Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23659 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23659 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il 08/03/1993
avverso la sentenza del 11/02/2025 della CORTE APPELLO di GENOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.E’ impugnata la sentenza della Corte di appello di Genova, che ha confermato la decisione del primo giudice, che, nel giudizio abbreviato, ha dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di tentato furto in appartamento, a lui ascritto in concorso con NOME COGNOME per il quale si è proceduto separatamente.
Ricorre per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME che denuncia vizi della motivazione in relazione alla dichiarazione di responsabilità.
Deduce, in sintesi, il ricorrente, che la Corte di appello sarebbe pervenuta all’affermazione di responsabilità pur in assenza di riconoscimento personale da
parte dei testimoni, i quali, infatti, avevano riferito che l’imputato aveva il volto coperto da una mascherina, in effetti, fornendo una descrizione vaga, generica, senza alcun segno distintivo che ne consentisse l’individuazione. In realtà la condanna si è fondata su un unico elemento, costituito dalla circostanza che le utenze telefoniche dei due complici visti in azione siano state in contatto tra loro, ciò che non consente, tuttavia – nell’ ottica difensiva – di ritenere rispettato il canone di giudizio di cui all’art. 192 cod. proc. pen., in tema di valutazione indiziaria. La Corte di appello ha, dunque, omesso di fornire il dovuto scrutinio in tema di responsabilità concorsuale, avendo mancato di argomentare in merito al contributo causale offerto dal ricorrente e, sotto il profilo psicologico, circa la volontà di concorrere con altri nella realizzazione del comune delitto, elementi di cui manca la prova, come, d’altro parte, ritenuto dallo stesso Procuratore generale, che ha concluso, in appello, per la assoluzione ai sensi dell’art. 530 cpv. cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
1.In primo luogo, deve darsi atto che il ricorso omette il dovuto confronto con la ratio decidendi, che non trova la fonte dell’affermazione di responsabilità nel riconoscimento da parte della vittima – che nel caso di specie è effettivamente mancato -quanto nella convergenza dei risultati delle investigazioni, concentratesi sull’esame incrociato dei tabulati telefonici dei dispositivi risultati in uso agli imputati e dei movimenti dell’autovettura Mercedes, con targa francese, in uso al ricorrente, sinergicamente valutati anche alla luce delle dichiarazioni della p.o. e del teste Malagamba.
Di tali elementi, la Corte di appello ha fatto congrua e logica valutazione sottraendosi la sentenza impugnata alle censure difensive, peraltro, non esenti da genericità nel segnalare la illogicità della motivazione.
2.1. Invero, dall’esame dei dati investigativi, è emerso – come si legge nella sentenza di primo grado – che COGNOME e COGNOME si trovavano entrambi a Pontedera la sera prima dei fatti e che la mattina successiva erano giunti insieme a Genova a bordo della autovettura del ricorrente; alle 9.56 entrambi si trovavano in prossimità del luogo del delitto, separandosi subito dopo il tentativo di furto, in quanto inseguiti dal Malagamba, condomino della p.o. allertato dalle urla della vittima.
2.2. Da tali elementi, congruamente esaminati sia singolarmente che attraverso una valutazione sinergica complessiva, i giudici di merito hanno tratto il ragionevole convincimento – per la convergenza individualizzante delle fonti di prova – che i due abbiano agito in concorso, e che, una volta separatisi, mentre
COGNOME veniva fermato e arrestato in flagranza, il ricorrente, sfuggito alla cattura, aveva tentato, invano, di contattare il complice. I due, quindi, erano insieme anche durante il concordato tentativo di furto.
2.3. La Corte di appello – contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente – ha fatto corretta applicazione delle coordinate interpretative all’interno delle quali il giudice di merito deve procedere alla valutazione della prova indiziaria, la quale, come chiarito da Sez. U, n. 42979 del 26 giugno 2014, COGNOME, Rv. 2600178, «si articola in due distinti momenti. Il primo è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente nella sua valenza qualitativa, tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza. Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità, posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, confluendo in un medesimo contesto dimostrativo, sicché l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria, e l’insieme può assumere il pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica del fatto». In altri termini, l’esame globale e unitario del compendio indiziario deve essere preceduto dallo scrutinio, secondo i rigorosi criteri legali dettati dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., dei vari indizi «singolarmente, verificandone la valenza qualitativa individuale e il grado di inferenza derivante dalla loro gravità e precisione» (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231678). Nella seconda fase, l’insieme del compendio indiziario deve essere esaminato «in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo, univoco e pregnante contesto dimostrativo» (Sez. U, n. 33748 del 2005, COGNOME, cit.); infatti, è solo l’esame di tale compendio entro il quale ogni elemento è contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, COGNOME, Rv. 239789), posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, così che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere provato il fatto (Sez. U, n. 6682 del 1992, COGNOME, cit.).
Come si è ricostruito, la Corte di appello si è misurata correttamente con tali coordinate ermeneutiche, sottraendosi alle censure difensive.
Non colgono nel segno le, generiche, doglianze incentrate sulla mancata dimostrazione del contributo concorsuale del ricorrente, dal momento che, invece, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui, ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato (art. 110 cod. pen.), il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti. ( Sez. 5, n. 21082 del 13/04/2004 , Rv. 229200; conf. Sez. 4, n. 4383 del 10/12/2013, Rv. 258185; Sez. 6, n. 1986 del 06/12/2016 Rv. 268972; Sez. 4 – , n. 52791 del 08/11/2018 Rv. 274521). Contributo rafforzativo che non può non apprezzarsi nel caso di specie, anche sotto il profilo soggettivo, poiché il ricorrente ha dimostrato, con la sua condotta, di essere pienamente consapevole dell’azione furtiva tentata, recandosi unitamente al complice presso l’abitazione della vittima e inserendo una sottile scheda tra la porta e il montante, per accedere all’interno.
Al rigetto del ricorso segue, ex lege , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 29 maggio 2025