Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5684 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5684 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Reggio Calabria il 05/07/1969
avverso l’ordinanza del 17/06/2024 della Corte d’appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione del consigliere, NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria fatta pervenire dalla difesa, avv. S. COGNOME in data 29 ottobre 2024, in replica alla requisitoria del Sostituto Procuratore generale, con la quale ulteriormente argomentando i motivi di ricorso, ha concluso chiedendo l’accoglimento dell’impugnazione.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Brescia ha dichiarato inammissibile de plano l’istanza di revisione proposta da NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, del 14 Aprile 2016, con la quale, in parziale riforma di quella di primo grado, resa dal Tribunale di Monza, il 21 Marzo 2013, l’imputato era stato condannato alla pena di anni sei e
mesi tre di reclusione, in quanto ritenuto responsabile del delitto di concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione, relativamente alla società RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita il 22 Marzo 2006, con riferimento ai capi di imputazione A1.2, A4 (in esso assorbiti i c api A1.4, A1.7, A1.8, A1.9), A3, limitatamente alle condotte di cui ai capi precedenti, divenuta irrevocabile a seguito di rigetto di ricorso per cassazione con pronuncia di questa Corte resa in data 11 ottobre 2017.
Propone tempestivo ricorso per cassazione il condannato, per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME denunciando con un unico motivo vizio assoluto di motivazione, travisamento del dato probatorio, violazione dell’art. 630 lett. c) cod. proc. pen.
L’ istanza di revisione, proposta il 2 maggio 2027, era fondata sulla sopravvenienza di una prova nuova, consistente in una lettera manoscritta, spontaneamente inviata dal coimputato NOME COGNOME nel mese di marzo 2024, di cui si era preventivamente accertata provenienza e autenticità, con la quale lo stesso COGNOME riferiva informazioni rilevanti e contraddittorie rispetto all’accertamento dei fatti, svolto nel procedimento penale concluso con la sentenza definitiva in esecuzione.
Le dichiarazioni, contenute nella lettera, sono esaminate nella richiesta di revisione che ne evidenzia i profili di novità nelle pagine da 7 a 20.
Il provvedimento impugnato ha pronunciato de plano l’ inammissibilità dell’istanza con motivazione sintetica che, in definitiva, evidenzia l’assenza del carattere di novità nelle dichiarazioni del COGNOME -volte a indicare NOME e NOME come soggetti credibili, dotati di piena autonomia e capacità imprenditoriale e Ponti quale soggetto interessato all’acquisizione della RAGIONE_SOCIALE -richiamando il principio di diritto, fissato da Sez. 3, n. 14547 del 2022, sulla regola di valutazione della prova proveniente da soggetto esaminato ai sensi dell’art. 197 -bis cod. proc. pen., unitamente ad altri elementi di prova. Si segnala, nel provvedimento impugnato, che tali dichiarazioni non costituiscono da sole prova nuova, essendo necessario un elemento di conferma, come argomentato in un precedente indicato come in termini (Sez. 6, n. 36804 del 20 settembre 2021).
2.1. In primo luogo, il ricorrente rileva che il contenuto delle dichiarazioni di cui alla missiva non risulta esaminato ai fini della delibazione di ammissibilità della richiesta di revisione.
Inoltre, la Corte territoriale richiama un precedente di legittimità non pertinente, peraltro, trascurando che si tratta di dichiarazioni che trovano pieno riscontro in specifici elementi di prova documentale, evidenziati con l’istanza.
La decisione richiamata (che riguarda il caso di dichiarazioni testimoniali raccolte in altro giudizio, da cui sarebbe derivato il giudizio di inattendibilità della persona offesa che aveva reso dichiarazioni, non inficiate da falsità, in tema di abusi sessuali) non contiene il principio esposto dalla Corte territoriale, ma afferma il diverso principio secondo cui, nel giudizio di revisione, non può costituire prova nuova la testimonianza la cui ammissione sia richiesta al solo fine di ottenere una nuova e diversa valutazione di prove, già apprezzate con la sentenza di condanna, essendo, invece, necessari elementi che dimostrino la falsità delle prove testimoniali su cui è fondato il giudicato di condanna.
