Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 16355 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 16355 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato a Polistena il 11/06/1990
avverso la sentenza del 26/09/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26/09/2024, la Corte d’appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza del 19/10/2023 del G.u.p. del Tribunale di Palmi, emessa in esito a giudizio abbreviato: 1) assolveva NOME COGNOME dal reato di porto illegale in luogo pubblico di un’arma comune da sparo di cui al capo B) dell’imputazione (essendo stato il COGNOME già assolto dal reato di detenzione illegale della stessa arma dal G.u.p. del Tribunale di Palmi); 2) confermava la condanna dello stesso COGNOME per il reato di rapina pluriaggravata (dall’essere stata la minaccia commessa con armi e da persona travisata) in concorso (con un altro soggetto non identificato) ai danni del corriere NOME COGNOME di cui al capo A)
dell’imputazione; 3) rideterminava in cinque anni e quattro mesi di reclusione ed C 3.000,00 di multa la pena irrogata al COGNOME per tale reato di rapina.
Avverso tale sentenza del 26/09/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la violazione di legge e il vizio della motivazione «in relazione all’art. 192 c.p.p.».
Il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Reggio Calabria abbia fondato il proprio convincimento in ordine alla sua responsabilità valorizzando un’immagine, che raffigurerebbe la targa TARGA_VEICOLO dell’autovettura (Mitsubishi Space Star), risultata a lui in uso, che non era «stata oggetto di alcuna verifica tecnica circa la sua attendibilità e genuinità».
Il ricorrente rappresenta in proposito le seguenti «criticità»: «a. Assenza di perizia tecnica volta ad accertare: – L’autenticità del frame estratto; – La qualità dell’immagine e la sua effettiva capacità di rendere leggibile una targa automobilistica; – L’assenza di manipolazioni o alterazioni del file; La compatibilità tra le condizioni di ripresa e la nitidezza dell’immagine. b. Illuminazione presente al momento della ripresa; – Distanza e angolazione della telecamera rispetto all’autoveicolo; – Risoluzione dell’immagine e sua capacità di rendere nitidamente leggibili i caratteri alfanumerici della targa del veicolo».
Ciò rappresentato, il COGNOME deduce che la motivazione sarebbe manifestamente illogica «laddove fonda un elemento decisivo di prova su un dato non adeguatamente verificato nella sua attendibilità scientifica», atteso che «a semplice presenza di un file nel fascicolo e la mera indicazione del percorso informatico per reperire il file non può sostituire la necessaria valutazione tecnica della sua attendibilità e della sua capacità rappresentativa».
La Corte d’appello di Reggio Calabria avrebbe violato le regole dettate dall’art. 192 cod. proc. pen. in tema di valutazione della prova, «omettendo di sottoporre ad adeguata verifica tecnica un elemento probatorio decisivo e fondando il proprio convincimento su un dato la cui attendibilità non è stata oggetto di specifico accertamento peritale».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio della motivazione «in relazione alla valutazione delle prove testimoniali e documentali».
Secondo il COGNOME, la Corte d’appello di Reggio Calabria avrebbe omesso di considerare degli elementi probatori decisivi che avrebbero dimostrato la sua estraneità ai fatti che gli venivano contestati.
Anzitutto, l’elemento che la persona offesa NOME COGNOME aveva affermato che l’esecutore materiale della rapina indossava una maglietta rossa mentre le immagini delle telecamere “Bagalà” e “Fondacaro” mostravano chiaramente un soggetto che indossava una maglietta bianca. La Corte d’appello di Reggio Calabria avrebbe «liquidato questa evidente discrepanza alla stregua di una mera “discrasia” dovuta allo stato emotivo della vittima, senza fornire alcuna motivazione logica sul perché un elemento così significativo ai fini identificativi sia stato ritenuto irrilevante».
In secondo luogo, la Corte d’appello di Reggio Calabria avrebbe «completamente ignorata» la circostanza che nessuno dei testimoni oculari, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME aveva fornito elementi utili all’identificazione degli autori della rapina.
