Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1785 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1785 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato a Roma il 17/10/1979
avverso la sentenza del 18/03/2024 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; GLYPH
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore onerale NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile in quanto proposto per un motivo manifestamente infondato;
udito l’Avv. COGNOME in difesa della parte civile COGNOME NOMECOGNOME il quale si è associato alle conclusioni del Pubblico Ministero e ha depositato conclusioni scritte e nota spese, delle quali ha chiesto la liquidazione;
udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME NOMECOGNOME il quale, dopo la discussione, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18/03/2024, la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del 30/10/2015 del Tribunale di Roma con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione ed C 2.000,00 di multa per i reati, unificati dal vincolo della continuazione e commessi ai danni di
NOME COGNOME, di truffa pluriaggravata (ex art. 61, n. 7 e n. 11 cod. pen.) e falsità in titoli di credito di cui ai capi A) e B) dell’imputazione, e per il reat sottrazione di corrispondenza di cui al capo C) dell’imputazione, «limitatamente alla somma di € 261.839,00».
Avverso la menzionata sentenza del 18/03/2024 della Corte d’appello di Roma, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME affidato a un unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., la «carenza» o la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo all’affermazione della sua responsabilità, nonché la violazione «del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, in riferimento all’art. 533 c.p.p. comma».
Lo COGNOME contesta anzitutto la credibilità di alcuni testimoni, per la ragione che essi avrebbero avuto «legami diretti con la persona offesa o inimicizia nei confronti dell’imputato».
In particolare, il testimone COGNOME nipote della persona offesa NOME COGNOME, avrebbe avuto dei motivi di inimicizia nei confronti dello COGNOME, comprovati dal fatto che il COGNOME aveva presentato una denuncia-querela contro lo stesso COGNOME per molestia e per fatti non inerenti al presente processo.
Il testimone COGNOME e il testimone COGNOME sarebbero stati poi smentiti dalla stessa persona offesa NOME COGNOME nell’ambito di un altro processo che vedeva imputato sempre NOME COGNOME e persona offesa sempre il COGNOME.
NOME COGNOME lamenta poi diffusamente la mancanza di qualsiasi accertamento peritale grafologico sulla riconducibilità (o no) alla propria mano delle sottoscrizioni a nome di NOME COGNOME che erano state apposte sui numerosi documenti ai quali fanno riferimento i capi d’imputazione.
Il ricorrente rappresenta che agli atti del procedimento erano stati acquisiti diversi accertamenti tecnici grafologici sull’autenticità (o no) delle suddette sottoscrizioni: 1) le consulenze del dott. COGNOME e del dott. COGNOME consulenti tecnici della parte civile, i quali avevano concluso nel senso del carattere apocrifo delle sottoscrizioni; 2) la consulenza di ufficio della dott.ssa NOME COGNOME incaricata dal giudice nel parallelo giudizio civile che era stato intentato dal COGNOME contro Unipol Banca s.p.a., con la chiamata in causa di NOME COGNOME la quale aveva concluso nel senso dell’autenticità delle sottoscrizioni; 3) la perizia della dott.ssa NOME COGNOME la quale, incaricata dalla Corte d’appello di Roma a seguito della disposta rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, esaminate anche le conclusioni del consulente tecnico del menzionato giudizio civile, aveva concluso nel senso del carattere apocrifo delle sottoscrizioni; 4) la consulenza della
dott.ssa NOME COGNOME consulente tecnico dell’imputato, la quale aveva concluso nel senso dell’autenticità delle sottoscrizioni.
Ciò rappresentato, il ricorrente lamenta che nessuna di tali consulenze tecniche e, in particolare, quella che era stata disposta dalla Corte d’appello di Roma, aveva accertato, attesa l’assenza di un quesito in tal senso – che sarebbe stato invece necessario formulare – che le sottoscrizioni apocrife a nome di NOME COGNOME erano state apposte dall’imputato NOME COGNOME.
