per associazione mafiosa può essere usata per provare che la cosca è ancora attiva?
Sì, una sentenza irrevocabile che accerta l’esistenza di un’associazione mafiosa costituisce prova della sua storicità e struttura. Per i fatti successivi, l’accusa dovrà dimostrare la continuità operativa del sodalizio, ma non la sua esistenza ex novo. Attività come il supporto ai latitanti o alle famiglie dei detenuti sono considerate indici di tale continuità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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