Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21592 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21592 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 20/12/1991
avverso la sentenza del 11/07/2024 della Corte d’assise d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi i difensori, avv.ti. NOME. COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di assise di appello di Napoli ha riformato la condanna, resa dalla Corte di assise in sede, nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati ascrittigli, escludendo la circostanza aggravante della premeditazione e rideterminando la pena irrogata all’imputato in quella di anni ventisei di reclusione, con revoca dell’isolamento diurno e conferma, nel resto, della sentenza impugnata.
1.1. Il G iudice di primo grado aveva condannato l’imputato alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per mesi otto, in relazione ai reati di cui ai capi A), B) e C), esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod.
pen., riconosciuta la continuazione, nonché a quella di anni sei di reclusione ed euro 26.000 di multa per il reato di cui al capo D), con pena rideterminata nell’ergastolo con l’ isolamento diurno per anni uno, ai sensi dell’art. 72, comma secondo, cod. pen., oltre pene accessorie.
Si tratta dell ‘ omicidio di NOME COGNOME, dei reati connessi all’esecuzione di tale omicidio, concernenti la violazione della normativa in tema di armi (capo B), del reato di cui all’art. 497 -bis cod. pen. (capo C) commesso per la successiva fuga, favorita dall’uso di una carta d’identità falsa intestata al fratello di COGNOME, NOME, della detenzione di sostanze stupefacenti accertata al momento della cattura (capo D).
Per la ricostruzione dei fatti, il Giudice di primo grado ha fatto riferimento alle deposizioni di un teste di polizia giudiziaria, casualmente in transito nei pressi della scena del delitto e di un amico della vittima, in sua compagnia della vittima al momento dell’omicidio.
La sentenza di primo grado ha confermato il clima omertoso, emerso a fronte delle contestazioni mosse dal pubblico ministero nel corso dell’esame al testimone oculare, della irreperibilità e reticenza di altri testi oculari nonostante le immagini tratte dal sistema di videosorveglianza avessero evidenziato la presenza, in INDIRIZZO, di un folto numero di giovani al momento dell’omicidio.
La sentenza di primo grado segnala che l’omicidio aveva condotto alla morte della vittima soltanto il 18 settembre 2020, dopo una degenza di 41 giorni, decesso sopraggiunto per il fatto che quattro proiettili avevano attinto la vittima devastando diverse parti dell’intestino, oltre ad aver leso il rachide con conseguente paraplegia.
All’individuazione di COGNOME come esecutore dell’omicidio gli investigatori erano giunti attraverso uno spunto investigativo tratto da una conversazione captata tra i genitori della vittima, in cui il padre informava la madre che l’assassino si era dato alla fuga con documenti falsi.
COGNOME , all’epoca sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria presso i Carabinieri di Napoli, Stazione di Borgo INDIRIZZO, era risultato essersi allontanato dalla città e, a partire dal 9 agosto 2020, si era sottratto alla misura cautelare.
Inoltre, si era accertato che, nei periodi successivi, del mese di agosto settembre 2020, si era registrata la presenza di NOME COGNOME, fratello dell’imputato, con la fidanzata dell’imputato, presso diverse strutture alberghiere di Roma, Udine e Firenze.
Tale elemento era stato indicato come riprova dell’utilizzo da parte di COGNOME della carta d’identità del fratello, come peraltro confermato dalle immagini del
sistema di videosorveglianza esistente presso l’albergo friulano che ritraevano l’imputato.
La fuga di questi è stata ritenuta confermata dagli esiti dei tabulati telefonici che avevano evidenziato come NOME COGNOME in quei giorni, non si fosse mosso da Napoli.
Diversamente, era emerso che le varie utenze in uso all’imputato a partire dal mese di agosto del 2020 erano state disattivate, nei giorni precedenti e successivi all’omicidio. Inoltre, nelle ore successive al delitto erano state registrate quattro chiamate dal telefono cellulare di Grossi a quello del padre giudicate anomale per orario e frequenza.
Infine, erano state attivate intercettazioni delle conversazioni tra i familiari dei Grossi dalle quali erano emersi elementi che, unitamente agli altri, avevano condotto all ‘ individuazione dell’imputato come esecutore materiale dell’omicidio, tenuto conto dei riferimenti, da parte dei familiari, alla persona offesa e all’imputato, della conferma assunta attraverso l’accertamento della presenza in zona della vettura di Grossi, dell’anomalo traffico telefonico con il padre nella fase immediatamente successiva all’omicidio, con il distacco delle utenze nella disponibilità dell’imputato cui si è unita la fuga con documento di identità falsificato.
1.2. La Corte territoriale ha accolto il motivo di appello concernente l’esclusione della circostanza aggravante della premeditazione, a fronte della riscontrata, oggettiva, mancanza di prova sul movente dell’omicidio.
COGNOME la sera dei fatti, era evaso dagli arresti domiciliari ottenuti per ragioni di salute. COGNOME, all’epoca, era sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, obbligo che, il giorno successivo all’omicidio, è stato ottemperato per l’ultima volta prima dell’inizio della fuga.
Questi, secondo la Corte territoriale, sarebbe risultato a pieno titolo inserito in un circuito dedito al narcotraffico.
I Giudici di secondo grado hanno reputato utilizzabili i dialoghi captati e confermato l’affermazione di responsabilità per tutti i fatti, esclusa la circostanza aggravante della premeditazione, con rideterminazione della pena e conferma, nel resto, del provvedimento di primo grado.
Avverso il descritto provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite dei difensori, affidandosi a quattro motivi, di seguito riassunti, nei limiti necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. e violazione del criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, in relazione al reato di cui al capo A), cui
risulta connesso, con la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., quello di cui al capo B).
