Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7166 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7166 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a RIMINI il DATA_NASCITA
NOME COGNOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/12/2022 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME; udito il difensore, avvocato NOME COGNOME, il quale conclude chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’i dicembre 2022 la Corte di appello di Torino, quale giudice del rinvio, ha, tra l’altro, rideterminato, rispettivamente, in due anni e tre mesi di reclusione e 900 euro di multa e due anni e due mesi di reclusione e 800 euro di multa le pene inflitte il 20 luglio 2017 dal Tribunale della stessa città a NOME COGNOME e NOME COGNOME, chiamati a rispondere cli distinte ipotesi di ricettazione.
NOME COGNOME è accusato di avere illecitamente acquistato o ricevuto, in quattro diverse occasioni, tra il 3 gennaio 2013 ed il 24 aprile dello stesso anno, oro ed oggetti preziosi di provenienza delittuosa, che avrebbe ceduto a NOME COGNOME di COGNOME e di COGNOME ovvero a NOME COGNOME.
NOME COGNOME è stato, a sua volta, tratto a giudizio per avere commesso, tra il 9 ed il 15 aprile 2013, analoghe condotte e di avere, in specie, trasferito la merce di matrice illecita a NOME COGNOME.
La sentenza emessa a carico, tra gli altri, dei soggetti sopra indicati è stata annullata con rinvio dalla Corte di cassazione con sentenza n. 19931 del 15/04/2021, con la quale è stata stigmatizzata la legittimità della motivazione sottesa all’affermazione della penale responsabilità degli imputati, con particolare riferimento alla prova della provenienza delittuosa della merce della quale, stando a quanto emerso dalle espletate operazioni di intercettazione, i due erano entrati in possesso e che avevano ceduto agli acquirenti menzionati nelle imputazioni.
Il giudice del rinvio, nell’adempiere al compito demanclatogli da quello di legittimità, ha spiegato che la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, della provenienza illecita della merce commerciata da COGNOME e COGNOME si trae dalla combinata valutazione di una pluralità di elementi tratti, da un canto, dalle conversazioni intercettate, che danno conto di contatti, tra gli imputati e gli acquirenti, finalizzati ad incontri poi effettivamente avvenuti ed aventi presumibilmente ad oggetto – per il contenuto dei dialoghi, la loro successione cronologica e le concordate modalità operative – il compimento di attività illecita e, dall’altro, dalle informazioni raccolte in merito alla caratura criminale dei soggetti che ricevettero la merce, dediti al commercio di oro e monili di matrice furtiva.
NOME COGNOME propone, con il ministero dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione articolato su due motivi, con il primo dei quali lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello disatteso le
indicazioni promananti dalla sentenza di annullamento, fondando l’affermazione della sua penale responsabilità sui soli elementi tratti dalle intercettazioni ed omettendo di considerare le obiezioni sollevate con l’atto di appello.
Ascrive, in specie, al giudice del rinvio di essersi dilungato nel tratteggiare la personalità degli acquirenti, il cui coinvolgirnento in vicende analoghe a quella de qua agitur non è sufficiente a diradare l’incertezza in ordine all’oggetto delle transazioni e, vieppiù, alla provenienza da delitto della merce, ovvero alla sussistenza del reato presupposto della contestata ricettazione.
Con il secondo ed ultimo motivo, COGNOME eccepisce violazi,one di legge, anche per carenza di motivazione, con riferimento all’applicazione della recidiva, che avrebbe dovuto essere esclusa in ragione dell’epoca remota dei reati accertati con precedenti condanne.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione sul rilievo che il giudice del rinvio, lung dall’attenersi al principio di diritto enunciato con la sentenza di annullamento, ha sviluppato un ragionamento connotato dai medesimi vizi che già affliggevano la decisione cassata, per di più travisando le risultanze del servizio di osservazione eseguito 1’11 aprile 2013, che documenta la consegna di un oggetto che non è stato possibile identificare.