In terzo luogo, le immagini che erano state riprese dalle telecamere di sorveglianza dimostravano che l’autovettura Mitsubishi Space Star era transitata con oltre un minuto (precisamente, 64 secondi) di ritardo rispetto al furgone del corriere. Il Sesini rappresenta che tale significativo intervallo temporale rendeva impossibile l’ipotesi del pedinamento, considerato anche che il percorso si snodava tra incroci e traverse, e contesta che la Corte d’appello avrebbe «omesso di motivare come fosse possibile un pedinamento con un tale ritardo temporale».
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio della motivazione «in relazione alla determinazione della pena».
Secondo il COGNOME, la Corte d’appello di Reggio Calabria avrebbe irrogato «una pena eccessivamente elevata senza fornire adeguata motivazione».
Il ricorrente lamenta anzitutto che la Corte d’appello abbia determinato la pena in misura superiore al minimo edittale nonostante non fosse stata commessa violenza nei confronti della persona offesa e richiamando genericamente i precedenti penali dell’imputato «senza spiegare perché essi giustifichino un tale aumento di pena».
In secondo luogo, il Sesini denuncia che non sarebbe stata «fornita alcuna motivazione sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, essendosi la Corte limitata a un generico riferimento alla gravità del fatto».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello di Reggio Calabria ha utilizzato un’immagine di un video contenuto in un DVD che era presente nel fascicolo del pubblico ministero, video che era relativo alle riprese della telecamera di videosorveglianza che era installata
presso l’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE“, nelle adiacenze del quale l’autovettura Mitsubishi Space Star di colore viola si era fermata.
A tale riguardo, si deve anzitutto dire come il suddetto video, in quanto era presente nel fascicolo del pubblico ministero, fosse senz’altro utilizzabile, atteso che, nel giudizio abbreviato, che era stato richiesto dall’imputato COGNOME, sono utilizzabili ai fini della decisione tutti gli atti che sono stati legittimamente acqu al suddetto fascicolo (art. 442, comma 1, cod. proc. pen.).
A proposito di siffatti video, si deve poi rammentare che la Corte di cassazione ha avuto modo di precisare che le videoregistrazioni effettuate dai privati con telecamere di sicurezza sono prove documentali rappresentative, ex art. 234 cod. proc. pen., sicché per la loro utilizzazione in giudizio non è necessario procedere alla diretta visione nel contraddittorio delle parti, alle quali è garanti il diritto di prenderne visione e di ottenerne copia (Sez. 5, n. 31831 del 06/10/2020, Comune, Rv. 279776-01. Nel senso che le videoregistrazioni in luoghi pubblici o aperti al pubblico, non effettuate nell’ambito del processo penale, vanno incluse nella categoria dei documenti: Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234267-01).
Venendo alla videoregistrazione che è stata utilizzata dalla Corte d’appello di Reggio Calabria, si deve evidenziare: a) quanto alla sua genuinità e all’assenza di manipolazioni o di alterazioni, come la Corte d’appello abbia dato atto trattarsi della «ripresa della telecamera installata nel citato esercizio “RAGIONE_SOCIALE“»; b) quanto alla sua capacità rappresentativa, come la stessa Corte d’appello – che aveva proceduto alla visione diretta in camera di consiglio delle registrazioni delle telecamere di videosorveglianza (come si dà atto a pag. 3 della sentenza impugnata) -, abbia rilevato come da una delle immagini registrate dalla telecamera del suddetto esercizio commerciale la targa dell’autovettura TARGA_VEICOLO fosse «chiaramente visibile».
A fronte di ciò, posto che, come si è detto, la difesa del ricorrente ha potuto esercitare i propri diritti prendendo visione ed estraendo copia della videoregistrazione, si deve osservare come le deduzioni del Sesini in ordine alla genuinità della stessa e alla sua capacità dimostrativa siano del tutto generiche, prive, cioè, dell’allegazione di alcun significativo elemento che possa mettere in dubbio le stesse genuinità e capacità dimostrativa, con la conseguenza che, in assenza di alcuna norma che imponga l’effettuazione di una perizia sulle videoregistrazioni, e anche di alcuna specifica ragione di opportunità di disporre, nella specie, tale discrezionale mezzo di prova tecnico, il motivo si deve ritenere manifestamente infondato.
