Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7697 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7697 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: dalla parte civile NOME nato il 28/06/1948 dalla parte civile NOME nato a CUNEO il 19/07/1972 nel procedimento a carico di: NOME nato a CASARANO il 04/05/1979 inoltre: MINISTERO DELLE DIFESA
avverso la sentenza del 28/02/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
I+-P76- . – correfede-eii-he.d-e-nde . GLYPH l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
udito il difensore
L’avvocato NOME del foro di CATANIA in difesa di COGNOME NOME anche in qualità di sostituto processuale dell’avvocato COGNOME NOME del foro di SIRACUSA in difesa di NOME conclude associandosi alle conclusioni del procuratore Generale e insiste nell’accoglimento dei
motivi dei ricorsi. Deposita conclusioni scritte e n. 2 note spese.
L’avvocato COGNOME NOME dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO del foro di ROMA in difesa di MINISTERO DELLE DIFESA conclude chiedendo l’accoglimento dei ricordi delle parti civili.
L’avvocato NOME COGNOME del foro di RIMINI in difesa di NOME conclude chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi e in subordine il rigetto dei ricorsi delle part civili.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 29 novembre 2021 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pisa assolveva NOME COGNOME per non aver commesso il fatto dall’omicidio volontario dell’allievo paracadutista NOME COGNOME, avvenuto il 13 agosto 1999 all’interno della caserma dei paracadutisti Gamerra di Pisa, al rientro di quest’ultimo dalla libera uscita.
Secondo l’ipotesi di accusa l’imputato, che ha scelto il rito abbreviato, avrebbe concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME, per i quali si procede separatamente avendo optato per il rito ordinario, nelle condotte determinanti la morte del suddetto. E precisamente in una serie di “atti di nonnismo” – quindi con l’aggravante dei motivi abietti e futili quali il colpirlo con violenza in più parti del corpo, dopo averlo costretto a svestirsi parzialmente, e il proseguire nell’azione violenta, materialmente esercitata da COGNOME lungo la scala di asciugatura dei paracadute, su cui COGNOME si era issato per sottrarsi agli strattonamenti e alle percosse, e dalla quale precipitava, giunto ad un’altezza di circa dieci metri, a seguito di rinnovati colpi infertigli al piede sinistro mediante un corpo penetrante e, tramite schiacciamento, sulla parte superiore delle mani, mentre tratteneva la struttura esterna di detta scala, morendo sul colpo in conseguenza di politraumatismi vari alle vertebre e al cranio.
Lo stesso Giudice assolveva NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente Generale comandante della Brigata Paracadutisti Folgore e aiutante maggiore del Comandante del Reparto Corsi del CAPAR, dai reati di favoreggiamento personale, in favore anche di NOME COGNOME agli stessi rispettivamente ascritti per insussistenza del fatto.
Con la sentenza in esame la Corte di assise di appello di Firenze, investita degli appelli del Pubblico ministero presso il Tribunale di Pisa e delle parti civili, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da detto Pubblico ministero in relazione alle posizioni degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME a seguito di rinuncia all’impugnazione. Ha, poi, confermato la sentenza di primo grado in relazione all’imputato NOME COGNOME
1.1. La Corte territoriale, al pari del primo Giudice, ha ritenuto non comprovata, oltre ogni ragionevole dubbio, la presenza di NOME COGNOME la notte dell’omicidio, tra il 13 e il 14 agosto 1999, nella caserma Gamerra e in particolare in una camerata di detta caserma, ove alcuni
commilitoni avrebbero commentato qualcosa di grave che avevano appena commesso. E ciò sulla base non solo dei fogli di presenza, da cui risultava trovarsi quei giorni in licenza, ma anche delle dichiarazioni di Antico, confermate, altresì, dai suoi genitori, secondo cui lo stesso sarebbe partito la sera del 12 agosto 1999 e arrivato a casa, in Puglia, il giorno successivo, dopo avere viaggiato di notte.
Avverso la sentenza di appello pronunciata nei confronti di NOME COGNOME propongono, ai soli effetti civili, ricorso (congiunto) per Cassazione, tramite i propri difensori di fiducia, le parti civili ritualmente costituite nel presente processo (la cui costituzione, come specificato in via preliminare all’odierna udienza, era ammessa nei confronti soltanto del suddetto), NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente fratello e madre della vittima.
