Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19100 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19100 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 25/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME NOME nato in ROMANIA il 03/07/1991 NOME COGNOME nato in TURCHIA il 10/10/1990
Parte Civile:
COGNOME NOME avverso la sentenza del 09/05/2024 della Corte d’appello di Venezia Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso riportandosi alla requisitoria già in atti;
udito il difensore della parte civile, avv. NOME COGNOME che ha concluso come da memoria e nota spese;
udito il difensore di COGNOME avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi del ricorso e ha insistito p l’accoglimento dello stesso;
udito il difensore di COGNOME, avv.ti NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che si sono riportati ai motivi del ricorso e ha insistito per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Rovigo del 30.01.2023, che condannava NOME e NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, per il reato di furto in abitazione della somma in contanti di euro 2.800,00, di un paio di orecchini in oro giallo con zaffiri, di una fede in oro giallo, di n. 2 orologi da uomo marca Longines, del valore complessivo di euro 4.000,00.
Contro l’anzidetta sentenza gli imputati, ritualmente assistiti dai loro difensori di fiducia, ricorrono per cassazione.
Il contenuto dei ricorsi può essere riassunto nei seguenti termini, ex art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato ad un unico motivo, che deduce vizi di motivazione, in relazione alla valutazione di attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni sarebbero prive di riscontri oggettivi ed individualizzanti, nonché in relazione al riconoscimento dell’imputato, effettuato sui fotogrammi, in bianco e nero, estrapolati da telecamere di una abitazione attigua, ritraenti un soggetto di spalle, con un cappellino. Si deduce che la Corte di merito ha ritenuto, da un lato, che le immagini non consentivano di operare una individuazione e, dall’altro, che il riconoscimento è attendibile, alla luce del complessivo compendio probatorio, che, invece, sarebbe inesistente, carente, e inidoneo a fondare un giudizio di colpevolezza, tenuto conto della mancanza di comunicazioni dirette tra gli imputati, nell’arco temporale di commissione del fatto, e dell’assenza di refurtiva nelle immagini di videosorveglianza.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a cinque motivi.
4.1 II primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge, in relazione agli artt. 110 e 116 cod. pen., e vizio di omessa motivazione in punto di contributo causale e di sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, nonché travisamento dei fatti. Si deduce che la imputata non avrebbe fornito alcun contributo causale
nella commissione del reato di furto; che i giudici di merito non hanno tenuto conto della assenza di collegamento tra la presunta condotta dalla stessa attuata, antecedente al furto (la telefonata per fare allontanare la parte civile dalla abitazione) e l’effettiva perpetrazione del delitto; che l’individuazione dell’autore materiale del reato è basata su una prova inesistente (le videoregistrazioni delle telecamere situate sul piazzale antistante l’abitazione della parte offesa, non visionate dai giudicanti); che l’unico elemento emerso dalla istruttoria, oltre alle dichiarazioni contraddittorie e lacunose della parte offesa, è costituito dai tabulati telefonici, relativi al numero di telefono della ricorrente, che la collocherebbero nei luoghi in prossimità della vittima. Si deduce che, per la scarsa credibilità della persona offesa, costituitasi parte civile, la valutazione della credibilità soggettiv avrebbe dovuto essere più rigorosa, mentre la Corte di appello si limita a richiamare la sentenza di primo grado senza fornire adeguata risposta ai motivi di gravame. Si deduce che, quanto al contatto tra la ricorrente e la parte offesa, COGNOME, non sarebbe stato verificato quale fosse il luogo di lavoro della imputata o i luoghi dalla stessa frequentati abitualmente, al fine di ritenere anomala la presenza della stessa in prossimità della abitazione del COGNOME; che non è stata effettuata alcuna verifica del telefono cellulare del coimputato per verificare contatti successivi tra i due, anche mediante le celle telefoniche e se effettivamente la COGNOME abbia accompagnato COGNOME presso l’abitazione della persona offesa; che non sarebbe anomalo l’incontro tra la COGNOME ed COGNOME in quanto questi aveva dichiarato di essere in contatto con lei (a prescindere dalla riferita relazione sentimentale, durata quattro anni), perché aveva acquistato una casa, e il COGNOME, muratore, avrebbe dovuto svolgere dei lavori per lui.
