Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 12708 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 12708 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI TORINO nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/10/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 ottobre 2024, la Corte di appello di Torino ha riformato la sentenza pronunciata il 18 luglio 2022 dal Tribunale di Cuneo e ha assolto NOME COGNOME «per non aver commesso il fatto» dall’accusa di aver violato gli artt. 590 bis, comma 1, 583, comma 2, n. 3, 590 ter cod. pen. Per questo fatto, COGNOME era stato condannato in primo grado alla pena di anni due e mesi tre di reclusione COGNOME previa COGNOME applicazione COGNOME delle attenuanti COGNOME generiche equivalenti all’aggravante contestata.
Il procedimento ha ad oggetto un incidente stradale verificatosi verso le 18:45 del 24 luglio 2019 sulla INDIRIZZO, nel territorio del Comune di Dronero (CN). Quel giorno, una Peugeot di colore grigio invase la corsia di marcia percorsa dal motociclo TARGA_VEICOLO targato TARGA_VEICOLO condotto da NOME COGNOME, urtando sulla fiancata sinistra del motociclo e colpendo la gamba sinistra di COGNOME. Per effetto dell’urto, la moto cadde al suolo, ma il conducente dell’auto non si fermò e proseguì la propria marcia. Nell’incidente, COGNOME riportò lesioni personali gravissime consistite, tra l’altro, nella sub-amputazione del terzo distale della gamba sinistra.
I Carabinieri intervenuti diramarono ricerche di autovetture marca Peugeot di colore grigio, modello TARGA_VEICOLO o TARGA_VEICOLO corrispondente alle caratteristiche del veicolo investitore. Le ricerche si concentrarono sulle officine e sugli autodemolitori della zona perché si valutò che l’auto fosse stata danneggiata nell’urto. Sul luogo dell’incidente, infatti, era stata rinvenuta la scocca esterna di uno specchietto retrovisore sinistro. Alle ore 13 del 25 luglio 2019, a Santa Croce di Cervasca, nel parcheggio di un RAGIONE_SOCIALE posto a circa 200 metri da un autodemolitore, fu rinvenuta la Peugeot 407 di colore grigio targata TARGA_VEICOLO di proprietà di COGNOME t COGNOME p ti COGNOME A COGNOME che presentava danni alla carrozzeria compatibili con la .<1 4ell'incidente. Il proprietario si trovava all'interno del RAGIONE_SOCIALE ove f identificato.
Le sentenze di primo e secondo grado sono concordi nel ritenere che l'incidente sia stato provocato dal conducente dell'autovettura di proprietà di COGNOME e osservano che, nel corso del giudizio, sono stati acquisiti dati inequivoci in tal senso: i danni riscontrati sulla carrozzeria dell'auto, compatibili con quell che potevano essere derivati dall'incidente; la circostanza che la scocca esterna dello specchietto retrovisore rinvenuta sul luogo dell'incidente «combaciava perfettamente» con lo specchietto retrovisore sinistro dell'auto (pag. 5 della sentenza di primo grado; pag. 4 della sentenza di appello); l'esito dei rilievi tecnici, dai quali emerse che sulla portiera, sul parafango e sul paraurti anteriore sinistro
della macchina vi erano tracce biologiche riferibili «con assoluta certezza al profilo genetico della persona offesa» (pag. 7 della sentenza di primo grado, pag. 4 della sentenza di appello).
Il Tribunale ha ritenuto che NOME dovesse essere ritenuto responsabile del reato ascrittogli. Secondo il Giudice di primo grado, poiché «nessuna spiegazione alternativa è stata fornita dalla difesa nel corso del dibattimento e soprattutto in considerazione delle modalità del rinvenimento del veicolo, fermo nei parcheggi del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nel quale si trovava l'imputato, a pochi passi dallo sfasciacarrozze», sarebbe possibile affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che ; essendo il proprietario dell'auto (della quale il 25 luglio 2019 aveva la disponibilità) COGNOME fosse alla guida della stessa nel tardo pomeriggio del 24 luglio 2019, quando si verificò l'incidente (pag. 10 della sentenza di primo grado).
La Corte di appello ha ritenuto, invece, che gli indizi raccolti non fossero sufficienti all'affermazione della penale responsabilità. Ha osservato a tal fine: che nessuno è stato in grado di vedere chi fosse alla guida quando avvenne l'impatto; che NOME fu identificato nei locali del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE «seduto a un tavolino in compagnia di alcuni amici»; che l'auto era in sosta nel parcheggio del RAGIONE_SOCIALE e la circostanza che, nelle vicinanze, vi fosse uno «sfasciacarrozze» non ha valore indiziante. Secondo la Corte di appello, non sarebbe possibile affermare con certezza che NOME fosse alla guida dell'auto al momento del fatto (pag. 4 della sentenza di appello).
