Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1434 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1434 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 05/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a EBOLI il 16/06/1981
avverso la sentenza del 23/02/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurator COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, sono stati tratti a giudizio dinanzi ai Tribunale di Vercelli per rispondere dei reati p. e p. dagli artt. 110, 624 e 625 n. 4 cod. pen. perché, in concorso tra loro, in due diverse occasioni, sottraendo ii portafogli della vittima dalle rispettive borse lasciate nel carrell utilizzato per la spesa all’interno del supermercato in cui si trovava, si impossessavano di portafogli e del relativo contenuto, tra cui somme di denaro, una carta BANCOPOSTA, carte bancomat RAGIONE_SOCIALE, con l’aggravante di aver agito con destrezza; nonché, del reato p.e p. dagli artt. 81 cpv, 110 e 493 cod. pen., perché in esecuzione di un medesimo disegno criminoso in concorso tra loro ed al fine di trarne profitto, subito dopo essersi impossessati delle carte di credito e bancomat utilizzavano indebitamente le carte sottratte, pur non essendone titolari, effettuando diversi prelievi di contante presso diversi sportelli bancomat. A tutti veniva pure contestata la recidiva ex art. 99, commi 1, 2 nn. 1,2 e 3 e comma 4, cod. pen.
Il GUP presso il Tribunale di Vercelli, a seguito di giudizio abbreviato, dichiarava tutti e tre gli imputati responsabili dei reati loro ascritti, unificati sotto il v della continuazione ed esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 4 cod. pen. riteneva la recidiva contestata, ad esclusione per la Bottone della qualificazione infraquinquennale, riconosciute le circostanze atenuanti generiche equivalenti alla recidiva, li condannava aiia pena, già ridotta per il rito di anni un e mesi sei di reclusione ed euro 300 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
La Corte d’appello di Torino, giudicando sulle impugnazioni proposte dal difensore di COGNOME NOME e di COGNOME Stefano, nonché su quella di COGNOME NOME e del suo difensore, ha parzialmente riformato la sentenza dei GUP presso il Tribunale di Vicenza, dichiarando non doversi procedere nei confronti degli imputati per il reato di cui al capo C) perché il reato era estinto a seguito di remissione della querela, ha rideterminato la pena per i residui reati in mesi 10 e giorni 20 di reclusione e 280 euro di multa ed ha confermato nel resto la precedente statuizione.
La Corte territoriale ha, in via preliminare, rigettato i motivi relativi a affermata illegittimità dell’acquisizione del video che aveva costituito fonte di prova delle condotte di utilizzo delle carte bancomat oggetto di sottrazione, giacché la deduzione della mancanza di indicazione dei programma utilizzato per scaricare i file, né di q u&ii che avevano consentito di convertire i bit digitali, contenuti ne server, in file video, ovvero la mancata aliegazione della copia hash, da cui si evinca che i filmati allegati erano copia conforme rispetto a quanto estrapolato dal server, non comportava alcun vizio di inutilizzEibiiità del video stesso in quanto il
codice non aveva previsto la necessità di una simile procedura. Fermo restando che la difesa avrebbe potuto comunque procedere alla verifica per propria iniziativa. Lo stesso poteva dirsi per il programma relativo alla conversione dei bit digitali contenuti nel server in file video che è contenuto nell’interno della telecamera, per cui non può neanche ipotizzarsi una infedele riproduzione.
5. Per gli ulteriori aspetti, la sentenza ha condiviso la valutazione delle prove indiziarie adottata dal primo giudice, indicati nelle pagine 6 e 7 delia sentenza, nelle quali era stato chiarito che i due furti eseguiti con modalità identichesottrazione dei GLYPH portafogli custodito all’interno di GLYPH una GLYPH borsa GLYPH lasciata momentaneamente sul carrello della spesa mentre la proprietaria era intenta nella scelta dei prodotti da acquistare- erano inscindibilmente collegati ai prelievi effettuati con le carte di credito e di debito contenute nei due portafogli ( insieme ai codici necessari all’utilizzo), a pochi minuti di distanza dal furto ed in locali prossime a quelle in cui era avvenuto il primo reato. Situazione questa, notoriamente necessitata, al fine di riuscire ad effettuare il prelievo prima che la carta venga bloccata e !e forze dell’ordine si dispongano ad intervenire. Infatti, quanto all’utilizzo di cui al capo B) lo stesso era avvenuto alle ore 11,47 ed alle ore 11,49 del 9 giugno 2019, in luogo distante 8 minuti secondo quanto indicato da Google Alaps dal supermercato ove era avvenuto il furto, con blocco delle carte avvenuto alle 12,15. li loro furto era avvenuto tra le ore 11,00 e le 12,00.
