Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22947 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22947 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LAMEZIA TERME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/03/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di l’inammissibilità del ricorso, con l’adozione delle statuizioni consequenziali; uditi i difensori:
l’AVV_NOTAIO, del foro di CATANZARO, in difesa delle parti civili COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, si è riportato alle conclusioni scritte, depositate all’odierna udienza, unitamente alle note spese; e l’AVV_NOTAIO, del foro di LAMEZIA TERME, in difesa di COGNOME NOME, ha concluso insistendo nell’accoglimento dei motivi di ricorso;
AVV_NOTAIO, del foro di REGGIO CALABRIA, in difesa di COGNOME NOME, ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in’ epigrafe, emessa il 22 marzo 2023, la Corte di assise di appello di Catanzaro ha confermato la decisione resa in data 8 luglio 2021 dalla Corte di assise di Catanzaro, che aveva giudicato NOME COGNOME – imputato del reato di cui agli artt. 81, secondo comma, 575, 577, primo comma, n. 3, cod. pen., e 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, per aver cagionato la morte di NOME COGNOME mediante l’esplosione contro di lui di numerosi colpi di arma da fuoco, quattro dei quali avevano attinto alla testa, in modo letale, la vittima, co le aggravanti della premeditazione e del metodo e della finalità mafiosa, per l’agevolazione del RAGIONE_SOCIALE (capo A), e dei reati di cui agli artt. 81, secondo comma, 61, n. 2, 10, 12, 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497, e 7 di. n. 152 del 1991, per la detenzione e il porto illegali dalla pistola TARGA_VEICOLO, con la quale erano stari esplosi i colpi che avevano determinato l’omicidio (capo B), fatti avvenuti in Catanzaro, il 24 giugno 2017 – e lo aveva dichiarato colpevole dei reati ascrittigli, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. d.l. n. 152 del 1991, e, avvinti i reati in continuazione, la aveva condannato alla pena dell’ergastolo, con le conseguenti pene accessorie, ivi inclusa la pubblicazione della sentenza.
NOME era stato, altresì condannato al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili NOME, NOME e NOME COGNOME, da liquidarsi in separata sede.
La sentenza di primo grado era stata impugnata sia dall’imputato, che aveva contestato in radice l’attribuzione a sé della responsabilità dell’omicidio e dei reati ancillari in materia di armi, sia dal Pubblico ministero, che aveva contestato l’esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991.
Entrambi gli appelli sono stati respinti.
La Corte di assise di appello, confermato l’inquadramento dell’omicidio tratteggiato dalla Corte di assise, ha ritenuto accertata in punto di fatto l vicenda che aveva condotto a morte NOME COGNOME.
La conforme ricostruzione operata dai giudici del merito in ordine all’omicidio di NOME COGNOME, avvenuto la mattina del 24 giugno 2017, nella INDIRIZZO di Catanzaro, ha annesso rilievo, in primo luogo, alle immagini estratte dalle telecamere dei sistemi di videosorveglianza installate nella suddetta INDIRIZZO e, poi, sul percorso di fuga che aveva seguito l’autore del delitto.
Tali immagini hanno consentito di accertare, tra l’altro, alcune caratteristiche della moto enduro utilizzata dal killer e il tragitto percorso dal medesimo a bordo del motoveicolo, che aveva terminato il suo percorso in un punto fra la contrada INDIRIZZO e la località Quattrocchi di Lamezia Terme, ove
il motociclista era stato visto proseguire a piedi, fino alla INDIRIZZO, vale a dire la strada in cui, al INDIRIZZO, COGNOME disponeva di un box auto, per come era stato successivamente accertato.
Anche l’attività susseguente, finalizzata al recupero del motoveicolo mediante il suo caricamento sul carrello annesso alla BMW nella disponibilità dell’imputato, è stata ritenuta efficacemente tracciata mediante le immagini in questione.
Indi, si sono valutate le risultanze di questo pedinamento elettronico in rapporto alle dichiarazioni rese dai testimoni, i quali avevano fornito una descrizione della motocicletta coincidente con le immagini restituite dalle varie telecamere dalla videosorveglianza.
Si è, poi, considerato il dato di ordine temporale, pure letto come idoneo a corroborare gli esiti delle indicate immagini, in quanto era emersa la compatibilità cronologica degli orari di arrivo e di partenza nei diversi punti del percorso.