Quanto alla conoscenza della casa del COGNOME e del luogo del nascondiglio del denaro, da parte della ricorrente, si deduce che il luogo era noto anche alla moglie e alla figlia della parte offesa, che gli imputati non erano mai stati presso la sua abitazione. Si lamenta che i giudici di merito abbiano fatto riferimento a videochiamate, nel corso delle quali il COGNOME avrebbe mostrato alla imputata la conformazione della abitazione, nonché che il teste di PG abbia fatto riferimento, sulla base della sola visione dei filmati, che il coimputato fosse entrato con estrema facilità ed avesse avuto un atteggiamento confidente con l’abitazione, e ciò in contrasto con il fatto che nessuno dei due imputati era mai stato in quella casa.
Si deduce che una videochiamata non avrebbe potuto consentire al COGNOME di muoversi all’interno di un luogo con la estrema confidenza di un frequentatore abituale, e che, tali circostanze sarebbero più coerenti con la presenza di altri furti perpetrati nella zona, in quel periodo, che mancherebbero prove del coinvolgimento effettivo della COGNOME nel furto, quali contatti telefonici tra coimputati, la presenza di refurtiva nella abitazione della ricorrente, con la
eccezione di un unico elemento costituito dalla dichiarazione di domicilio di entrambi gli imputati presso la abitazione della ricorrente, ma che, ai fini del concorso, non è sufficiente una mera connivenza passiva.
4.2 D secondo motivo di ricorso lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art.192 cod. proc. pen., in punto di valutazione della prova indiziaria e di valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, e vizio motivazionali nella valutazione delle prove indiziarie e della credibilità e attendibilità della persona offesa, costituitasi parte civile. Si deduce che la Corte d’appello non si sarebbe confrontata con il ricorso, non avrebbe tenuto conto della collocazione dell’abitazione dell’imputata, delle distanze tra i vari luoghi di incontro, riferiti dalla persona offesa, che non sarebbe stato effettuato un vaglio più rigoroso, in termini di credibilità soggettiva e coerenza intrinseca del racconto, delle dichiarazioni della persona offesa, anche con riferimento alla conoscenza pregressa del COGNOME ed al presunto riconoscimento, quale autore del delitto, dai filmati di videosorveglianza, visionati solo dal COGNOME e dalla PG, non anche dalla Corte di appello, mentre il Tribunale riferisce genericamente di immagini di scarsa qualità. Si deduce che la versione della parte civile non coincide con la ricostruzione dei fatti e le date della attività di PG, riferite dal teste COGNOME (denun del 30 agosto, visione dei filmati il 4 settembre, successiva convocazione della parte offesa per ulteriori chiarimenti). Quanto alla rilevanza dei tabulati telefonici si deduce che, considerati singolarmente, non avrebbero alcun significato tanto più in mancanza di verifiche circa il luogo di lavoro della Stanese, e gli spostamenti quel giorno e in quelli successivi, e di quelli del coimputato.
4.3 n terzo motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali in relazione al travisamento della prova in punto di riconoscimento del coimputato COGNOME effettuato sulla base dei soli filmati di videosorveglianza, ritenuti oggettivamente ed unanimemente inidonei ad effettuare un riconoscimento, non ulteriormente corroborato dalle dichiarazioni del teste di COGNOME che non ha identificato il coimputato ma ha parlato genericamente di persona con il cappello in testa, di cui ha potuto cogliere l’azione complessiva e ipotizzarne solo l’altezza, in base ai cancelli delle abitazioni circostanti, nonché il collegamento con la Stanese, in quanto, all’epoca, fidanzata del COGNOME ed a conoscenza del nascondiglio del denaro. Si deduce che il riconoscimento sarebbe fondato solo sul ricordo della persona offesa, costituita parte civile, nonché sul comportamento post factum della Stanese, che poneva specifiche domande alla persona offesa sull’andamento delle indagini in corso nonché, dopo il controllo della PG presso la sua abitazione, assumeva un atteggiamento risentito verso il COGNOME, dicendogli che non avrebbe dovuto
comunicare alle forze dell’ordine che si trovava in sua compagnia quel pomeriggio, evidenziando delle contraddizioni nella deposizione della parte civile.
