Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8064 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8064 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso la Corte di appello di Firen contro COGNOME NOME, nato a Mercato San Severino il DATA_NASCITA e nell’interesse dello stesso COGNOME NOME e di
COGNOME NOME, nato in Serbia il DATA_NASCITA,
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Firenze in data 25/11/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi con allegati;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto, in accoglimento del ricorso del P.g. territoria l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, limitatamente alla posizione di COGNOME NOME; inammissibi i ricorsi dei due imputati;
uditi i difensori degli imputati ricorrenti, AVV_NOTAIO, per COGNOME AVV_NOTAIO, per COGNOME, che hanno illustrato i motivi di ricorso, insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Firenze, con la sentenza indicata in epigrafe, ha parzialmente riformato (assolvendo NOME COGNOME da tutte le contestazioni di ricettazione non sostenute dalla certezza della provenienza da delitto dei preziosi, dei monili e degli orologi rinvenuti nel suo possesso e riducendo conseguentemente la pena base calcolata per l’episodio di ricettazione ritenuto più grave) la decisione adottata dal Tribunale del medesimo capoluogo il 5 novembre 2019, che aveva riconosciuto la responsabilità degli imputati, oggi ricorrenti, per i delitti di ricettazione loro rispettivamente ascritti. Con medesima sentenza, la Corte di appello disponeva la confisca (ai sensi dell’art. 240 bis cod. pen.) di tutti gli oggetti indicati in imputazione.
Avverso tale sentenza ricorrono il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso la Corte di appello di Firenze e gli imputati in epigrafe indicati, a ministero dei rispettiv difensori di fiducia, tutti deducendo a motivi della impugnazione le argomentazioni in appresso enunciate, secondo le indicazioni di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen..
Il ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO.
1.1. La parte pubblica denunzia omessa e/o contraddittoria motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.) della sentenza impugnata, che nel ribaltare, sia pur parzialmente, la decisione di condanna “totalizzante” del Tribunale, non ha preso posizione sulla attendibilità di quanto narrato dal COGNOME, che ha per primo descritto con completezza le illecite attività del COGNOME, così rinunziando a valorizzare a fini di prova quanto dallo stesso descritto, con dovizia di particolari. Anche in conseguenza di ciò, la decisione di prosciogliere l’imputato da tutte le ipotesi per le quali non vi è prova eclatante e diretta della provenienza furtiva delle cose in sequestro non è sostenuta da alcuna motivazione antagonista rispetto a quella (diffusa e puntuale) di primo grado. La motivazione è altresì manifestamente illogica allorquando non ritiene dimostrata la provenienza da delitto di beni posseduti in gran copia, dei quali l’imputato non ha indicato la legittima provenienza, né ha saputo allegare circostanze utili a giustificarne il possesso. Tali beni di pregio, per la loro natura, moltitudine, modalità di custodia e ricezione, potevano infatti ritenersi logicamente provento di delitto, secondo quanto pacificamente affermato in giurisprudenza (richiama Sez. 2, n. 43532 del 19/11/2021, Rv. 282308 – 01).
2. Il ricorso di NOME COGNOME.
2.1. Con il primo motivo, l’imputato denunzia vizio di motivazione apparente in ordine alla ritenuta responsabilità per il delitto di ricettazione contestato al capo
7, in difetto di prova della provenienza da delitto dei preziosi ceduti al COGNOME, oltre che della consapevolezza in capo al ricorrente di una tale illecita provenienza.
2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge costituzionale (art. 3 Cost.) ed in particolare del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, avendo la Corte, come il primo giudice, annesso particolare rilevanza probatoria alla etnia dell’imputato, così valorizzando il tipo d’autore, secondo una regola di giudizio del tutto estranea all’ordinamento vigente.
2.3. Deduce ancora, con il terzo motivo, violazione della legge penale e vizio di motivazione in ordine alla prova che tutti i monili consegnati al COGNOME, in particolare i 67 grammi di pezzi in oro, fossero di provenienza delittuosa; non potendosi in proposito valorizzare il mero silenzio tenuto dall’imputato sulla provenienza delle cose cedute.
2.4. Deduce ancora, violazione della legge penale e vizio di motivazione in riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti del fatto di lieve entità (art. 648 comma quarto, cod. pen.) e dell’aver provocato un danno patrimoniale di particolare tenuità.