2.1. Col primo motivo di impugnazione viene dedotto vizio di motivazione per travisamento del fatto in relazione alla presenza di NOME COGNOME all’incontro del 13 agosto 1999, su cui ha testimoniato NOME COGNOME rispetto ad altri atti del procedimento.
Si sottolinea la piena credibilità di NOME COGNOME che risulta avere immortalato nella propria memoria l’immagine di NOME COGNOME nella camerata della caserma teatro dei fatti la notte tra il 13 e il 14 agosto 1999, insieme a COGNOME e COGNOME mentre diceva a questi ultimi, che come lui sudavano freddo, una frase del tipo “l’abbiamo fatta grossa”; e averla riportata nel corso delle sommarie informazioni testimoniali dal medesimo rese il 4 aprile 2018.
Si rileva come COGNOME descriva in modo nitido e lineare detta immagine, poiché fatto eccezionale, imprevedibile e direttamente connesso al ritrovamento del cadavere di NOME COGNOME avvenuto tre giorni più tardi.
Lamenta la difesa che il racconto di COGNOME del quale è esclusa nelle stesse pronunce di merito la volontà di calunnia, oltre a non essere smentito da elementi probatori di segno opposto, non presenta alcuna incertezza e contraddizione, venendo, peraltro, attribuita all’imputato una frase specifica da destare sospetto e inquietudine in capo a chi lo ascoltava, tanto da rievocare e far coincidere quella circostanza con i fatti accaduti a Scieri.
Rileva che, pertanto, non si giustifica l’attribuzione, su cui fanno leva i giudici di entrambi i gradi di giudizio, in una doppia conforme, al
dichiarante di un errore mnemonico circa la presenza dell’odierno imputato in camerata.
Sottolineano i difensori che COGNOME nelle sommarie informazioni testimoniali di precisazione del 10 luglio 2018, riporta con precisione la cronologia dei fatti accaduti, laddove afferma che “potevano essere grossomodo le una”, a coerente conferma di quanto dichiarato il 24 agosto 1999, in cui precisò di essere montato di servizio notturno di piantone alle camerate della sua compagnia con orario 00.00-1.30 (diversamente da come emergente dai fogli dei servizi redatti dal capitano COGNOME a posteriori, il cui contenuto con riguardo al servizio di COGNOME è risultato, a seguito di approfondimento investigativo, erroneo).
Evidenziano come COGNOME arrivi alla decisiva testimonianza del 4 aprile 2018 come testimone illibato, poiché escluso da altre possibili contaminazioni testimoniali in relazione a questa vicenda, in quanto mai sentito dagli inquirenti negli anni 1999-2002 sulla vicenda COGNOME e neppure in sede di indagine interna ovvero di inchiesta da parte della Commissione parlamentare (essendo stato prima allontanato e poi riformato dopo la sua denuncia per atti di nonnismo del 24 agosto 1999, in cui, a distanza di 4 giorni dal suo tentativo di suicidio, racconta se stesso e le condotte violente commesse ai suoi danni da COGNOME, COGNOME e COGNOME ed essendosi successivamente trasferito per lavoro in Inghilterra).
Rilevano che lo stesso gesto estremo autolesionistico di COGNOME potrebbe trovare la sua origine nelle vessazioni perpetrate ai suo danni nel tempo, il cui epilogo emotivo potrebbe essere collegato con quanto accaduto la notte del 13 agosto in camerata, di cui divenne testimone involontario; e che la preoccupazione di quanto potesse essere accaduto fu da lui confessata a Pascarella il 15 agosto 1999, parlando della possibile morte di COGNOME e della possibilità che lo stesso potesse accadere a lui (“il prossimo sono io”).
Sottolineano che, al pari del foglio dei servizi relativo a COGNOME, che è risultato non essere veritiero quanto all’orario di servizio indicato, anche quello relativo ad Antico potrebbe essere stato modificato.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso viene denunciato vizio di motivazione.