I dati a disposizione degli investigatori sono meri indizi che conseguono a una ‘diceria diffusa’ circa il presunto coinvolgimento dell’imputato nel fatto omicidiario.
Tutte le intercettazioni, tra soggetti vicini a vittima e imputato, risultano, infatti, influenzate dalla convinzione, maturata nell’ambiente, circa il fatto che l’odierno ricorrente era responsabile dell’omicidio.
Tale convinzione, secondo la difesa, sarebbe stata alimentata dall’attività di indagine: infatti, in data 10 agosto 2020, la compagna della vittima aveva appreso dagli investigatori che si stava indirizzando l’indagine verso l’imputato, del quale veniva sottoposta in visione alla donna una foto segnaletica per eventuale riconoscimento.
Tale impostazione veniva esposta nei motivi di appello e, come in quella sede segnalato (cfr. p. 7 dell’atto di gravame), si evidenziava che vittima e imputato non si conoscevano.
Dunque, la sentenza, in punto responsabilità, è assunta in violazione del canone probatorio di cui all’art 192, comma 2, cod. proc. pen. posto che non fonda su indizi gravi, precisi e tra loro concordanti.
La sentenza di secondo grado prende atto della mancanza di movente, ma muove da un erroneo approccio, intriso di sospetto, ricavando dal contesto delinquenziale elementi che, però, non avrebbero natura individualizzante, stante la generica, implicita riferibilità di tale contesto a una pluralità di persone.
Anche il comportamento della vittima, descritto dai Giudici di secondo grado, sarebbe frutto di illazione perché si fa riferimento al fatto che, quella sera, COGNOME era evaso dagli arresti domiciliari, come sua abitudine, per coltivare rapporti con i suoi sodali, affermazione che non trova riscontro in atti.
Il ragionamento probatorio, quindi, violerebbe il principio secondo il quale il carattere individualizzante dei riscontri appare apprezzabile esclusivamente ove gli stessi consentano di collegare il fatto illecito alla persona del chiamato, fornendo un preciso contributo, dimostrativo dell’attribuzione a quest’ultimo del reato contestato.
Inoltre, per quanto riguarda l’imputato, la sentenza lo colloca in un circuito dedito al narcotraffico ed evidenzia che questi era sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Tuttavia, quanto all’inserimento in tale circuito criminale non vi è elemento di prova che consenta di ritenere il delitto consumato connesso ad un regolamento di conti relativo al traffico di stupefacenti.
Inoltre, la presunta omertà, da parte dei familiari della vittima, non sarebbe elemento idoneo a fungere da indizio tale da aggravare gli altri già a carico del ricorrente.
Del resto, la sentenza di secondo grado avrebbe omesso qualsiasi motivazione circa la censura relativa al riferimento, da parte degli stessi inquirenti, a sospetti a carico del ricorrente, tali da orientare i sospetti anche dei familiari di COGNOME. Di qui l’evidente carenza di motivazione della sentenza di secondo grado.
Si richiama, in particolare, la motivazione della sentenza di primo grado nella parte in cui questa ha escluso la circostanza aggravante del metodo mafioso, laddove i giudici di primo grado hanno escluso che il delitto si inserisse nella contrapposizione tra clan rivali. Peraltro, nemmeno è emerso, secondo i giudici di primo grado, che, come scaturigine dell’omicidio, si sia verificato un banale litigio, al quale era seguita la reazione di COGNOME in quanto in condizione di alterazione da sostanze stupefacenti.
A p. 7 e ss. la difesa ricorrente sintetizza gli elementi indiziari a carico, rappresentati dalla fuga dell’imputato dopo il fatto e dall’utilizzo, da parte sua, di un documento falso funzionale a sottrarsi alle ricerche. Tuttavia, come già segnalato con l’atto di appello, si evidenzia l’incertezza sulla fonte di conoscenza dei dialoganti nelle captazioni che rende il portato conoscitivo di questi inutilizzabile ed incapace di costituire fondamento della sentenza di condanna.
La fuga dell’imputato trovava spiegazione alternativa nell’esigenza di sottrarsi a possibili propositi di vendetta, maturati tra i familiari dell’ucciso, attesa la voce che si andava in quei frangenti diffondendo, circa la riconducibilità dell’omicidio allo stesso COGNOME
Si specifica che era stato indicato dal difensore appellante che le fonti di conoscenza coincidessero con voci correnti del pubblico.
Con l’atto di gravame, riportato specificamente a p. 8 e ss. del ricorso, era stato indicato che le due intercettazioni prese in considerazione dai provvedimenti di merito nelle quali parlava NOME COGNOME all’epoca dei fatti compagna di COGNOME, in data 9 agosto 2020, cioè il giorno successivo all’omicidio, dimostrano che la donna conosceva tutti i dettagli dell’azione evidenziando come l’aggressore fosse in stato di alterazione, probabilmente da alcol o droghe e che avrebbe agito con improvvisa brutalità, segnalando però che si trattava di riferimento a quanto si diceva ‘ in giro ‘ in quel momento, a proposito della vicenda criminosa e a quanto ipotizzato soltanto dalla interlocutrice.
Quindi, per il ricorrente, si fa riferimento a circostanze apprese da voce popolare o di esternazioni di tesi soltanto personali della COGNOME.
Assume la difesa, del resto, che in tale conversazione non si poteva fare riferimento a NOME COGNOME il cui coinvolgimento la donna avrebbe appreso soltanto il giorno successivo dagli investigatori.