Né, aggiunge, la carenza di prova evidenziata dalla Corte di cassazione risulta superata dall’evocazione degli esiti delle espletate intercettazioni, dalle quali si evince che gli interlocutori hanno pianificato incontri la cui finalità rimasta incerta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati e, pertanto, passibili di accoglimento.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 19931 del 15/04/2021, ha ravvisato, nella prima pronunzia del giudice di appello, un «difetto di motivazione sulla ritenuta, e contestata, sussistenza degli elementi costitutivi del contestato delitto di ricettazione».
Con specifico riferimento agli odierni ric:COGNOME, ha affermato che «Quanto a NOME, la pronuncia di prime cure, infatti, elencava gli elementi di prova, relativi alle condotte di ricettaziontcontestategli al capo 19, da pagina 87 a pagina 90, senza però adeguatamente motivare in ordine alla provenienza da delitto degli oggetti dal medesimo ricevuti, deducendolo dal solo linguaggio
criptico utilizzato in tali occasioni», mentre, «Quanto a NOME COGNOME, ancora il Tribunale, da pagina 99 a pagina 102, ricordava le conversazioni telefoniche che proverebbero le condotte di ricettazione ascritte al prevenuto al capo 22, anche in tal caso deducendone l’illecita provenienza degli oggetti ricevuti dal linguaggio utilizzato per organizzare le consegne».
Ha, quindi, rilevato che i giudici di merito hanno posto «a fondamento della dedotta responsabilità un solo elemento indiziario che, pur potendosi considerare grave e preciso (considerando anche la particolare disciplina che presiede alla compravendita degli oggetti in metallo prezioso), non consente, per la sua unicità, il giudizio di concordanza con altri elementi, parimenti indiziari, necessario per pervenire alla declaratoria di penale responsabilità (in tema di valutazione del quadro indiziario relativo ad un’ipotesi di ricettazione si veda Sez. 2, n. 35827 del 12/07/2019, NOME, Rv. 276743)».
Il compito affidato al giudice del rinvio in conseguenza del disposto annullamento atteneva, dunque, al rinvenimento di indizi, diversi ed ulteriori da quelli tratti dalle captazioni, dimostrativi del fatto che, nelle date indicate rubrica, COGNOME e COGNOME hanno consegnato rispettivamente, a COGNOME ed COGNOME ed a COGNOME oro e preziosi provenienti da furto o rapina.
In proposito, la Corte di appello ha fatto applicazione dei canoni ermeneutici delineati dalla giurisprudenza di legittimità, ferma nel ritenere che «L’affermazione della responsabilità per il delitto di ricettazione non richiede l’accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, nè dei suoi autori, nè dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l’esistenza attraverso prove logiche» (Sez. 2, n. 29685 del 05/07/2011, Tartari, Rv. 251028 – 01) e che «Il presupposto del delitto della ricettazione non deve essere necessariamente accertato in ogni suo estremo fattuale, poiché la provenienza delittuosa del bene posseduto può ben desumersi dalla natura e dalle caratteristiche del bene stesso» (Sez. 1, n. 46419 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277334 – 01; Sez. 1, n. 29486 del 26/06/2013, COGNOME, Rv. 256108 – 01).
In fatto, ha ricordato (cfr. pagg. 12-14) che la sequenza dei contatti intercorsi tra NOME e NOME, tra il 2 ed il 12 gennaio 2013, attesta che, in quel torno di tempo, i due furono protagonisti di altrettanti rendez-vous finalizzati alla consumazione di attività illecita, ragionevolmente consistente nel commercio di beni di origine delittuosa, consegnati da NOME a NOME.
Analoghe considerazioni sono state dedicate ai dialoghi tra NOME ed NOME cfr. pagg. 14-15), registrati tra il 10 ed il 22 aprile, ed a quelli tra NOME (cfr. pagg. 22-24), pure aventi, come peraltro già espressamente riconosciuto anche dalla Corte di cassazione, valenza indiziante.
Il giudice del rinvio, chiamato a confrontarsi con il dictum di quello di legittimità, ha assegnato valenza decisiva, in funzione del superamento della ravvisata carenza di concordanza di una pluralità di indizi, alle informazioni acquisite circa la personalità degli acquirenti e, precipuamente, la loro consuetudine alla ricezione di beni di matrice illecita.