Anche gli accertamenti praticati dal RIS RAGIONE_SOCIALE sui residui di materiale colloso rinvenuti sul motoveicolo, risultati del tipo adesivo acrilico d quelli pure rinvenuti in possesso dell’imputato, sono stati valorizzati nel medesimo senso, data la loro rilevanza per il camuffamento del colore della moto.
In modo convergente, secondo i giudici del merito, è da intendersi l’esito delle risultanze captative. In particolare, è stata valorizzata l’intercettazione d colloquio avuto, in carcere, dall’imputato con il padre, da cui si è tratt l’elemento costituito dalla dichiarazione dell’imputato stesso di riconoscersi nelle immagini registrate dalle telecamere, ragione per la quale si è annessa valenza confessoria a tale affermazione.
Le decisioni di merito non hanno, invece, attribuito rilievo alla consulenza tecnica promossa dalla difesa dell’imputato, che aveva prospettato l’incompatibilità della moto nella disponibilità dell’imputato con il motoveicolo effigiato nelle immagini video, essendosi ritenuta non suscettibile di effettiva verifica la dedotta difformità del dettaglio (relativo all’introflessione de marmitta) in effetti non direttamente effigiato dai fotogrammi analizzati.
In modo convergente verso l’esito affermato, pure a fronte delle censure sviluppate dalla difesa, sono stati considerati i dati relativi al posizionamento del telefono cellulare in uso a NOME COGNOME, che, a parte il tracciamento relativo al giorno cruciale del 24 giugno 2017. veniva rilevato in Catanzaro nelle giornate del 21 e 22 giugno 2017 (giorni immediatamente antecedenti all’omicidio), in orari compatibili con la presenza in città di NOME COGNOME.
Ritenuta la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati contestati,
entrambe la Corti di merito hanno escluso la sussistenza della prova della circostanza aggravante di cui all’attuale art. 416-bis.1 cod. pen., non essendo stata giudizialmente accertata l’esistenza di una vera e propria cosca di ‘RAGIONE_SOCIALE identificabile come RAGIONE_SOCIALE, né potendo annettersi alle modalità dell’esecuzione un’univoca estrinsecazione del metodo mafioso.
La Corte territoriale, esaminando le questioni poste con l’atto di appello, ha escluso che potesse dubitarsi dell’affidabilità del corredo di immagini per come estratte dalla polizia giudiziaria e acquisite al fascicolo del dibattimento, cos come ha negato che il relativo procedimento acquisitivo dovesse inquadrare nella categoria degli accertamenti irripetibili, così da doversi reputare viziato dall mancata istituzione del contraddittorio difensivo. È stato peraltro affermato dai giudici del merito che l’operante deputato allo svolgimento di questa attività aveva proceduto al compimento della stessa quando ancora non sussistevano indizi di reità a carico di alcuno; e nello stesso frangente il Pubblico ministero aveva conferito l’incarico al suo consulente, AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Né è stato considerato illegittimo il sequestro del materiale scaturito dall’accesso all’account internet di COGNOME per il fatto che la password era stata in modo – prospettato come illegittimo – richiesta all’imputato senza le garanzie difensive, poiché il vizio della perquisizione informatica in ogni caso non poteva ‘ripercuotersi sulla validità del sequestro, atto dovuto.
Sono state respinte tutte le doglianze articolate dalla difesa dell’imputato in ordine al ragionamento con cui si è pervenuti all’identificazione di COGNOME attraverso la valutazione delle fonti di prova sopra accennate.
Non si è ritenuta verificata alcuna violazione di legge per l’acquisizione del seguito dell’annotazione di polizia giudiziaria, come da ordinanza emessa dalla Corte di primo grado il 27.05.2021.
Si è anche ribadita la valenza del colloquio fra l’imputato e il padre, captato mentre il primo era in carcere, volto a sollecitare la necessità che fosse evidenziato il dato della geolocalizzazione del telefono cellulare per attestare la presenza di COGNOME nel garage, segnalandosene il significato confessorio, sia del fatto che l’imputato si era riconosciuto nelle immagini registrate a fonte NOME, le uniche che lo avevano ripreso in INDIRIZZO, sia della consapevolezza di COGNOME dell’importanza della geolocalizzazione: conversazione finalizzata, secondo la Corte di assise di appello, non a verificare che COGNOME si trovasse effettivamente nel garage, ma piuttosto a costruire un alibi all’imputato.