Inoltre, si segnala che, con l’atto di appello, era stato valorizzato che la conversazione ambientale n. 2325 del 20 agosto 2020 presso l’abitazione della famiglia COGNOME, non coincideva al contenuto della deposizione dibattimentale resa dalla madre della vittima, COGNOME in data 7 Marzo 2023, laddove la dichiarante aveva chiarito che ciò che l’aveva spinta, non soltanto in occasione del dialogo avuto col marito il 25 agosto 2020, ma anche in altre circostanze, a svolgere commenti negativi nei confronti dell’odierno ricorrente, era stata la voce che andava dicendo che era stato lui, dal momento che tutto ‘ il borgo ‘ (INDIRIZZO , quartiere della città di Napoli) sapeva che si era fatto i documenti falsi e se n’era andato.
Anche in questo caso, quindi, la donna nella stessa conversazione ambientale, secondo la tesi dell’appellante, avrebbe offerto una ricostruzione che derivava da voce popolare.
Su tale questione, devoluta con l’appello, la Corte territoriale offre una motivazione apparente perché sostiene che i familiari di COGNOME avevano accesso ad una fonte qualificata – che non indica – solo perché conoscevano particolari come la fuga da Napoli di COGNOME e l’utilizzo di un documento falso.
Analogamente, si reputa generica la motivazione della Corte territoriale laddove afferma che l’autorevolezza della fonte era tale da ingenerare, nei familiari di Marangio, propositi di vendetta per organizzare i quali era stato coinvolto uno zio della vittima, personaggio descritto come inserito in circuiti criminali della zona.
In definitiva, secondo la difesa quanto riportato nelle intercettazioni era, sostanzialmente, condizionato dalla voce corrente popolare senza che sia mai emersa la fonte diretta da cui i familiari, sia della vittima sia dell’imputato, avevano appreso le circostanze di cui riferivano nei colloqui captati.
Tale impostazione troverebbe conferma nella deposizione del teste di polizia giudiziaria, NOME COGNOME all’udienza del 8 novembre 2 022, ove questi ha dichiarato che fonti attendibili avevano indicato l’attentatore nell’imputato come voce circolata immediatamente nel quartiere.
Circa la fuga di COGNOME, a partire dal 9 agosto 2020, la difesa, poi, aveva segnalato che questa aveva una diversa finalità, come dichiarato dallo stesso imputato, cioè quella di sottrarsi alla vendetta dei COGNOME.
Sul punto la Corte territoriale afferma che le dichiarazioni dell’imputato non avrebbero trovato riscontro e che l’uso del documento falsificato era stato determinato dalla necessità di sfuggire ai controlli degli investigatori, non potendosi ritenere che i COGNOME fossero tanto potenti da accedere, come ha
fatto la polizia giudiziaria, al registro delle presenze degli alberghi italiani per risalire al nascondiglio dell’imputato.
Si fa riferimento poi alla necessità di sottrarsi allo stub. Secondo il ricorrente, tuttavia, il dato probatorio valorizzato dalla Corte territoriale non si confronta con quello documentale acquisito secondo cui l’imputato, nei due giorni successivi al delitto, si era recato ad apporre la propria firma in ottemperanza all’obbligo di presentazione a quell’epoca gravante sullo stesso. Di qui l’esigenza di sottrarsi all’accertamento stub appare del tutto inconsistente. Anzi, l’allontanamento era stato determinato dal fatto di aver appreso che suo padre aveva saputo dalle forze di polizia, che era stato indicato da una fonte anonima come responsabile dell’omicidio.
Si deduce, quindi, che il ragionamento svolto dalla Corte territoriale è reso in violazione dell’art. 546 lett. e) cod. proc. pen., per non aver indicato le ragioni per le quali la tesi difensiva non è stata reputata idonea a confutare l’ipotesi di accusa, con violazione, altresì, del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio, ponendo in essere un congegno motivazionale lesivo della cosiddetta regola Bard .
2.2. Con il secondo motivo denuncia inosservanza ed erronea applicazione di legge penale con riferimento all’art. 497bis cod. pen. e vizio di motivazione circa il reato contestato al capo C).
All’imputato è ascritto il delitto indicato per aver formato o lasciato che altri formassero la carta d’identità avente n. CA 78843BM-NA, intestata al fratello NOME COGNOME apponendovi la propria effige fotografica che utilizzava presso diverse strutture alberghiere sul territorio nazionale.
Rispetto a tale capo di imputazione, venivano formulate con i motivi di appello tre doglianze alle quali la Corte territoriale ha risposto segnalando che l’imputato avrebbe falsificato il documento, ma senza indicare gli elementi di prova confortanti l’esistenza di tale condotta materiale.
In particolare, quanto alla grossolanità del falso la Corte territoriale offre, secondo il ricorrente, una motivazione apodittica laddove evidenzia che non sarebbe immediatamente rilevabile la differenza di età tra il soggetto ritratto in fotografia e l’effettivo titolare del documento, poiché si tratterebbe, comunque, di soggetti di età adulta, compresa tra i 30 e i 20 anni.
Si denuncia, quindi, la lacunosa disamina delle censure difensive. L ‘ appellante aveva evidenziato, con i motivi di gravame, che nei vari alberghi l’unico documento identificativo esibito era quello di NOME COGNOME, mentre gli altri due soggetti sedicenti NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano fornito soltanto generalità oralmente.
In secondo luogo, si faceva riferimento al fatto che il documento falso contestato dal comma primo dell’art. 497bis cod. pen. è quello valido per
l’espatrio e che, quindi, il reato si può configurare soltanto quando questo è stato utilizzato al fine di espatriare, fatto non verificatosi nella specie.
In terzo luogo, si contestava la qualità grossolana del falso tenuto conto che le persone delle quali erano indicate le generalità erano quelle di un soggetto ventunenne, mentre la foto ritraeva il ricorrente, cioè un trentenne.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia erronea applicazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione quanto alla richiesta di riconoscimento della fattispecie attenuata di cui al comma 5 dell’art. 73 TU Stup ., in relazione al capo D).
