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Prove da chat criptate: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di custodia cautelare per traffico di stupefacenti basato su prove da chat criptate ottenute da autorità estere tramite un Ordine Europeo di Indagine. La difesa ha sollevato questioni sulla legittimità dell’acquisizione e sull’utilizzabilità dei dati. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando che l’acquisizione di dati già raccolti e decifrati da un’autorità di un altro Stato membro è legittima in base al principio di reciproco riconoscimento, senza che il giudice italiano debba riesaminare le procedure estere, salvo la violazione di diritti fondamentali.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prove da Chat Criptate Estere: La Cassazione Fa Chiarezza

L’uso di piattaforme di comunicazione criptata nel mondo del crimine organizzato rappresenta una sfida costante per le autorità inquirenti. La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 44047/2024, affronta un tema cruciale: l’utilizzabilità delle prove da chat criptate ottenute da uno Stato estero. La decisione offre importanti chiarimenti sulle procedure di cooperazione giudiziaria europea e sul bilanciamento tra esigenze investigative e diritto di difesa.

I Fatti di Causa

Il caso nasce da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di un soggetto indagato per un grave delitto legato al traffico internazionale di stupefacenti. L’impianto accusatorio si fondava in larga parte sui contenuti di conversazioni avvenute su una nota piattaforma di comunicazione cifrata. Questi dati erano stati acquisiti e decriptati dalle autorità giudiziarie francesi nel corso di un’altra indagine e successivamente trasmessi alla Procura italiana tramite un Ordine Europeo di Indagine (O.E.I.).

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando una serie di complesse questioni procedurali, tra cui:
* La nullità del procedimento di riesame per la produzione tardiva di atti da parte del Pubblico Ministero.
* L’illegittimità dell’acquisizione dei messaggi telematici, qualificandola come un’intercettazione non autorizzata secondo le norme italiane.
* La violazione del diritto di difesa per la mancata consegna dei flussi telematici grezzi e della chiave di decriptazione, che avrebbe impedito di verificare l’autenticità e l’integrità dei dati.
* L’illegittimità dell’uso di strumenti come l’IMSI Catcher per l’identificazione dell’indagato.

La Decisione della Corte e le prove da chat criptate

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in tutti i suoi motivi. La sentenza analizza punto per punto le censure della difesa, stabilendo principi di diritto fondamentali per la gestione di casi simili.

Sulla Produzione Tardiva degli Atti in Riesame

La Corte ha chiarito che la produzione di nuovi elementi di prova durante l’udienza di riesame è ammessa. Tuttavia, per salvaguardare il contraddittorio, il giudice deve concedere alla difesa un termine congruo per esaminare la nuova documentazione. Nel caso di specie, il Tribunale aveva correttamente sospeso l’udienza, garantendo così il pieno esercizio del diritto di difesa.

Sull’Utilizzo di Prove da Chat Criptate Ottenute all’Estero

Questo è il cuore della decisione. La Cassazione, allineandosi a recenti pronunce delle Sezioni Unite, ha stabilito che l’acquisizione di messaggi già raccolti e conservati su server esteri non costituisce un’attività di intercettazione in tempo reale, ma piuttosto l’acquisizione di prove documentali. Quando tale acquisizione avviene tramite un Ordine Europeo di Indagine, si applica la disciplina sulla circolazione delle prove tra procedimenti penali e il principio del reciproco riconoscimento tra Stati membri dell’UE.

Di conseguenza, il giudice italiano non è tenuto a verificare la regolarità della procedura con cui le autorità francesi hanno originariamente raccolto i dati. Vige una presunzione di legittimità dell’attività svolta dall’autorità straniera. Il controllo del giudice italiano è limitato alla verifica che non vi sia stata una violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento e dei diritti della persona.

Sull’Accesso alla Chiave di Cifratura

La Corte ha ribadito un principio consolidato: la difesa non ha un diritto incondizionato ad accedere all’algoritmo o alla chiave di decriptazione. L’indisponibilità di tali elementi non costituisce, di per sé, una lesione del diritto di difesa. Spetta alla parte che contesta l’autenticità dei dati fornire allegazioni specifiche e concrete su possibili alterazioni, non essendo sufficiente una generica doglianza.

Sull’Uso dell’IMSI Catcher

Infine, la sentenza ha precisato che l’impiego di un IMSI Catcher al solo fine di identificare un’utenza telefonica e localizzarla non è un’attività di intercettazione, ma un’attività di indagine preliminare della polizia giudiziaria. Come tale, non necessita di un preventivo decreto autorizzativo del giudice, essendo prodromica all’eventuale successiva richiesta di intercettazione vera e propria.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano sul robusto quadro normativo della cooperazione giudiziaria europea, in particolare sulla Direttiva relativa all’Ordine Europeo di Indagine. La decisione è imperniata sul principio di fiducia e reciproco riconoscimento, pilastro della collaborazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri. Si presume che ogni Stato agisca nel rispetto dei diritti fondamentali, e il sindacato del giudice dello Stato di esecuzione (l’Italia, in questo caso) è eccezionale e limitato alle violazioni più gravi.

La sentenza distingue nettamente tra l’acquisizione di un flusso di comunicazioni in tempo reale (intercettazione) e l’acquisizione di dati già esistenti e memorizzati (prova documentale). Questa distinzione è decisiva, perché determina l’applicazione di regimi procedurali e garanzie differenti. Nel caso di specie, avendo le autorità francesi già completato l’acquisizione e la decifrazione, i dati trasmessi all’Italia sono stati correttamente qualificati come prove documentali provenienti da un altro procedimento penale, la cui utilizzabilità è ammessa dalla legge.

Conclusioni

La sentenza n. 44047/2024 della Corte di Cassazione rappresenta un punto fermo nella giurisprudenza sull’uso delle prove da chat criptate nel processo penale. Essa consolida un approccio che favorisce la cooperazione investigativa internazionale, ritenuta indispensabile per contrastare la criminalità organizzata transnazionale. Allo stesso tempo, traccia i confini del diritto di difesa, richiedendo che le contestazioni sulla genuinità delle prove digitali siano specifiche e circostanziate, non meramente esplorative. Per gli operatori del diritto, questa pronuncia offre un vademecum chiaro su come gestire le complesse prove digitali provenienti da indagini estere, bilanciando efficacemente le esigenze di giustizia e le garanzie individuali.

È possibile utilizzare in un processo italiano i dati di una chat criptata acquisiti da un’autorità straniera?
Sì, è possibile. Se i dati sono già stati acquisiti e decriptati da un’autorità di un altro Stato membro dell’UE, possono essere trasmessi e utilizzati in Italia tramite un Ordine Europeo di Indagine. In tal caso, sono considerati come prove documentali provenienti da un altro procedimento.

Il giudice italiano deve verificare se l’acquisizione delle prove all’estero ha rispettato la legge straniera?
No, di norma non deve farlo. In base al principio del reciproco riconoscimento e della fiducia tra Stati membri dell’UE, si presume che l’attività investigativa svolta all’estero sia legittima. Il controllo del giudice italiano è limitato a verificare che non siano stati violati i principi fondamentali del proprio ordinamento e i diritti inalienabili della persona.

La difesa ha diritto a ottenere la chiave di decriptazione dei messaggi per verificarne l’autenticità?
No, non esiste un diritto assoluto ad ottenere l’algoritmo o la chiave di decriptazione. Secondo la Cassazione, la mancata disponibilità di tali elementi non costituisce automaticamente una violazione del diritto di difesa. È onere della difesa allegare elementi specifici e concreti che facciano dubitare dell’integrità o dell’autenticità dei dati trascritti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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