Nel caso di specie, la condanna del ricorrente non era basata su prove dichiarative o intercettazioni che gli attribuivano la commissione di fatti materiali, ma su un mero ragionamento induttivo secondo cui l’imputato, pur non essendo né amministratore di diritto né di fatto della società fallita, sarebbe stato artefice di un disegno finalizzato alla spoliazione distrattiva di questa.
Nell’istanza di revisione si era segnalato che la difesa, nell’intero processo di merito, aveva sempre assunto l ‘ estraneità di COGNOME rispetto alla compagine amministrativa della fallita e, tuttavia, l’accertamento processuale aveva ritenuto l’istante responsabile, quale concorrente morale e artefice di un disegno di ideazione dell’attività di spoliazione della società.
Dunque, le dichiarazioni contenute nella missiva non erano dirette a inficiare l’attendibilità di prove dichiarative che avrebbero attribuito all’istante la paternità della condotta o, comunque, del concorso morale, ma introducevano elementi, non valutati nella sentenza di merito, di cui si è chiesta la revisione e dei quali si deve tener conto per affermare o escludere la sussistenza del disegno ideativo in capo all’imputato.
Si tratta di dichiarazioni in cui il soggetto aveva fermamente escluso che il ricorrente fosse percettore, attraverso società estere, della somma di 1,5 milioni di euro fatta fuoriuscire dalla fallita. Di qui, l’esclusione di ogni interesse personale di COGNOME nel progetto di spoglio della s.p.a.
2.2. In secondo luogo, l’ istanza di revisione segnalava come la prova nuova, rappresentata dalle dichiarazioni contenute nella lettera, non soltanto avesse introdotto fatti mai considerati dalla sentenza di condanna, ma tali fatti erano riscontrati da accertamenti specifici, intervenuti nel giudizio di merito, non esaminati dalla statuizione di condanna.
Nella richiesta di revisione si era segnalato come la circostanza affermata nella lettera – che COGNOME non avesse percepito la somma di 1,5 milioni di euro -risultasse specificamente riscontrata dagli esiti delle rogatorie internazionali esperite nel processo, a conferma della sua dichiarazione che le stesse erano andate a beneficio economico di altri soggetti. I riscontri, a tali considerazioni, poi, erano indicati al paragrafo 13.2 dell’istanza di revisione.
Di qui il lamentato travisamento, perché il provvedimento impugnato avrebbe omesso di considerare che la stessa istanza aveva indicato elementi di riscontro, ai sensi dell’art 192, comma 3, cod. proc. pen., rispetto alle dichiarazioni contenute nella lettera proveniente dal computato.
2.3. Ancora, si osserva che la motivazione offerta è apparente in quanto fa riferimento al fatto che le dichiarazioni, contenute nella lettera, sono prive del requisito di novità, perché relative a dati già prospettati dal coimputato e confutati nella sentenza di primo grado.
Si tratta di affermazione specificamente già utilmente contrastata dall’istanza di revisione, che viene riportata per estratto a pagine 10 e ss. del ricorso.
2.4. Infine, si segnala che l’ordinanza ha omesso di considerare profili di novità delle dichiarazioni contenute nella missiva, in particolare con riferimento a quanto affermato sul conto della trattativa con COGNOME per l’acquisizione di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, sul ruolo di COGNOME e sulla diretta utilizzazione, da parte di questi, di professionisti che avevano intrattenuto rapporti con COGNOME.
A p. 12 e ss. del ricorso si richiamano i passi dell ‘ istanza di revisione, ove era stato valorizzato il carattere fortemente innovativo delle dichiarazioni di COGNOME, riferibili alla sua diretta e personale conoscenza.
Di qui il carattere di assoluta novità del contenuto delle dichiarazioni, con riferimento a circostanze essenziali e tali da contraddire, radicalmente, il giudizio di cognizione che ha indicato COGNOME quale ideatore del disegno spoliativo della fallita.
Infine, si rimarca, quanto al riscontro estrinseco alle dichiarazioni contenute nella lettera, l’esistenza di accertamenti documentali, di esiti delle rogatorie internazionali a conferma del ruolo attivo di Molino che emerge dalle nuove dichiarazioni e che riconduce a quest’ultimo e al suo interesse personale l’operato di alcuni professionisti intervenuti dalla vicenda.
Tanto, come conferma la sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. con la quale COGNOME ha definito la sua posizione processuale nella fase delle indagini preliminari.