Con riferimento alla qualificazione giuridica del reato, era stata chiesta, con i motivi di gravame, la riqualificazione del fatto ai sensi del comma 5 del citato art. 73. La sostanza stupefacente sequestrata all’imputato era risultata di un quantitativo netto pari a centocinquanta grammi di cocaina pura, quindi di quantità tale da poter vedere riconosciuta la fattispecie della lieve entità.
Inoltre, si era segnalato che le modalità della condotta rivelavano l’inesperienza dell’imputato in materia di reati concernenti la normativa sugli stupefacenti.
La motivazione della Corte d’appello fa riferimento al numero elevato di dosi (pari a oltre mille dosi sequestrate) e, quindi, giustifica il diniego per il dato quantitativo della sostanza. Tuttavia, per il ricorrente, non si è tenuto conto della giurisprudenza di legittimità secondo la quale, ai fini del riconoscimento della fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73 TU Stup., deve aversi riguardo ad una valutazione complessiva del fatto in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza con riferimento al grado di purezza in modo da pervenire all’affermazione di lieve entità in conformità ai principi costituzionali di offensività e proporzionalità della pena.
Si richiama la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, n. 35737 del 24 giugno 2010 secondo la quale la lieve entità del fatto può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri. Con la conseguenza che ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio.
Si richiama, altresì, giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto il dato ponderale e qualitativo della sostanza di per sé non decisivo (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018) e che esclude che i diversi indici abbiano, tra loro, un ordine gerarchico nell’attribuire la qualificazione della lieve entità al fatto complessivamente considerato.
In definitiva, secondo il ricorrente è necessario che la qualificazione del fatto ai sensi del comma 5 dell’art. 73 TU Stup. costituisca l’approdo della valutazione
complessiva di tutte le circostanze rilevanti per stabilire la sua entità, esame globale che sarebbe del tutto messo nel caso di specie.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 62bis e 133 cod. pen. e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La sentenza fa riferimento al diniego delle circostanze attenuanti in ragione della gravità dei fatti e del comportamento processuale dell’imputato, il quale avrebbe, secondo la Corte di appello, inutilmente provato a coinvolgere non meglio identificati funzionari di polizia nel tentativo di giustificare la sua fuga.
La motivazione, a parere del ricorrente, è apodittica perché non sono state prese in considerazione, da un lato, la giovane età dell’imputato e, dall’altro, il contesto sociale in cui questi è cresciuto.
Inoltre, ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, il giudice è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi che attengono non solo alla gravità del reato e alla capacità a delinquere del soggetto, ma anche alla personalità dello stesso. Invero, la decisione di negare l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche se non sostenuta da idoneo supporto motivazionale, integra vizio di motivazione censurabile in sede di legittimità.
Nella specie, deduce il ricorrente che la sentenza è affetta da tale vizio nella forma della illogicità e della carenza in quanto non viene valutata, in concreto, la censura difensiva relativa alla mancata concessione delle circostanze attenuanti e al trattamento sanzionatorio.
I difensori hanno fatto pervenire tempestive richieste di trattazione in pubblica udienza partecipata, accordate. Per cui, all’odierna udienza, all’esito della discussione delle parti presenti, queste hanno concluso nel senso riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo è infondato.
1.1.1. Va premesso che la ricostruzione, alternativa, alla quale, in parte, tende il ricorrente con il primo motivo di ricorso, non coincide con le risultanze che le convergenti sentenze di merito riportano, quanto allo svolgersi delle indagini di cui si è appreso all ‘ esito dell ‘ istruttoria dibattimentale.
In primo luogo, si deve osservare che è emerso, dall ‘ istruttoria di cui rendono conto i giudici di merito, che l’ultima volta che COGNOME si era recato a firmare, in ottemperanza all ‘ obbligo di presentazione ai Carabinieri, vigente all ‘ epoca a suo carico, è stata in data 9 agosto del 2020. Subito dopo, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, questi si era allontanato da Napoli, per
riapparire in alberghi del centro e nord Italia, dove aveva avuto accesso, assieme alla sua compagna, utilizzando un documento di identità recante le generalità del fratello NOME.
La compagna della vittima, secondo la ricostruzione proposta dalla difesa, sarebbe venuta a conoscenza proprio dagli investigatori che le indagini si stavano indirizzando verso Grossi, il giorno 10 agosto 2020, quando era stata convocata dalla polizia giudiziaria.
Secondo le risultanze di cui danno conto i convergenti provvedimenti di merito, invece, l’imputato ha anticipato l ‘ allontanamento da Napoli, rispetto al momento in cui la compagna della vittima era stata convocata.
Dunque, appare non manifestamente illogico il ragionamento svolto dai giudici di merito e, cioè, che la famiglia di COGNOME avesse contezza del fatto che l ‘ omicidio era da ascrivere a Grossi, non per averlo appreso dalla polizia giudiziaria.
In secondo luogo, risulta, dalla ricostruzione dei convergenti provvedimenti di merito, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente (e cioè che i familiari di COGNOME abbiano appreso i fatti dalla polizia giudiziaria), che tra i familiari di vittima e autore dell ‘ agguato – quindi soggetti qualificati per gli stretti rapporti con le parti – era stata acquisita la certezza della riferibilità dell ‘ omicidio a Grossi.
La sentenza di primo grado (v. p. 11 e ss.) evidenzia che l ‘ imputato, a fronte dell ‘ omicidio avvenuto in data 8 agosto 2020, era andato ad apporre la firma, per l ‘ ultima volta, in data 9 agosto 2020 e che questi non era stato reperito, presso la sua abitazione, assieme alla sua famiglia, già dal 9 agosto 2020, ove era stato svolto un sopralluogo.
