Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 43650 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 43650 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte d’appello di Roma del 23.2.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza con cui, in data 12.12.2018, il Tribunale di Velletri aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile del delitto di ricettazione e, ricondotto il fatto nella ipotesi “liev
(contemplata nell’attuale comma quarto dell’art. 648 cod. pen.), stimando l’attenuante speciale prevalente sulla contestata recidiva, l’aveva condannato alla pena finale di anni 1 di reclusione ed euro 250 di multa oltre al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.1 vizio di motivazione in relazione alla commissione del fatto da parte dell’imputato ed alla ritenuta irrilevanza RAGIONE_SOCIALE doglianze prospettate con l’atto di appello; violazione RAGIONE_SOCIALE regole in materia di valutazione della prova indiziaria: rileva che i giudici di appello non hanno tenuto conto dell’interesse diretto versato nella vicenda dalla persona offesa NOME COGNOME che aveva consegnato l’assegno a NOME COGNOME; hanno prestato fede al preventivo presentato dalla COGNOME senza alcuna ulteriore verifica; sottolinea come la COGNOME abbia operato una sorta di “chiamata in correità” del COGNOME rendendo una testimonianza confusa ed incerta su molteplici aspetti e tuttavia pienamente avallata dai giudici di primo e di secondo grado nonostante nessun riscontro fosse stato acquisito circa il rapporto e le prestazioni eseguite dalla predetta in favore dell’odierno ricorrente; sottolinea quindi come la valutazione della credibilità soggettiva della teste avrebbe dovuto essere operata sotto i molteplici profili della specificità, coerenza, costanza e spontaneità; aggiunge, anzi, che il preventivo fornito dalla COGNOME non era stato corroborato da elementi ulteriori quali la fattura per i lavori eseguiti di importo comunque di gran lunga superiore a quello dell’assegno ed osserva che la Corte d’appello si è limitata a ritenere esaustiva la motivazione resa dal giudice di primo grado eludendo le doglianze difensive articolate con l’atto di gravame in modo tale da rendere una decisione solo apparentemente tale da integrare una “doppia conforme” di merito; rileva la inadeguatezza della motivazione in ordine alla verifica della sussistenza della colpevolezza dell’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” con esclusione di ogni eventuale ipotesi alternativa, nel caso di specie ragionevolmente invece percorribile, ma che è stata esclusa senza procedere al doveroso accertamento circa la paternità RAGIONE_SOCIALE firme apposte sul titolo a fronte di quelle vergate sul preventivo e sulla copia del documento di identità prodotti dalla COGNOME, ma all’evidenza tra loro difformi; Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
2.2 mancanza e manifesta illogicità della motivazione, anche per travisamento del fatto, circa l’elemento soggettivo: ribadisce come la Corte d’appello abbia considerato esclusivamente la testimonianza della COGNOME omettendo ogni ulteriore accertamento sull’effettiva sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto in esame; aggiunge che, nel caso di specie, le firme di girata sull’assegno danno conto del fatto che il COGNOME sarebbe entrato in possesso del
titolo che aveva ricevuto dal COGNOME non comprendendosi allora per quale ragione la COGNOME sarebbe esente da responsabilità per averlo ricevuto dall’odierno ricorrente; segnala che, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, la COGNOME aveva riferito che il telefono del COGNOME era “staccato” e non già che il numero era “inesistente”;
2.3 carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione quanto alla esclusione della recidiva: rileva che la Corte d’appello non ha, nemmeno implicitamente, motivato in merito alla esclusione della recidiva come richiesta dal PM all’esito del giudizio di primo grado;
2.4 violazione o falsa applicazione dell’art. 159 cod. pen. in tema di sospensione del corso della prescrizione: richiama, sul punto, la motivazione resa dal giudice di primo grado che ha errato, a suo avviso, sui presupposti richiesti per la sospensione del corso della prescrizione;
la Procura AVV_NOTAIO ha concluso per iscritto per l’inammissibilità del ricorso.
la difesa del ricorrente ha trasmesso una ampia e dettagliata memoria in replica alle considerazioni svolte dal PG insistendo, quindi, per l’annullamento della sentenza impugnata
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
1.1 NOME COGNOME è stato tratto a giudizio e giudicato responsabile, nei due gradi di merito, ed all’esito di un conforme apprezzamento RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze istruttorie, del delitto di ricettazione di un assegno provento di furto in danno di tale NOME COGNOME nel settembre del 2007.