4.4 n quarto motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali in relazione alla applicazione della regola di giudizio di cui agli artt.192, 546, comma 2, lett. e), e 533, cod. proc. pen., del principio di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.
4.5 n quinto motivo di ricorso lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt.110, 114 e 133 cod. pen., e alla mancata dosimetria della pena in relazione all’effettivo contributo materiale ed alla sussistenza del dolo di concorso, nonché in punto di ritenuta equivalenza del trattamento sanzionatorio irrogato agli imputati ed alla intensità del dolo attribuita alla ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi possono essere esaminati congiuntamente per le questioni giuridiche trattate.
Con riferimento ai motivi di merito che, per le questioni proposte possono essere esaminati insieme, i ricorsi sono in parte infondati e in parte inammissibili in quanto manifestamente infondati, oltre che generici e aspecifici, poiché si limitano a riproporre le medesime ragioni, sostenute nel giudizio d’appello, cui è stata già data congrua risposta dal provvedimento impugnato.
1.1 Va, in primo luogo, rilevato che al giudice di legittimità è preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del meri perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è – e resta – giudice della motivazione. Secondo le Sezioni Unite “l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argonnentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali; l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. Un., sentenza n. 24 del 24.11.1999, Rv 214794). Deve, pure, essere rimarcato che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza appello, trattandosi di c.d. doppia conforme, si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando il giudice del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordi nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, sentenza n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595). Nel giudizio di appello è, pertanto, consentita la motivazione “per relationem” alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate dall’appellante non contengano – come nel caso di specie elementi di novità rispetto a quelle già condivisibilnnente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Sez. 2, sentenza n. 30838 del 19/03/2013, Rv. 257056).
Deve, inoltre, ricordarsi che mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di “travisamento della prova”, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso dedurre il vizio del “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini dell decisione (Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 238215).
Vero è, poi, che tra i vizi riconducibili al novero di quelli denunziabili, ai sen dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., vi è quello del “travisamento” che, come è noto, è ravvisabile nel caso di contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, ovvero dall’errore cosiddetto revocatorio, che cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nell’utilizzo di una prova
inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio ovvero nella omessa valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 5, Sentenza n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168; Sez. 2, Sentenza n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 5, Sentenza n. 8188 del 04/12/2017, COGNOME, Rv. 272406; Sez. 2, Sentenza n. 27929 del 12/06/2019, PG c/COGNOME, Rv. 276567). In altri termini, il vizio di “travisamento” deve riguardare una prova che non sia stata affatto valutata ovvero che sia stata considerata dal giudice di merito in termini incontrovertibilmente difformi (non già dal suo “significato” ma) dal suo “significante” e che venga individuata specificamente e “puntualmente” oltre che idonea a disarticolare il ragionamento su cui si fonda la decisione impugnata. È necessario, dunque, che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione (o di altr elemento di prova) e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, sentenza del 4.12.2017 n. 8188, COGNOME; Sez. 2, 12.6.2019 n. 27.929, PG in proc. COGNOME; Sez. 5, Sentenza n. 48050 del 02/07/2019, S, Rv. 277758, secondo cui il vizio di travisamento della prova è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio). Va, precisato, inoltre, che i giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova è devoluto insindacabilnnente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema. Si è particolare osservato che non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, ci contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fat (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 25036201). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2. I motivi di ricorso ripercorrono censure sconfessate dalla Corte d’appello che ha spiegato i passaggi temporali che hanno consentito di ricostruire la prova a carico dei ricorrenti, dalla visione, effettuata dalla persona offesa e dalla P.G., dei fotogrammi estrapolati dal video che ha ripreso, una persona alta e magra, di sesso maschile, a figura intera, non solo di spalle ma anche di fronte, mentre
accede alla abitazione della persona offesa, per un tempo congruo, sufficiente a coglierne l’incedere, le movenze, le fattezze e la corporatura e ad operarne il riconoscimento.