6. Inoltre, la sentenza ha dato atto, alle pagine 12 e 13, della corrispondenza degli ulteriori indizi (autovettura scura che parcheggia all’interno del supermercato alle ore 11,29, ma la polizia aveva chiarito che l’orario era in avanti di 7 minuti, due donne che escono dall’autovettura e fanno ingresso nei supermercato dal quale usciranno senza aver fatto acquisti dopo pochi minuti; una delle quali veste ed ha le stesse caratteristiche fisiche di quella ripresa dalla telecamera del bancomat, riconoscimento effettuato dal personale di P.G. in quanto loro note nella città di Biella perché pluripregiudicate e sottoposte a misure di prevenzione personale; coincidenza della presenza di un tatuaggio sulla gamba destra dell’uomo ripreso dalla telecamera posta sullo sportello bancomat della BiverBanca di Roasio con il tatuaggio presente sulla gamba destra di NOME COGNOME che era stato fermato a bordo dell’autovettura Ford Focus il 17 luglio 2019, unitamente a NOME COGNOME ed a NOME COGNOME e conferma il giudizio di responsabilità penale. Nei medesimi termini, si esprime in relazione ai fatti contestati come accaduti il 30 giugno 2019, relativi ad altro furto denunciato ed al successivo utilizzo delle carte bancomat; anche in questo caso, le immagini relative ai prelievi effettuati dai tre avevano consentito di identificare le condotte ascritte agii imputati).
Anche il quadro sanzionatorio era stato correttamente determinato ed i relativi motivi d’appello ( riconoscimento della recidiva in presenza di plurime condanne
esplicitamente indicate) sono stati rigettati dalla Corte d’appello, così come la richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva, alla luce della pericolosità sociale degli imputati e le altre richieste di concessione dei doppi benefici di legge da parte di COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME
Il rigetto dei motivi relativi alla valutazione della sussistenza della recidiva, inolt e la conferma nel merito del giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza tra le circostanze attenuanti e la stessa recidiva, rendeva priva di rilievo la questione di legittimità costituzionale al fine di superare il divieto posto dall’art. 69 u.c. c pen. sollevata dalla difesa delia COGNOME.
Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione l’avvocato NOME COGNOME quale difensore di fiducia di COGNOME NOMECOGNOME sulla base di tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (art. 173 disp. att. cod. proc. pen.).
Con il primo motivo, si deduce la nullità della sentenza ed in particolare per l’erronea applicazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen..
La sentenza avrebbe valutato come gravi, precisi e concordant,, gli indizi a carico della COGNOME, senza tener conto che il GUP aveva riconosciuto che non vi fossero immagini che avevano ripreso i furti contestati all’interno dei supermercato ai danni della parte offesa ed aveva comunque concluso, a proposito dell’indebito utilizzo delle carte, che il reato sarebbe stato commesso anche se e carte non fossero state rubate direttamente dagli imputati.
Rispetto a tale contenuto della sentenza di primo grado, che ia difesa della COGNOME aveva esplicitamente impugnato, osservando che non è consentito condannare alcuno per un delitto se non quando vi è prova delle modalità commissive del reato contestato, considerando che erano state contestate condotte eterogenee e distinte, la Corte d’appello aveva ritenuto accertata la responsabilità della COGNOME rilevando che H brevissimo lasso di tempo intercorso tra il furto del portafogli ed i prelievi abusivi integrava l’indizio grave, precis concordante, in ordine al fatto che i prelievi abusivi fossero stati fatti dalle stess persone che avevano posto in essere il furto dei portafogli. Ma ciò non poteva eliminare il dato dell’assenza di prova circa l’individuazione dell’autore del furto e delle modalità in cui lo stesso fu effettuato. La Corte d’appello aveva eluso l’accertamento sul punto ed aveva invece individuato altro indizio là dove aveva affermato che uno dei soggetti femminili ritenuto autore del furto corrispondeva perfettamente, nell’abbigliamento e nell’acconciatura, ad uno di quelli che procedeva all’utilizzo del bancomat contenuto nel portafoglio della parte offesa. Dunque, la Corte d’appello aveva ritenuto la sussistenza della responsabilità penale, quanto al furto, sulla base dell’erroneo e non accertato presupposto che la COGNOME avesse commesso, in concorso con altri, la pregressa condotta sottrattiva
e tutto ciò inficerebbe il ragionamento deduttivo della Corte fondante la condanna in quanto non fondato su indizi, gravi, precisi e concordanti.
Neppure, posto che il giudizio era stato definito previa richiesta di rito abbreviato non condizionata, sarebbe stato possibile per il giudice modificare la contestazione qualificata come furto in altra condotta, come aveva ipotizzato il primo giudice parlando di eventuale rinvenimento occasionale del portafoglio o della sua ricettazione.