Ha, in particolare, segnalato: che COGNOME è stato più volte sorpreso, all’esito di incontri con altri soggetti ovvero all’uscita di un campo nomadi in Torino, in possesso di monili di valore non minimale’ dei quali non ha saputo indicare la provenienza; che COGNOME, lui pure legato da frequentazioni con soggetti di etnia nomade e privo di attività lavorativa lecita, è risultato avere la disponibilità d svariati orologi di pregio ed essersi recato, in una determinata occasione, presso un «Compro oro»; che COGNOME, nel dicembre 2012, è stato fermato, all’uscita del campo nomadi, in possesso di un bracciale in oro, oltre che di liquido reagente per la verifica della purezza del metallo, di un bilancino di precisione e di due lenti di ingrandimento e, nell’aprile 2013, è stato contattato da COGNOME in vista della cessione di cento grammi di oro, detenuti dall’odierno ricorrente.
Ora, i dati valorizzati dalla Corte di appello valgono senz’altro a confermare che gli incontri programmati e realizzati tra COGNOME e COGNOME, da una parte, e COGNOME, NOME e COGNOME, dall’altra, erano strumentali, con ogni probabilità, a transazioni aventi ad oggetto oro eo monili, ciò che, però, non è sufficiente a superare l’incertezza probatoria già ravvisata con la sentenza di annullamento.
Sul punto, occorre, invero, sottolineare come nulla risulti in relazione alla commissione di uno o più reati presupposti di furto o rapina, la cui consumazione non può, nel rispetto dei principi di materialità del fatto e personalità della responsabilità penale, essere comprovata attraverso meri riferimenti al luogo degli incontri o all’etnia dei cedenti.
Se è vero, infatti, che l’esperienza giudiziaria insegna che determinati contesti socio-ambientali sono connotati dalla larga diffusione di talune manifestazioni criminali, non è meno vero, per contro, che, nel caso di specie, manca qualsivoglia elemento di collegamento tra i beni che gli imputati hanno ceduto agli acquirenti ed una o più fattispecie criminose sufficientemente delineate per tipologia o elementi costitutivi.
Al riguardo, va opportunamente aggiunto che la generale liceità della detenzione dei beni de quibus agitur e la loro libera commerciabilità precludono il richiamo all’indirizzo ermeneutico (espresso, tra le altre, da Sez. 1, n. 46419 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277334 – 01) che ammette che la provenienza delittuosa del bene oggetto di ricettazione possa essere dimostrata avendo riguardo alla
natura ed alle caratteristiche della cosa, come accade, ad esempio, in caso di ricezione di oggetti, quali armi o munizioni da guerra, il cui trasferimento secondo legge presuppone l’esecuzione di specifici adempimenti.
Né, deve ulteriormente considerarsiaccertata consuetudine di COGNOME, NOME e NOME con l’acquisto di oro e gioielli da soggetti gravitanti in circuiti ( in cui non infrequente è il traffico di beni di matrice furtiva /soddisfa le condizioni precisamente indicate nella sentenza di annullamento, da essa traendosi, al più, la conferma della generale plausibilità dell’impostazione accusatoria e dell’esistenza, a carico degli imputati, di un quadro indiziario di indubbia pregnanza che, tuttavia, non risponde alle previsioni dell’art. 192 cod. proc. pen. in ragione della persistente – e, allo stato, insuperabile – incertezza in ordine alla enucleazione della storicità, della tipologia e delle principali coordinate dei reati (genericamente indicati come furto o rapina) posti a monte dell’acquisizione del relativo compendio in capo a COGNOME e COGNOME e, quindi, della cessione operata in favore, di volta in volta, di COGNOME, NOME e COGNOME.
5. Le precedenti considerazioni inducono, in conclusione, a ritenere che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta dal medesimo vizio che ha condotto all’annullamento del primo pronunciamento della Corte di appello, onde, pacifico che il giudice del rinvio abbia preso in considerazione il complesso delle evidenze istruttorie, non resta, in questa sede, che prendere atto, da un canto, della superfluità di un nuovo, ulteriore rinvio e, dall’altro dell’insussistenza della prova degli addebiti ascritti agli imputati.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Così deciso il 09/11/2023.