Rispetto alla qualità delle immagini, in bianco e nero, ritenute dai giudici di merito inidonee ad effettuare una individuazione, la Corte d’appello, , ha ritenuto attendibile il riconoscimento, in termini di certezza, operato dalla persona offesa, in sede di indagini preliminari, sulla base di una valutazione complessiva, alla luce di tutto il compendio probatorio. La Corte di merito, con motivazione immune da vizi e da censure, ha rilevato che la individuazione è stata effettuata in termini di certezza, a distanza ravvicinata dal fatto, sulla base delle indicazioni precise, fornite dal COGNOME, sulle fattezze dell’uomo ritratto dalle immagini. In particolare, la Corte d’appello ha ritenuto attendibile il riconoscimento, confermato nel dibattimento di primo grado, tenendo conto di quanto precisato dalla p.o., che dichiarava di avere visto l’uomo di fronte e non di spalle, indossare un cappellino bianco e dei pantaloni lunghi, nonché della circostanza della conoscenza pregressa delle specifiche fattezze del COGNOME che aveva visto davanti alla casa della Stanese, circa un mese o due prima del fatto, con un secchiello in mano, ed altre volte in auto, soggetto che gli era rimasto impresso per la corporatura alta e magra, caratteristiche oggettivamente peculiari, rilevate anche in udienza, e di cui conosceva anche l’autovettura, poiché recava una particolare scritta, e lo aveva visto altre volte girovagare per la zona.
Tale attività di riconoscimento, effettuata nell’immediatezza dei fatti sull’originale, è divenuta elemento di prova nel dibattimento attraverso la testimonianza della p.o. Inammissibili sono anche le censure avverso l’attendibilità della p.o., rispetto alla quale la valutazione del decidente è logica e condivisibile.
In ordine alla valutazione degli indizi va premesso che per indizio s’intende «un fatto certo dal quale, per inferenza logica basata su regole di esperienza consolidate e affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare, secondo lo schema del cd. sillogismo giudiziario» (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, PM, p.c., COGNOME e altri, Rv. 191230). L’indizio è un elemento conoscitivo che, senza poter rappresentare in via diretta il fatto da provare, è dotato di un’autonoma capacità rappresentativa, riguardante una o più circostanze diverse, ma collegate sul piano logico con quella da dimostrare. Se dall’indizio è deducibile un’unica conseguenza, esso costituisce una prova logica compiuta ed in sé sufficiente (Sez. 4, n. 19730 del 19/03/2009, COGNOME, Rv. 243508) nel senso che presenta una correlazione obbligata tra fatto ignoto e quello noto, al quale, sulla base delle leggi scientifiche, il primo è legato in modo certo ed inevitabile. Solitamente esso è però significativo di una pluralità di fatti non noti, presentando un livello di gravità e precisione in relazione di proporzione diretta con la forza di
necessità logica con la quale l’indizio porta verso il fatto da dimostrare e di proporzione inversa con la molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di comune esperienza. Tale relativa ambiguità ed inefficienza probatoria diretta dà conto della ragione per la quale il sistema processuale impone un particolare rigore valutativo degli indizi secondo la regola dettata dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. di cui pretende gravità, precisione e concordanza. La riflessione esegetica condotta dalla giurisprudenza di legittimità è ormai pervenuta ad esiti consolidati nel ravvisare la corretta applicazione del parametro legale di apprezzamento della prova indiziaria in quanto il fatto assumibile come indizio deve presentare carattere di certezza, intesa, non in senso assoluto e naturalistico, ma quale portato della verifica processualmente conducibile alla stregua delle fonti di prova acquisite (Sez. 4, n. 2967 del 25/01/1993, COGNOME, Rv. 193407; Sez. 4, n. 39882 del 01/10/2008, COGNOME e altro, Rv. 242123; Sez. 1, sentenza n. 31456 del 21/05/2008, COGNOME, Rv. 240762-240766). E’, dunque, necessario che la prova critica non sia affidata ad un fatto verosimilmente accaduto, supposto o intuito sulla scorta di opinabili congetture o di elaborazioni