Ancora, si fa riferimento al contenuto di intercettazioni telefoniche acquisite nel processo nelle quali COGNOME manifesta contrarietà e volontà di adoperarsi per porre argine all’operato di NOME, contenuti incompatibili con l’assunto che lo stesso operasse per conto dell’istante.
Da ultimo va segnalato che, ai fini della ammissibilità dell’istanza di revisione, ci si deve concentrare sull ‘ astratta idoneità del nuovo elemento assorbente il precedente accertamento processuale, senza anticipare a tale fase temi e valutazioni che attengono al successivo giudizio decisorio.
Si richiama, sul punto, giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 21911 del 9/11/2021).
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso con requisitoria scritta, in assenza di richiesta tempestiva di trattazione in udienza partecipata, ai sensi de ll’art. 611 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 11, comma 2, lett. a), b), c) e 3 del d.l. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120, chiedendo il rigetto del ricorso.
La difesa, avv. NOME COGNOME ha fatto pervenire, con p.e.c. del 29 ottobre 2024, memoria di replica con la quale, ulteriormente argomentando, ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è infondato.
Nel processo di revisione è noto che la delibazione che avviene de plano, senza avviso al difensore o all’imputato della data fissata per la camera di consiglio, mira a valutare l’ammissibilità della relativa istanza e a verificare che essa sia stata proposta nei casi previsti e con l’osservanza delle norme di legge, nonché che non sia manifestamente infondata.
2.1. Il giudizio di revisione, invece, mira all’accertamento e alla valutazione delle nuove prove, al fine di stabilire se esse, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all’affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da dimostrare che costui deve essere prosciolto dal reato ascrittogli (Sez. U, n. 18 del 10/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 210040).
2.2. Per la consolidata interpretazione giurisprudenziale sul tema, sono prove nuove, rilevanti a norma dell’art. 630 lett. c), cod. proc. pen., quelle sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate, neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario (Sez. U, n. 624 del 26/9/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443). Ciò purché dette prove siano idonee, da sole o unitamente a quelle già acquisite, a ribaltare il giudizio di colpevolezza (Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, COGNOME, Rv. 273028; Sez. 6, n. 20022 del 30/1/2014, Di Piazza, Rv. 259778; Sez. 6, n. 1155 del 1/4/1999, COGNOME, Rv. 216024).
2.3. L’ordinanza di inammissibilità (634, comma 2, cod. proc. pen.) e la sentenza di accoglimento o di rigetto (art. 640 cod. proc. pen.) sono provvedimenti distinti dal punto di vista logico-funzionale e ricorribili per cassazione, ciascuno autonomamente, a dimostrazione della diversa funzione dei due momenti decisori.
È noto, invero, che il giudice di merito, nel primo caso, ha il compito di valutare, in astratto e non in concreto, la sola idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare -ove eventualmente accertati -che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, unitamente a quella noviter producta , debba essere prosciolto, a norma degli artt. 529, 530 e 531 cod. proc. pen.
Si tratta di valutazione preliminare che, tuttavia, pur operando sul piano astratto, riguarda, comunque, la capacità dimostrativa delle prove (vecchie e nuove) a ribaltare il giudizio di colpevolezza nei confronti del condannato.
Tanto, dovendo ribadirsi il condivisibile principio secondo il quale all’operata valutazione si perviene, nel primo caso, senza gli approfondimenti richiesti nel giudizio ex art. 630 cod. proc. pen., siccome è preclusa una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato, invece, al giudizio di revisione da svolgersi nel contraddittorio delle parti (tra le altre, Sez. 5, n. 15403 del 07/03/2014, COGNOME, Rv. 260563).
È stato opportunamente sottolineato che la valutazione preliminare circa l’ammissibilità e la non manifesta infondatezza della richiesta proposta sulla base di prove nuove implica, imprescindibilmente, la necessaria comparazione tra le prove nuove e quelle già acquisite, che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può, quindi, essere avulsa dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, purché, però, riscontrabili ictu oculi (Sez. 2, n. 19648 del 03/02/2021, COGNOME, Rv. 281422; Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 259779; Sez. 3, n. 15402 del 20/1/2016, COGNOME, Rv. 266810, in mot.).
