Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29556 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29556 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in Albania il 24/12/1980 avverso la sentenza del 14/11/2024 della Corte d’appello di Brescia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; sentiti i difensori del ricorrente, avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che si sono riportati ai motivi di ricorso, insistendo per il suo accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15 maggio 2006, poi confermata nei gradi successivi, la Corte d’assise di Milano ha condannato NOME COGNOME alla pena di venticinque anni di reclusione per l’omicidio di NOME COGNOME e per il tentato omicidio di NOME COGNOME fatti commessi a Milano nella notte tra il 1° e il 2 settembre 2001.
La condanna si è fondata essenzialmente sulle deposizioni della persona offesa, NOME COGNOME, e di NOME, ex compagna del COGNOME. Lo COGNOME aveva riconosciuto nell’imputato l’ autore degli spari e aveva asserito di esser venuto alle mani con costui in precedenza in Albania. La NOME, in passato costretta dal COGNOME a prostituirsi, a seguito della rottura del rapporto con costui s’era legata allo COGNOME e, per questo, era stata investita con un veicolo dal COGNOME.
La difesa aveva, sin dall’origine, sostenuto l’alibi del COGNOME, producendo documentazione attestante il suo ricovero presso l’Ospedale Militare di Tirana tra il 30 agosto e il 1° settembre 2001. Tuttavia, tale documentazione è stata ritenuta, dai giudici di merito, inidonea a scagionare il COGNOME, sia per le anomalie riscontrate nel registro ospedaliero, sia per la mancata identificazione del soggetto effettivamente ricoverato, sia, infine, perché il COGNOME, ove pure ricoverato, avrebbe avuto -secondo i detti giudici -modo e tempo di raggiungere il luogo dei fatti.
La difesa del COGNOME ha presentato istanza di revisione alla Corte d’appello di Brescia, ai sensi dell’art. 630, lett. c), cod. proc. pen., assumendo esservi nuove prove idonee a ingenerare un ragionevole dubbio sulla colpevolezza del proprio assistito. L’istanza è stata rigettata c on sentenza del 14/11/2024.
Avverso tale sentenza, il COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando vizi motivazionali e violazioni di legge (in particolare degli artt. 575, 577 n. 3, 56 cod. pen. e degli artt. 192, 530, 630, lett. c, 632, 636 e 637 cod. proc. pen.).
La difesa evidenzia, anzitutto, la debolezza dell’originario quadro accusatorio.
Incerte sarebbero le parole dello Xhupa. Questi aveva inizialmente indicato l’aggressore come ‘Erian’ . Inoltre, in un contesto di concitazione e immediato pericolo di vita (attinto da colpi d’arma da fuoco, mentre scappava), era improbabile che lo stesso avesse potuto voltarsi e riconoscere con certezza il volto dell’aggressore, peraltro non identificato dagli altri testi .
Le sommarie informazioni testimoniali di NOMECOGNOME acquisite per la sua irreperibilità, si limitavano a confermare presunte minacce e aggressioni poste in essere dal COGNOME.
Indimostrato sarebbe il movente del delitto, non trovando riscontri oggettivi l’ipotesi accusatoria della gelosia del COGNOME e dei suoi contrasti con lo COGNOME per il ‘ controllo ‘ di NOME, a suo dire allontanatasi dal COGNOME perché costretta a prostituirsi da questi. La NOME, peraltro, aveva continuato per suo conto l’attività di meretricio.
Ci si duole, poi, del ristretto concetto di “prova nuova” considerato dalla Corte territoriale, pigramente adagiatasi sulle argomentazioni del pregresso processo. Prove nuove rilevanti ai sensi dell’art. 630, lett. c), cod. proc. pen. sarebbero non solo quelle sopravvenute o scoperte dopo la sentenza definitiva, ma anche quelle preesistenti e semplicemente non acquisite o non valutate nel
processo originario, indipendentemente dalla negligenza del condannato, tali da condurre, con ragionevole sicurezza, a evidenziare l’incapacità del compendio probatorio originario a sostenere l ‘accusa oltre ogni ragionevole dubbio.
