Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19395 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19395 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a ROMA il 28/03/1974
avverso la sentenza del 22/04/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udAerir Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
il
COGNOME
NOME COGNOMEha concluso chiedendo zlet 4-2 i GLYPH L1(3.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 22 aprile 2024, 41–T -rilyerfra-le-el-13~90, per quanto qui di interesse, ha confermato la sentenza di condanna, resa nei confronti di NOME COGNOME, dal Tribunale della medesima città per il reato di furto in abitazione aggravato dal danno di rilevante gravità.
Il difensore di fiducia dell’imputato ricorre avverso la predetta sentenza deducendo un unico motivo di ricorso con cui lamenta sia il vizio di violazione di legge, con riferimento all’art. 192 cod. proc. pen., per l’errata valutazione degli elementi indiziari, sia la carenza e manifesta illogicità della motivazione sul medesimo punto, contestando l’affermazione di responsabilità, asseritamente effettuata in violazione del principio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”.
3. I fatti sono stati così ricostruiti nella sentenza impugnata. In data 10 febbraio 2018, tra le 17:35 e le 18:25, si verificava un furto presso l’abitazione delle persone offese perpetrato attraverso l’introduzione nell’appartamento dalla finestra di una camera da letto, che presentava segnali di scasso sul telaio. Le Forze dell’Ordine, intervenute prontamente, rinvenivano, seminascosto tra le lenzuola del letto matrimoniale, un telefono cellulare di marca Samsung che non apparteneva ad alcuno degli occupanti dell’appartamento e che, quindi, verosimilmente, era stato smarrito da chi aveva perpetrato il furto. Il dispositivo risultava bloccato per cui non vi era la possibilit di accedervi per acquisire affermazioni utili. Emergeva, dai successivi accertamenti, che il telefono era stato rubato nel luglio 2017 e che, nel periodo successivo a tale furto, erano state inserite in esso cinque utenze telefoniche intestate, rispettivamente, una all’imputato, due alla moglie di questo e due alla figlia. Al momento in cui è stato rinvenuto il telefono nell’abitazione risultava inserita la scheda Sim relativa all’utenza 3249843675 intestata alla moglie dell’imputato. Emergeva, peraltro, che l’imputato, titolare anche di altra utenza telefonica, pur dimorando altrove, era presente sul luogo e in orario compatibile con il furto. Alle ore 18:35 l’imputato, attraverso un diverso dispositivo e tramite utenza a lui intestata (3512785939), contattava la moglie su un’utenza diversa da quella presente nel telefonino rinvenuto, informandola, verosimilmente, dello smarrimento del telefono, tant’è che questa chiamava, nell’immediatezza, il servizio Wind per bloccare la Sim card a lei intestata e inserita nel telefono dimenticato nell’abitazione depredata. L’ll febbraio 2018, la donna si presentava presso la stazione dei Carabinieri denunciando che il giorno precedente, alle 16:30, due soggetti avevano rubato il suo cellulare marca Samsung con all’interno l’utenza 3249843675 (ossia quello rinvenuto all’interno dell’abitazione) asportandolo dalla tasca del figlio mentre entrambi erano nella città di Bologna. Dai tabulati telefonici, però, risultava che la donna, alla data Corte di Cassazione – copia non ufficiale
10 febbraio 2018, non si trovava a Bologna, ma che, al contrario, era sempre rimasta nell’area geografica di Roma.
La Corte distrettuale, quanto ai riscontri individualizzanti a carico dell’imputato, ha valorizzato: il ritrovamento, nel /ocus commissi delicti, del cellulare con scheda Wind intestata alla moglie dell’imputato; la presenza in tale luogo, non diversamente giustificata, dell’imputato alla data e all’ora della commissione del furto, dimostrata dall’analisi dei tabulati telefonici relativi alla scheda telefonica a lui intestata; le telefonate intercorse immediatamente dopo il fatto con la moglie, da cui, atteso il pronto comportamento di questa di bloccare la scheda Sim inserita nel telefonino rinvenuto, la Corte ha ragionevolmente ritenuto che l’imputato, una volta accortosi dello smarrimento, aveva prontamente informato la moglie dell’accaduto; la falsa denunzia di furto del telefono.
Il rispetto di tale canone di giudizio è stato contestato dal ricorrente il quale, dopo aver richiamato i principi sopra riportati, ha ritenuto la ricostruzione dei giudici di merito contraddittoria, atteso l’uso promiscuo delle schede dei cellulari da parte di tutti i componenti dell’ampio nucleo familiare dell’imputato e l’impossibilità, quindi, di risalire con certezza a quest’ultimo.
Orbene, tale censura non è idonea a disarticolare il ragionamento seguito dalla Corte d’appello che, pur considerando l’uso promiscuo dei cellulari, ha concatenato, come si è visto, i dati a sua disposizione seguendo un percorso
argomentativo del tutto aderente alle acquisizioni istruttorie e scevro da fratture razionali.
5.1. La contraddittorietà della decisione della Corte distrettuale si appaleserebbe poi maggiormente, secondo il ricorrente, là dove la Corte ha
ritenuto di dover assolvere solo l’altro coimputato, genero del COGNOME condannato in primo grado. Devesi a tal proposito osservare, che siffatta
decisione non presenta alcun profilo di illogicità o contraddittorietà posto che, ragionevolmente, la Corte d’appello ha ritenuto che gli scarsi elementi indiziari
acquisiti a carico del predetto – la presenza nelle vicinanze del luogo del delitto e i contatti telefonici con l’odierno imputato intervenuti in epoca coeva e
immediatamente successiva al furto – erano insufficienti a suffragare, “oltre ogni ragionevole dubbio”, il suo concorso nella perpetrazione del furto e
apparivano, quindi, privi della medesima valenza accusatoria di quelli riconducibili all’imputato.
6. Il motivo di ricorso è dunque infondato dovendosi, in ultimo, rammentare che quando viene dedotta la violazione del principio dell’ “oltre ogni
ragionevole dubbio”, la Corte di cassazione deve limitarsi a prendere atto di quanto accertato dal giudice di merito e a valutare se appaia logicamente motivato nella sentenza il raggiungimento dello standard probatorio sopra ricordato. La selezione e la valutazione delle prove spetta in via esclusiva al giudice del merito, anche perché non c’è nessuna prova che abbia un significato isolato, slegato o disancorato dal contesto in cui è inserita e solo il giudice di merito può apprezzarne la valenza attraverso la valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio. È fatto divieto, dunque, a questa Corte di legittimità, di accedere agli atti istruttori ed esaminare i singoli atti in modo separato e atomistico, essendo consentito solo il sindacato sulla tenuta della motivazione. Alla Corte di cassazione, quindi, è preclusa anche la pure e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma deduzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa (ex multis, Sez. 2, n. 7035 del 09/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254025 – 01).
Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 21 febbraio 2025