personali del decidente, dovendo ricevere riscontro nelle evidenze probatorie del processo. Per gravità s’intende poi l’intrinseca capacità dimostrativa rispetto al thema probandum, ossia la probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto, mentre precisione significa specificità, univocità ed impossibilità di diversa interpretazione, altrettanto o più verosimile e concordanza, requisito proprio della pluralità di indizi, indica convergenza, concordanza e non contraddittorietà di significato in modo tale che, grazie al reciproco collegamento ed alla simultanea direzione verso lo stesso risultato, il loro insieme assume l’efficacia dimostrativa della prova (Sez. 1, n. 7027 del 08/03/2000, COGNOME, Rv. 216181; Sez. 4, n. 22391 del 02/04/2003, Qehalliu Luan, Rv. 224962; Sez. 6, n. 3882 del 04/11/2011, Annunziata, Rv. 251527; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, P.G., P.C. in proc. Stasi, Rv. 258321; sez. 1, n. 37348 del 06/05/2014, P.G. in proc. NOME COGNOME e altro, Rv. 260278). La lezione interpretativa costante di questa Corte ha precisato come l’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. imponga anche un vincolo di metodo operativo per il corretto utilizzo della prova indiziaria, nel senso che, poiché l’indizio in considerato può essere indicativo di una pluralità di fatti non noti, incluso quello da dimostrare, il relativo apprezzamento postula una preventiva valutazione per individuarne «la valenza qualitativa individuale e il grado di inferenza derivante dalla loro gravità e precisione» (Sez. U, n. 33748 del 12 7.2005, COGNOME, Rv. 231678) sulla base di affidabili regole di esperienza e di criteri logici e scientific S’impone quindi la verifica successiva, consistente nella considerazione unitaria e complessiva degli elementi acquisiti, che ne evidenzi «i collegamenti e la confluenza in un medesimo, univoco e pregnante contesto dimostrativo» e Corte di Cassazione – copia non ufficiale
chiarisca eventuali profili di ambiguità, presentati da ciascuno di essi in sé considerato, in modo da consentire l’attribuzione del fatto illecito all’imputato al di !à di ogni ragionevole dubbio anche in assenza di una prova diretta di reità, non essendo sufficiente dal ,i punto di vista metodologico proporne una lettura in termini di mera sommatoria, né, all’opposto, un’analisi atomistica che prescinda dal loro raffronto e dalla considerazione unitaria (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231678; Rv. 248384; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, P.G., P.C. in proc. Stasi, Rv. 258321; Sez. 2, n. 42482 del 19/09/2013, COGNOME, Rv. 256967). Nell’impiego della prova indiziaria è, dunque, richiesta al giudice la conduzione di un ragionamento probatorio che attraverso l’utilizzo di regole di esperienza, -tratte dalla osservazione ripetuta del normale svolgimento delle vicende naturali e di quelle umane in presenza di determinate condizioni e dalla logica, che orienta i percorsi mentali della razionalità umana, oppure di leggi scientifiche di valenza universale o di ricorrenza statistica- deve procedere, fornendone adeguata giustificazione, alla verifica, dapprima della validità delle regole o delle leggi utilizzate, quindi della correttezza e consequenzialità logica del risultato ottenuto. Solo così è possibile proporre una ricostruzione del fatto di reato «in termini di certezza tali da escludere la prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione, ma non anche di escludere la più astratta e remota delle possibilità che, in contrasto con ogni e qualsivoglia verosimiglianza ed in conseguenza di un ipotetico, inusitato combinarsi di imprevisti e imprevedibili fattori, la realtà dell cose sia stata diversa da quella ricostruita in base agli indizi disponibili» (Sez. 1, n. 3424 del 02/03/1992, COGNOME, Rv. 189682). Tale operazione deve essere guidata dalla regola, ora positivizzata dall’art. 533 cod. proc. pen., comma 1, che impone di pronunciare sentenza di condanna solo se la colpevolezza dell’imputato emerga al di là di ogni ragionevole dubbio, criterio generale per il riscontro della consistenza logica e della valenza dimostrativa del discorso probatorio esposto