Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28517 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28517 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 16/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BIELLA il 14/01/1990
avverso la sentenza del 02/12/2024 della Corte d’appello di Torino
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Biella del 16.04.2024, che condannava COGNOME NOME alla pena ritenuta di giustizia, per il reato di furto in abitazione aggravato in concorso, di un orologio in acciaio, di un anello intrecciato d’oro, di un paio di orecchini in oro giallo, di una meda glia d’ro AVIS, di una spilla di vetro Murrina, di un orologio da taschino dorato, di un portamonete in pelle contenente monete antiche, di proprietà di NOME COGNOME.
2. Contro l’anzidetta sentenza l’ imputato, propone ricorso, affidato ad un unico motivo, che lamenta vizio di manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla affermazione di penale responsabilità per il reato contestato, in punto di valutazione , ai sensi dell’art.192 cod. proc. pen., del compendio indiziario. Si deduce che gli indizi non fornirebbero evidenza oltre ogni ragionevole dubbio in merito al suo coinvolgimento nell’episodio . La Corte d ‘ appello non avrebbe fatto corretta applicazione del dettato della norma richiamata nonché delle regole ermeneutiche, in particolare del modus procedendi, indicato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, della c.d. valutazione bifasica del compendio indiziario. Si deduce che dal primo elemento indiziario non contestato, (l’utilizzo dell’auto di proprietà della convivente dell’imputato, COGNOME, dagli autori del furto), la Corte d’appello inferisce la individuazione del COGNOME quale responsabile del fatto-reato, sulla base di ulteriori elementi indiziari, non dotati di gravità e precisione , quali il tracciamento dell’utenza del ricorrente, negli orari immediatamente successivi al furto; la denuncia sporta dalla COGNOME subito dopo il furto e risultata falsa; i plurimi contatti telefonici tra COGNOME e COGNOME, subito dopo il furto e prima della denuncia. Si deduce che la circostanza della convivenza dell’imputato c on la COGNOME, anche tenuto conto dei dati indiziari, tra cui le dichiarazioni del vicino di casa della persona offesa (che nota la presenza sul posto di due uomini, poi allontanatisi sull’auto intestata alla donna ), da cui desumere che almeno uno dei due correi fosse legato da rapporti con la medesima, sarebbe una mera ipotesi investigativa, in quanto il mezzo poteva essere stato concesso in uso ad altri soggetti (altri familiari o amici).
Quanto all’utilizzo , da parte del ricorrente, del telefono cellulare, intestato alla Laino, si deduce che si tratterebbe di due occasioni soltanto e, peraltro, risalenti (verbale di elezione di domicilio del 28.01.2013, denuncia di smarrimento del 16.04.2012), in cui l’imputato avrebbe fornito l’utenza come numero cui era rintracciabile, e, che, dunque, si tratterebbe di congetture, mentre la Corte d’appello avrebbe ritenuto le ipotesi alternative astrattamente possibili ma prive di concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana . Quanto all’utilizzo dell’utenza dell’imputato negli orari immediatamente successivi al furto, l’indizio (utilizzo in località prossima al furto, seguendo un percorso compatibile) sarebbe impreciso e destituito di gravità, in quanto fondato su deduzione logica possibile, ma incerta, da collegare al volontario spegnimento del telefono per il riscontrato uso (teste COGNOME) del walkietalkie da parte dell’uomo seduto all’interno della Lancia Y, e che non c onsente di collocare con certezza l’utenza telefonica nel contesto spaziotemporale del perpetrato furto ma in località prossime in un arco orario compatibile con quello dell’allontanarsi dell’auto dalla via in cui è avvenuto il fatto .
Quanto al dato indiziario della denuncia sporta dalla Laino subito dopo il furto, risultata menzognera, che la difesa, nel motivo di appello, deduceva non grave, pur condividendo la considerazione logica del Tribunale, che dalla falsa denuncia inferiva, secondo logica conseguenzialità, l’intento di voler aiutare l’autore del furto ed eludere le investigazioni, non si potrebbe trarre la ulteriore considerazione conclusiva che la denuncia era volta a favorire il ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1 Va, in primo luogo, rilevato che al giudice di legittimità è preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è – e resta – giudice della motivazione. Secondo le Sezioni Unite “l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore -a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali; l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. Un., sentenza n. 24 del 24.11.1999, Rv 214794). Deve, pure, essere rimarcato che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello, trattandosi di c.d. doppia conforme, si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando il giudice del
gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordi nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, sentenza n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595). Nel giudizio di appello è, pertanto, consentita la motivazione “per relationem” alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate dall’appellante non contengano – come nel caso di specie elementi di novità rispetto a quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Sez. 2, sentenza n. 30838 del 19/03/2013, Rv. 257056).