Lo COGNOME deduce quindi che, in assenza di un tale indispensabile accertamento dell’attribuibilità delle firme alla propria mano, l’affermazione della sua responsabilità penale sulla base del solo fatto che le firme non sarebbero state apposte dalla persona offesa sarebbe manifestamente illogica e violerebbe il principio secondo cui, per pronunciare sentenza di condanna, l’imputato deve risultare colpevole – e, quindi, anche autore – del reato che gli è contestato al di là di ogni ragionevole dubbio.
Lo COGNOME lamenta ancora che il ragionamento della Corte d’appello di Roma evidenzierebbe «una lettura illogica e parziale del compendio probatorio/indiziario», e valuterebbe a suo carico, «con argomentazioni che si rivelano solo ipotetiche e congetturali (addirittura fugacemente e senza argomentazioni paventando una eventuale presenza di un concorrente dell’imputato nella commissione del reato senza fornire alcuna motivazione sulla prova alla base di questo assunto, mai emerso o paventato o sollevato nel corso dei gradi di giudizio!), elementi indiziari e probatori qualificati da scarsa capacità dimostrativa».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’unico motivo è manifestamente infondato.
Anzitutto, quanto alla prova delle falsità delle sottoscrizioni a nome della persona offesa NOME COGNOME apposte sui numerosi documenti ai quali si fa riferimento nei capi d’imputazione, si deve osservare che è senz’altro compito del giudice di merito quello di individuare l’accertamento tecnico che ritiene attendibile, disattendendone altri, purché assolva all’onere di motivare le ragioni del proprio convincimento (anche mediante l’integrazione della prospettiva tecnico-scientifica, proveniente dall’indagine più propriamente grafologica, con quella logico-indiziaria, relativa al contesto circostanziale di ipotetica redazione dell’atto: Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, Rv. 269907-01).
La Corte d’appello di Roma ha adeguatamente assolto tale onere, avendo analizzato in modo puntuale tutti i rilievi che erano stati avanzati dal consulente tecnico dell’imputato dott.ssa NOME COGNOME nei confronti della perizia della dott.ssa NOME COGNOME che era stata incaricata dalla stessa Corte d’appello e che aveva
concluso nel senso – motivatamente condiviso, all’esito dell’indicata analisi, dalla Corte d’appello – del carattere apocrifo delle sottoscrizioni. In ordine a tale motivazione, peraltro, il ricorrente non ha avanzato censure di sorta.
In secondo luogo, il Collegio ritiene che la Corte d’appello di Roma abbia motivato in modo del tutto logico anche in ordine alla riconducibilità delle sottoscrizioni apocrife all’imputato (ancorché non necessariamente alla sua mano), alla stregua della considerazione, appunto, del tutto logica, che, poiché dall’istruttoria dibattimentale era risultato ampiamente dimostrato che era lo COGNOME a occuparsi da solo e in prima persona di gestire tutta l’attività e le finanze dell’impresa del COGNOME, la falsificazione non poteva che essere logicamente ricondotta, al di là di ogni ragionevole dubbio, allo stesso COGNOME
Si deve pertanto ritenere senz’altro adeguato che la Corte d’appello di Roma abbia ritenuto sufficiente, ai fini dell’affermazione di responsabilità dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, la chiara riconducibilità logica allo stesso imputato, per le ragioni che si sono dette, delle firme apocrife, a prescindere dall’accertamento che le stesse firme fossero da attribuire alla sua mano, ben potendo, del resto, lo COGNOME, avere fatto apporre le firme da un’altra persona, come pure non illogicamente ritenuto dalla Corte d’appello di Roma, con la conseguente evidente non decisività dell’invocato ulteriore accertamento.
Quanto alla contestazione della credibilità dei testimoni COGNOME e COGNOME, si deve rammentare che non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione della prova testimoniale operata dal giudice di merito, al quale spetta il giudizio sulla rilevanza e sull’attendibilità di tale fonte di prova (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 25036201).