nella sentenza impugnata. Come già affermato da questa Corte, tale canone orientativo, pur non autorizzando il recepimento di spiegazioni alternative del medesimo fatto segnalate dalla difesa (Sez. 1 n. 53512 dell’11/07/2014, COGNOME, Rv. 261600; Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, COGNOME ed altri, Rv. 259204; Ssez. 5 n. 10411 del 28/01/2013, COGNOME, Rv. 254579), impone che la pluralità di possibili ricostruzioni della vicenda abbia costituito oggetto di puntuale e attenta disamina da parte del giudice d’appello e che l’esistenza di una ragionevole perplessità sulla ipotesi alternativa, riguardante tanto la causale, quanto gli autori dell’azione criminosa, sia stata esclusa all’esito di un percorso delibativo, condotto mediante un serrato confronto dialettico con le emergenze processuali. Per convalidare, sul piano logico, il giudizio di colpevolezza, è dunque necessario che i dati probatori acquisiti siano tali da lasciare fuori solo eventualità remote, la cu Corte di Cassazione – copia non ufficiale
effettiva realizzazione nella fattispecie concreta sia priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali, addirittura ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalità umana, secondo l’orientamento espresso da sez. 1 n. 31456 del 21/05/2008, COGNOME, Rv. 240763 (vedi altresì Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, RG., RC. in proc. Stasi, Rv. 258321; Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, Pg in proc. Segura, Rv. 262280). Del pari, in un processo basato su prova indiziaria il verdetto assolutorio può raggiungersi per il disconoscimento della caratteristica di indizi nel senso imposto dall’art. 192 cod. proc. pen. i dati probatori, siccome dotati di insufficiente capacità dimostrativa, oppure per l’acquisizione, pur in presenza di dati indizianti significativi, di alt emergenze istruttorie in grado di supportare un’ipotesi alternativa altrettanto logica e tale da introdurre un ragionevole dubbio. Quanto alla natura del sindacato conducibile da parte della Suprema Corte è chiaro che la stessa senza potersi occupare della gravità, della precisione e della concordanza in sé degli indizi, la cui verifica diretta comporterebbe sconfinamenti indebiti nella ricostruzione del fatto di reato, compito esclusivo del giudice di merito, deve riguardare la articolazione logica e giuridica della motivazione della relativa sentenza per poterne verificare la corretta applicazione dei criteri legali dettati dall’art. 19 comma 2, cod. proc. pen. delle regole della logica e del principio di non contraddizione, nonché la compiutezza e coerenza argomentativa nella considerazione della 21 valenza dimostrativa dei risultati probatori (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME e altri, Rv. 207944; Sez. 1, n. 42993 del 25/09/2008, COGNOME, Rv. 241826; Sez. 4, n. 48320 del 12/11/2009, Durante, Rv. 245880; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, P.G., P.C. in proc. Stasi, Rv. 258321). Il controllo esercitabile nella sede di legittimità investe, quindi, solo in via indire il risultato della valutazione perché deve riguardare il metodo seguito nelle operazioni ricostruttive del fatto mediante il raffronto dei singoli passaggi in cui si è articolato il ragionamento probatorio con i criteri legali in quanto, come affermato da Sez. U n. 6682/92 nella pronuncia sopra citata, la correttezza del metodo è l’unica garanzia circa l’affidabilità del risultato ricostruttivo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La mancata rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali può essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il cosiddetto «travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che ii dato probatorio, travisato od omesso, abbia ii carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purchè siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessita`
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di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato, e senza che l’esame abbia ad oggetto, invece che uno o più specifici atti del giudizio, ii fatto nella sua interezza (Sez. 3, n. 38431 de 31/01/2018, Ndoja, Rv. 273911).