Così interpretato, per i giudici di appello, il colloquio ha costituito conferma del carattere di mero aggiornamento automatico da attribuirsi al dato dell’attività dell’account dell’imputato nella rete internet, riferito alle ore 9:47, in corrispondenza della INDIRIZZO, laddove l’autovettura di COGNOME alle ore 9:52
A
era stata inquadrata dalle telecamere alla INDIRIZZO.
Infine, non si sono ritenute sintomatiche di ricognizione contraddittoria le diverse dichiarazioni dei testimoni COGNOME, COGNOME e COGNOME in merito al sistema di accensione della moto del killer, in relazione a quello che contrassegnava la moto trovata nel possesso dell’imputato.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso la difesa di COGNOME chiedendo l’annullamento della decisione in forza dei seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si prospetta la violazione degli artt. 191, 430, 431 e 526 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. e 6 CEDU.
Era stata eccepita l’inutilizzabilità degli atti acquisiti mediante l’ordinanz emessa in primo grado il 27.05.2021 per la violazione del contraddittorio: la difesa si era opposta all’acquisizione dell’annotazione di polizia giudiziaria datata 21.05.2021, che aveva sostanziato il deposito dell’esito dell’attività integrativa d indagine, prodromico all’escussione del testimone di riferimento, escussione non disposta; e neanche i giudici di appello avevano dato corso a tale attività sostenendo che gli inquirenti, con la suddetta annotazione, si erano limitati a dare atto di un errore di trascrizione dell’orario di accesso da parte dell’account dell’imputato alla rete internet, alle ore 9:47, anziché 8:47, del 24.06.2017.
Tuttavia, così decidendo, i giudici di secondo grado hanno trascurato di considerare che il nuovo dato, di non poco momento e, anzi, di portata decisiva, andava accertato e verificato nel contraddittorio, posto che l’orario originariamente riferito (ore 8:47) rendeva assolutamente incompatibile l’identificazione di COGNOME con il centauro che era stato indentificato con il sicar che aveva ucciso COGNOME, precludendone la possibilità di presenza nel luogo e all’ora del delitto.
Pertanto, in ragione della precisa opposizione della difesa, il risultato di quella che era un’attività integrativa di indagine – e non il mero emendamento di un errore materiale – era stato acquisito al fascicolo del dibattimento in violazione del procedimento fissato dall’art. 430 cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo si prospetta la violazione degli artt. 191, 360, 431 e 526 cod. proc. pen., in relazione agli accertamenti tecnici irripetibil effettuati nel procedimento.
La questione della corrispondente inutilizzabilità era stata posta ai giudici del merito, con primario riferimento alle videoregistrazioni estrapolate dalla polizia giudiziaria dai sistemi di videosorveglianza e, poi, acquisite nel corso del dibattimento: la polizia giudiziaria aveva effettuato un’attività di selezione di t videoriprese nel corso delle indagini preliminari, così duplicando soltanto una porzione delle immagini in assenza del contraddittorio e, dunque, in v«olazione
A
dell’art. 360 cod. proc. pen.
La risposta dei giudici di appello, secondo cui all’epoca dell’effettuazione di tali operazioni non sussisteva ancora un indagato, non vale, secondo la difesa, a destituire di fondamento il rilievo che si era determinata in modo unilaterale l’attività di selezione sopra indicata, che aveva causato sequestro e la mancata acquisizione in copia di tutte le immagini ritenute prive di interesse, attivi compiuta, peraltro, dai vari operatori senza alcun criterio unificante.
Del pari, non risulta smentito, secondo il ricorrente, il rilievo che, nell’alv della consulenza poi realizzata dall’AVV_NOTAIO COGNOME, erano confluiti per la relativa verifi sia gli hard disk in sequestro, sia altri hard disk acquisiti in loco: anche stavolta l’attività era stata compiuta in modo non ripetibile, in quanto il material utilizzato per l’estrazione di copia era stato restituito, così come erano stat restituiti i videoregistratori.