Osserva la difesa che COGNOME è del tutto credibile quando afferma la presenza nella camerata del caporale NOME e il fatto che fu preso da parte dal terzetto, anche perché riscontrato dal giornale di contabilità, che
segnala il rientro in servizio di detto caporale dalla licenza proprio il 13 agosto, e dalle dichiarazioni di COGNOME circa la necessità della presenza di NOME in caso di sua assenza (come nel periodo in esame, in cui COGNOME era assente fino al 15 agosto).
Lamenta che le dichiarazioni di COGNOME secondo cui NOME fu messo al corrente di quanto accaduto, non sono state approfondite, come altresì il ruolo dei caporali istruttori paracadutisti, come il suddetto, nel percorso di indottrinamento alle regole del nonnismo da inculcare ai nuovi arrivati.
Si dolgono i difensori che la sentenza in esame ignori la presenza di una potenziale testimonianza di riscontro diretto a quanto visto e appreso da COGNOME (COGNOME appunto), che avrebbe potuto essere foriera di informazioni individualizzanti su ogni aspetto dell’omicidio e sul suo occultamento; che, invece, in tale sentenza non si consideri che COGNOME che, sentito nell’ottobre 1999, allontanava la sua presenza dalla caserma rispetto alla notte del 13 agosto 1999 in contrasto con quanto rilevato, si fosse reso protagonista dello smascheramento dei due militari infiltrati per operare indagini segrete all’interno della caserma sulla morte di Scieri, come emergente dall’annotazione di P.g. del maresciallo COGNOME; e, infine, che entrambe le sentenze non affrontino il percorso indiziario reale che questo processo porta con sé.
2.3. Col terzo motivo di ricorso si eccepisce mancanza di motivazione con riferimento ad atti e motivi di impugnazione indicati con l’appello, sui quali la sentenza impugnata non interviene.
Si rileva la censurabilità della sentenza per la sua, di fatto, mancata motivazione in difetto dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. e quindi per la riconducibilità al vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.
I difensori delle parti civili concludono, quindi, alla luce di tutti i motivi sopra indicati, per l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
La Corte di assise di appello di Firenze muove dalla considerazione, assolutamente logica, che l’affermazione di colpevolezza di NOME COGNOME presupponga due passaggi ineludibili: – il primo consiste nel ritenere provata la sua presenza nella camerata e la sua partecipazione con gli altri commilitoni alla conversazione che COGNOME riferisce di avere ascoltato
la notte del 13 agosto 1999; – il secondo nel dare alla conversazione la valenza di prova sufficiente ad affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, la partecipazione, quantomeno a titolo di concorso morale, di tutti gli interlocutori nell’omicidio di Scieri.
Tanto premesso, la Corte territoriale, dopo un’attenta disamina del compendio probatorio emergente dagli atti, giunge alla conclusione che lo stesso non consenta di superare il primo dei due passaggi.
Ritiene, innanzitutto, infondata la prima critica svolta dagli appelli del P.m. e delle parti civili nei confronti del percorso argomentativo del primo Giudice, che, pur ritenendo attendibile il testimone chiave COGNOME in ordine a quello che sarebbe accaduto la notte tra il 13 e il 14 agosto 1999, poi illogicamente conclude che ciò che appare fondato per gli altri imputati non lo è per Antico.
