Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 6236 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 6236 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a CATANIA il 31/01/1949 NOME nato a CATANIA il 17/09/1973 NOME nato a CATANIA il 27/05/1977
avverso l’ordinanza del 08/07/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATI -0
Con ordinanza dell’8 luglio 2024 la Corte di appello di Catania ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il provvedimento con cui il Tribunale della stessa città, il 5 gennaio 2023, ha respinto l’istanza di revoca della confis taluni beni (due immobili e le quote di una società), disposta nel procedimento prevenzione promosso nei confronti di NOME COGNOME e definito con decreto dell’i ottobre 2015.
Ha, a tal fine, osservato, in accordo con il primo giudice, che la richiest revoca si fonda sull’allegazione di prove sfornite del necessario connotato novità, ovvero, da un canto, sulle dichiarazioni rese, in sede di indagini difens di due collaboratori di giustizia, NOME COGNOME e NOME COGNOME, il cui apporto era già stato vagliato nel corso del procedimento di prevenzione e dall’altro, sugli esiti del procedimento penale promosso nei confronti di NOME NOME COGNOME per il delitto di associazione mafiosa, attestanti che quest tempo dell’acquisto, da parte dei congiunti, degli immobili confiscati, risalent 1994, era già contiguo al dan mafioso COGNOME dal quale si era allontanato per formare, insieme ad altri soggetti, un autonomo gruppo criminale.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME e con unico atto, ricors per cassazione affidati a due motivi, con il primo dei quali deducono violazione d legge per avere la Corte di appello omesso di rispondere alle censure articola con l’atto di impugnazione, limitandosi a ribadire, letteralmente, quanto stabil dal Tribunale ed incorrendo, di tal fatta, nel vizio di inesistenza o apparenza d motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen..
Con il secondo motivo, lamentano, ancora nell’ottica della violazione di legge, che il Tribunale abbia escluso il carattere di novità della prova offer specificamente, delle più recenti dichiarazioni di COGNOME e COGNOME, rese i tempo successivo alla conclusione del procedimento di prevenzione.
Al riguardo, evidenziano che l’escussione, in quella sede, dei du collaboratori di giustizia era stata preclusa dal rigetto dell’eccez tempestivamente e ritualmente sollevata, di inutilizzabilità di quelle pregresse occasione delle quali, peraltro, nulla avevano detto in ordine alla disponibi degli immobili, al periodo di riferimento ed alle relazioni imprenditoriali interc tra NOME COGNOME e NOME COGNOME ciò che dimostra l’esistenza, nella
fattispecie, di prove «nuove», nell’accezione propria dell’art. 7 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità.
Eccepiscono, in via subordinata e per il caso di esclusione del connotato di novità delle dichiarazioni di COGNOME e COGNOME, l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in relazione agli artt. 3, 24, 27, secondo comma, e 117 (in relazione all’art. 6, par. 2, CEDU) Cost., nella parte in cui non considera prova nuova «la sopravvenienza di nuove dichiarazioni da parte di soggetti le cui precedenti dichiarazioni siano state già acquisite nel procedimento di prevenzione».
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno chiesto la revoca degli immobili di Catania, INDIRIZZO già destinati a sede di una discoteca, nonché della RAGIONE_SOCIALE
Tribunale e Corte di appello hanno condivisibilmente orientato il rigetto della richiesta di revoca della confisca al principio – espresso dalla giurisprudenza di legittimità nella sua composizione più autorevole con diretto riferimento alla revocazione prevista dall’art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ma senz’altro estensibile alla revoca ex art. 7 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis secondo cui la prova nuova a tal fine rilevante è «sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, mentre non lo è quella deducibile e non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento, salvo che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore» (Sez. U, n. 43668 del 26/05/2022, COGNOME, Rv. 283707 – 01).