La presenza di COGNOME a Firenze viene indicata come accertata, in data 14 agosto 2020, assieme a NOME COGNOME e, poi, successivamente, al centro e nord Italia, ove aveva alloggiato presso alberghi utilizzando un documento falso, intestato al fratello NOME.
1.1.2. Ciò posto, si osserva che, diversamente da quanto dedotto, non vi è prova, secondo la ricostruzione degli accadimenti recepita dalle ineccepibili sentenze di merito, che la famiglia della vittima abbia avuto la suggestiva convinzione della colpevolezza di COGNOME perché a tale conclusione era stata indirizzata dagli stessi investigatori.
La sentenza di primo grado afferma, con ragionamento immune da illogicità manifesta, che era stato il contenuto della captazione del 25 agosto 2020, relativa ad una conversazione intercorsa tra familiari della vittima, a dare agli investigatori certezza individualizzante circa il soggetto che, secondo i conversanti, era l ‘ autore dell ‘ omicidio. Questi si riferivano, infatti, a persona che si era allontanata con i documenti del fratello, e COGNOME, a quella data, aveva già lasciato Napoli.
1.1.3. Si osserva, poi, che le sentenze di merito, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, rendono conto di plurimi elementi indiziari, convergenti e individualizzanti, idonei a fondare l ‘ affermazione di responsabilità secondo il canone di cui all ‘ art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
Con riferimento alle captazioni, si rileva che i conversanti sono indicati dai giudici di merito come stretti parenti della vittima o dell’imputato e la decifrazione dei dialoghi riportati non è mai equivoca.
Gli interlocutori che commentano l’omicidio, anche molti mesi dopo l’agguato, non manifestano dubbi o lamentano l’ingiustizia dell’accusa mossa verso COGNOME o l’infondatezza del fatto addebitatogli.
Lo stesso imputato fa riferimento all’omicidio, in una conversazione che interviene con sua madre, senza lamentare che si tratta di un’accusa falsa ai suoi danni. Che l’imputato fuggisse non per timore della vendetta ma per non essere arrestato si evince, per il ragionamento immune da illogicità manifesta dei giudici di merito, dalla captazione del 25 dicembre 2020, intercorsa tra COGNOME e la madre. La donna manifesta preoccupazione per il possibile arresto e riferisce che era stata nuovamente escussa in ‘ Questura ‘ . La situazione induce NOME COGNOME a ricordare alla madre le regole di prudenza da seguire nel parlare con gli investigatori, onde evitare di essere identificato e trovato e come difendersi nel corso dell’esame (cfr. p. 30 e ss.).
NOME COGNOME padre dell ‘ imputato, poi, in una conversazione accusa la suocera del figlio (se NOME ‘ piglia l’ergastolo ‘ è per colpa sua), lamentando la superficialità della donna per aver conversato telefonicamente riferendosi all’accaduto, anche in tal caso, senza esporre alcunché circa l’ingiustizia dell ‘ accusa e della conseguenza.
A ciò si aggiunga che nessuno dei testi, escussi al dibattimento, per come sono state riportate le deposizioni nelle sentenze di merito, ha dato giustificazioni alternative credibili, rispetto al contenuto dei dialoghi, così la madre della vittima e la compagna di COGNOME
In sostanza, i familiari di COGNOME erano sicuri che era COGNOME l ‘ autore dell ‘ agguato, tanto che il mese di ottobre 2020, si coordinano per organizzare una vendetta trasversale, provando a coinvolgere lo zio, detto ‘ o malomm , persona descritta come vicina al clan COGNOME, ma si riporta il messaggio di questi che invita alla calma e alla pazienza e a rinviare tale intenzione (la sentenza di primo grado descrive la vittima come nipote di NOME COGNOME detto ‘ COGNOME, già condannato perché entraneo al clan COGNOME, precisando che, all’epoca, la vittima era detenuta agli arresti domiciliari per incompatibilità con il carcere per ragioni di salute, anche se violava sistematicamente la detenzione domiciliare).
COGNOME, poi, non solo viene indicato come soggetto che si allontana da Napoli il giorno dopo l’omicidio , munendosi di documento falso, immediata fuga che, secondo la difesa, non avrebbe significato indiziante univoco perché giustificata non dall ‘ esigenza di sottrarsi alle prime investigazioni, ma per sfuggire alla vendetta organizzata nei suoi confronti.
Le sentenze di merito lo indicano, invece, come presente sul luogo dell’agguato la notte del fatto . Infatti, l’auto in uso anche a Grossi, immediatamente dopo l’azione di fuoco, era stata registrata in movimento da INDIRIZZO, zona in cui era stato commesso il delitto alle 00:17.
Si evidenzia, inoltre, che COGNOME aveva disattivato le sue utenze già in data 7 agosto 2020 e che, quella notte, risultava aver usato, spasmodicamente, l ‘ utenza intestata al fratello NOME per chiamare il padre NOME, proprio all’ora dell’omicidio , con un telefono che era risultato collocato sulla scena del delitto.
Dato altamente indiziante, dunque, che viene valorizzato dalle sentenze di merito (v. p. 12 e ss. della sentenza di primo grado) e che non viene, espressamente, confutato dal ricorrente, è quello della disattivazione delle utenze di NOME COGNOME a partire dal giorno 7 agosto 2020 alle 09:00, unito alla presenza della descritta vettura in uso anche all ‘ imputato, al momento del fatto, nei pressi del luogo dove è stato commesso il ferimento.
Si contano, da parte dei giudici di merito, quattro contatti tra NOME COGNOME e il padre NOME, alle prime ore del giorno 8 agosto 2020 (in particolare, tra le 00:25 fino alle 00:33 25, cioè immediatamente dopo la commissione del fatto), con una frequenza di contatti telefonici descritto, in sede di merito, come mai riscontrato tra i due numeri di utenze, soprattutto nelle ore notturne.