Contro la sentenza di assoluzione ha proposto tempestivo ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino ] deducendo vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Il Procuratore ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un «travisamento della prova indiziaria» e avrebbe omesso di applicare il principio di diritto secondo il quale «la regola di giudizio dell – al di là di ogni ragionevole dubbio", ex art. 533, comma 1, cod. proc. pen. consente di pronunciare sentenza di condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto ricostruzioni alternative costituenti eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili "in rerum natura", ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana» (Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018, dep. 2019, Segreto, Rv. 275299).
A sostegno di tali argomentazioni il ricorrente osserva che l'imputato era il proprietario dell'auto coinvolta nell'incidente e ne aveva certamente la disponibilità alle ore 13:00 del giorno successivo a quello in cui l'incidente si verificò. Sottolinea
che non è emersa in giudizio nessuna circostanza che possa «far ipotizzare un uso promiscuo del veicolo» e, pertanto, l'eventualità che, al momento dell'incidente, l'autovettura fosse nella disponibilità dì una terza persona e non dell'imputato, non ha riscontro nelle emergenze processuali.
Secondo il ricorrente, la circostanza che «la destinazione dell'auto non fosse l'autodemolitore» (valorizzata dalla Corte di appello) non inficia il complessivo quadro indiziario, al quale si deve aggiungere che sull'autovettura era stata disposta, in un diverso procedimento, una intercettazione ambientale. Anche se quanto emerso dalle intercettazioni non può essere utilizzato in giudizio – osserva il ricorrente – la constatazione che l'intercettazione era stata disposta in un procedimento nel quale COGNOME era indagato costituiva un indizio a carico essendo significativa del fatto che, oltre ad esser proprietario del veicolo, l'imputato ne era anche abituale utilizzatore.
Il Procuratore generale della Corte di cassazione ha depositato conclusioni scritte chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Ha sostenuto a tal fine: in primo luogo, che la Corte di appello non ha fornito una motivazione puntuale e adeguata ) non avendo contrastato efficacemente tutti gli argomenti addotti dal Giudice di primo grado a sostegno della condanna come è richiesto, invece, da Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430; in secondo luogo che, in tema di prova indiziaria, «il dubbio idoneo ad introdurre una ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti è soltanto quello "ragionevole", ovvero quello che trova conforto nella logica, sicché, in caso di due prospettazioni alternative, occorre comunque individuare gli elementi di conferma dell'ipotesi ricostruttiva accolta, non potendo il dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile» (il PG cita a sostegno Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv. 281647 – 04).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Il Procuratore ricorrente deduce il «travisamento della prova indiziaria», ma nell'atto di ricorso non sostiene che la Corte di appello abbia omesso di valutare elementi indiziari acquisiti nel processo e potenzialmente decisivi sicché deve essere escluso il vizio di travisamento per omissione (cfr. Sez. 6, n. 8610 del 05/02/2020, P., Rv. 278457). Il ricorrente non sviluppa argomenti neppure per sostenere che la sentenza impugnata ha introdotto nella motivazione informazioni che non esistono nel processo. Dal contenuto dell'atto di ricorso, infatti, non
emerge che il dato probatorio sia stato trasposto in modo inesatto nel ragionamento del giudice di merito o distorto nel suo significato.
Il ricorrente indica gli indizi raccolti a carico dell'imputato e non individua significative differenze nella descrizione del quadro indiziario operata dai giudici di primo e secondo grado. A ben guardare, dunque, non deduce un vizio di motivazione per travisamento, ma si duole del modo in cui gli elementi indiziari sono stati valutati e lamenta una errata applicazione da parte della Corte di appello dei principi di diritto che presiedono alla valutazione della prova indiziaria. Sostiene, infatti, che i giudici di secondo grado avrebbero valorizzato (e reso decisiva ai fini della ritenuta sussistenza di un ragionevole dubbio) una ricostruzione alternativa basata sull'astratta possibilità che, al momento del fatto, l'auto di proprietà di COGNOME fosse condotta da una terza persona: una ricostruzione alternativa che, secondo il ricorrente, sarebbe frutto di una mera congettura, «priva di riscontro nelle emergenze processuali» e «contraria alle regole di comune esperienza».
