Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2626 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2626 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/09/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
L’avvocato COGNOME NOME si riporta al ricorso chiedendone l’accoglimento.
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RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di assise di appello di Roma ha confermato quella di primo grado, emessa il 15 novembre 2021, con la quale la Corte di assise di Roma, in esito a giudizio abbreviato, aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole di omicidio .e l’aveva condannato alla pena di sedici anni di reclusione, applicando le pene accessorie previste dalla legge.
Il procedimento penale nell’ambito del quale è stata emessa la sentenza impugnata riguarda la morte di NOME COGNOME, il cui cadavere è stato rinvenuto, in Roma il 2 maggio 2019 a ridosso del muro di una banchina del Tevere.
Gli accertamenti eseguiti in conseguenza del rinvenimento del cadavere hanno condotto ad accertare che la morte della giovane era dovuta a un politraumatismo corporeo da precipitazione con impatto podalico.
Il compendio istruttorio raccolto a carico del ricorrente si fonda sulle immagini riprese (riprodotte integralmente in un DVD e, poi, riversate, in sintesi, secondo successione temporale, nel secondo DVD agli atti denominato file mp4 denominato “sintesi e fasi finali”) da più telecamere di sorveglianza poste nelle vicinanze del luogo teatro dei fatti.
In sintesi, tali filmati rappresentano che, dalle 00.57, la vittima NOME COGNOME, NOME COGNOME (visibile con una felpa colore bordeaux e uno zaino marrone), con il quale la prima aveva avuto una relazione sentimentale, e NOME COGNOME (indossante una maglietta polo bianca tipo “Ralph Lauren” con logo nero in petto, pantaloni scuri stretti alla caviglia e scarpe con logo Nike su tomaia scura e suola bianca e con al polso un orologio) si trovavano insieme nei pressi di una tabaccheria; il COGNOME (riconoscibile per le fattezze fisiche e per abiti indossati nelle immagini precedenti) seguiva a distanza, sull’altro marciapiede, la COGNOME che si era incamminata sul lungotevere; l’imputato, traversata rapidamente la strada, si accovacciava dietro un auto alle spalle della ragazza mentre lei era appoggiata al parapetto del lungotevere e, raggiuntala repentinamente, la spingeva giù afferrandola per le gambe; infine, l’imputato viene ripreso nell’atto di scendere le scalette che portano alla banchina del fiume sottostante dove, come hanno accertato gli inquirenti, ha prelevato il denaro e il cellulare dalla zaino della vittima spostandola e coprendone il corpo per far sembrare che stesse dormendo, così ritardando la scoperta del cadavere.
La Corte di assise di appello ha disatteso tutte le eccezioni poste dalla difesa, alcune delle quali reiterate nei motivi di ricorso per cassazione e ha confermato la decisione di primo grado sulla pena e le statuizioni accessorie.
COGNOME propone, per mezzo del proprio difensore, ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi.
3.1. Con il primo motivo, egli eccepisce la nullità dell’ordinanza, emessa ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. dal giudice di primo grado, adottata prima che venisse completata l’istruttoria dibattimentale, dopo aver dichiarato la tardività della lista dei testi del Pubblico ministero, con violazione dell’art. 111 Cost., poiché ritenuta lesiva dell’imparzialità del Giudice. Si chiede di voler sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 507 cod. proc. pen. in relazione all’art. 111 Cost.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente eccepisce la violazione degli artt. 244, 247, 352, 260, 354 e 360 cod. proc. pen. sull’inutilizzabilità delle immagini estrapolate dal DVD prodotto da $ Pubblico ministero, per l’omesso sequestro degli hard disk di ciascuna videocamera e per non averne realizzato una copia forense al fine di consentire alla difesa di verificare la loro genuinità.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso, egli lamenta vizio di motivazione in punto di mancato vaglio delle ipotesi alternative, sull’eventuale coinvolgimento di altri soggetti nell’omicidio della COGNOME e, in particolare, per la posizione di NOME COGNOME avrebbe avuto un movente e che si è allontanato da Roma subito dopo il delitto.
Il Sostituto Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché fondato su motivi manifestamente infondati, generici o non consentiti.
Il primo motivo è manifestamente infondato anche in relazione alla lamentata incompatibilità con la Costituzione, infatti, questa Corte con Sez. 2, n. 46147 del 10/10/2019, Rv. 277591, che si condivide, ha già affermato che “il giudice ha il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova ex art. 507 cod. proc. pen. anche con riferimento a prove testimoniali indicate in liste depositate tardivamente, trattandosi di potere funzionale a garantire il controllo giudiziale sull’esercizio dell’azione penale e sul suo sviluppo processuale, ovvero sulla completezza del compendio probatorio su cui deve fondarsi la decisione. (In motivazione, la Corte ha chiarito che l’assegnazione al giudice di tale potere non è in contrasto con le indicazioni della Costituzione e della Corte EDU, che si limitano a garantire il contraddittorio nella formazione della prova, ma non inibiscono il controllo sulla
completezza del compendio probatorio, necessario correlato della indisponibilità dell’azione penale, conseguente al riconoscimento della natura ultraindividuale degli interessi tutelati dalla giurisdizione penale)”.
