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Prova spaccio droga: la testimonianza è decisiva

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio. La difesa sosteneva che mancasse la prova spaccio droga perché non era stato identificato l’intestatario del telefono usato per gli accordi. La Corte ha chiarito che la testimonianza dell’acquirente, che ha riconosciuto senza dubbi i venditori, è la prova centrale e sufficiente, rendendo irrilevante l’identità dell’utilizzatore del cellulare.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prova spaccio droga: la testimonianza dell’acquirente è sufficiente

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9459 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale in materia di prova spaccio droga, stabilendo che la testimonianza diretta e coerente dell’acquirente è elemento sufficiente per affermare la responsabilità penale, anche quando non sia possibile ricondurre con certezza all’imputato l’utenza telefonica utilizzata per organizzare la cessione. Questa pronuncia chiarisce come la prova logica e testimoniale possa prevalere su quella puramente tecnica o documentale.

I fatti del caso: la cessione di stupefacenti

Il caso trae origine da un controllo di polizia avvenuto nel giugno 2017. Durante un pattugliamento notturno, gli agenti fermavano un’automobile con a bordo quattro persone. Il conducente, un consumatore abituale di stupefacenti, e tre cittadini extracomunitari, tra cui il ricorrente.

Il controllo dell’auto e la scoperta della droga

A seguito della perquisizione del veicolo, occultati all’interno di un peluche posizionato tra due passeggeri, venivano rinvenuti 4 grammi di cocaina e 5 grammi di eroina. L’acquirente, messo alle strette, ammetteva di essere un consumatore e di aver acquistato regolarmente sostanze dai tre individui presenti con lui in auto.

La testimonianza chiave dell’acquirente

L’acquirente forniva dichiarazioni dettagliate: poche ore prima del controllo, aveva comprato e consumato droga dagli stessi soggetti. Spiegava di contattarli tramite un’utenza mobile specifica per fissare gli incontri, che avvenivano con una frequenza di tre o quattro volte a settimana. Egli indicava in modo inequivocabile i tre passeggeri come i suoi fornitori abituali, sebbene non conoscesse i loro nomi. L’analisi del traffico telefonico confermava i numerosi contatti tra il telefono dell’acquirente e quello usato per gli accordi.

La tesi difensiva e la prova spaccio droga

Nei gradi di merito, l’imputato veniva condannato per spaccio di lieve entità. La difesa proponeva ricorso per cassazione, sostenendo un vizio di motivazione. L’argomento centrale era che la condanna si basasse unicamente sull’attribuzione all’imputato dell’utenza telefonica usata per i contatti, attribuzione che, secondo la difesa, non era stata provata in alcun modo. Non risultava che il telefono fosse intestato a lui, né che fosse stato trovato in suo possesso o che l’acquirente lo avesse riconosciuto come l’interlocutore telefonico.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che l’assunto del ricorrente era errato: la prova della responsabilità penale non risiedeva nella riconducibilità del numero di telefono, ma nelle dichiarazioni dirette dell’acquirente.

L’irrilevanza dell’intestatario del telefono

La Corte ha sottolineato che è irrilevante sapere chi fosse l’intestatario o l’utilizzatore formale del cellulare. Ciò che conta è il fatto, pacificamente emerso, che quel numero veniva usato per organizzare gli incontri finalizzati alla vendita di droga tra l’acquirente e i tre spacciatori, tra cui il ricorrente. Il telefono era semplicemente lo strumento per il contatto.

La centralità delle dichiarazioni testimoniali

Il vero fulcro della prova, secondo la Cassazione, è la testimonianza dell’acquirente. Quest’ultimo ha sempre, chiaramente e inequivocabilmente, indicato le persone a bordo dell’auto al momento del controllo come i suoi fornitori. Questa testimonianza è stata pienamente riscontrata da due elementi oggettivi: il rinvenimento dello stupefacente e l’analisi del traffico telefonico che confermava i contatti per fissare gli appuntamenti. I tre agivano in concorso, presentandosi sempre insieme per vendere la droga.

Le conclusioni: implicazioni pratiche

La sentenza consolida un importante principio: nel processo penale, la prova si forma attraverso una valutazione complessiva e logica di tutti gli elementi disponibili. La testimonianza diretta, se coerente e riscontrata da altri fattori, può costituire una prova spaccio droga piena e sufficiente per una condanna. L’assenza di una prova ‘tecnica’ diretta, come l’intestazione di un telefono, non invalida l’impianto accusatorio se la colpevolezza emerge chiaramente da altre fonti, in particolare dal riconoscimento certo e credibile effettuato da chi ha preso parte attiva alla compravendita illecita.

Per provare lo spaccio di droga, è indispensabile dimostrare a chi appartiene il telefono usato per gli accordi?
No, secondo la Corte non è un elemento indispensabile. Ciò che è rilevante è che l’utenza telefonica fosse pacificamente utilizzata per fissare gli incontri finalizzati alla cessione di droga, a prescindere da chi ne fosse l’intestatario o l’utilizzatore abituale.

La testimonianza di chi acquista la droga è sufficiente per una condanna?
Sì, in questo caso la testimonianza dell’acquirente è stata considerata la prova fondamentale. Le sue dichiarazioni, che hanno indicato chiaramente e senza equivoci i venditori, sono state ritenute sufficienti perché riscontrate da altri elementi, come il rinvenimento della droga e l’analisi dei contatti telefonici.

Cosa significa che il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Significa che la Corte di Cassazione non ha esaminato il merito del ricorso perché basato su motivi non consentiti dalla legge (in questo caso, una rilettura dei fatti già valutati dai giudici precedenti). Di conseguenza, la condanna diventa definitiva e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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