Il motivo di ricorso, che si caratterizza per un approccio atomistico e parcellizzato, ripercorre censure, sconfessate dalla Corte d’appello che , con motivazione congrua e non manifestamente illogica, ha spiegato i passaggi temporali che hanno consentito di ricostruire la prova a carico del ricorrente.
2.1 Va, innanzitutto, osservato che le censure proposte appaiono dirette, non già a scardinare la tenuta logica della motivazione, bensì ad attaccare i dettagli della complessa ed articolata sentenza impugnata, la cui coerenza logico-giuridica, al contrario, non risulta affatto scalfita.
La mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono, peraltro, conseguire a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché il giudice di merito abbia spiegato le origini del maturato convincimento in modo logico ed adeguato e senza incorrere in vizi giuridici» (cfr. ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 39846/2023).
2.2 In ordine alla valutazione degli indizi, va premesso che per indizio s’intende «un fatto certo dal quale, per inferenza logica basata su regole di esperienza consolidate e affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare, secondo lo schema del cd. sillogismo giudiziario» (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, PM, p.c., COGNOME e altri, Rv. 191230). L’indizio è un elemento conoscitivo che, senza poter rappresentare in via diretta il fatto da provare, è dotato di un’autonoma capacità rappresentativa, riguardante una o più circostanze diverse, ma collegate sul piano logico con quella da dimostrare. Se dall’indizio è deducibile un’unica conseguenza, esso costituisce una prova logica compiuta ed in sé sufficiente (Sez. 4, n. 19730 del 19/03/2009, COGNOME, Rv. 243508), nel senso che presenta una correlazione obbligata tra fatto ignoto e quello noto, al quale, sulla base delle leggi scientifiche, il primo è legato in modo certo ed inevitabile. Solitamente esso è però significativo di una pluralità di fatti non noti, presentando
un livello di gravità e precisione in relazione di proporzione diretta con la forza di necessità logica con la quale l’indizio porta verso il fatto da dimostrare e di proporzione inversa con la molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di comune esperienza. Tale relativa ambiguità ed inefficienza probatoria diretta dà conto della ragione per la quale il sistema processuale impone un particolare rigore valutativo degli indizi, secondo la regola dettata dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. di cui pretende gravità, precisione e concordanza. La riflessione esegetica condotta dalla giurisprudenza di legittimità è ormai pervenuta ad esiti consolidati nel ravvisare la corretta applicazione del parametro legale di apprezzamento della prova indiziaria in quanto il fatto assumibile come indizio deve presentare carattere di certezza, intesa, non in senso assoluto e naturalistico, ma quale portato della verifica processualmente conducibile alla stregua delle fonti di prova acquisite (Sez. 4, n. 2967 del 25/01/1993, COGNOME, Rv. 193407; Sez. 4, n. 39882 del 01/10/2008, COGNOME e altro, Rv. 242123; Sez. 1, sentenza n. 31456 del 21/05/2008, COGNOME, Rv. 240762-240766). E’, dunque, necessario che la prova critica non sia affidata ad un fatto verosimilmente accaduto, supposto o intuito sulla scorta di opinabili congetture o di elaborazioni personali del decidente, dovendo ricevere riscontro nelle evidenze probatorie del processo. Per gravità s’intende poi l’intrinseca capacità dimostrativa rispetto al thema probandum, ossia la probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto, mentre precisione significa specificità, univocità ed impossibilità di diversa interpretazione, altrettanto o più verosimile e concordanza, requisito proprio della pluralità di indizi, indica convergenza, concordanza e non contraddittorietà di significato in modo tale che, grazie al reciproco collegamento ed alla simultanea direzione verso lo stesso risultato, il loro insieme assume l’efficacia dimostrativa della prova (Sez. 1, n. 7027 del 08/03/2000, COGNOME, Rv. 216181; Sez. 4, n. 22391 del 02/04/2003, Qehalliu Luan, Rv. 224962; Sez. 6, n. 3882 del 04/11/2011, COGNOME, Rv. 251527; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, P.G., P.C. in proc. Stasi, Rv. 258321; sez. 1, n. 37348 del 06/05/2014, P.G. in proc. COGNOME e altro, Rv. 260278). La lezione interpretativa costante di questa Corte ha precisato come l’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. imponga anche un vincolo di metodo operativo per il corretto utilizzo della prova indiziaria, nel senso che, poiché l’indizio in sé considerato può essere indicativo di una pluralità di fatti non noti, incluso quello da dimostrare, il relativo apprezzamento postula una preventiva valutazione per individuarne «la valenza qualitativa individuale e il grado di inferenza derivante dalla loro gravità e precisione» (Sez. U, n. 33748 del 12 7.2005, COGNOME, Rv. 231678) sulla base di affidabili regole di esperienza e di criteri logici e scientifici. S’impone quindi la verifica successiva, consistente nella considerazione unitaria e complessiva degli elementi acquisiti, che ne evidenzi «i collegamenti e la