9.Con il secondo motivo di ricorso, si denuncia la violazione dell’art. 597, comma 1, cod, proc. pen. e vizio assoluto, mancanza di motivazione in ordine alla questione di legittimità costituzionale dedotta con l’atto di appello. Si deduce che il primo giudice non aveva effettuato il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis cod. pen. rispetto alla recidiva in ragione della formulazione dell’art. 69, comma quarto, cod. pen. e, per tale effetto impeditivo era stata sollevata la questione di costituzionalità del citato art. 159, quarto comma, cod. pen. per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. Dunque, ia Corte d’appello avrebbe dovuto, in applicazione del devoluto ai sensi dell’art. 597, comma 1, cod. proc. pen. prima pronunciarsi sulla questione di costituzionalità e poi trarne le conseguenze in ordine al giudizio di prevalenza richiesto. Viceversa, !a Corte d’appello aveva invertito il percorso motivazionale illegittimamente.
10. Il P.G. ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.11 primo motivo è manifestamente infondato.
Con !o stesso si deduce un vizio di logicità della motivazione con la quale la Corte territoriale è pervenuta a un giudizio di colpevolezza dell’imputata. Occorre pertanto ricordare che il sindacato in sede di legittimità sulla giustificazione della decisione impugnata, deve limitarsi – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della stessa, senza possibilità di riconsiderare gli elementi di fatto posti a fondamento della pronuncia, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata a giudice di merito’ e restando escluso che possa integrare un vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, 30 aprile 1997, n. 6402, COGNOME, Rv. 207944). 2. Il controllo è limitato nella fattispecie in esame dalla circostanza che le decisioni di merito costituiscono, rispetto a tali reati, una “doppia conforme” in quanto la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con a conseguenza che !e due pronunce possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo
decisionale (Sez. 2, n. 37295 dei 12/06/2019, Rv. 277218; Sei, 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595 – 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12;2011, dep. 2012, Rv. 252615 – 01).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha motivato con particolare precisione, alla pagina 7 della sentenza, che il concatenarsi degli eventi, ricostruiti mediante l’utilizzo dei video registrati dalle telecamere, dapprima del supermercato RAGIONE_SOCIALE in Gattinwa e poi da quelle dello sportello bancomat della RAGIONE_SOCIALE di Roasio, ha consentito di accertare con certezza che le due donne riprese all’interno del parcheggio del supermercato ove è avvenuto il furto del portafogli denunciato da Malpangotto NOME NOME erano le stesse che utilizzarono la carta bancomat rubata presso lo sportello bancario. Le stesse, chiaramente visibili in volto, sono state identificate in COGNOME NOME e COGNOME NOME dal maresciallo NOME COGNOME e dal vicebrigadiere NOME COGNOME, in servizio presso il N.O.R.M. di Biella per i loro trascorsi delinquenziali.
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha ritenuto in concreto irrilevante la questione di costituzionalità prospettata in relazione al disposto dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., in ragione del fatto che a causa della sussistenza della recidiva e della pericolosità sociale degli imputati, come dimostrato dal fatto che la COGNOME e la COGNOME erano soggette a misura di prevenzione personale, era del tutto da escludere la concreta possibilità di giungere ad un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, con conseguente superfluità, ovvero difetto di rilevanza, della questione che si palesava manifestamente infondata.
Tale radionamento, del tutto coerente con i complessivo quadro di gravità delle condotte perpetrate e con la negativa valutazione della pericolosità sociale degli imputati, non lede in alcun modo il principio della devoluzione in appello, giacché l’appello mirava ad ottenere il riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche,
Il punto devoluto, agli effetti del disposto dell’ad, 597, comma 1, cod. proc. pen., era dunque quello delle circostanze e della loro conseguente comparazione, considerando che per il divieto di reformatio in peius non poteva certo riformarsi negativamente la pronuncia di equivalenza. Poteva, però, certamente giungersi al rigetto del motivo d’appello e ciò anche per ragioni diverse da quelle che formarono oggetto della decisione di primo grado.
In tal senso, infatti, si è espressa !a giurisprudenza di questa Corte di legittimità, affermando i! principio che ai fini dell’individuazione dell’ambito di cognizione attribuito ai giudice di secondo grado da!l’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., per punto della decisione deve ritenersi quella statuizione della sentenza che può
essere considerata in modo autonomo, non anche le argomentazioni esposte in motivazione, che riguardano il momento logico e non già quello decisionale del procedimento, con la conseguenza che, per la parte di sentenza suscettibile di autonoma valutazione relativa ad una specifica questione decisa in primo grado, il giudice dell’impugnazione può pervenire allo stesso risultato sulla base di considerazioni e argomenti diversi o alla luce di dati di fatto non valutati in primo grado, senza con ciò violare il principio dell’effetto parzialmente devolutivo dell’impugnazione, in tal senso, da ultimo, Sez. 5, 07/04/2021 n. 29175 (dep. 26/07/2021) Rv. 281697 – 01.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2023.