Con riferimento al caso in esame, hanno ritenuto che la pregressa acquisizione del contributo di COGNOME e COGNOME nel procedimento di prevenzione induce ad escludere che le loro successive dichiarazioni, rese al difensore dopo la formazione del giudicato, possano essere qualificate come «prova nuova», trattandosi di materiale istruttorio che era già, illo tempore, nella disponibilità di tutte le parti e, quindi, anche degli odierni ricorrenti, ter interessati, che hanno partecipato a quel procedimento.
A confutazione di ulteriore obiezione difensiva, hanno sottolineato che i Di Bella, usando l’ordinaria diligenza, avrebbero senz’altro potuto promuovere, nel procedimento di prevenzione, gli approfondimenti che, invece, sono stati compiuti dopo la formazione del giudicato, onde non può lecitamente discutersi di impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore.
Tribunale e Corte di appello hanno, sotto altro aspetto, negato l’attitudine della sopravvenuta decisione della Corte di cassazione, resa nel 2017, che ha reso irrevocabile la condanna di COGNOME per il delitto di associazione mafiosa, ad attestare la sua estraneità al sodalizio di appartenenza nel periodo in cui i COGNOME acquistarono gli immobili assoggettati ad ablazione, in tal senso militando sia l’esistenza di preesistente giudicato assolutorio, risalente al 1998, che la considerazione, operata in quel contesto e ripresa nella successiva sentenza di condanna, della risalenza dei rapporti di frequentazione e cointeressenza tra COGNOME e gli esponenti del sodalizio criminale già ai primi anni ’90.
A fronte di una motivazione coerente sia con le pertinenti coordinate ermeneutiche che con le evidenze fattuali, i ricorrenti articolano censure prive di pregio.
Ascrivono, per un verso, alla Corte di appello di essersi acriticamente adagiata sulle conclusioni raggiunte dal Tribunale senza considerare le obiezioni formulate con l’atto di appello (che, a loro modo di vedere, sarebbero rimaste, in sostanza, senza risposta) e di avere, quindi, emesso un provvedimento affetto da motivazione meramente apparente, ciò che determinerebbe la violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen..
Così facendo, trascurano che la Corte di appello, dopo avere dato analiticamente conto – alle pagg. 3-5 del provvedimento impugnato – di tutte le doglianze sviluppate con l’atto di appello e, poscia, con i motivi aggiunti, le ha disattese tratteggiando dapprima, in dettaglio ed esaustivamente, il quadro ermeneutico di riferimento (cfr. pagg. 5-9) per poi esaminare funditus tutte le questioni rilevanti, cui ha dedicato un’ampia trattazione, frutto di una valutazione autonoma, ancorché adesiva, nel percorso argomentativo e nelle conclusioni, a quella sottesa alla decisione del Tribunale.
L’ordinanza impugnata risulta, in altri termini, supportata – sul piano fattuale, logico, giuridico – da un robusto apparato motivazionale, in alcun modo tacciabile di apparenza e, men che meno, di inesistenza.
Parimenti infondata è la residua censura, che si appunta sul contestato carattere di novità di una delle prove addotte dai ricorrenti (che non ripropongono, invece, quanto esposto con l’istanza introduttiva e con l’atto di
appello in ordine all’incidenza del più recente giudicato) a sostegno della richiesta di revoca della confisca, costituita dalla escussione, in sede di indagini difensive, di NOME COGNOME e NOME COGNOME, collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni, rese .nel procedimento penale promosso nei confronti di NOME COGNOME sono state acquisite nel procedimento di prevenzione ed utilizzate quale elemento concorrente a comprovare la sussistenza dei presupposti per la disposta confisca.
La Corte di appello ha chiarito, sul punto, che, discutendosi di prova preesistente alla definizione del giudizio al cui esito è stata ordinata la confisca di cui è chiesta la revoca, le parti di quel procedimento, ivi compresi gli odierni ricorrenti, ben avrebbero potuto, in quel contesto, stimolare ogni opportuno approfondimento, tendente, all’occorrenza, a consentire il più ampio dispiegamento del diritto di difesa di coloro che erano rimasti estranei al giudizio nel quale i contributi si erano formati.