confluenza in un medesimo, univoco e pregnante contesto dimostrativo» e chiarisca eventuali profili di ambiguità, presentati da ciascuno di essi in sé considerato, in modo da consentire l’attribuzione del fatto illecito all’imputato al di !à di ogni ragionevole dubbio anche in assenza di una prova diretta di reità, non essendo sufficiente, dal punto di vista metodologico, proporne una lettura in termini di mera sommatoria, né, all’opposto, un’analisi atomistica che prescinda dal loro raffronto e dalla considerazione unitaria (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231678; Rv. 248384; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, P.G., P.C. in proc. Stasi, Rv. 258321; Sez. 2, n. 42482 del 19/09/2013, COGNOME, Rv. 256967). Nell’impiego della prova indiziaria è, dunque, richiesta al giudice la conduzione di un ragionamento probatorio che, attraverso l’utilizzo di regole di esperienza – tratte dalla osservazione ripetuta del normale svolgimento delle vicende naturali e di quelle umane, in presenza di determinate condizioni, e dalla logica, che orienta i percorsi mentali della razionalità umana, oppure di leggi scientifiche di valenza universale o di ricorrenza statistica – deve procedere, fornendone adeguata giustificazione, alla verifica, dapprima della validità delle regole o delle leggi utilizzate, quindi della correttezza e consequenzialità logica del risultato ottenuto. Solo così è possibile proporre una ricostruzione del fatto di reato «in termini di certezza tali da escludere la prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione, ma non anche di escludere la più astratta e remota delle possibilità che, in contrasto con ogni e qualsivoglia verosimiglianza ed in conseguenza di un ipotetico, inusitato, combinarsi di imprevisti e imprevedibili fattori, la realtà delle cose sia stata diversa da quella ricostruita in base agli indizi disponibili» (Sez. 1, n. 3424 del 02/03/1992, COGNOME, Rv. 189682). Tale operazione deve essere guidata dalla regola, ora positivizzata dall’art. 533 cod. proc. pen., comma 1, che impone di pronunciare sentenza di condanna solo se la colpevolezza dell’imputato emerga al di là di ogni ragionevole dubbio, criterio generale per il riscontro della consistenza logica e della valenza dimostrativa del discorso probatorio esposto nella sentenza impugnata. Come già affermato da questa Corte, tale canone orientativo, pur non autorizzando il recepimento di spiegazioni alternative del medesimo fatto, segnalate dalla difesa (Sez. 1 n. 53512 dell’11/07/2014, COGNOME, Rv. 261600; Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, COGNOME ed altri, Rv. 259204; Sez. 5 n. 10411 del 28/01/2013, COGNOME, Rv. 254579), impone che la pluralità di possibili ricostruzioni della vicenda abbia costituito oggetto di puntuale e attenta disamina da parte del giudice d’appello e che l’esistenza di una ragionevole perplessità sulla ipotesi alternativa, riguardante tanto la causale, quanto gli autori dell’azione criminosa, sia stata esclusa all’esito di un percorso delibativo, condotto mediante un serrato confronto dialettico con le emergenze processuali. Per convalidare, sul piano logico, il giudizio di colpevolezza, è dunque
necessario che i dati probatori acquisiti siano tali da lasciare fuori solo eventualità remote, la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta sia priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali, addirittura ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalità umana, secondo l’orientamento espresso da Sez. 1 n. 31456 del 21/05/2008, COGNOME, Rv. 240763; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, RG., RC. in proc. COGNOME, Rv. 258321; Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, Pg in proc. Segura, Rv. 262280). Del pari, in un processo basato su prova indiziaria, il verdetto assolutorio può raggiungersi per il disconoscimento della caratteristica di indizi nel senso imposto dall’art. 192 cod. proc. pen., dei dati probatori, siccome dotati di insufficiente capacità dimostrativa, oppure per l’acquisizione, pur in presenza di dati indizianti significativi, di altre emergenze istruttorie in grado di supportare un’ipotesi alternativa altrettanto logica e tale da introdurre un ragionevole dubbio.