A conforto delle intercettazioni, poi, si evidenzia che l ‘ imputato, è restato in fuga per diversi mesi, anche dopo la sopraggiunta morte della vittima dell ‘ agguato, ha cambiato spesso alloggi e ha portato con sé la compagna.
A ciò si aggiunga che tutti i testi, escussi al dibattimento, compresa la persona che aveva accompagnato COGNOME, nelle immediatezze, all’ospedale sono indicati come reticenti. Ciò, anche se è emerso che nel buvero , cioè nel quartiere di Grossi (INDIRIZZO di Napoli) , prossimo a quello della vittima, erano a conoscenza che era lui l ‘ autore del ferimento. Anzi, i suoi familiari non passavano più di là, perché si tratta di quartiere prossimo a quello dove abitavano i COGNOME.
La famiglia della vittima, poi, secondo la sentenza di primo grado, ha mostrato di avere contezza della riferibilità dell ‘ azione omicidiaria a Grossi. La compagna di COGNOME, NOME COGNOME, ha esposto i dettagli dell’azione e il fatto che l’aggressore era probabilmente in stato di alterazione da alcol o droghe (cfr. p. 20 della sentenza di primo grado, conv. del 9 agosto 2020, delle ore 9:12).
La conversazione, secondo la ricostruzione del colloquio non manifestamente illogica dei provvedimenti di merito, evidenzia che la donna era a conoscenza proprio delle generalità dell ‘ esecutore dell ‘ agguato (già a quella data e non a partire dal 10 agosto 2020, quando era andata a riferire alla polizia giudiziaria).
Il chiaro riferimento alle modalità dell’agguato, prima ancora dell ‘ espletamento dell ‘ esame balistico, è ritenuto, con ragionamento immune da illogicità manifesta, sintomatico di una conoscenza diretta degli accadimenti, posto che la conversante fa riferimento all’esplosione di quattro -cinque colpi con una pistola ‘ pesante ‘ (il killer era arrivato e aveva sparato fuggendo, come ha testimoniato l’agente di p olizia giudiziaria, presente sul posto casualmente).
Si richiama, nella sentenza di primo grado, anche una conversazione, del 19 settembre del 2020, giorno successivo alla sopraggiunta morte della vittima, nella quale il padre dell’imputato conversa con nipote NOME (COGNOME è l’utilizzatore dell’utenza intercettata e il conversante, NOME, lo chiama zio NOME).
NOME COGNOME si preoccupa delle reazioni alla morte di COGNOME nel clan COGNOME e delle reazioni di tale capa janca , cioè NOME COGNOME, soggetto indicato come appartenente in posizione di vertice alla consorteria operante nel quartiere di Napoli, borgo Sant’Antonio Abate (v. p. 23 della sentenza di primo grado, anche se non condannato in via definitiva per reato associativo).
Altro dato significativo, con il quale il motivo di ricorso non si confronta puntualmente, è quello relativo alle captazioni successive all ‘ esecuzione della misura cautelare (in data 6 aprile 2022) in un’abitazione del quartiere di Napoli denominato Poggioreale. L’esecuzione è avvenuta in INDIRIZZO e INDIRIZZO, al momento della cattura, aveva gettato dal balcone uno zaino all ‘ interno del quale era stata reperita sostanza stupefacente risultata essere cocaina e materiale per il confezionamento in dosi; infine veniva riscontrato, nell’appartamento danaro in contanti e un’agenda in cui risultavano annotati conteggi, nomi di persone cui il denaro era affidato.
La sentenza di primo grado segnala la registrazione di una telefonata (la n. 138), nel corso della quale la suocera dell’imputato è preoccupata per essere stata possibile veicolo di identificazione di COGNOME come autore dell’omicidio. L’interlocutore la tranquillizza affermando che la stampa non la indica tra gli elementi, a conoscenza degli investigatori, che avevano condotto all’arresto di COGNOME e che, invece, la notizia della riferibilità del fatto a COGNOME era dovuta alle dichiarazioni di un collaboratore. Comunque, si valorizza il dato che i conversanti apparivano convinti del fatto che era stato COGNOME a commettere l’omicidio.
Ulteriori conversazioni, valorizzate dai giudici di merito si collocano nei primi mesi del 2021.
Quella del gennaio 2021, tra la suocera dell’imputato e sua madre, è relativa a un litigio avvenuto tra NOME COGNOME, capoclan del gruppo COGNOME, detenuto per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. e la sua congiunta. La suocera dell’imputato descrive la rabbia di COGNOME nei riguardi della congiunta riferendosi all’ira funesta e alle conseguenze che potevano derivarne, equiparando l’ira di COGNOME a quella di NOME COGNOME che lo aveva portato a commettere un omicidio (la suocera dell’imputato: NOME quando ha ucciso a quello voleva andare carcerato? voleva fare quello che ha fatto? si chiudono gli occhi ). Ancora si richiama la conversazione del 12 marzo 2021, in cui sempre la suocera di COGNOME fa riferimento alla situazione difficile in cui si trova NOME perché ha commesso un ‘ guaio ‘ .
La riferibilità a NOME COGNOME si trae secondo i giudici di merito, dal fatto che si menziona la persona come compagno di NOME, cioè NOME COGNOME, compagna, appunto, dell ‘ imputato (si richiamano, inoltre, le conversazioni n. 29 del 17 novembre 2020 e quella del 4 marzo 2021 n. 8328, v. p. 26 e 27 della sentenza di primo grado).
Infine, significativa è indicata la telefonata n. 7883 del 11 marzo 2021, nella quale l’imputato, parlando con la madre, se la prende con qualcuno che ha parlato troppo mettendolo a rischio, essendo la questione molto delicata perché si tratta di omicidio. Per questo motivo afferma che, da quel momento in poi, questa persona doveva essere tenuta all’oscuro di tutto.