3. Come noto, l'indizio è un fatto certo dal quale, per interferenza logica basata su regole di esperienza consolidate ed affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno sottolineato in proposito: che è possibile, ma non frequente, che da un fatto accertato sia logicamente desumibile una sola conseguenza; che, «di norma, il fatto indiziante è significativo di una pluralità di fatti non noti e, in tal caso, pervenirsi al superamento della relativa ambiguità indicativa dei singoli indizi applicando la regola metodologica fissata nell'art. 192, comma secondo, cod. proc. pen.». Si è chiarito inoltre che, per verificare se gli indizi siano univocamente indicativi e idonei a dare la certezza logica dell'esistenza del fatto da provare, ciascuno di essi deve essere prima valutato singolarmente «per saggiarne la valenza qualitativa individuale» e, solo «acquisita la valenza indicativa – sia pure di portata possibilistica e non univoca – di ciascun indizio», si può passare al «momento metodologico successivo dell'esame globale ed unitario, attraverso il quale la relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio può risolversi, perché nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l'insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice» (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191230; sull'argomento v. anche: Sez. 5, n. 1987 del 11/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280414; Sez. 2,
jr../
n. 35827 del 12/07/2019; COGNOME, Rv. 276743). Sulla scia di tale impostazione / la giurisprudenza di legittimità ha affermato che «il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l'intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana» (Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605).
Nel caso oggetto del presente ricorso, il giudice di primo grado ha individuato quali circostanze gravemente indizianti (pag. 10 della motivazione):
il fatto che NOME, proprietario del veicolo, ne aveva la materiale disponibilità il 25 luglio 2019, vale a dire nella mattinata successiva all'incidente (verificatosi intorno alle 18:45 del 24 luglio 2019);
il fatto che, nel corso del dibattimento, egli non abbia fornito, personalmente o tramite il difensore, «nessuna spiegazione alternativa»;
il fatto che, al momento del rinvenimento, il veicolo era fermo nei parcheggi di un RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (nel quale si trovava l'imputato) «a pochi passi da uno sfasciacarrozze».
La sentenza di appello ha esaminato questi indizi e ha ritenuto che non fossero idonei a dare la certezza logica del fatto che, al momento dell'incidente, NOME fosse alla guida del veicolo di sua proprietà.
Ha osservato a tal fine (pag. 3 e 4 della motivazione):
che nessuno dei testimoni escussi è «stato in grado di riferire alcunché circa la possibile identificazione del soggetto» che si trovava alla guida dell'auto al momento del sinistro;
che (come anche la sentenza di primo grado riconosce) l'art. 270 cod. proc. pen. non consente di utilizzare ai fini della decisione il contenuto delle intercettazioni ambientali disposte all'interno dell'autovettura nell'ambito di un diverso procedimento nel quale COGNOME era sottoposto ad indagini (intercettazioni che – come accertato in giudizio – erano in corso al momento dell'incidente);
che, pertanto, l'unico elemento a sostegno dell'ipotesi accusatoria è
rappresentato dal rinvenimento del mezzo – del quale COGNOME è il proprietario «parcheggiato a 200 mt. di distanza dalla "autodemolizioni Bima" sita in Santa Croce di Cervasca».
Secondo la Corte di appello questo elemento non consente di ritenere raggiunta "al di là di ogni ragionevole dubbio" la prova che, al momento dell'incidente, NOME fosse alla guida dell'auto di sua proprietà. Quando il veicolo fu rinvenuto, infatti, non era in sosta «all'interno o di fronte al cita autodemolitore», ma nel parcheggio di un RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nel quale fu «contestualmente trovato anche l'imputato, seduto a un tavolino in compagnia di alcuni amici» e da ciò si evince che la destinazione di COGNOME, in quel momento, non era l'autodemolitore.
Il ricorrente critica quest'ultima considerazione e sostiene che sarebbe illogico aver tratto argomenti a favore dell'imputato dalla constatazione che, quando fu rinvenuta, l'auto non era inequivocamente destinata alla demolizione. Non considera però che, con questa motivazione, la Corte di appello ha contrastato un argomento valorizzato dal Giudice di primo grado, secondo il quale la vicinanza tra il luogo nel quale l'auto fu rinvenuta e un demolitore di auto aveva significato i ndizia NOME.