Il secondo motivo è anch’esso manifestamente infondato.
La Corte d’appello di Reggio Calabria ha ritenuto la responsabilità del COGNOME per la rapina pluriaggravata in concorso a lui attribuita sulla base dei seguenti elementi di prova e argomentazioni: a) dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza risultava che dall’autovettura Mitsubishi Space Star che, per quanto si è detto al punto 1, era targata TARGA_VEICOLO, era sceso un soggetto incappucciato da un passamontagna che si era diretto verso la via dove ebbe luogo la rapina (la INDIRIZZO Gioia Tauro); b) sempre dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza, risultava che lo stesso soggetto incappucciato da un passamontagna, dopo il compimento della rapina, era scappato a piedi (lungo la INDIRIZZO); c) che il soggetto che aveva eseguito la rapina fosse lo stesso che era sceso dall’autovettura Mitsubishi Space Star targata TARGA_VEICOLO si ricavava dalla considerazione che si doveva escludere che nello stesso contesto di tempo e di luogo circolassero due soggetti incappucciati e che quello che aveva eseguito la rapina fosse un altro non colto dalle telecamere; d) tenuto conto che tale soggetto che era sceso dall’autovettura Mitsubishi Space Star targata TARGA_VEICOLO e che, per quanto detto, era lo stesso che aveva eseguito la rapina, indossava una maglietta bianca, la persona offesa NOME COGNOME con l’indicare che il rapinatore indossava una maglietta rossa, semplicemente, si era sbagliato; e) posto che l’autovettura Mitsubishi Space Star targata TARGA_VEICOLO, di proprietà della compagna del Sesini, era certamente in uso anche a questi, come era confermato dal fatto che egli era stato controllato alla guida di tale automobile cinque giorni dopo la rapina, da un lato, dalle riprese delle telecamere di videosorveglianza risultava che il conducente della stessa automobile era di sesso maschile e, dall’altro lato, la rapina era avvenuta a distanza di qualche minuto da una consegna che era stata effettuata dal corriere proprio al Sesini e in una via che incrocia quella in cui egl risiedeva e dove, avendo ricevuto la suddetta consegna, effettivamente si trovava; f) il fatto che l’autovettura Mitsubishi Space Star targata TARGA_VEICOLO avesse percorso le stesse strade del furgone del corriere ma a distanza di circa un minuto, se escludeva che la stessa autovettura avesse seguito il furgone, non escludeva tuttavia che essa avesse attraversato le medesime strade e, dopo avere superato il furgone, si fosse poi fermata, a qualche decina di metri dal luogo in cui poi è stata eseguita la rapina, per fare scendere il rapinatore; g) questi, infine, era fuggito a piedi nella stessa direzione verso la quale si era diretta l’autovettura. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sulla base di tali elementi di prova e argomentazioni, la Corte d’appello di Reggio Calabria concludeva che il COGNOME aveva concorso nella rapina accompagnando il soggetto (rimasto ignoto) che l’aveva materialmente eseguita. E ciò con piena consapevolezza, come si ricavava da quanto esposto e, in particolare, dal fatto che, nel momento in cui era sceso dall’autovettura condotta dal COGNOME, l’esecutore materiale della rapina era già incappucciato.
Tale motivazione, diversamente da quanto ritiene il ricorrente, non presenta alcun vizio riconducibile alle categorie che sono previste nella lett. e) del comma 1 dell’art. 606 cod. proc. pen., atteso che risulta priva di contraddizioni e d illogicità, tanto meno manifeste, sicché si sottrae a censure in queste sede.