Nel successivo momento del percorso processuale, che punta alla decisione di merito sulla revisione, la fase è instaurata mediante la citazione del condannato e il giudice è tenuto a procedere alla celebrazione del giudizio, con le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio, proprie del dibattimento, in attuazione dei principi costituzionali del giusto processo (tra le altre, Sez. 1, n. 50460 del 25/05/2017, COGNOME, Rv. 271821; Sez. 3, n. 15402 del 2016, COGNOME, Rv. cit.).
Seguendo detta impostazione ermeneutica, condivisa dal Collegio, è solo nella fase del giudizio che il condannato può trovare ascolto adeguato nel merito dell’esame della prova nuova dedotta.
Ciò attraverso un vaglio che si snoda con le forme dibattimentali, espressamente richiamate dall’art. 636 cod. proc. pen.
Sicché, tale giudizio deve essere improntato anch’esso ai principi del giusto processo, costituzionalmente garantito dall’art. 111 Cost., ferma restando la possibilità di dichiarare, con la sentenza, l’inammissibilità della richiesta di revisione, rivalutate le condizioni di ammissibilità dell’istanza, pur senza assumere le prove in essa indicate e senza dare corso al giudizio sul merito (su quest’ultima affermazione: Sez. U, n. 18 del 10/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 210040 e Sez. U, n. 624 del 26/9/2001, dep. 2002, COGNOME, Rv. 220441).
Invero, conformemente al disposto dell’art. 591, comma 4, cod. proc. pen., l’emissione del decreto di citazione a giudizio (e il completo espletamento della fase dibattimentale) non preclude -nessun “giudicato interno” potendo, per definizione, essersi formato -la pronuncia di inammissibilità della richiesta di revisione.
D’altro canto, la giurisprudenza di questa Corte è costante nella linea interpretativa in base alla quale l’inammissibilità della richiesta di revisione può essere dichiarata, oltre che con l’ordinanza prevista dall’art. 634 cod. proc. pen., anche con sentenza, successivamente all’instaurazione del giudizio ai sensi dell’art. 636 cit.
Ciò in quanto, nel procedimento di revisione, ritenuta l’ammissibilità della relativa istanza, perché proposta nei casi previsti e con l’osservanza delle norme di legge e non manifestamente infondata, si accede al giudizio, mirante all’accertamento e alla valutazione delle “nuove prove”, al fine di stabilire se esse, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all’affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da dimostrare che costui deve essere prosciolto.
In tale sede, comunque, non è precluso alla Corte di appello rivalutare le condizioni di ammissibilità dell’istanza e respingerla anche senza assumere le prove in essa indicate e senza dare corso al giudizio di merito (Sez. U, COGNOME, cit.). Tuttavia, ciò che si vuole evitare è che, con la sentenza, il giudice esprima un giudizio di inammissibilità mascherato da valutazione di infondatezza e definito con il rigetto dell’istanza, senza dar luogo ad alcuna verifica, sia pur minima e preliminare, della veridicità di quanto addotto dal ricorrente come nuova prova. Ciò, pur se sussiste perfetta legittimità della statuizione di inammissibilità con sentenza, come affermato sia dalle Sezioni Unite, ricorrente COGNOME, sia dalla giurisprudenza successiva (Sez. U, n. 624 del 2002, cit.; Sez. 2, n. 34773 del 17/5/2018, Turrà, Rv. 273452; Sez. 5, n. 4652 del 20/11/2013, dep. 2014, Accordi, Rv. 258718; Sez. 3, n. 43573 del 30/9/2014, G, Rv. 260989).
In ogni caso, le nuove prove dedotte, sebbene ai limitati fini della formulazione di un giudizio astratto, devono essere comparate con quelle già raccolte nel normale giudizio di cognizione per giungere, in una prospettiva
complessiva, ad una valutazione sulla loro effettiva attitudine a far dichiarare il proscioglimento o l’assoluzione dell’istante.
Per l’ammissibilità della richiesta di revisione basata sulla prospettazione di una nuova prova, il giudice, dunque, deve valutare non solo l’affidabilità della stessa, ma anche la sua persuasività e congruenza nel contesto probatorio già acquisito nel giudizio di cognizione, del quale occorre, quindi, identificare il tessuto logico-giuridico (Sez. 1, n. 20196 del 05/03/2013, COGNOME, Rv. cit.; Sez. 4, n. 35697 del 19/06/2007, COGNOME, Rv. 237455).