A fronte di tale principio, si deve rilevare come, da un lato, l’asserita inimicizia del testimone COGNOME nei confronti dello COGNOME sia stata dedotta in modo aspecifico, in assenza di puntuali indicazioni circa la denuncia-querela che sarebbe stata asseritamente sporta dal COGNOME contro lo COGNOME e come, dall’altro lato, la Corte d’appello di Roma abbia motivatamente escluso che lo stesso testimone COGNOME e il testimone COGNOME (che aveva svolto il lavoro di portalettere), diversamente da quanto sostenuto dall’imputato, si potessero ritenere essere stati smentiti, avendo il testimone COGNOME ribadito che lo COGNOME era l’unico impiegato in ufficio dell’impresa del COGNOME, presente stabilmente presso lo stesso ufficio e solito ricevere la posta, e il testimone COGNOME dichiarato che era essenzialmente l’imputato a ricevere la posta (tanto che egli credeva che l’uomo presente in aula come imputato si chiamasse COGNOME).
Si deve comunque osservare che il ricorrente ha contestato in modo del tutto generico gli ulteriori elementi che sono stati posti dalla Corte d’appello di Roma a corredo degli esiti della perizia grafologica onde pervenire all’affermazione di responsabilità dell’imputato, senza misurarsi minimamente con gli stessi elementi, in particolare, con le dichiarazioni testimoniali: delle figlie del COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, confermative di quelle del padre; del testimone COGNOME, direttore della filiale Unipol Banca s.p.a. di Tor Bella Monaca, il quale aveva confermato che l’effettivo gestore del conto corrente del COGNOME era lo COGNOME in virtù di una specifica delega; della testimone COGNOME, operatrice del gestore telefonico “3”, la quale aveva riferito di avere avuto contatti telefonici esclusivamente con lo COGNOME; del testimone COGNOME dimostrative di come lo COGNOME avesse libero accesso alle finanze dell’impresa del COGNOME e le gestisse in modo autonomo. Né il ricorrente si è misurato, oltre che col contenuto di tali dichiarazioni testimoniali, con l’ulteriore elemento costituito dalle acquisite missive di alcuni clienti dell’impresa del COGNOME nelle quali costoro sottolineavano i rapporti avuto con l’imputato, il quale risultava essere abilitato a ricevere somme in contanti per conto del COGNOME.
La Corte d’appello di Napoli si è anche confrontata con la tesi dell’imputato secondo cui il COGNOME avrebbe dilapidato le risorse finanziarie della propria impresa effettuando delle spese personali eccessive, che avrebbe cercato di occultare alle figlie anche firmando degli assegni allo COGNOME – per ottenere poi denaro contante da utilizzare, appunto, per spese personali -, nonché incaricando lo COGNOME di redigere degli estratti conto falsi, osservando, con un ragionamento che non appare né contraddittorio né illogico, come tale tesi, da un lato, non si conciliasse con l’accertata falsità delle sottoscrizioni del COGNOME e, dall’altro lato, implicherebbe che lo COGNOME si sarebbe prestato a una tale fraudolenta operazione senza neppure premunirsi di alcuna prova che potesse scagionarlo da eventuali coinvolgimenti in eventi dannosi o anche illeciti, il che si doveva ritenere logicamente inverosimile.
In conclusione, la Corte d’appello di Roma risulta avere adeguatamente esaminato e valutato tutti gli acquisiti elementi indiziari e la motivazione con la quale la stessa Corte è pervenuta a ritenerli, nel loro complesso, dopo avere logicamente escluso la plausibilità dell’ipotesi alternativa che era stata prospettata dall’imputato, idonei a fondare un giudizio di responsabilità dello stesso al di là di ogni ragionevole dubbio si deve ritenere coerente, non contraddittoria né illogica e, quindi, non censurabile in questa sede neppure con riferimento al principio di cui al comma 1 dell’art. 533 cod. proc. pen.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Il ricorrente deve essere inoltre condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME che si liquidano in complessivi C 3.000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME che liquida in complessivi euro tremila, oltre accessori di legge.
Così deciso il 05/12/2024.