1.2 Il Tribunale di Velletri aveva ricostruito la vicenda sulla scorta RAGIONE_SOCIALE prove testimoniali e documentali acquisite risultando incontroverso che, nel settembre del 2007, l’assegno era stato posto all’incasso da NOME COGNOME e, per l’appunto, risultato di provenienza delittuosa; il titolo era stato emesso per l’importo di tremila euro con firma di traenza di NOME COGNOME, soggetto risultato diverso dal titolare del relativo conto corrente.
La COGNOME, la cui firma era tra quelle di girata, e che aveva consegnato l’assegno al COGNOME, aveva dichiarato di averlo a sua vola ricevuto dal COGNOME in
pagamento di lavori su un autocarro, come dimostrato dal preventivo firmato a nome di costui e dalla copia della patente di guida consegnata dal predetto al momento della consegna dell’assegno.
1.3 A fronte dell’appello proposto dal COGNOME, la Corte ha confermato la sentenza di primo grado con motivazione incensurabile perché esaustiva in punto di fatto e corretta in diritto.
2.1 I primi due motivi, che ben possono essere trattati congiuntamente, sono formulati in termini non consentiti in questa sede; il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere mirato a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione RAGIONE_SOCIALE regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, Agati, Rv. 270801).
Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenz probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2 – , n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
E, d’altra parte, è certamente preclusa al giudice di legittimità l’operazione di rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata ovvero l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora indicati dal ricorrente come maggiormente
plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., Sez. 6 – , n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148, in cui la Corte ha affermato che il controllo del giudice di legittimità, pur dopo la novella dell’art. 606 cod. proc. pen. ad opera della L. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi atti del processo e di una correlata pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale “esistenza” della motivazione ed alla “resistenza” logica del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti; conf., da ultimo, Sez. 3 – , n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556 – 01, in cui la Corte ha ribadito che eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza RAGIONE_SOCIALE argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile).
Vagliando, inoltre, la completezza e congruità della motivazione della sentenza di appello, si è da sempre ribadito che l’emersione di una criticità su una RAGIONE_SOCIALE molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata non è di per sé rilevante laddove l’apparato motivazionale offra, nel suo complesso, ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non potendo perciò comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione che rileva solo quando, per effetto di tale critica, ed all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, il ragionamento risulti disarticolato in uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (cfr., Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227).
Tanto premesso va ad ogni modo ribadito che, nel caso di specie, e diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, si è in presenza di una “doppia conforme” di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungono a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze
istruttorie, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2 , n. 37295 del 12/06/2019, NOME, Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
2.2 Con il primo motivo, la difesa denuncia vizio di motivazione con riguardo alla affermazione della responsabilità del ricorrente per aver ricevuto l’assegno di incontroversa provenienza delittuosa poi da lui girato in favore della COGNOME.
Premesso che il ricorso non pone un problema di (in)utilizzabilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni di costei, va rilevato che entrambi i giudici di merito, con motivazione del tutto congrua, hanno ritenuto che le stesse fossero corroborate dal preventivo sottoscritto dal COGNOME nonché dal possesso della copia della patente di guida che la teste aveva asserito avere acquisito proprio nell’occasione in cui le era stato consegnato l’assegno.
Va rilevato, peraltro, che con l’atto di appello la difesa si era limitata a censurare la sentenza di primo grado in quanto a suo avviso fondata esclusivamente sulle parole della COGNOME e per non aver disposto una perizia grafica che consentisse di appurare la sottoscrizione apposta in calce al preventivo; per un verso, tuttavia, come già sottolineato dal Tribunale, il ricorrente non era comparso e non aveva mai formalmente disconosciuto la sottoscrizione del preventivo laddove, per contro, nulla era stato dedotto – in appello – sul punto della disponibilità, da parte della COGNOME, della copia della patente di guida del COGNOME.