In particolare, essa non è scalfita dalle censure che sono state avanzate dal ricorrente, atteso che: a) quanto al fatto che, mentre la persona offesa NOME COGNOME aveva affermato che l’esecutore materiale della rapina indossava una maglietta rossa, le immagini delle telecamere di videosorveglianza mostravano un soggetto con la maglietta bianca, diversamente da quanto è sostenuto dal Sesini, la Corte d’appello di Reggio Calabria non ha «liquidato» ciò «alla stregua di una mera “discrasia” dovuta allo stato emotivo della vittima, senza fornire alcuna motivazione logica sul perché un elemento così significativo ai fini identificativi sia stato ritenuto irrilevante», ma, come si è visto, ha fornito una spiegazione del tutto logica del perché lo stesso NOME, nell’indicare il colore rosso della maglietta del rapinatore, non potesse che essersi sbagliato; b) quanto al fatto che nessuno dei testimoni oculari aveva fornito elementi utili all’identificazione degli autori della rapina, ciò è evidentemente irrilevante, atteso che il fatto che testimoni oculari non siano in grado di fornire elementi per l’identificazione degli autori di un reato non significa ovviamente che tali autori non possano essere identificati mediante altre prove, come è avvenuto per il Sesini nel caso di specie; c) diversamente da quanto è affermato dal ricorrente, la Corte d’appello di Reggio Calabria non ha «omesso di motivare come fosse possibile un pedinamento con un tale ritardo temporale» tra il passaggio del furgone del corriere e il passaggio dell’autovettura condotta dall’imputato ma ha riconosciuto che tale autovettura «non aveva seguito» il furgone, argomentando, però, del tutto logicamente, come ciò non escludesse che essa avesse attraversato le medesime strade e, dopo avere superato il furgone, si fosse poi fermata, a qualche decina di metri dal luogo in cui è stata poi eseguita la rapina, per fare scendere il rapinatore. 3. Il terzo motivo è manifestamente infondato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.1. La giurisprudenza della Corte di cassazione è costante nell’affermare che la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simi nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (tra le tante, S 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283-01).
Anche successivamente, è stato ribadito che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obblig di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 1
cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243-01).
Nel caso di specie, come è stato rilevato dalla Corte d’appello di Reggio Calabria, la pena irrogata di sette anni di reclusione ed C 4.000,00 di multa supera la pena minima prevista dal terzo comma dell’art. 628 cod. pen. di un anno di reclusione ed C 2.000,00 di multa ed è assai lontana dalla pena massima edittale (che è di venti anni di reclusione ed C 4.000,00 di multa).
La Corte d’appello di Reggio Calabria ha quindi reputato che tale scarto in aumento rispetto al minimo edittale fosse giustificato dalle modalità del fatto e dai precedenti penali del Sesini, compreso quello successivo allo stesso fatto, del quale si poteva effettivamente tenere conto ai fini della determinazione della misura della pena (Sez. 6, n. 10276 del 20/05/1989, COGNOME, Rv. 181826-01).
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio discrezionale del giudice di merito, non sindacabile in questa sede di legittimità.
A ciò si aggiunga che la Corte d’appello di Reggio Calabria, col ritenere l’applicabilità del terzo comma dell’art. 628 cod. pen., ha in realtà commesso in errore a favore dell’imputato, atteso che la Corte di cassazione ha chiarito che, attesa la nuova formulazione del quarto comma dell’art. 628 cod. pen. – introdotta dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 – il più elevato minimo edittale ivi previsto si applica anche nel caso di concorso di più circostanze aggravanti interne al n. 1) del terzo comma dell’art. 628 cod. pen.
3.2. In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269-01; nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione dell attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli alt
disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule,
Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen.,
quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o
all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare allo scopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 2,
n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato il diniego delle circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivi e prevalenti, a
tale fine, gli elementi dei precedenti penali dell’imputato (comprese diverse rapine)
e dell’entità del fatto, rilevando altresì l’insussistenza di elementi positivi c potessero giustificare la concessione delle stesse circostanze attenuanti.
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un
giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comnria 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 07/03/2025.