2.5. Infine, violazione della legge penale, per non aver riconosciuto le circostanze attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena.
3. Il ricorso di NOME COGNOME.
3.1. Con il primo motivo, deduce violazione della legge penale, per avere la Corte riconosciuto la responsabilità per i più fatti di ricettazione, in difett dell’elemento soggettivo (dolo generico) che deve sorreggere la volontà di ricevere o acquistare cose di sicura provenienza delittuosa, atteso che nella fattispecie l’agente poteva al più sospettare della torbida provenienza degli oggetti ricevuti.
3.2. Manifesta illogicità della motivazione che non si pone il dubbio, in tema di confisca c.d. allargata o per sproporzione, sulla reale titolarità personale degli oggetti confiscati rinvenuti nell’esercizio commerciale la cui licenza è intestata al coniuge e nell’abitazione coniugale, potendo invece logicamente inferirsi che tali valori fossero nel possesso esclusivo del coniuge.
3.3. violazione e falsa applicazione della legge penale, in ordine alla ragionevolezza cronologica degli acquisti degli oggetti confiscati in epoca coincidente con le condotte per cui è condanna, trattandosi per molti dei monili confiscati di acquisti antecedenti all’anno 2011, allorquando la licenza commerciale era ancora intestata all’imputato.
All’udienza pubblica del 26 gennaio 2024, sulle conclusioni rassegnate dalle parti, la Corte riservava la decisione in camera di consiglio, dando all’esito lettura del dispositivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso la Corte territoriale è ammissibile e fondato.
1.1. Fuori da ipotesi di patologica inutilizzabilità (neppure ventilate dalla Corte o dalla difesa) di quanto denunziato dal teste COGNOME -che con NOME COGNOME aveva lavorato, ne conosceva i clienti i fornitori e le modalità di acquisto e vendita di preziosi, orologi, manufatti d’arte e di artigianato di pregio- va ricordato che in primo grado il giudizio è stato definito con il rito abbreviato, non condizionato, il che vale ad includere nel panorama delle prove utilizzabili tutte quelle (non patologicamente viziate) raccolte dal Pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (art. 442, comma 1 bis, cod. proc. pen.). Orbene, l’avere escluso dal coacervo di prove utilizzabili le dichiarazioni di una persona informata sui fatti, che non risulta iscritta nel registro delle persone indagate, neppure per fatti connessi a quelli per cui è processo, appare scelta arbitraria e di comodo, utile per eludere la contestazione di affidabilità della fonte ed attendibilità del narrato sollevata dalla difesa del COGNOME; ma al contempo assai limitante per la dimostrazione dei fatti contestati, atteso che proprio dalle modalità di acquisto, rivendita ed occultamento descritte dal COGNOME poteva agevolmente trarsi argomento per la prova della ricezione di cose di provenienza delittuosa, conosciuta dall’acquirente.
1.2. Valorizzate invece le dichiarazioni del COGNOME e valutatane la attenidibilità, più agevole sarebbe stato l’approccio, non solo storico, ma anche logico, alla dimostrazione della illiceità della provenienza di tutti beni in sequestro; ma non basta, perché anche sulla base degli altri elementi di prova raccolti (intercettazioni di conversazioni, pedinamenti, osservazioni, sequestri) la Corte avrebbe potuto facilmente trarre argomento per ritenere dimostrata la provenienza da delitto di tutto il vastissimo compendio in sequestro, giacché la prova della traccia illecita dei beni rinvenuti nel possesso dell’imputato può trarsi anche dalle deduzioni logiche (Sez. 2, n. 16012 del 14/03/2023, COGNOME, Rv. 284522; Sez. 1, n. 29486 del 26/6/2023, COGNOME, Rv. 256108) tratte dai fatti: quali le modalità di acquisto, custodia, occultamento, assai sintomatiche, nella concreta fattispecie, della derivazione da delitto. Il che coincideva esattamente con la ratio decidendi esposta nella motivazione della sentenza di primo grado, ribaltata sul punto, senza alcuna confutazione degli argomenti addotti dal giudice di primo grado.