Quella esposta, tuttavia, non è l'unica doglianza che il ricorrente formula sulla motivazione del provvedimento impugnato. Sostiene, infatti, che la Corte di appello non avrebbe attribuito la dovuta rilevanza all'indizio rappresentato dal fatto che, quando fu sorpreso e identificato all'interno del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, COGNOME non fornì indicazioni dalle quali potesse desumersi un uso promiscuo del veicolo a lui intestato. Secondo il ricorrente, il fatto che l'imputato non abbia reso dichiarazioni in tal senso e la constatazione che egli è rimasto assente in giudizio avrebbero dovuto essere valutati quali indizi a carico unitamente al dato obiettivo che COGNOME era il proprietario dell'auto, ne aveva la disponibilità la mattina successiva all'incidente e ne era l'utilizzatore abituale (tanto che nell'autovettura erano in corso intercettazioni ambientali a suo carico). Non avendo compiuto tale complessiva valutazione del compendio indiziario, la Corte di appello avrebbe ritenuto "ragionevole" un dubbio che tale non era, accogliendo una ipotesi ricostruttiva plausibile, ma del tutto congetturale.
5. La giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che introducendo nell'art. 533 cod. proc. pen., il principio delroltre ogni ragionevole dubbio" il legislatore non abbia mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza. Muovendo da queste premesse si è affermato che «la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, segnalata dalla difesa, non integra un vizio di motivazione se sia stata oggetto di disamina da parte del
giudice di merito» (Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, Lombardi, Rv. 285801). Si è ritenuto, infatti, che in presenza di due ricostruzioni alternative del fatto, la Corte di legittimità sia «chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito» (fra le tante, Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, COGNOME, Rv. 270519; Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600). Questo principio è stato affermato più volte in presenza di ricostruzioni alternative del medesimo fatto segnalate dalla difesa, ma evidentemente opera anche quando a dolersi della duplicità di ricostruzioni ; t alternative del medesimo fatto »3 Vaccusa. Come è stato opportunamente sottolineato, infatti: «il canone delroltre ogni ragionevole dubbio" enuncia sia una regola di giudizio che definisce lo standard probatorio necessario per pervenire alla condanna dell'imputato, sia un metodo legale di accertamento del fatto che obbliga il giudice a sottoporre, nella valutazione delle prove, la tesi accusatoria alle confutazioni costituite dalle ricostruzioni antagoniste prospettate dalle difese, sicché la violazione di tali parametri rende la motivazione della sentenza manifestamente illogica» (Sez. 6, n. 45506 del 27/04/2023, COGNOME, Rv. 285548; Sez. 5, n. 25272 del 19/04/2021, COGNOME, Rv. 281468).
6. Fatta questa doverosa premessa si deve osservare che, come emerge dalla lettura della sentenza impugnata, il difensore d'ufficio dell'imputato ha proposto appello contro la condanna pronunciata in primo grado sostenendo che «la mancanza di una ricostruzione alternativa fornita dall'imputato, soggetto peraltro irreperibile» non poteva sopperire alla carenza assoluta di elementi atti a provare che, al momento del fatto, l'auto non fosse condotta da altri. Ne consegue che la Corte di appello si trovava in presenza di due ricostruzioni alternative del medesimo fatto ed era tenuta a valutare se quella prospettata dalla difesa, pur astrattamente plausibile, fosse estranea «all'ordine naturale delle cose e della razionalità umana» (così recita testualmente la sentenza Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018, dep. 2019, Segreto, Rv. 275299 citata dal ricorrente) e, quindi, meramente congetturale.
La Corte di appello ha ritenuto che così non fosse e, secondo il ricorrente, la motivazione fornita a sostegno di tale conclusione sarebbe manifestamente illogica. La sentenza impugnata, infatti, avrebbe omesso di considerare che, quando fu identificato all'interno dei locali del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, COGNOME non fece nulla per scagionarsi e l'apparente ambiguità di questo dato indiziario è risolta dalla constatazione che, essendo proprietario dell'auto, nella mattinata successiva all'incidente egli aveva la disponibilità del veicolo e ne era abituale utilizzatore
(tanto che, in un processo nel quale era indagato, in quell'auto erano state disposte intercettazioni ambientali).
Le argomentazioni così sviluppate hanno carattere meramente oppositivo. Il PG ricorrente, infatti, invoca una rilettura degli elementi di fatto posti a sostegno della decisione senza indicare profili di contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
A questo proposito si deve osservare che COGNOME non risulta essere mai stato interrogato sui fatti di causa ed è stato processato in assenza, sicché il dato indiziante rappresentato dal fatto che, quando fu identificato, egli non tenne un comportamento tale da evidenziare la sua estraneità all'incidente non ha valore univoco. Ciò è tanto più evidente se si considera che non è noto se, al momento a COGNOME E NOMEr dell’identificazione, NOME COGNOME, kashiCOGNOME informato di essere sottoposto ad indagini per lesioni stradali aggravate dall’omissione di soccorso e al ricorso non è allegata documentazione in tal senso.