La valutazione delle nuove prove, di cui all’art. 630, lett. c), cod. proc. pen., infatti, non può prescindere dal complesso degli elementi, processualmente utilizzabili, già accertati nel giudizio precedente alla revisione, al fine di saggiarne e compararne la resistenza rispetto alle prove sopravvenute o scoperte solo dopo la condanna irrevocabile (Sez. 5, n. 38276 del 19/02/2016, COGNOME, Rv. 267786).
Adattando gli esposti principi al caso in esame, si osserva che la motivazione del provvedimento censurato (cfr. pag.2 e 3) sebbene stringata, risulta esauriente e ineccepibile.
Invero, la prima critica che si svolge con il ricorso, quanto al richiamo di un inconferente precedente di legittimità, trascura che la Corte territoriale cita, per affermare che le dichiarazioni di coimputato devono avere riscontri, Sez. 6, n. 36804 del 2021.
Nella motivazione del precedente citato si legge che la dichiarazione liberatoria di un coimputato o, comunque, di un soggetto che va esaminato ai sensi dell’art. 197bis cod. proc. pen., deve essere valutata “unitamente agli altri elementi che ne confermano l’attendibilità” (art. 192, comma 3, cod. proc. pen.), e non costituisce, pertanto, da sola, “prova nuova” agli effetti della richiesta di revisione, bensì mero elemento probatorio integrativo di quelli confermativi (Sez. 2, n. 4150 del 20/01/2015, COGNOME, Rv. 263417; Sez. 1, n. 24743 del 04/04/2007, Procida, Rv. 237337; Sez. 4, n. 6829 del 15/01/2009, COGNOME, Rv. 243197).
Inoltre, si osserva che le censure prospettate non si confrontano, compiutamente, con il nucleo essenziale della motivazione del provvedimento impugnato che sottolinea, con ragionamento ineccepibile, che le dichiarazioni spontanee del coimputato, sotto forma di lettera, sono, in realtà, delle deduzioni e prospettazioni di parte dello stesso coimputato.
Inoltre, la Corte territoriale rileva che si tratta di prova, sotto il profilo della novità, dal contenuto, in sostanza, coincidente c on la tesi difensiva dell’imputato, prospettata sin dalle prime battute del processo di cognizione e che, comunque, non supererebbe il complesso di prove a carico, raccolte nel giudizio di
cognizione che, invero, sono indicate nell’ordinanza cumulativamente (intercettazioni, documentazione bancaria e contrattuale in relazione a compravendite societarie e flussi finanziari), ma che il ricorrente non confuta, singolarmente e specificamente nemmeno in sede di replica alle conclusioni della Procura generale, ove si ribadisce il contenuto asseritamente liberatorio della missiva (in quanto contenente l’ espressa dichiarazione che COGNOME non aveva né percepito né in alcun modo autorizzato altri a materialmente sottrarre dalla società fallita l’importo di 1,5 milioni di euro in base al quale la sentenza di condanna aveva ravvisato la sua compartecipazione).
Sotto tale ultimo profilo, dunque, il ricorso per cassazione presenta profili di inammissibilità perché, ai fini dell’esito positivo del giudizio di revisione, la prova nuova indicata deve condurre all’accertamento -in termini di ragionevole sicurezza -di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio (Sez. 5, n. 34515 del 18/06/2021, Rv. 281772 – 01) e, nella specie, risulta carente la censura proprio quanto alla considerazione del complessivo bagaglio di prove a carico (cfr. sentenza della Sez. 5 n. 36804 del 2021 che ha reso definitiva la condanna a carico del ricorrente).
Infine, si rileva che, quando la prova nuova attiene a dichiarazioni rese da un soggetto precedentemente non esaminato, rimane circoscritta nel perimetro della manifesta infondatezza la valutazione, anche dettagliatamente e approfonditamente motivata, in ordine all ‘ intrinseca affidabilità di quel soggetto ed alla plausibilità di quanto da questi dichiarato, alla stregua di quanto già obiettivamente accertato e non più revocabile in dubbio, rientrando anche una tale valutazione nell’ambito del controllo sull ‘ astratta idoneità della nuova prova a comportare una rimozione del giudicato (cfr. Sez. 1, n. 4126 del 13/10/1993, Geri, Rv. 195611).