Si trattava invece di operazioni da compiersi, per la difesa, con le garanzie fissate dalla norma indicata e il non averlo fatto aveva determinato una palese violazione delle garanzie difensive, tenuto conto che, quando l’operante NOME COGNOME si era recato, il 28.06.2017, presso l’abitazione di COGNOME, questi era stato già individuato come l’autore del fatto e che le operazioni compiute dal suddetto consulente, AVV_NOTAIO COGNOME, erano state effettuate tutte in data successiva. Sicché, al di là della mancata iscrizione di COGNOME nel registro degli indagati, i giudici del merit avrebbero dovuto stabilire se, in quel momento, costui fosse o meno raggiunto da indizi di reità: tale accertamento, trascurato in sede di merito, avrebbe dovuto dare risposta affermativa, come era desumibile dalla testimonianza di COGNOME nel corso dell’udienza dibattimentale del 17 settembre 2019, da cui era emero che il medesimo aveva riconosciuto COGNOME nel soggetto inquadrato dall’ultima telecamera utile.
Il ricorrente, poi, sottolinea come meriti censura anche l’affermazione dei giudici di appello secondo cui l’attività di estrapolazione dei fotogrammi da supporto video non costituisce un accertamento tecnico irripetibile, laddove opera il principio di diritto secondo cui il combinato disposto degli artt. 359 e 360 cod. proc. pen., da leggersi anche in relazione agli artt. 11 e 223 disp. att. cod. proc. pen., impone la valutazione di irripetibilità dell’accertamento ogni qual volta esso non possa essere ripetuto nel tempo in condizioni di effettiva parità tra le parti, mentre è sempre possibile far valere ad opera dell’interessato la nullità inerente all’osservanza delle forme previste a garanzia dell’esercizio dei diritti difensivi quando gli esiti vengono utilizzati come mezzo di prova.
Alla stregua dell’elaborazione maturata sul punto, la difesa evidenzia, quindi, che la nozione di atto non ripetibile non ha natura ontologica ma deve essere desunta dalla disciplina processuale, con il conseguente bilanciarne to di
interessi fra ricerca della verità nel processo e rispetto del principio costituzional relativo alla formazione della prova nel contraddittorio, bilanciamento che in ogni caso non può penalizzare la difesa privata sortendo l’alterazione dei dati acquisiti: e, nel caso di specie, la selezione dei documenti video da prelevare ha determinato un’alterazione del loro complesso, senza possibilità di confusione fra il concetto di utilizzabilità e quello di affidabilità del dato probatorio.
Infine, anche a voler valorizzare il dato della formale iscrizione di COGNOME nel registro degli indagati, nemmeno si sarebbe tenuto conto del fatto che questi era stato formalmente iscritto il 3.07.2017, come da certificazione in atti, momento rispetto al quale erano ancora da svolgersi, nella quasi totalità, le attività d consulente, AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 185 e 350, comma 3, in relazione agli artt. 178 e 179 cod. proc. pen., in merito all’utilizzazione dei dati relativi al tracciamento dell’utenza telefonica in uso COGNOME per monitorare i suoi spostamenti sul territorio.
La difesa ha ricordato che tali dati erano stati acquisiti a seguito della perquisizione effettuata il 28/11/2017 mentre COGNOME era detenuto nel carcere di Ancona, dopo avere ricevuto la password necessaria per l’elaborazione del positioning dallo stesso COGNOME, ricezione avvenuta in un contesto privo delle garanzie difensive: i giudici di appello hanno dato atto dell’acquisizione di tale informazione da parte della polizia giudiziaria, ma non hanno considerato il nucleo della censura limitandosi a osservare che non era stata sollevata eccezione circa il mancato avviso all’imputato della facoltà di assistenza difensiva al momento della perquisizione.
Così argomentando – lamenta il ricorrente – si è fatta erronea applicazione del principio male captum bene retentum, in quanto la violazione evidenziata non aveva riguardato direttamente la perquisizione, bensì la partecipazione del difensore, imposta dall’art. 350 cod. proc. pen., all’attività dichiarati dell’indagato attinente alla comunicazione della password, atto, svolto senza l’assistenza del difensore, da cui era scaturita la sua nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen., come tale rilevabile in ogni stato e grado.