1.1.4. Tali essendo i plurimi elementi a carico dell ‘ imputato valorizzati dai convergenti provvedimenti di merito, si osserva che, in parte, le censure difensive sono versate in fatto e tendono ad accreditare una versione alternativa a quella recepita dai provvedimenti di merito, con ragionamento immune da illogicità manifesta e completo; in parte, non si confrontano con la motivazione della sentenza di primo grado che non viene attinta da specifiche critiche nemmeno con l’atto di appello , in particolare quanto alla riscontrata necessità di COGNOME di sottrarsi alle ricerche per paura di essere arrestato.
La proposta eccezione di inutilizzabilità, poi, non si confronta con la cd. prova di resistenza.
Invero, secondo il costante orientamento di questa Corte allorché con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Rv. 259452).
I riferimenti a COGNOME che sono indicati dalle sentenze come emersi dalle intercettazioni, sono elementi a carico, plurimi, significativi e altamente
individualizzanti (tra l ‘a ltro, si parla di ‘ scurnacchiato … che si è fatto i documenti falsi in faccia al fratello’ , come confermano le risultanze relative alla fuga immediata di COGNOME dopo il ferimento).
Inoltre, è COGNOME la persona di cui si parla, già nella descritta captazione del 25 agosto 2020. Si tratta di registrazione che, secondo il teste Russo di polizia giudiziaria, era stato significativo indirizzo investigativo per convogliare le indagini verso NOME COGNOME (e non, diversamente da quanto esposto dalla difesa, una fonte confidenziale). Non va trascurato, poi, che non mancano conversazioni, in cui è lo stesso COGNOME che dialoga con i propri stretti congiunti, secondo contenuti che non si prestano ad equivoche interpretazioni.
Sul punto si osserva che, in materia di intercettazioni, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite, non evincibile nella specie (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784).
Del resto, la circostanza che non vi sia indicazione espressa, da parte dei conversanti, della fonte di conoscenza da cui questi, stretti congiunti anche conviventi delle parti, hanno ricavato i dettagli e le circostanze che commentano con dovizia di particolari, non è causa di inutilizzabilità dei dialoghi captati, né inficia l ‘ interpretazione lineare e pacifica che, di questi, rendono le sentenze di merito.
Inoltre, non va trascurato che la pacifica giurisprudenza di legittimità, ritiene che, in caso di cd. doppia conforme affermazione di responsabilità, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione; tanto più ove i giudici dell’appello, come nel caso in esame, abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 197250; Sez. 5, n. 3751 del 15/02/2000, Re Carlo, Rv. 215722; Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615).
Ancora, si evidenzia che la motivazione dei convergenti provvedimenti di merito, risponde ai canoni interpretativi fissati dalla giurisprudenza in tema di prova indiziaria, ex art. 192, comma 2, cod. proc. pen., secondo la quale, peraltro, in tema di processo indiziario, il giudice può fondare il proprio
convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche sulla concatenazione logica degli indizi, dalla quale risulti che il loro complesso possiede quella univocità e concordanza atta a convincere della loro confluenza nella certezza in ordine al fatto stesso (tra le altre, Sez. 2, n. 45851 del 15/09/2023, COGNOME, Rv. 285441 -02).
Coerente, infine, rispetto al canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio, previsto dall’art. 533 cod. proc. pen., risulta la motivazione, sia nel contenuto che nella forma utilizzata dall’estensore. Il criterio di attribuzione della responsabilità, cui ha fatto ricorso la Corte d’appello, si fonda infatti, su parametri del tutto in linea con quello normativo di indispensabile valutazione della colpevolezza penale.
Si tratta, come è noto, di parametro di verifica, obbligatoriamente prescritto dall’art. 533 cod. proc. pen. che, connesso alla presunzione di innocenza o non colpevolezza, richiede il superamento dell’oltre ogni ragionevole dubbio e non già la mera plausibilità o la semplice verosimiglianza, sia pur dotata di forte plausibilità, della ricostruzione adottata, così assicurando lo standard richiesto dal legislatore,in conformità all’art. 27 Cost. (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430, in mot.). Proprio in adesione a tale canone di giudizio, i giudici di merito hanno ragionato in termini di certezza della colpevolezza per il reato contestato, senza accedere ad alcun dubbio, anzi diversamente qualificando il fatto, proprio in sede di appello, con esclusione della circostanza aggravante della premeditazione.
Da ultimo, deve aggiungersi che la dedotta assenza di prova circa il movente dell’azione omicidiaria è argomento che non si confronta con l ‘ indirizzo interpretativo secondo il quale è irrilevante ai fini dell’affermazione della responsabilità, allorché vi sia, come nel caso in valutazione, comunque la prova dell’attribuibilità di detta azione all’imputato, non risolvendosi il suo mancato accertamento nell’affermazione probatoria di assenza di dolo del delitto di omicidio, o, tanto meno, di assenza di coscienza e volontà dell’azione (Sez. 5, n. 20851 del 12/03/2021, Rv. 281109 -01; Sez. 1, n. 31449 del 14/02/2012, Rv. 254143 – 01).
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Circa la scarsa offensività del fatto, la Corte territoriale ha risposto (v. p. 15) , collegando la falsificazione alla fuga dell’imputato per sottrarsi alle indagini e, dunque, ha negato che il fatto, nel suo complesso, non sia offensivo, con ragionamento immune da illogicità manifesta e ineccepibile in diritto.