Tale principio è aderente, a maggior ragione, a un caso come quello di specie, in cui le dichiarazioni asseritamente liberatorie provengono da un coimputato, già condannato per il medesimo reato, esaminato nel giudizio di merito ed ivi già ritenuto inaffidabile (cfr. motivazione della Corte territoriale, nella seconda pagina, che rimanda alle p. 232 e ss. del giudizio di primo grado).
Sicché, si tratta di dichiarazioni che vanno necessariamente scrutinate, per il profilo dell’attendibilità del dichiarante, alla stregua degli elementi che ne verifichino, da un lato, l’interesse e, dall’altro, l ‘ esistenza di riscontri esterni.
Sotto tale profilo, si osserva che la Corte territoriale nega in radice l’ affidabilità delle dichiarazioni spontanee rese attraverso la lettera in questione, affermando che, già nel giudizio di merito, COGNOME era stato reputato inaffidabile.
Si tratta di valutazione sostanziale che viene svolta, in modo ineccepibile, anche in via preliminare rispetto alla verifica dei riscontri, ex art. 192, comma 3, cod. proc. pen.
Sicché, il lamentato travisamento dedotto dal ricorrente, secondo il quale la Corte territoriale non avrebbe preso in debita considerazione gli elementi di riscontro alla missiva di COGNOME indicati nella richiesta di revisione, non sarebbe dirimente perché neutralizzato dalla compiuta, ineccepibile, valutazione di inaffidabilità/non credibilità del coimputato.
In ogni caso, si osserva che dalla sentenza della sezione Quinta penale, che ha reso definitiva la condanna di cui alla sentenza della Corte di appello di Milano a carico del ricorrente, si traggono plurimi elementi a carico, tra cui le intercettazioni telefoniche, cui la Corte territoriale sia pure genericamente fa riferimento e che il ricorrente non confuta specificamente.
Invero, il ruolo di concorrente morale del COGNOME scaturisce, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, dal fatto che l’imputato, unitamente ad altri, non si limitò a consentire o tollerare altrui distrazioni, ma contribuì a concepire e realizzare il disegno di utilizzazione delle risorse della RAGIONE_SOCIALE al fine di compensare l’attività di terzi, tra i quali proprio il prestanome (COGNOME) utilizzato come amministratore della società, in vista dell’obiettivo al quale essenzialmente il COGNOME aspirava, ossia la scalata di RAGIONE_SOCIALE, società quotata, che, peraltro, intendeva acquisire libera da pesi.
Il provvedimento di legittimità richiamato evidenzia, poi, che non casualmente il ricorrente, in quella sede, aveva omesso di confrontarsi con il contenuto delle comunicazioni intercettate, dalle quali emergeva il ruolo dominante di COGNOME nell’intero disegno criminoso e nelle singole operazioni, descritte nei capi di imputazione, nelle quali si concretizzò, non riuscendo a spiegare non solo perché quest’ultimo fosse informato degli eccessi ai quali il COGNOME ebbe ad abbandonarsi, ma anche perché intervenne per ridurne i compensi.
Si sottolinea, poi, il carattere stringente del contenuto di tali conversazioni e l’entusiasmo proprio del COGNOME al momento della conquista di RAGIONE_SOCIALE -indicate come saldo fondamento alle conclusioni raggiunte dai giudici di merito, con l’evidente incongruenza dei rilievi affidati alla mancanza di una posizione di garanzia.
COGNOME, infatti, risponde, nella prospettiva adottata dai giudici di merito ed avallata dalla Corte di legittimità, per essere stato l’ispiratore di un disegno, del quale le condotte spoliative erano parte necessaria.
In definitiva, il provvedimento impugnato, pur stringato e, in parte, non diffuso in ordine, in particolare, all’esame degli elementi indicati dall’istante quali riscontri alle affermazioni del coimputato, svolge una valutazione preliminare e
complessiva, oltre che di sostanziale inaffidabilità della fonte, di inidoneità in astratto a dimostrare -anche ove l’el emento dedotto sia confermato nel giudizio di revisione -che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, unitamente a quella noviter producta , debba essere prosciolto.
Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 5 novembre 2024