Evidenzia a tale riguardo che: – le dichiarazioni di COGNOME, seppure tecnicamente non hanno necessità di riscontri, nel senso previsto dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., trattandosi di testimone indifferente, devono essere valutate con estrema attenzione; – dette dichiarazioni risultano invero “deboli”, avendo il suddetto per quasi venti anni sostenuto di non sapere nulla di preciso sulla morte di NOME COGNOME salvo poi a riferire del colloquio notturno avvenuto nella camerata tra COGNOME, COGNOME e Antico solamente nelle sommarie informazioni testimoniali del 4 aprile 2018, dopo che gli investigatori gli avevano letto le dichiarazioni di NOME COGNOME all’epoca dei fatti sua fidanzata (la quale dichiarava di avere saputo proprio da COGNOME che la notte della scomparsa di Scieri il gruppo dei “nonni” più violenti si era dimostrato in camerata molto preoccupato); – COGNOME, inoltre, in più occasioni ha riferito fatti inesistenti (avendo raccontato alla COGNOME, come da s.i.t. rese dalla stessa il 26 agosto 1999 ai carabinieri di Pisa, di essere orfano di entrambi i genitori dall’età di dieci anni, mentre lo stesso ai medesimi carabinieri due giorni prima aveva detto che era stato suo padre a convincerlo a rientrare in Caserma; avendo ancora riferito, il 3 aprile 2018, che la COGNOME gli aveva raccontato che tre persone incappucciate si erano recate a casa sua, venendo, però, smentito dalla medesima) e in altre si è contraddetto da solo, in particolare circa la presenza di Ara la notte del colloquio da lui percepito (avendo sempre riferito agli inquirenti che detta notte il caporale era lì a discutere di quello che era successo con il terzetto preoccupato, mentre NOME ha dichiarato di non ricordare detta circostanza, fatta eccezione di quando è stato sentito dall’autorità
giudiziaria militare il 26 marzo 2020, negando in tale occasione che NOME fosse presente); – le dichiarazioni di COGNOME, proprio per la debolezza manifestata per molteplici ragioni, necessitano di una valutazione particolarmente rigorosa e di riscontri da altre fonti di prova; – dette dichiarazioni (come anche quelle di supporto della COGNOME) hanno trovato in relazione alla presenza quella notte di COGNOME e COGNOME elementi di conferma (sia le smentite della condivisione dei viaggi di rientro a casa provenienti rispettivamente dai commilitoni NOME COGNOME e NOME COGNOME sia le intercettazioni ambientali; e per COGNOME anche la sparizione dei vecchi scarponi e la circostanza che, subito dopo il fatto, fosse in procinto di tornare negli USA e rinunciare alla cittadinanza italiana).
La Corte territoriale rileva che, diversamente che per COGNOME e COGNOME, della presenza di COGNOME con questi ultimi due al colloquio nella camerata della caserma riferito da COGNOME, in cui i tre avrebbero commentato di “averla fatta grossa”, non vi è alcun riscontro alle deboli dichiarazioni di COGNOME.
Osserva detta Corte come neppure riscontrino dette dichiarazioni quelle del militare di leva NOME COGNOME il quale, ascoltato dalla Procura militare di La Spezia nel 2002, ha riferito della presenza di Antico in caserma la sera del 13 agosto 1999, ma solo per averla appresa de relato da altro militare, di cui, però, non ricordava il nome. Aggiunge che né COGNOME che fu l’ultimo a vedere NOME COGNOME quella sera, né gli altri militari che si trovavano al bar con la vittima, hanno confermato la presenza dell’imputato all’interno della caserma.
Evidenzia sempre la sentenza di appello, nel passare ad approfondire la posizione di Antico, che egli ha sempre sostenuto la stessa versione (pur non fornendone documentazione per il tempo decorso e per il minimo grado di informatizzazione del sistema di vendita dei biglietti all’epoca del fatto), riferendo ai carabinieri di Pisa il 13 marzo 2000 di essere partito da Pisa per la licenza il 12 agosto 1999 e precisamente di essere uscito dalla caserma alle ore 16.30, di avere preso un treno Intercity per Roma e poi da Roma un altro treno Intercity per Lecce, e di essere poi rientrato in caserma il 19 agosto successivo alle ore 22.00; e che a questa ricostruzione, d’altra parte, non vi è alcuna smentita. Sottolineano i Giudici di appello che, a tutti gli effetti, Antico ha fornito un alibi, avendo i suoi genitori confermato che anche quell’anno avevano passato tutti insieme il ferragosto in Puglia e che NOME era tornato a
casa il 13 dopo avere viaggiato di notte. Rilevano che nella motivazione del G.u.p. viene sottolineato anche un altro dato significativo in favore dell’imputato, ricavabile dalle intercettazioni delle conversazioni di Antico con la madre, in cui gli interlocutori, che danno per assodato come fatto veritiero il rientro a casa di NOME il 13 agosto 1999, si pongono solo il problema di riuscirlo a dimostrare; e che con tale dato non si confronta l’appello del P.m.