Le nuove prove idonee a far ritenere che il COGNOME fosse in Albania al momento dei fatti, ab origine mal valutate, sarebbero:
-le sommarie informazioni testimoniali rese di NOME COGNOME (raccolte il 22 novembre 2023), il quale, pur non ricordando la data con esattezza, ha sostenuto che COGNOME, suo amico e parente, in quei giorni, non si era mai allontanato dall’Albania, essendo stato suo ospite, ed era stato ricoverato più volte all’ospedale di Tirana per giramenti di testa;
-le sommarie informazioni testimoniali di NOME COGNOME (raccolte il 27 marzo 2024), che ha affermato di aver accompagnato COGNOME in ospedale il 30 agosto 2001, rimanendo con lui una notte intera e che, lo stesso non si sarebbe allontanato dall’Albania dopo il ricovero, per quanto a sua conoscenza;
-le dichiarazioni del dottor NOME COGNOME medico ospedaliero, confermative del ricovero del Tavanxhiu presso l’Ospedale Militare di Tirana, il 1° settembre 2001, per attacchi di panico e disturbi depressivi, secondo cui, dopo la visita in pronto soccorso, costui era rimasto in ospedale.
La Corte d’appello di Brescia avrebbe illogicamente superato tali dichiarazioni ritenendole generiche, prive di riscontri e tardivamente prodotte, senza considerare la possibilità, in sede di revisione, di ammettere -come detto -anche prove preesistenti non acquisite o non valutate nei precedenti processi, indipendentemente dalla negligenza del condannato.
Si contesta la declaratoria di inutilizzabilità della dichiarazione di NOME COGNOME per l’assenza degli avvisi di rito di cui all’art. 391bis cod. proc. pen., essendo dovere della Corte d’appello, in virtù dei suoi poteri istruttori ( ex art. 636 cod. proc. pen.), di sentire il dichiarante, anche ai fini della sua credibilità.
Erroneamente si sarebbe negato valore di “prova nuova” alle dichiarazioni del dottor NOME COGNOME sol perché già sentito con rogatoria internazionale nel processo di merito. Si rimarca come la sua attuale audizione sia avvenuta su impulso della difesa e con una rinnovata valutazione dei documenti sanitari.
E, ancora, questi ultimi non sarebbero inattendibili per ritenute anomalie, sia perché non verificate con perizia, sia perché superate dall ‘ autentica da parte del Fatos, che ha chiarito come tali anomalie costituiscano prassi comune nell’Ospedale Militare di Tirana.
Mera supposizione della Corte d’Appello, priva di supporto probatorio, sarebbe, infine, quella per cui COGNOME pur ricoverato in Albania, avrebbe potuto
lasciare l’ospedale e raggiungere Milano in poche ore.
In sintesi, il ricorso ha concluso che l’erroneità della decisione impugnata emerge dalla svalutazione illogica delle dichiarazioni testimoniali e della documentazione ospedaliera, che, considerate insieme alle prove già in atti, smentirebbero in modo evidente il quadro accusatorio , confermando l’alibi illo tempore addotto dal COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Va premesso che, in tema di revisione, la valutazione del giudice del merito sull’inidoneità del le prove nuove ad inficiare l’accertamento dei fatti posti alla base della sentenza di condanna si sottrae a censure in sede di legittimità, se fondata su una motivazione adeguata ed immune da vizi logici (Sez. 4, n. 41398 del 24/09/2024, Rigano, Rv. 287210-01).
In tale ambito, è inoltre «precluso ridiscutere di quanto già dedotto perché, diversamente, la revisione verrebbe surrettiziamente trasformata in un ulteriore mezzo di impugnazione ordinario, non previsto in quale tale» (così Sez. 1, n. 42704 del 13/09/2019, non massimata, proprio in tema di addotto contrasto di giudicati su fatti vagliati in modo difforme in diverse sedi processuali; confronta, negli stessi termini: Sez. 4, n. 32407 del 26/7/2023, non massimata).