Alla luce del principio suindicato, la motivazione della Corte territoriale risulta corretta in diritto ed adeguatamente illustrata, poiché ha spiegato le ragioni della ritenuta attendibilità della persona offesa, intrinseca, sulla base della tempestiva proposizione della denuncia, nella immediatezza della verificazione dell’episodio delittuoso, senza esasperazioni espressive o esagerazioni ricostruttive nonché della linearità, coerenza, assenza di contraddizioni di rilievo nel racconto, ed estrinseca, sulla base dei plurimi riscontri oggettivi esterni, quali le dichiarazioni rese dal teste di PCOGNOME escusso in dibattimento, gli esiti dei tabulati telefonici nonché la condotta susseguente al reato tenuta dalla ricorrente.
Quanto ai riscontri, i giudici di merito correttamente hanno tenuto conto delle univoche dichiarazioni del teste di PG, COGNOME che aveva visionato il video delle telecamere di sorveglianza privata, descrivendo, negli stessi termini della persona offesa, il giovane soggetto ritratto, che entrava nell’appartamento, quasi come se la porta fosse aperta, per rimanervi circa 7/8 minuti.
La Corte di appello, confrontandosi con i ricorsi, ha escluso la spiegazione alternativa delle difese che altri diversi soggetti abbiano commesso il furto, richiamando, innanzitutto, la conoscenza, da parte della COGNOME, del nascondiglio, del tutto peculiare e atipico, del denaro (all’interno delle gambe del letto, smontabili dai piedini), appresa da quest’ultima, in precedenza, durante delle videochiamate, in cui il COGNOME le aveva mostrato la conformazione dell’abitazione. La circostanza delle informazioni ricevute dal COGNOME dalla fidanzata per il successo dell’azione furtiva è stata ritenuta dalla Corte territoriale, con motivazione congrua ed immune da vizi, coerente con le modalità di commissione del furto, in un brevissimo lasso di tempo, individuando, a colpo sicuro, il nascondiglio del denaro.
Al riguardo, la motivazione è logica ed immune da vizi e censure, e l’argomentazione della compatibilità della identificazione dell’imputato con il soggetto ripreso nell’atto della illegittima introduzione nella abitazione, in orario compatibile con il furto, oltre a quella della fonte diretta di conoscenza del COGNOME del peculiare nascondiglio del denaro, ha consentito alla Corte di appello di escludere con certezza che il reato sia stato commesso da altri soggetti.
Ulteriori elementi di riscontro, valutati dai giudici di merito quali indici de coinvolgimento della imputata nella organizzazione e nella realizzazione del furto, sono i tabulati telefonici delle utenze in uso alla Stanese ed alla persona offesa, la cui analisi ha consentito di accertare tre telefonate della ricorrente e le diverse celle agganciate dal telefono in movimento, nell’arco di circa venti minuti, le prime
due con il COGNOME, contattato per avere un incontro fuori dalla sua abitazione, la terza, un minuto dopo il fatto, in cui la ricorrente contatt<dal coimputato, si `k. allontanava dalla p.o.
La motivazione, confrontandosi con i motivi di appello, ha valutato il contributo concorsuale della ricorrente sia nello stratagemma escogitato per allontanare la parte offesa dalla abitazione, chiedendo un incontro immediato, sino alla conclusione dell'azione furtiva da parte del complice, sia nelle informazioni, fornite al coimputato, sul peculiare nascondiglio del denaro, che consentiva a quest'ultimo di portare a termine il reato in pochi minuti, senza mettere a soqquadro l'abitazione, nonché limitandosi ad aprire un cassetto di un comodino.
Quanto alla mancanza di contatti diretti tra i coimputati, i giudici di merito richiamano la telefonata intercorsa tra questi subito dopo la commissione del fatto, direttamente percepita dalla persona offesa, nonché messaggi whattsapp che si sottraggono a qualsiasi controllo.