È consolidato il principio per cui la valutazione circa l’attendibilità del teste si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria atteso che l’attendibilità di un testimone è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il Giudice sia incorso in manifeste contraddizioni o insanabili illogicità (cfr., Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C.,
Rv. 278609 – 01; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575 01).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno congruamente vagliato la deposizione della COGNOME alla luce degli elementi obiettivi di riscontro acquisiti non potendosi, in difetto di elementi divergenti o di manifeste aporie, a fronte di un atteggiamento genericamente negatorio dell’imputato, imporre e pretendere un approfondimento istruttorio sulla loro genuinità,
In quest’ottica, la Corte ha correttamente stimato irrilevante, ai fini della decisione, l’esecuzione di una perizia grafica sul preventivo dovendosi, peraltro, ribadire, in diritto, che la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità RAGIONE_SOCIALE parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (cfr., Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, Rv. 270936 – 01).
Il primo motivo del ricorso evoca, inoltre, la violazione del principio, cristallizzato e reso “positivo” dall’art. 533 cod. proc. pen., secondo cui, per addivenirsi alla condanna, la responsabilità dell’imputato deve essere provata al di là di ogni “ragionevole dubbio”: è pertanto opportuno ribadire che la regola di giudizio compendiata nella formula surricordata rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione RAGIONE_SOCIALE fonti di prova (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 270108 GLYPH 01; Sez. 4, n. 2132 del 12/01/2021, Maggio, Rv. 280245 – 01).
Quanto al secondo motivo, poi, la Corte territoriale, sulla scorta della ricostruzione dei fatti operata conformemente nei due gradi di merito, ha potuto correttamente invocare nel caso di specie il consolidato principio secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente con la precisazione per cui ciò non costituisce una deroga ai principi in tema di onere della prova, e nemmeno un “vulnus” alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice che richiede, ai fini dell’indagine sulla consapevolezza circa la provenienza illecita della “res”, il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa (cfr., così, tra le altre, Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, Kebe, Rv. 270120 – 01;
Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713 01; Sez. 2, n. 50952 del 26/11/2013, COGNOME, Rv. 257983 01; Sez. 1, n. 13599 del 13/03/2012, COGNOME, Rv. 252285 01; Sez. 2, n. 29198 del 25/05/2010, Fontanella, Rv. 248265 – 01).
2.3 Il terzo motivo è precluso non avendo la recidiva formato oggetto di motivo di appello sicché, ai sensi del combinato disposto degli artt. 606, comma terzo e 609, comma secondo, cod. proc. pen., la censura non può essere presa in esame in questa sede non rientrando tra le questioni rilevabili d’ufficio.
2.4 Ed è proprio alla luce della ritenuta recidiva che, correttamente, la Corte d’appello ha giudicato non rilevanti i periodi di sospensione del corso della prescrizione che, anche senza tenerne conto, si maturerebbe nell’agosto del 2029; il fatto è del 2007 e, come accennato, era stata riconosciuta ed applicata la contestata recidiva qualificata (reiterata, specifica ed infraquinquennale) che, in quanto circostanza aggravante ad effetto speciale, incide sia sul computo del termine-base di prescrizione ai sensi dell’art. 157, comma secondo, cod. pen., sia sull’entità della proroga di suddetto termine in presenza di atti interruttivi, ai sensi dell’art. 161, comma secondo, cod. pen. (cfr., Sez. 2, n. 57755 del 12/10/2018, Rv. 274721, COGNOME; Sez. 6, n. 48954 del 21/09/2016, Rv. 268224, COGNOME che, nel ribadire tale principio, ha inoltre escluso che ciò comporti una violazione del principio del “ne bis in idem sostanziale” o dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 10 febbraio 2009 nel caso Zolotoukhine /c Russia, nel cui ambito di tutela non rientra l’istituto della prescrizione).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, mancando elementi idonei ad escludere profili di colpa nell’introdurre il presente gravame.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma, il 2.10.2024