Ai fini della revisione della sentenza di condanna ex art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la “prova nuova” non può consistere, insomma, in una diversa valutazione del dedotto o in un’inedita disamina del deducibile, ma deve constare di elementi, caratterizzati da novità, estranei e diversi da quelli acquisiti nel processo, sicché non costituisce “prova nuova” un elemento già esistente negli atti processuali, ancorché non conosciuto o valutato dal giudice per mancata deduzione o mancato uso dei poteri d’ufficio (Sez. 4, n. 11628 del 26/02/2025, COGNOME, Rv. 287728-01; confronta, negli stessi termini, Sez. 5, n. 42859 del 07/07/2023, non massimata) e, a maggior ragione, non possono integrarla questioni già delibate dal medesimo giudice (Sez. 3, n. 28358 del 30/03/2016, Rv. 267531-01).
In particolare, non può mai costituire nuova prova la testimonianza la cui ammissione sia finalizzata a ottenere una diversa valutazione delle prove già apprezzate con la sentenza di condanna (così Sez. 3, n. 14547 del 08/03/2022, Rv. 282987-01; Sez. 3, n. 19598 del 10/03/2011, Rv. 250524-01; Sez. 4, n. 542 del 05/12/1996, dep. 1997, COGNOME, Rv. 206779-01). Tanto al fine di evitare che
l’istituto si trasformi in un meccanismo di perpetua contestazione delle valutazioni probatorie operate dal giudice del merito. La testimonianza che miri esclusivamente ad ottenere una rivalutazione dell’attendibilità di prove già esaminate ed apprezzate nel giudizio di cognizione non introduce, infatti, elementi conoscitivi genuinamente innovativi, ma si limita a proporre una prospettiva interpretativa alternativa di dati probatori già sottoposti al vaglio giurisdizionale (Sez. 4, n. 20382 del 10/4/2025, non massimata). Invero, l’ammissione di prove testimoniali finalizzate esclusivamente ad una diversa valutazione dell’attendibilità di dichiarazioni già apprezzate, senza fornire una conoscenza diretta dei fatti, finirebbe per privare di qualunque ambito operativo l’ipotesi di revisione relativa a condanna pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio, prevista dalla lett. d) del primo comma dell’art. 630 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 14547 del 08/03/2022, Rv. 282987-01 e Sez. 4, n. 20382 del 10/4/2025, non massimata).
In simili casi, infine, la corte d’appello può rivalutare la richiesta e dichiararne con sentenza l’inammissibilità anche nella fase degli atti preliminari, allorquando risulti, per qualsiasi ragione, che le prove richieste manchino del requisito della novità o della idoneità a provocare l’assoluzione del condannato, non residuando, in tal caso, alcun ulteriore accertamento che giustifichi il prosieguo del dibattimento e lo svolgimento di ulteriore attività difensiva (Sez. 5, n. 18064 del 25/03/2025, Rv. 288137-02).
Alla luce dei detti principi di diritto, correttamente la Corte d’appello ha disatteso l’istanza, ritenendo inidonee a scalfire l’accusa le assunte ‘prove nuove’ indicate dal ricorrente.
Nella specie, la difesa ha invocato come “prove nuove” le sommarie informazioni testimoniali di NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali, in definitiva, anziché fornire una conoscenza diretta dei fatti, si limiterebbero a sollecitare una diversa valutazione dell’attendibilità di dichiarazioni rese e già apprezzate nel processo originario. Invero, l’incerta collocazione temporale dei fatti , da parte dei due testi, e, in particolare, del ricovero ospedaliero a Tirana del Tavanxhiu, come rimarcato dalla Corte d’appello, potrebbe, al più, indurre a una diversa valutazione delle prove già apprezzate con la sentenza di condanna, essendo ex se inidonea a scardinare in radice il quadro accusatorio. NOME COGNOME per giunta, è incontestato sia stato ascoltato senza gli avvisi ex art. 391bis cod. proc. pen.