1.3. La motivazione posta dalla Corte territoriale a fondamento della decisione riduttiva della quantità numerica di beni ricettati si palesa, dunque, oltre che “pigra”, anche manifestamente illogica, per quanto contrastata dalla linea giurisprudenziale di questa Corte sulla prova logica del delitto presupposto, meramente apparente, perché abbandona all’oblio quella di primo grado, senza confutarne funditus le ragioni, e contraddittoria, in quanto non chiarisce se il narrato (per vero più volte specificamente riscontrato dai fatti) del COGNOME dovesse o meno ritenersi attendibile.
1.4. La sentenza va pertanto annullata in punto di ridotta responsabilità del COGNOME alle sole ipotesi estratte dalla imputazione ed enucleate nella sentenza di appello, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
I ricorsi proposti nell’interesse degli imputati sono inammissibili, per le ragioni di seguito esposte.
2.1. Il ricorso di NOME COGNOME.
2.1.1. IL primo motivo di ricorso, svolto sul tema dell’accertamento della responsabilità per il fatto contestato (capo 7), mira a riproporre innanzi alla giurisdizione di legittimità i motivi di gravame (per vero, quanto mai generici ai limiti della tranciante inammissibilità) spesi nel merito e rigettati dalla Corte, con diffuse e puntuali argomentazioni, del tutto esaustive rispetto alle doglianze mosse dalla difesa sul punto. Il Collegio condivide il consolidato principio di diritto secondo il quale, a fronte della duplice condanna in primo ed in secondo grado (c.d. doppia conforme), il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo, purché specificamente indicati dal ricorrente, non può essere coltivato nella sede di legittimità, se non nel caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336, del 9/11/2018, Rv. 272018; Sez. 5, n. 1927, del 20/12/2017; Rv. 272324; Sez. 2, n. 7986, del 18/11/2016, Rv. 269217; Sez. 4, n. 44765, del 22/10/2013, Rv. 256837; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Rv. 258438).
D’altra parte, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo
grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame; esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595).
Tanto chiarito quanto all’ambito del sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza d’appello nel caso di duplice conformità verticale delle pronunce di colpevolezza, va rilevato che il giudice del merito ha ritenuto provata sia la materialità del fatto (testimoniato da un compendio intercettivo che la difesa non ha inteso neppure porre in discussione e confermato puntualmente dai sequestri), che l’elemento soggettivo del delitto di ricettazione, ampiamente motivando e, in particolare, valorizzando negativamente non solo il comportamento del correo rispetto alla res ricevuta; ma anche la mancanza di spiegazioni alternative in riferimento all’origine dei beni in loro possesso. La Corte territoriale si è così conformata al consolidato orientamento di questa Corte (solo tra le più recenti massimate: Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, Rv. 268713; da ultimo, Sez. 2, n. 20547, del 13/5/2022, COGNOME, n.m.), secondo il quale per la configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria l consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, e la prova dell’elemento soggettivo del reato può trarsi anche da fattori indiretti, qualora la loro coordinazione logica sia tale da consentire l’inequivoca dimostrazione della malafede nell’acquisto, che la Corte territoriale logicamente argomenta traendo spunto dal medesimo contesto negoziale nel quale avvengono le cessioni delle cose ingombranti contenute nel borsone (dalla certa origine furtiva) e dei 67 grammi di oro custoditi nel sacchetto consegnato al COGNOME. Ed inoltre, la sussistenza del dolo può essere desunta dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (sin da Sez. 2, n. 29198 del 25/05/2010, COGNOME, Rv. 248265); né, in tal senso, si richiede all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi de giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Sez. U., n. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
35535 del 12/07/2007, COGNOME, Rv. 236914). D’altro canto, l’elemento psicologi-co della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale; che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio (Sez. U., n. 12433 del 26/11/2009, dep. 2010, Nocera, Rv. 246324), ovverosia quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza (Sez. 2, n. 45256 del 22/11/2007, COGNOME, Rv. 238515). Nel caso di specie, la ricezione di manufatti di valore e l’omessa indicazione di attendibile spiegazione alternativa della derivazione, sono fattori certamente sintomatici del dolo – quanto meno eventuale – di ricettazione e precludono una più mite qualificazione del fatto.