La sentenza impugnata risponde, altresì, alla censura relativa al profilo della grossolanità del falso, segnalando che, comunque, la fotografia è stata adoperata da un soggetto che è di età adulta e che i due uomini avevano un’età racchiusa tra i venti e i trenta anni, soggetti in cui il passare del tempo non
lascia traccia significativa, utilizzando una motivazione lineare e non manifestamente illogica rispetto alla quale la censura proposta nella presente sede è meramente reiterativa.
Il terzo motivo di doglianza devoluto con l ‘ atto di appello circa l ‘ effettiva esibizione dei documenti è versata in fatto. Invero, la sentenza di primo grado (v. p. 44) evidenzia che COGNOME aveva esibito il documento di identità, dunque, quanto assunto dal ricorrente, circa la mancata esibizione, è deduzione rivalutativa di circostanze di fatto, operazione inibita a questa Corte.
Infine, sulla dedotta necessità di esibizione per espatriare al l’estero , si deve rilevare che, nel caso in valutazione, è contestata la fattispecie di cui al comma secondo dell’art. 497 -bis cod. pen., cioè la formazione o il concorso nella formazione, da parte di altri, del documento valido per l’espatrio.
La censura è, quindi, per tale parte del motivo di ricorso, manifestamente infondata perché (Sez. 5, n. 15833 del 27/01/2010, Marku, non massimata; cfr. anche Sez. 5, n. 40272 del 11/07/2016, COGNOME, Rv. 267791 -01) la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che integra il delitto di cui all’art. 497bis cod. pen. il mero possesso di un documento falso valido per l’espatrio o la materiale falsificazione dello stesso, indipendentemente dall’uso che il soggetto agente intenda farne, in quanto l’aver circoscritto l’oggetto materiale del reato ai suddetti documenti trova la sua giustificazione nella ritenuta maggiore pericolosità delle condotte che li riguardano e non nell ‘ intenzione di punire soltanto le condotte di effettiva agevolazione all’espatrio o all’ingresso .
1.3. Il terzo motivo è infondato.
Invero, la motivazione della Corte territoriale non è particolarmente diffusa ma, oltre al dato ponderale – che la difesa svaluta del tutto, pur trattandosi di oltre mille dosi medie -comunque, valorizza il dato significativo dell ‘ inserimento di COGNOME in un più ampio circuito dedito al traffico di stupefacenti, trattandosi del reperimento di cocaina con elevato grado di purezza destinata, quindi, a successivi ‘ passaggi di mano ‘ per essere tagliata. In tal modo, descrivendo, in sostanza, un ruolo di Grossi come di soggetto inserito in un più ampio circuito dedito allo smercio all’ingrosso di sostanza stupefacente, dunque, valutando il fatto, nella sua complessiva dimensione, non solo il dato ponderale e qualitativo in sé della sostanza sequestrata.
Le sentenze di merito, peraltro, descrivono le modalità di reperimento dello stupefacente, sequestrato al momento dell ‘ esecuzione della misura cautelare emessa a carico di COGNOME, quando l ‘ imputato aveva provato a disfarsene gettando dal balcone uno zaino in cui era custodito, assieme a materiale per il confezionamento in dosi. Infine, veniva reperito, nell’appartamento ove COGNOME si
trovava, danaro in contanti e un’agenda in cui risultavano annotati conteggi e nominativi di persone alle quali il denaro era affidato.
Il ragionamento svolto, dunque, appare in linea con la giurisprudenza di legittimità cui il Collegio intende dare continuità, secondo la quale, in tema di stupefacenti, la configurabilità del delitto di cui all’art. 73, comma 5, TU Stup., postula un’adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, ed a quantità e qualità delle sostanze, con riferimento al grado di purezza, sì da pervenire all’affermazione di lieve entità in conformità ai principi costituzionali di offensività e di proporzionalità della pena (tra le altre, Sez. 4, n. 50257 del 05/10/2023, COGNOME, Rv. 285706 -01, nella quale questa Corte ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva escluso la lieve entità del fatto, valorizzando il livello di professionalità del traffico, desumibile dall’elevato grado di purezza della cocaina, con principio attivo pari al 55,65%, dalla quale era ricavabile un numero di dosi particolarmente alto, per 291 unità).
1.4. Il quarto motivo è inammissibile.
La motivazione sul diniego delle circostanze generiche, seppure stringata, vi è (v. p. 15) e fa riferimento a dati negativi, quali la gravità del fatto e al comportamento dell’imputato.
Si tratta, comunque, di dati con natura polivalente, idonei a giustificare anche il trattamento sanzionatorio -anni ventisei di reclusione -rideterminato dalla Corte territoriale che ha escluso la circostanza aggravante della premeditazione e ridotto la pena irrogata.
Invero, il diniego delle circostanze attenuanti generiche ben può fondare sulla valutazione di gravità del fatto reato. In tal senso, il richiamo alla gravità dei fatti soddisfa lo standard declinato dall’art. 133 cod. pen. (Sez. 1, n.3155 del 25/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258410; n. 9120 del 1998, Rv. 211582) e giustifica, altresì, la negazione delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378; n. 45623 del 2013, Rv. 257425) trattandosi di un dato polivalente, incidente sui diversi aspetti della valutazione del complessivo trattamento sanzionatorio.
La sussistenza di circostanze attenuanti, rilevanti ai sensi dell’art. 62bis cod. pen., è, peraltro, oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in sede di legittimità neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003, dep. 2004, Rv. 229768; Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931), a condizione che la valutazione tenga obbligatoriamente conto, a pena di illegittimità della
motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato (Sez. 3, n.23055 del 23/04/2013, Banic, Rv. 256172).
In particolare, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62bis , disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente nemmeno lo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n.39566 del 16/02/2017, COGNOME Rv. 270986; n. 44071 del 2014, Rv. 260610).
Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell ‘ art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 26 febbraio 2025