Rilevato che, nel procedimento di prevenzione, i COGNOME, dopo che il Tribunale ha acquisito, a dispetto dell’eccezione di inutilizzabilità da loro proposta, i verbali relativi alle dichiarazioni di COGNOME e COGNOME, sono rimasti inerti, la Corte etnea ha correttamente escluso la «novità» di una prova rappresentata non tanto dall’apporto dei collaboratori, già compreso nel bagaglio istruttorio valutato dai giudici della prevenzione, ma, semmai e più limitatamente, dall’arricchimento e dal completamento conseguente alla partecipazione della difesa dei COGNOME, estranei al procedimento penale instaurato a carico di COGNOME – che sarebbe stata certamente deducibile nel procedimento di prevenzione, qualora i soggetti interessati avessero agito con ordinaria diligenza, ed ha, per contro, escluso che, nella fattispecie, possano ravvisarsi una causa di forza maggiore ostativa alla proposizione dell’istanza istruttoria.
I ricorrenti, sul punto, obiettano che «in quel procedimento di prevenzione la difesa ha sollevato in maniera diligente le eccezioni di inutilizzabilità consentite dalla legge e null’altro avrebbe potuto fare»; affermazione, questa, la cui inconsistenza è agevole cogliere, nulla avendo impedito, al tempo, ai Di COGNOME di svolgere la medesima attività difensiva che è stata compiuta tra il 2021 ed il 2022, né rilevando, nel senso da loro propugnato, imprecisate ed indimostrate difficoltà, genericamente evocate con l’atto di appello (cfr. pag. 5), ma non riproposte con il ricorso per cassazione, che avrebbero impedito, per oltre un lustro (il decreto di confisca è stato emesso, in primo grado, l’1 ottobre 2015, mentre COGNOME e COGNOME sono stati escussi, rispettivamente, il 10 giugno 2021 ed il 16 giugno 2022), l’audizione dei collaboratori di giustizia.
Nella delineata cornice, manifestamente infondata si rivela, infine, l’eccezione di illegittimità costituzionale adombrata dai ricorrenti, che muove da un assunto – l’impossibilità di qualificare come prova nuova, ai sensi dell’art. 7 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, le ulteriori dichiarazioni rese da soggetti il cui apporto sia già stato posto acquisito nel procedimento di prevenzione – che non è stato posto a base dell’ordinanza impugnata, imperniata sul diverso, ed ineccepibile, rilievo della piena, incontestabile, originaria deducibilità, nel procedimento di prevenzione, della prova che gli odierni ricorrenti hanno, per loro scelta, raccolto a grande distanza temporale dall’irrevocabilità della confisca, in assenza di cause di forza maggiore che abbiano precluso l’adempimento dell’onere probatorio, ovvero di impedimenti di carattere assoluto, derivanti da cause esterne loro non imputabili.
Deve, pertanto, qui ribadirsi che la revoca ex art. 7 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, così come la revocazione prevista dall’art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non possono costituire lo strumento per riaprire la sequenza procedimentale sfociata nell’emissione di decreto di confisca definitivo in ragione dell’allegazione di prove che il proposto ed i terzi interessati avrebbero potuto e dovuto allegare tempestivamente.
Le nuove prove che rendono ammissibile il rimedio straordinario sono quelle che non era stato possibile dedurre nel procedimento, perché riguardanti fatti decisivi e mezzi per dimostrarli all’epoca ignoti, e non anche quelle che, pur accessibili e dunque sottoponibili alla valutazione del giudice nel procedimento, abbiano assunto consistenza dopo la sua conclusione anche semplicemente con l’esperimento delle corrispondenti iniziative difensive.
Dal rigetto dei ricorsi discende la condanna di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 26/11/2024.