Quanto alla natura del sindacato conducibile da parte della Suprema Corte, è chiaro che la stessa senza potersi occupare della gravità, della precisione e della concordanza in sé degli indizi, la cui verifica diretta comporterebbe sconfinamenti indebiti nella ricostruzione del fatto di reato, compito esclusivo del giudice di merito, deve riguardare la articolazione logica e giuridica della motivazione della relativa sentenza, per poterne verificare la corretta applicazione dei criteri legali, dettati dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., delle regole della logica e del principio di non contraddizione, nonché la compiutezza e coerenza argomentativa nella considerazione della valenza dimostrativa dei risultati probatori (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME e altri, Rv. 207944; Sez. 1, n. 42993 del 25/09/2008, COGNOME, Rv. 241826; Sez. 4, n. 48320 del 12/11/2009, Durante, Rv. 245880; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, P.G., P.C. in proc. Stasi, Rv. 258321). Il controllo esercitabile nella sede di legittimità investe, quindi, solo in via indiretta il risultato della valutazione, perché deve riguardare il metodo seguito nelle operazioni ricostruttive del fatto mediante il raffronto dei singoli passaggi, in cui si è articolato il ragionamento probatorio, con i criteri legali in quanto, come affermato da Sez. U. Musumeci n. 6682/92 nella pronuncia sopra citata, la correttezza del metodo è l’unica garanzia circa l’affidabilità del risultato ricostruttivo.
La mancata rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali può essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il cosiddetto «travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che ii dato probatorio, travisato od omesso, abbia ii carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purchè siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere
state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato, e senza che l’esame abbia ad oggetto, invece che uno o più specifici atti del giudizio, ii fatto nella sua interezza (Sez. 3, n. 38431 del 31/01/2018, Ndoja, Rv. 273911).
Alla luce del principio suindicato, la motivazione della Corte territoriale, risulta corretta in diritto ed adeguatamente illustrata, poiché, confrontandosi con il motivo di appello, che si limita ad analizzare singolarmente gli elementi indiziari a carico del COGNOME la cui sussistenza peraltro neppure contesta, e tralascia di guardare al peso che assumono nel loro insieme, ha spiegato le ragioni della ritenuta rilevanza dei singoli dati indiziari, sulla base di una valutazione complessiva, per fondare un giudizio di penale responsabilità, compiendo un procedimento logico adeguato e conforme al canone legislativo ispirato alla regola dell’a di là di ogni ragionevole dubbio. La conclusione è caratterizzata da un alto grado di credibilità razionale e, quindi, a quella che può definirsi la “certezza processuale” che, esclusa l’interferenza di decorsi alternativi, la condotta sia attribuibile all’agente come fatto proprio (in tal senso già Sez. 1, n. 17921 del 3/3/2010, COGNOME, Rv. 247449- 01)
La Corte d’appello, con motivazione immune da censure e vizi di illogicità manifesta, ha analizzato i plurimi elementi indiziari, prima nella loro singola significatività, e poi messi in opportuna relazione in un quadro di insieme, dal quale persuasivamente discende la non plausibilità delle ricostruzioni difensive e, invece, la certa colpevolezza del ricorrente.