2.1.2. Non consentito il secondo motivo, in quanto l’ordinamento processuale ammette il ricorso per violazione o falsa applicazione della legge penale (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.) o per inosservanza di quella processuale prevista a pena di nullità, inammissibilità o decadenza (art. 606, comma 1, lett. c, cod. proc. pen.). Non è pertanto consentito il motivo con cui si deduce la violazione diretta della norma costituzionale, della quale deve certamente tenersi conto nella corretta interpretazione della legge ordinaria e che costituisce parametro di riferimento per denunciare di contrasto con la Costituzione la norma primaria e invitare quindi il giudice a sollevare questione incidentale di costituzionalità. In ogni caso, la indicazione in motivazione della etnia dell’imputato appare funzionale solo alla corretta identificazione del soggetto ritratto per immagini. Il motivo è dunque anche manifestamente infondato.
2.1.3. Della corretta argomentazione per sostenere il convincimento della provenienza da delitto anche degli oggetti in oro del peso di grammi 67 contenuti nel sacchetto consegnato al COGNOME, si è già detto sub 2.1.1. Anche detto motivo non si confronta con lucide e pertinenti argomentazioni spese dalla Corte territoriale sul punto (genericamente) dedotto.
2.1.4. I vizi denunziati con il quarto motivi di ricorso (omessa motivazione sul rigetto delle attenuanti di cui agli artt. 62, comma primo, n. 4 e 648, comma quarto, cod. pen.) non risultano prospettati al giudice della impugnazione di merito, cosicché resta interrotta la catena devolutiva che deve accompagnare il percorso verticale delle impugnazioni, consegue la inammissibilità ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.. In considerazione del valore anche ponderale delle cose cedute non può comunque ritenersi che il fatto sia da
ritenersi di lieve entità, come pure il danno patrimoniale patito dalle persone cui i monili e gli oggetti d’arredo furono sottratti.
2.1.5. La sospensione condizionale della pena non è stata sollecitata presso la Corte di merito, che avrebbe potuto valutarne i presupposti, peraltro inconciliabili con i precedenti penali che gravano la biografia criminale del ricorrente. Le circostanze attenuanti generiche erano state già negate dal primo giudice, nella assenza di altri elementi processuali positivamente apprezzabili, per la presenza di precedenti penali specifici. La motivazione che sorregge in appello la congruità della sanzione irrogata (non occasionalità della cessione che si evince dalle conversazioni intercettate) vale anche ad escludere ogni possibilità di accesso alle attenuanti generiche richieste con il motivo di appello dedicato al trattamento sanzionatorio. Neppure tale motivo si sottrae pertanto alla scure della inammissibilità per manifesta infondatezza anche del motivo di gravame proposto alla Corte di merito.
2.2. Il ricorso di NOME COGNOME.
2.2.1. Il primo motivo, dedicato alla denuncia della violazione di legge compiuta con la sentenza che conferma la responsabilità per i diversi delitti di ricettazione, in difetto di prova della consapevolezza della provenienza da delitto del museale compendio delle cose in sequestro, partecipa delle medesime ragioni di inammissibilità già esplicitate al punto sub 2.1.1., che si richiama.
2.2.2. Il secondo ed il terzo dei motivi di ricorso, con i quali si denuncia il vizio esiziale della motivazione che sostiene la confisca c.d. allargata di tutti i beni in sequestro, si pongono in rapporto di inconciliabilità logica con il disposto annullamento della sentenza in accoglimento del ricorso della parte pubblica. Alla decisione della Corte onerata del rinvio potrebbe infatti conseguire la confisca diretta delle cose provento del reato di ricettazione.
In ogni caso, l’imputato non ha interesse a proporre impugnazione in ordine al provvedimento ablatorio caduto su beni (mobili, nella fattispecie) che si prospettano con gli stessi motivi essere nella titolarità di terzi (nella fattispecie del coniuge), poiché, non potendo vantare l’imputato alcun diritto alla loro restituzione, non può ottenere alcun effetto favorevole dalla decisione (solo tra le più recenti oggetto di massimazione, Sez. 2, n. 4160 dell’11/12/2019, Rv. 278562).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro tremila, per ciascuno dei ricorrenti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente all’assoluzione del COGNOME dal reato di ricettazione di beni diversi da quelli provento dei delitti di furto in abitazione commessi in danno di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME e COGNOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 gen io 2024.