La motivazione si sofferma anche sul fatto che non è affatto provato che i tre agissero sempre insieme nelle loro vessazioni ai danni delle reclute, risultando anzi provato il contrario (gli atti di nonnismo ai danni dell’allievo paracadutista COGNOME per i quali furono sanzionati solo COGNOME e COGNOME). E rileva che anche con tale punto non si confronta il suddetto appello.
La Corte di assise di appello di Firenze, quindi, ritiene, al pari del primo Giudice, la prova emergente dagli atti non sufficiente a superare ogni ragionevole dubbio, secondo il criterio stabilito dall’art. 533, comma 1, cod. proc. pen.
Rileva che detto canone di giudizio implica la possibilità di pervenire ad una pronuncia di condanna solo quando la prova sia sufficientemente chiara, coerente e univoca, al punto da poter escludere ragionevolmente la possibilità di ipotesi ricostruttive alternative.
Aggiunge che nel caso in esame l’ipotesi ricostruttiva alternativa non riguarda la dinamica dell’omicidio, quanto piuttosto il fatto che COGNOME abbia riferito un fatto reale, e precisamente la presenza di alcuni commilitoni che in maniera agitata commentavano qualcosa di grave che avevano appena commesso nella notte tra il 13 e il 14 agosto 1999 in una camerata nella caserma Gamerra, ma inserendovi erroneamente anche NOME COGNOME che sicuramente conosceva e che altre volte aveva visto insieme a COGNOME e COGNOME, ma che quella notte in realtà non c’era perché si trovava in licenza.
Rileva la sentenza in esame che, quindi, questo è il ragionevole dubbio, fondato su elementi molto concreti, che secondo il primo Giudice sbarra la strada ad una condanna.
E, premesso che per capovolgere un esito assolutorio è indispensabile che la ricostruzione alla quale si intende aderire sia assolutamente l’unica possibile senza margine alcuno di incertezza e che tale condizione non risulta essersi verificata nel caso in esame, conferma la pronuncia di assoluzione in relazione alla posizione di NOME COGNOME
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A fronte di tale scrupoloso iter argomentativo, scevro da vizi logici e giuridici, che fa corretta applicazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio (si veda per tutte Sez. 1, n. 31456 del 21/05/2008, COGNOME, Rv. 240763, secondo cui il giudice deve ritenere intervenuto l’accertamento di responsabilità dell’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio”, che ne legittima ai sensi dell’art. 533, comma primo, cod. proc. pen. la condanna, quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana), le censure dei difensori delle parti civili si rivelano infondate.
Laddove, invero, insistono sulla affidabilità delle dichiarazioni di NOME COGNOME circa la presenza in caserma di NOME COGNOME la notte del 13 agosto 1999, senza confrontarsi con la rilevata assenza di riscontri, indispensabili proprio per la debolezza, su più fronti, di dette dichiarazioni; o, inoltre, sullo sfogo che COGNOME avrebbe fatto con COGNOME nei giorni della scomparsa di COGNOME, che, però, non sarebbe indicativo della presenza di COGNOME al momento di detta scomparsa; o, ancora, sulla riferita presenza di NOME all’incontro con i commilitoni preoccupati, senza considerare le successive dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria militare dallo stesso COGNOME in cui tale presenza, peraltro non smentita da NOME limitatosi ad affermare di non ricordare, viene negata; o, inoltre, sul potenziale riscontro che sarebbe potuto provenire dall’approfondimento della conoscenza di NOME sulla vicenda, quando, poi, è lo stesso COGNOME incerto sull’interlocuzione del caporale con i commilitoni preoccupati del fatto appena commesso; ovvero sulla possibile falsità, alla luce di quanto risulta essere stato verificato per COGNOME, di tutti i fogli di servizio compilati a posteriori, ivi compresi quelli documentanti l’allontanamento di Antico dal servizio. O, infine, laddove lamentano genericamente il mancato confronto con allegazioni e motivi difensivi, a fronte di una pronuncia che sembra avere analiticamente sviscerato ogni profilo di censura sia proveniente dal P.m. che dalle parti civili.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna delle parti civili ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2024.