Correttamente, i giudici di merito, con motivazione immune da vizi, hanno individuato quale ulteriore elemento di riscontro e indice della responsabilità concorsuale della ricorrente, la condotta post factum, tenuta dalla medesima, desumibile dal contenuto di snns e di una telefonata con la persona offesa, con cui poneva specifiche domande in merito all'andamento delle indagini, in particolare sul rilievo di impronte digitali nell'abitazione, nonché dolendosi di quanto comunicato dal COGNOME alle forze dell'ordine sul loro incontro il giorno del fatto.
Con riferimento alle dichiarazioni della persona offesa, la Corte di appello, confrontandosi con i motivi di appello, ha ritenuto rispettati i canoni della valutazione di credibilità soggettiva e di attendibilità intrinseca del racconto, formulando un giudizio di attendibilità congruo e immune da censure.
Costituisce, infine, principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione secondo cui la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il decidente non sia incorso in manifeste contraddizioni (oltre a Sezioni Unite Bell'Arte, cfr., tra le più recenti, Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME e altro, Rv. 262575). Tuttavia, quando la persona offesa sia costituita parte civile, il vaglio positivo dell'attendibilità del dichiarante deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi. Può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal
riconoscimento della responsabilità dell'imputato (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214).
La Corte di merito con motivazione, corretta ed immune da vizi logicogiuridici, premettendo che le censure formulate non contengono elementi ed argomenti diversi, già disattesi dal giudice di prime cure, alla cui motivazione precisa ed articolata si riportava integralmente, ha fatto buon governo del compendio probatorio valutando in sinergia gli elementi di prova in atti, compiendo una rigorosa valutazione della credibilità soggettiva e della attendi bilità intrinseca della persona offesa con motivazione che si sottrae a censure di illogicità manifesta.
4.5 Il quinto motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il motivo non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito che sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, perché la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.
La giurisprudenza di legittimità – in un non recente orientamento, al quale, per le ragioni in precedenza espresse, occorre dare continuità – ha affermato che, nell'applicazione di un criterio eminentemente discrezionale, come quello concernente la determinazione della riduzione della pena conseguente al riconoscimento di una circostanza attenuante, non si può pretendere dal giudice di merito la precisazione di specifiche ragioni, essendo sufficiente che possa desumersi dalla motivazione che il giudice ha esercitato il suo potere discrezionale con senso di equità e di proporzione (Sez. 5, n. 699 del 08/05/1967, COGNOME, Rv. 104781) e di ciò la Corte d'appello ha dato ampiamente atto (cfr. ex multis, Sez.2, Sentenza n. 17347 del 26/01/2021; Cass. Pen., Sez. 7, Ordinanza n. 39396 del 27/05/2016).
Nella specie, l'onere argomentativo del giudice è stato adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pag. 10 della sentenza impugnata), è altresì manifestamente infondato poiché il vizio censurabile a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quello che emerge dal contrasto dello sviluppo argomentativo della sentenza con le massime di esperienza o con le altre affermazioni contenute nel provvedimento.
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Invero, l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione
limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argonnentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della
motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003,
COGNOME, Rv. 226074).
La Corte di appello, confrontandosi con il ricorso, sottolinea la genericità del motivo volto ad una riduzione della pena nel minimo edittale, nonché rileva la
determinazione della pena nel minimo edittale e l'applicazione delle attenuanti generiche.
Quanto alla attenuante di cui all'art.114 cod. pen. il motivo è inammissibile
perché inedito per essere proposto per la prima volta in questa sede.
5. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Ai sensi dell'art. 541 cod. proc. pen., essendo i ricorrenti rimasti soccombenti nei confronti della persona offesa, costituitasi parte civile, vanno condannati alla rifusione in favore di quest'ultima delle spese di rappresentanza e difesa, che si liquidano nella misura qui di seguito indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 25/03/2025.