L’affermazione secondo la quale il proprietario di una macchina ne è anche l’utilizzatore abituale corrisponde senza dubbio a una regola di comune esperienza. Non si comprende, tuttavia, perché sarebbe estraneo all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana che il proprietario presti l’auto ad altra persona o consenta ad altri di guidarla e perché dovrebbe essere manifestamente illogico aver ritenuto non univoca in chiave accusatoria la circostanza che, la mattina successiva all’incidente, l’imputato avesse disponibilità dell’auto rimasta coinvolta nel sinistro. Non si può ignorare, inoltre, che – come la sentenza impugnata ha sottolineato senza che il ricorrente abbia smentito questo dato – quella mattina NOME si trovava nei locali del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE «in compagnia di alcuni amici». Nessun profilo di contraddittorietà o manifesta illogicità può essere ipotizzato, inoltre, nell’aver posto in luce che l’auto si trovava nel parcheggio di un RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, NOME era in quel RAGIONE_SOCIALE e non v’è prova che si fosse recato (o intendesse recarsi) nel vicino autodemolitore. Come si è detto, infatti, così argomentando, la Corte di appello ha inteso chiarire che, a differenza di quanto sostenuto dal Giudice di primo grado, il dato rappresentato dalla minima distanza esistente tra il parcheggio ove l’auto fu rinvenuta e un autodemolitore non ha univoca valenza indiziaria ( non essendo possibile desumere da questo dato che COGNOME avesse intenzione di demolire la macchina.
Nel sostenere il «travisamento della prova indiziaria», il ricorrente valorizza un’ulteriore circostanza, rappresentata dal fatto che l’autovettura intestata a COGNOME era oggetto di intercettazioni ambientali nell’ambito di un procedimento che lo vedeva indagato e sostiene che da questo dato obiettivo sarebbe possibile desumere che COGNOME era l’abituale utilizzatore del veicolo. Si tratta, però, ancora una volta, di un indizio non univoco. Non è noto infatti se, nel procedimento nel
quale le intercettazioni furono disposte, oltre ad COGNOME fossero indagate altre persone. Come i giudici di merito hanno concordemente ritenuto, inoltre, il contenuto delle intercettazioni e delle localizzazioni GPS non può essere utilizzato nel presente procedimento e la circostanza che l’auto intestata a COGNOME sia stata sottoposta a controllo in un’indagine che lo vedeva indagato non è da se sola idonea a documentare che quell’auto fosse abitualmente utilizzata dal proprietario e non da altri.
7. In sintesi, dalle argomentazioni sviluppate nell’atto di ricorso non emerge alcuna certezza in ordine all’abituale utilizzo da parte dell’imputato ,r n dell’autovettura coinvolta nell’incidenteA ‘dalla documentazione allegata al ricorso è dato desumere che, consapevole delle accuse formulate a suo carico, o chiamato a rendere interrogatorio, COGNOME abbia scelto di non fornire una versione alternativa dei fatti. La tesi secondo la quale, al momento dell’incidente, COGNOME si trovava alla guida dell’auto è sostenuta dunque da due soli indizi: la proprietà del veicolo e la materiale disponibilità dello stesso nella mattina del giorno successivo all’incidente. Non è manifestamente illogico aver ritenuto che, pur congiuntamente valutati, questi indizi non fossero idonei ad escludere la credibilità razionale della tesi difensiva secondo la quale, al momento dell’incidente, il veicolo era materialmente condotto da altri.
Non può essere considerato decisivo in senso contrario il comportamento tenuto dall’imputato nel corso delle indagini e al momento del processo. In primo luogo, perché di tale comportamento il ricorrente non ha dato conto, essendosi limitato a richiamare la sentenza di primo grado, secondo la quale «nessuna spiegazione alternativa è stata fornita dalla difesa nel corso del dibattimento». In secondo luogo, perché, come è stato opportunamente sottolineato, «è consentito al giudice, nella formazione del suo libero convincimento, di trarre dal comportamento dell’imputato argomenti utili per la valutazione di circostanze “aliunde” acquisite», ma ciò non può determinare «alcun sovvertimento del riparto dell’onere probatorio» (Sez. 4, n. 22105 del 02/05/2023, COGNOME, Rv. 284642; nello stesso senso: Sez. 1, n. 2653 del 26/10/2011, dep. 2012, M., Rv. 251828; Sez. 3, n. 43254 del 19/09/2019, C., Rv. 277259; Sez. 4, n. 19216 del 06/11/2019, dep. 2020, Ascone, Rv. 279246).
8. Per quanto esposto il ricorso è infondato.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 28 febbraio 2025
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