Sull’impossibilità, lamentata dalla difesa i di hprr~iIRTCOtgavere una copia forense delle videoriprese utilizzate per individuare l’imputato quale autore dell’omicidio, va preliminarmente dato atto che la stessa Corte d’appello, senza contestazione alcuna sul punto, dà atto che le immagini si susseguono senza soluzione di continuità.
La doglianza risulta generica e di carattere esplorativo non avendo la difesa individuato alcun elemento da cui poter desumere ovvero avere anche solo il sospetto che le immagini estratte possano essere state modificate o, in qualche modo, contraffatte.
La materia delle riprese visive e delle prove che ne conseguono non è regolata specificamente dalla legge,’ tuttavia, sul tema sono intervenute le Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Rv. 234267), che hanno stabilito che le immagini tratte da video riprese in luoghi pubblici effettuate al di fuori delle indagini preliminari, cioè fuori dal procedimento penale, non possono essere considerate prove atipiche ai sensi dell’art. 189 cod. proc. pen., ma devono essere qualificate come documenti e possono essere utilizzate come fonte di prova nel processo ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 37367 del 06/05/2014, Rv. 261930).
Tutte le doglianze nelle quali si articola il terzo motivo non sono consentite nel giudizio di legittimità perché interamente versate in fatto e, comunque, manifestamente infondate.
In particolare, nella motivazione della sentenza impugnata si dà specifico conto – come anche sopra riportato sulle fattezze fisiche e sugli indumenti indossati – di come la persona che è stata ripresa dalle videocamere mentre segue la vittima e poi la scaraventa giù dal parapetto fosse effettivamente il COGNOME e non potesse essere il COGNOME.
Tali doglianze reiterano le analoghe ragioni di appello alle quali la Corte territoriale, contrariamente a quanto affermato nell’atto d’impugnazione, ha replicato con argomentazioni logiche e congrue rispetto all’ordito probatorio, così sottraendosi alle censure sollecitate a questa Corte di legittimità, la quale deve soltanto accertare l’esistenza di enunciati esplicativi non manifestamente illogici e immuni da violazioni di legge, in un contesto di c.d. doppia conforme sulla responsabilità, nel quale le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico
e inscindibile al cui occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare la congruità della motivazione (ex multis, Sez. 2, n. 19947 del 15/5/2008).
Appare opportuno, ancora, rilevare che l’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., nel prevedere il sindacato sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, non abilita il giudice di legittimità a effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo la Corte di cassazione limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni svolte dal giudice di merito per motivare il suo convincimento.
La mancanza, la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono possedere una consistenza tale da risultare percepibili ictu ()culi, dovendo il sindacato al riguardo essere circoscritto a rilievi di macroscopica evidenza, mentre restano ininfluenti le minime incongruenze e devono considerarsi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano concettualmente incompatibili con la decisione adottata; sempre che, ovviamente, siano spiegate in modo razionale ed adeguato, e senza vizi giuridici, le ragioni del convincimento (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, i principi affermati da Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074; Sez. U, n. 12 del 31/5/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794).
Deve, ancora, escludersi per il giudice di legittimità la possibilità di «un’analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati» e quindi «di fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi», ciò che «si risolverebb in una impropria riedizione del giudizio di merito e non assolverebbe alla funzione essenziale del sindacato sulla motivazione» (Sez. 6, n. 14624 del 20/3/2006, Vecchio, Rv. 233621), ovvero di procedere a una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o di adottare nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 3, n. 18521 del 11/1/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, COGNOME, Rv. 234559).
Nel caso in esame, la Corte di assise di appello ha esaminato analiticamente tutti i temi segnalati dal COGNOME con i motivi d’impugnazione e fornito risposte complete, coerenti con le evidenze istruttorie, prive di tangibili fratture razionali e ossequiose dei canoni ermeneutici enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, a fronte delle quali il ricorrente si pone in un’ottica costantemente ispirata alla confutazione delle conclusioni raggiunte dai giudici
di merito e alla formulazione di letture alternative del compendio istruttorio, del tutto inidonee a mettere in luce profili di manifesta illogicità o contraddittorietà.
Sulla scorta delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso – come preannunciato – dev’essere dichiarato inammissibile.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 23 maggio 2023
Il Consigliere estensore
II Presidente