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Prova spaccio stupefacenti: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 5375/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio. La Corte ha confermato che la prova spaccio stupefacenti può basarsi su elementi indiziari come la quantità di droga, le modalità di occultamento e il luogo del controllo, anche in assenza di una perizia tossicologica completa, ritenendo sufficiente un narcotest per accertare la natura della sostanza.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prova Spaccio Stupefacenti: Quando gli Indizi Bastano

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito principi fondamentali in materia di prova spaccio stupefacenti, chiarendo come la condanna possa reggersi su un solido apparato indiziario anche senza una perizia tossicologica completa. Questa decisione offre spunti cruciali per comprendere la logica seguita dai giudici nella valutazione dei reati legati alla droga.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un controllo effettuato su un giovane, trovato in possesso di dieci dosi di marijuana. Le dosi erano state confezionate in singoli involucri e occultate sulla sua persona. Il controllo è avvenuto in una piazza nota alle forze dell’ordine come luogo di spaccio, specialmente durante le ore notturne. Sulla base di questi elementi, l’individuo era stato condannato in appello per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, previsto dall’articolo 73, comma 5, del d.P.R. 309/90.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, contestando la sentenza di condanna su due fronti principali:

1. Assenza di prove sulla destinazione allo spaccio: Secondo il ricorrente, non vi erano elementi sufficienti a dimostrare che la sostanza fosse destinata alla vendita piuttosto che all’uso personale.
2. Mancata effettuazione della perizia tossicologica: La difesa lamentava l’assenza di un’analisi di laboratorio che accertasse con precisione la quantità di principio attivo e, di conseguenza, la reale capacità drogante della sostanza sequestrata.

La Prova dello Spaccio di Stupefacenti secondo la Corte

La Corte di Cassazione ha respinto entrambe le argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse costruito una motivazione logica e coerente, basata su una serie di elementi fattuali convergenti. La prova spaccio stupefacenti è stata desunta non da un singolo elemento, ma da un quadro complessivo che includeva:

* Il quantitativo: Dieci dosi sono state ritenute indicative di una finalità non esclusivamente personale.
* Le modalità di detenzione: L’occultamento degli involucri sulla persona è stato interpretato come una tecnica tipica di chi si prepara a cedere la sostanza.
* Il contesto spazio-temporale: La presenza dell’imputato in una nota piazza di spaccio, in orario notturno, ha rafforzato l’ipotesi accusatoria.

La Perizia Tossicologica non è Sempre Indispensabile

Sul secondo punto, la Corte ha ribadito un orientamento consolidato. Per stabilire la natura stupefacente di una sostanza, non è sempre indispensabile una perizia chimica-tossicologica completa. È considerato sufficiente il cosiddetto narcotest, un accertamento tecnico speditivo che, pur essendo solo qualitativo, ha piena dignità scientifica per confermare che si tratti di droga. La Corte ha precisato che il giudice può ricavare la prova della qualità e quantità del principio attivo anche da altre fonti, purché adempia all’obbligo di motivazione. In questo caso, le modalità di detenzione e il contesto erano sufficienti a supportare la decisione, rendendo superfluo un ulteriore accertamento tecnico.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto che il ricorso fosse una mera riproposizione di censure già correttamente esaminate e respinte nei gradi di giudizio precedenti. La motivazione della sentenza impugnata è stata giudicata solida, logica e in linea con i principi di diritto affermati dalla stessa Cassazione. L’apprezzamento delle prove da parte della Corte d’Appello è risultato incensurabile in sede di legittimità, in quanto basato su un ragionamento coerente e privo di vizi logici.

Le conclusioni

Con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la condanna è diventata definitiva. L’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza rafforza il principio secondo cui, nella lotta allo spaccio di stupefacenti, il sistema giudiziario si affida a una valutazione complessiva degli indizi, valorizzando elementi concreti che, letti insieme, possono fornire una prova logica e robusta della colpevolezza, senza la necessità di ricorrere sistematicamente a complesse e costose perizie tecniche.

È sempre necessaria una perizia tossicologica per una condanna per spaccio?
No, secondo l’ordinanza, non è indispensabile. Un accertamento qualitativo come il narcotest, supportato da altri elementi di prova (come quantità, modalità di detenzione e contesto), può essere ritenuto sufficiente dal giudice per provare la natura stupefacente della sostanza.

Quali elementi possono dimostrare l’intenzione di spacciare droga?
La Corte ha indicato che l’intenzione di spacciare può essere provata da un insieme di indizi, tra cui il quantitativo della sostanza (nel caso specifico, 10 dosi), le modalità di detenzione (occultamento sulla persona in involucri separati) e il contesto del controllo (stazionare in una piazza nota per lo spaccio in orario notturno).

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione non esamina il merito della questione. La sentenza impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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