La valutazione degli elementi indiziari, certi e non contestati (l’utilizzo da parte degli autori del furto contestato dell’auto Lancia Y , di proprietà della convivente dell’imputato, NOME COGNOME, notata e la cui targa veniva fotografata dal vicino di casa della p.o., ed annotata la targa; la presenza di due uomini, di cui uno all’interno del mezzo, che parlava con un walkie- talkie, l’altro all’esterno , con in mano cacciaviti; l’utilizzo di cacciavit i per forzare le serrature delle porte e la persiana della porta finestra dell’abitazione ; l’immediato sopralluogo delle forze dell’ordine all’interno dell’appartamento del Revolon; la denuncia del furto dell’auto, risultata mendace, dopo il fatto, da parte della Laino, alle ore 17,5518,00; i frenetici contatti, tra la utenza in uso alla Laino e quella, sempre alla stessa intestata, e ritenuta in uso all’imputato, subito dopo il furto e prima della denuncia, dalle ore 17,32 alle ore 17,40 e poi ancora alle 17,56, quando la Laino era nel percorso verso il comando dei Carabinieri e, ancora, alle 18,15-18,16, quando si trovava presso il comando) ha consentito alla Corte di appello di potere inferire con argomentazione logica ed immune da vizi, secondo i parametri della
valutazione della prova indiziaria, la valenza degli ulteriori indizi, alla luce di un esame globale, e di attribuire all’imputato il reato con un alto grado di credibilità razionale.
La C orte territoriale ha correttamente messo in luce come l’utenza , in uso al COGNOME, fosse stata tracciata in località prossime al luogo del furto, cella di Ternengo, INDIRIZZO confinante con Valle San Nicolao, in orario appena precedente, e poi ancora (nel tragitto verso Biella, luogo di residenza dell’imputato ) dopo la sua commissione, seguendo un percorso compatibile con quello posto in essere dagli autori del furto presso l’abitazione del Revolon ; che la proprietaria del mezzo aveva interloquito con quella utenza, alla stessa intestata, subito dopo il furto e sino al momento della denuncia; il mancato aggancio del l’utenza alla cella del luogo del commesso furto (Valle San Nicolao) veniva spiegato con il volontario spegnimento del telefono da parte dell’utilizzatore per evitarne la localizzazione sul luogo del fatto, ipotesi rafforzata dalla circostanza che l’uomo all’interno della Lancia Y era notato dal teste parlare con un walkie talkie.
Quanto all ‘utilizzo dell’utenza da parte del ricor rente, i giudici di merito richiamano la indicazione come propria, da parte del COGNOME, in precedenza, in occasione della redazione di atti di PG che lo riguardavano (una denuncia di smarrimento del 16.04.2012, una elezione di domicilio del 28.01.2013), ed hanno, correttamente, ritenuto non ragionevole la indicazione al riguardo di un numero allo stesso non direttamente in uso. La inferenza della considerazione logica dell’utilizzo , da parte del ricorrente, della medesima utenza, anche in epoca successiva, mentre si trovava a bordo della Lancia Y, a fronte della presenza della vettura intestata alla convivente in località prossima al luogo del furto, in orario appena precedente, agganciando celle compatibili con il percorso di ritorno verso Biella, luogo di residenza del l’imputat o, dedotta dalla Corte d’appello che ha escluso trattarsi di mera coincidenza, è corretta e non manifestamente illogica.
Quanto alle ipotesi alternative (uso della utenza cellulare da parte di altri familiari od amici della Laino), astrattamente possibili, la Corte d’appello, confrontandosi con il ricorso, con argomentazione logica ed immune da vizi e censure, ha ritenuto che secondo i parametri indicati dalla Corte di legittimità, ai fini della valutazione della prova indiziaria, sono prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana.
Al riguardo, la motivazione è logica ed immune da vizi e censure, e l’ argomentazione della compatibilità della identificazione dell’imputato con il soggetto che aveva in uso l’utenza sopra indicata , ha consentito alla Corte di appello di escludere con certezza che il reato sia stato commesso da altri soggetti.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 16/06/2025.