Ancor più a monte, peraltro, la Corte d’appello di Brescia ha correttamente rilevato che tali soggetti avrebbero potuto essere indicati dalla difesa e chiamati a testimoniare nel pregresso procedimento, in quanto l’imputato era già in condizione di fornire tali indicazioni. In tal senso, secondo i principi consolidati in
materia di revisione, non costituiscono “prova nuova” -come detto -elementi già esistenti, ancorché non conosciuti, indicati, peraltro, a distanza di vent’anni dai fatti e -sempre per quanto rimarcato nel provvedimento impugnato -senza alcuna spiegazione delle ragioni per le quali non siano stati prospettati in precedenza.
Né, per quanto detto, può condividersi l’argomentazione difensiva secondo cui la Corte d’appello avrebbe dovuto esercitare i propri poteri istruttori e sentire direttamente i testimoni, sciogliendo ogni dubbio sulla loro attendibilità e decisività: essendo, per quanto detto, palese l’inidoneità delle stesse a scalfire le accuse.
Per quanto concerne la dichiarazione del dottor NOME COGNOME e la documentazione ospedaliera allegata, la Corte d’appello ha ricordato come il teste fosse già stato sentito nel procedimento di merito tramite rogatoria internazionale e che le copie del registro dei ricoveri erano già state ritualmente acquisite e valutate nei precedenti gradi di giudizio. Dunque, per tali elementi andava esclusa in radice -secondo il logico pensiero del giudice del merito -la possibilità di parlare di ‘nuova prova’.
La difesa sostiene, in proposito, che la dichiarazione del dottor COGNOME consentirebbe una “rinnovata valutazione dei documenti medici” (p. 17 ricorso a questa Corte): ma ciò si traduce , all’evidenza, in una inammissibile richiesta di una diversa valutazione di prove già apprezzate con la sentenza di condanna.
La Corte d’appello ha, per giunta, richiamato comunque l’originaria valutazione di inattendibilità della documentazione ospedaliera, confermando fosse intrinsecamente tale per le anomalie riscontrate nei registri (tra cui la cancellatura di un altro nome e l’inserimento postumo di quello del COGNOME e l’errore sulla sua data di nascita) e per l’omessa identificazione di chi era registrato come presente in ospedale (avvenendo ciò sulla base di dichiarazione verbale del medesimo ricoverato, senza alcuna verifica). Anche tale logica valutazione si sottrae a censure in sede di legittimità.
Infine, correttamente la Corte d’appello ha rilevato che gran parte delle doglianze difensive si sostanzino in una riproposizione di critiche relative all’impianto accusatorio originario . Si deducono, infatti: l’ inattendibilità della vittima del tentato omicidio, NOME COGNOME; la debolezza degli altri elementi di conferma, quali le dichiarazioni dei passanti e di NOME COGNOME; l’illogico diniego di decisivo valore dell’alibi (come detto); l’assenza di prova sul movente. Tali argomentazioni, come rilevato dal provvedimento impugnato, non possono trovare ingresso in sede di revisione. Questo, per la sua natura straordinaria, non può essere surrettiziamente trasformato -come detto -in un ulteriore mezzo di
impugnazione ordinario, non essendo possibile ridiscutere motivi già esaminati nel corso del giudizio a monte. La Corte d’appello, dunque, ha correttamente qualificato tali censure come una «mera “rilettura” di un medesimo dato di fatto già processualmente accertato in via definitiva» (p. 13 della sentenza impugnata).
In ragione di quanto sopra, la valutazione operata dalla Corte d’appello di Brescia, che ha ritenuto le assunte ‘ prove nuove ‘ non idonee a ribaltare la dichiarazione di responsabilità e che ha respinto le doglianze come un tentativo di riesame di questioni già decise, appare sorretta da motivazione adeguata e logica, immune da vizi rilevanti in sede di legittimità. Ne consegue il rigetto del ricorso, e, a i sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. , la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così è deciso, 02/07/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME