Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3744 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3744 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME, nato a Viareggio il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Viareggio il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/10/2022 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, il quale, dopo la discussione, si è riportato ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 04/10/2022, la Corte d’appello di Firenze confermava la sentenza del 11/05/2018 del G.u.p. del Tribunale di Lucca, emessa in esito a giudizio abbreviato, di condanna di NOME COGNOME e di NOME COGNOME alle pene ritenute di giustizia per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di ricettazione concorso di una tessera bancomat proveniente dal delitto di furto ai danni di NOME COGNOME (capo A dell’imputazione) e di indebito utilizzo in concorso della stessa tessera bancomat mediante l’effettuazione di un pagamento di C 65,27
presso un distributore di carburanti RAGIONE_SOCIALE sito in Lucca, INDIRIZZO (capo B dell’imputazione).
Avverso l’indicata sentenza del 04/10/2022 della Corte d’appello di Firenze, hanno proposto ricorsi per cassazione, con un unico atto e per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME e NOME COGNOME, affidati a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riguardo all’affermazione della loro responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio, in quanto la Corte d’appello di Firenze avrebbe motivato in modo solo apparente in ordine all’affidabilità scientifica della perizia antropomorfica che era stata disposta dal G.u.p. del Tribunale di Lucca, nonché la violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
I ricorrenti lamentano anzitutto che la Corte d’appello di Firenze avrebbe omesso di motivare in ordine al motivo del proprio atto di appello relativo all’affidabilità scientifica e, quindi, al valore probatorio, della per antropomorfica che era stata svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME, perito che era stato nominato dal G.u.p. del Tribunale di Lucca, nonostante lo stesso perito avesse affermato come i risultati della suddetta perizia non avessero «la stessa valenza probatoria» di quelli di una perizia antropometrica (che non poté essere svolta per la scarsa qualità delle immagini riprese dalla videocamera installata presso il distributore di carburante RAGIONE_SOCIALE), sicché si dovevano ritenere privi di certezza scientifica.
La Corte d’appello di Firenze avrebbe così omesso di valutare il livello di gravità e di precisione del più grave degli indizi a carico degli imputati, il ch avrebbe richiesto di valutare il grado di consenso che l’accertamento antropomorfico raccoglie nella comunità scientifica e la sussistenza di una teoria sufficientemente affidabile in grado di fornire concrete, sufficienti e attendibil informazioni idonee a sorreggere l’argomentazione probatoria. E ciò nonostante: con riguardo all’imputato NOME COGNOME, lo stesso perito avesse affermato che sussisteva solo una «media compatibilità», non essendo stati evidenziati «contrassegni univoci tipizzanti»; con riguardo all’imputato NOME COGNOME, ancorché la perizia avesse evidenziato una serie di analogie nella regione facciale, non si fossero tuttavia adeguatamente considerati gli elementi di discordanza, in particolare, la mancanza, sulla parte sinistra del collo del soggetto ripreso dalla telecamera, di un’ombra corrispondente al tatuaggio che presentava, in tale zona del corpo, lo stesso NOME COGNOME e che era già presente all’epoca dei fatti in quanto era ben visibile dalle fotografie che erano state scattate dal perito. Le spiegazioni che erano state date dal perito in ordine a quest’ultimo elemento non sarebbero, poi, convincenti e sarebbero anzi foriere di ulteriori ragionevoli dubbi.
La mancata valutazione del livello di gravità e di precisione del più grave degli indizi a carico degli imputati – e, quindi, il mancato compimento del primo necessario passaggio della valutazione della prova indiziaria – sarebbe tale da viziare il successivo esame globale e unitario del quadro indiziario.
Con riguardo agli altri indizi, i ricorrenti rappresentano che essi si ridurrebbero alla sola intestazione a NOME COGNOME dell’autovettura Fiat Punto targata TARGA_VEICOLO che effettuò il rifornimento, atteso che l’altro indizio che è stato valorizzato dalla Corte d’appello di Firenze, quello che il telefono cellulare che era stato rubato a NOME COGNOME insieme con la tessera bancomat era stato utilizzato con delle schede SIM intestate a due soggetti che erano conosciuti dai due imputati (NOME COGNOME e NOME COGNOME), costituirebbe un indizio non a carico ma a discarico, con la conseguente violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, nonché l’apparenza della motivazione, con riguardo all’affermata configurabilità del concorso dei due imputati nei due reati a loro attribuiti.
I ricorrenti lamentano anzitutto che la Corte d’appello di Firenze avrebbe presunto che gli imputati avessero entrambi partecipato alla condotta di ricettazione della tessera bancomat sulla base dell’ulteriore presunzione che entrambi gli imputati avessero partecipato all’utilizzo indebito della stessa tessera, così utilizzando un ragionamento circolare.
I ricorrenti deducono poi che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello di Firenze, mancherebbe la prova del concorso morale, essendosi la stessa Corte d’appello limitata ad affermare, in modo del tutto anapodittico, che essi avrebbero operato «supportandosi moralmente a vicenda», menzionando, a sostegno di ciò, unicamente il dimostrato rapporto di frequentazione tra loro, nonché, ancora una volta, l’utilizzo, da parte di soggetti che essi conoscevano, del telefono cellulare che era stato rubato al COGNOME insieme con la tessera bancomat, là dove il dato rilevante sarebbe stato non già tale conoscenza ma l’utilizzazione del suddetto telefono cellulare da parte di soggetti diversi.
2.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, nonché l’apparenza della motivazione, con riguardo all’applicazione, a NOME COGNOME, della recidiva reiterata specifica e infraquinquennale e, a NOME COGNOME, della recidiva reiterata specifica.
I ricorrenti lamentano il carattere merannente apparente della motivazione al riguardo, in quanto la Corte d’appello di Firenze si sarebbe limitata a elencare i loro precedenti penali, senza effettuare una valutazione in concreto in ordine alla
gravità dei reati sub iudice, la quale veniva solo genericamente affermata, senza che la stessa Corte d’appello abbia in alcun modo argomentato come un pagamento di soli C 65,27 potesse essere considerato sintomatico di una maggiore pericolosità sociale e quindi tale da legittimare il considerevole aumento di pena per le attribuite ipotesi di recidiva.
2.4. Con il quarto motivo, i ricorrenti deducono di riservarsi di richiedere l’applicazione di una pena sostitutiva ai sensi dell’art. 95, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo non è fondato.
1.1. Costituisce un orientamento consolidato della Corte di cassazione quello secondo cui, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre cosiddetta “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (tra le tante: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, NOME, Rv. 25261501).
È, ancora, un principio pacificamente accolto dalla Corte di cassazione quello secondo cui, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre una diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendíbilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 28074701; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, COGNOME., Rv. 262965-01).
1.2. Rammentati tali principi, osserva anzitutto il Collegio che il principale indizio a carico degli imputati appare essere quello dell’intestazione a NOME COGNOME dell’automobile Fiat Punto targata TARGA_VEICOLO. Come risultava dalle immagini della telecamera di videosorveglianza installata presso il distributore RAGIONE_SOCIALE sito in Lucca, INDIRIZZO, furono infatti i due uomini che avevano parcheggiato la suddetta
automobile di fronte alla pompa di erogazione del carburante a trattenersi davanti alla postazione per il pagamento automatizzato dello stesso, a effettuare il rifornimento – pagandolo con la tessera bancomat di provenienza furtiva – e ad allontanarsi poi a bordo della Fiat Punto. Si tratta di un indizio di un evidente livello di gravità e di precisione.
Quanto all’indizio rappresentato dagli esiti della perizia antropomorfica che era stata svolta dal perito AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO su incarico del GRAGIONE_SOCIALEu.p. del Tribunale di Lucca, si deve rilevare che i giudici di merito si sono in realtà mostrati del tutto consapevoli dei limiti della metodologia costituita dall’analisi di tip antropomorfico che era stata effettuata dal suddetto perito. Il G.u.p. del Tribunale di Lucca ha in effetti dato atto di come lo stesso perito avesse precisato che la scarsa qualità delle immagini riprese dalla telecamera di videosorveglianza installata presso il distributore di carburante (nonostante l’impiego di un software per la loro ottimizzazione) «non consent una piena e completa definizione dei caratteri antropomorfici». Ciò non escludeva che il perito avesse ritenuto che la qualità delle stesse immagini «permette, tuttavia, di individuare alcune morfologie, che si ritengono utilizzabili per gli esami confronti». Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, i giudici di merito appaiono perciò pienamente consapevoli sia dei limiti della metodologia costituita dall’analisi di tipo antropomorfico sia, conseguentemente, del livello di gravità e di precisione dell’indizio costituito dagli esiti dell’analisi effettuata con la stessa metodologia Ciò posto, quanto alla valutazione di tali esiti, nella consapevolezza di cui si è detto, i giudici di merito hanno non illogicamente evidenziato come il perito, nel concludere nel senso di una «media compatibilità» per NOME COGNOME COGNOME quale, peraltro, come si è visto, era intestata l’automobile nella quale fu effettuato il rifornimento di carburante pagato con la tessera bancomat che era stata rubata al COGNOME – e di un’«alta compatibilità» per NOME COGNOME, avesse indicato numerose, specifiche e dettagliate caratteristiche morfologiche (le quali sono singolarmente indicate alla pag. 3 della sentenza di primo grado) che accomunavano i due imputati ai due uomini che erano stati ripresi dalla più volte menzionata telecamera. Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, i giudici di merito hanno anche valutato l’elemento di discordanza costituito, con riguardo a NOME COGNOME, dalla mancanza, sulla parte sinistra del collo del soggetto ripreso dalla telecamera, di un’ombra corrispondente al tatuaggio che presentava, in tale zona del corpo, lo stesso NOME COGNOME, sia richiamando le spiegazioni che erano state fornite in proposito dal perito in ordine alla particolare angolazione delle riprese e all’abbigliamento del soggetto ripreso, sia, comunque, evidenziando l’assenza di prove che NOME COGNOME avesse già il suddetto tatuaggio al momento dei fatti. A quest’ultimo proposito, diversamente da quanto asserito dai ricorrenti, il fatto che Corte di Cassazione – copia non ufficiale
il tatuaggio fosse presente nel momento in cui il perito scattò le fotografie di NOME COGNOME non comprova che esso esistesse già al momento dei fatti, atteso che le suddette fotografie furono scattate dal perito nel corso del processo e, quindi, evidentemente, dopo i fatti.
Quanto al terzo indizio costituito dal fatto che il telefono cellulare che era stato rubato a NOME COGNOME insieme con la tessera bancomat era stato utilizzato con delle schede SIM intestate a due soggetti che erano conosciuti dai due imputati, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, si deve ritenere che il menzionato collegamento di parte della refurtiva (il telefono cellulare) con due soggetti che erano certamente conosciuti dai due imputati, ben potesse essere considerato, in presenza degli due altri indizi di cui si è già detto, come un ulteriore indizio a carico dei due imputati, in quanto logicamente idoneo a indicare che costoro potessero avere ricevuto la tessera bancomat rubata o dai suddetti due soggetti da loro conosciuti o da uno stesso soggetto terzo, eventualmente autore del furto.
Del tutto logica appare, infine, l’evidenziazione, da parte di giudici di merito, della comprovata frequentazione tra i due cugini NOME COGNOME e NOME COGNOME, essendo stati gli stessi più volte controllati dai Carabinieri mentre si trovavano insieme.
Posto che, pertanto, i giudici di merito risultano avere adeguatamente accertato il livello di gravità e di precisione di ciascuno dei ricordati indi isolatamente considerati, il Collegio ritiene che la successiva valutazione globale e unitaria degli stessi indizi nel senso della convergenza di essi nella direzione dell’attribuzione ai due imputati dei due reati in contestazione sia priva di contraddizioni e di illogicità manifeste, sicché essa si sottrae a censure in questa sede di legittimità.
Il secondo motivo è inammissibile perché generico.
La Corte d’appello di Firenze ha motivato in ordine al contributo che era stato dato da entrambi gli imputati all’utilizzazione della tessera bancomat di provenienza furtiva, evidenziando come, dalle immagini della telecamera del sistema di videosorveglianza installata presso il distributore RAGIONE_SOCIALE, risultasse come entrambi costoro si fossero portati presso tale distributore con l’autovettura intestata a NOME COGNOME, si fossero trattenuti davanti alla postazione per il pagamento automatizzato del carburante, avessero effettuato il rifornimento e fossero, sempre insieme, ripartiti a bordo dell’autovettura. Da tale comune utilizzo della tessera bancomat, la Corte d’appello di Firenze aveva poi logicamente desunto che la stessa fosse stata ricevuta da entrambi gli imputati.
Tale motivazione risulta priva di contraddizioni e di illogicità manifeste e, a fronte di ciò, il motivo di ricorso appare generico, atteso che i ricorrenti, nel
contestarla, hanno del tutto omesso di specificare quale sarebbe stato il ruolo di ciascuno di essi nell’effettuazione del rifornimento di carburante e, quindi, anche nel ricevimento della tessera bancomat di provenienza furtiva che era stata utilizzata per il relativo pagamento, come risulta palese anche dal fatto che, nell’esposizione del motivo, i nomi dei due imputati non vengono neppure menzionati, lasciandosi, così, le loro posizioni inammissibilmente del tutto indistinte.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Quanto all’applicazione della recidiva, la Corte di cassazione ha affermato il principio che è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274782-01). In motivazione, la Corte ha chiarito che tale dovere risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato.
In senso sostanzialmente analogo, è stato affermato che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, Gordyusheva, Rv. 26346401).
Più diffusamente, la stessa Corte di cassazione ha precisato che, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Del Chicca, Rv. 270419-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Firenze ha applicato la recidiva (reiterata, specifica e infraquinquennale a NOME COGNOME e reiterata specifica a NOME COGNOME) ritenendo che i reati sub iudice di ricettazione di una tessera bancomat e di indebito utilizzo della stessa, tenuto conto della gravità di essi – dovendosi tenere conto, diversamente da quanto mostrano di ritenere i ricorrenti, anche di quello di ricettazione -, se posti in relazione con le plurime precedenti condanne
riportate dai due imputati, in particolare, per reati contro il patrimonio (estorsione e truffe per NOME COGNOME e furto, tentato furto, tentata estorsione e ricettazione per NOME COGNOME), fossero sintomatici di una più accentuata colpevolezza, di un’accresciuta pericolosità sociale, comprovata dalla reiterazione di fatti illeciti, in particolare, di delitti contro il patrimonio, e dell’indifferenza dei due imputat rispetto alle ripetute condanne da essi precedentemente riportate.
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un discrezionale giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.
Il quarto motivo è inammissibile.
Si deve infatti ribadire il principio, recentemente affermato dalla Corte di cassazione e condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di pene sostitutive delle pene detentive brevi, ai fini dell’operatività della disciplina transitoria di cui all’a 95, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2022, in riferimento all’art. 20-bis cod. pen., la pronuncia della sentenza di appello determina la pendenza del procedimento innanzi alla Corte di cassazione, con la conseguenza che, per i processi in corso in tale fase alla data di entrata in vigore della riforma cosiddetta Cartabia (30 dicembre 2022), una volta formatosi il giudicato, il condannato potrà avanzare istanza di sostituzione della pena detentiva al giudice dell’esecuzione (Sez. 6, n. 34091 del 21/06/2023, COGNOME, Rv. 285154-01).
Pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 19/12/2023.