Trincerandosi dietro il principio secondo cui l’eventuale illegittimità dell’att di perquisizione non genera effetti invalidanti sul successivo sequestro delle cose pertinenti al reato, la Corte di assise di appello, ad avviso della difesa, ha confuso i fenomeni della nullità dell’atto e della sua inutilizzabilità del suo esit nel caso di specie, la nullità dell’acquisizione della dichiarazione dell’indagato aveva comportato, ai sensi dell’art. 185 cod. proc. pen., la nullità consequenziale degli atti successivi; tali atti, da ritenere a loro volta inutilizzabili patologica, avrebbero dovuto ritenersi privi di valore probatorio nel corso
dell’intero procedimento.
2.4. Con il quarto motivo si prospetta il vizio di motivazione, in relazione ai parametri fissati dall’art. 192 cod. proc. pen., con riferimento a tutti i re contestati.
2.4.1. L’esigenza dell’acquisizione e della valutazione della prova idonea a giustificare in modo razionale l’accertamento della responsabilità dell’imputato, attesa l’indubbia complessità della dimostrazione dei reati oggetto di procedimento, avrebbe dovuto imporre ai giudici del merito una più compiuta ponderazione, prima di basarsi esclusivamente sulle immagini non acquisite in modo integrale e sulla mera compatibilità delle caratteristiche del motoveicolo ripreso e dell’abbigliamento del motociclista con le caratteristiche proprie dell’imputato, senza dati confermativi dell’ipotesi di accusa e comunque in assenza di elementi certi diversi dalle immagini, con l’inosservanza del principio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, fissato dall’art. 533 cod. proc. pen.
2.4.2. La motivazione della sentenza impugnata, poi, non ha annesso il rilievo necessario al profilo consistente nel riscontro di specifici eventi registra sul telefono cellulare in uso all’imputato, dimostrativi del relativo utilizzo e posizionamento dello stesso presso l’abitazione di INDIRIZZO in orari incompatibili con la ricostruzione della dinamica omicida posta a fondamento della condanna: l’avvenuta rilevazione dell’accesso alla rete internet del telefono cellulare dell’imputato, localizzato presso l’appartenenza di INDIRIZZO, alle ore 9:47 del giorno dei fatti si poneva in insanabile contrasto con l’affermazione secondo cui alle ore 9:52:55 COGNOME si trovava a bordo della BMW in transito verso Lamezia Terme, in INDIRIZZO, mentre trainava una motocicletta enduro; la giustificazione data dalla Corte territoriale, secondo cui gli investigatori avevano fondatamente attribuito la rilevazione a un aggiornamento automatico non risulta logicamente giustificata.
Il ragionamento probatorio viene ritenuto, in ordine al profilo segnalato, gravemente carente, non avendo, i giudici del merito, esplicato i criteri in base ai quali fosse da ritenersi maggiormente affidabile l’ipotesi di tale aggiornamento automatico formulata dagli investigatori rispetto all’obiettività del dato implicante l’uso del telefono cellulare da parte dell’imputato a quell’ora dalla sua abitazione, con effetto destrutturante la costruzione accusatoria: giustificare la preferenza per la tesi dell’accertamento automatico con il suddetto dato relativo al passaggio dell’imputato a bordo dell’autovettura in INDIRIZZO ha costituito un cortocircuito logico, giacché si è utilizzato per confutare quel dato obiettivo proprio il fatto che avrebbe dovuto essere dimostrato.
2.4.3. Circa, poi, la valorizzazione dell’intercettazione del colloquio fra NOME e il padre, captato in carcere in data 15.01.2018, a cui è stata annessa valenza
A
confessoria, la difesa con l’atto di appello aveva censurato il travisamento operato in ordine al contenuto della conversazione dai giudici di primo grado, descrivendo gli evidenti profili di incompatibilità logica della ricostruzion effettuata; e però – lamenta il ricorrente – la Corte distrettuale si è limitat riproporre in modo acritico le considerazioni sviluppate nella prima decisione senza nemmeno valutare le argomentazioni difensive.
Richiamato il testo della parte di conversazione ritenta essenziale, la difesa sostiene che annettere una portata confessoria alla volontà dell’incolpato di difendersi proprio attraverso la ricerca di immagini in grado di scagionarlo ha costituito un’argomentazione gravemente carente sotto il profilo logico e ha comportato l’effetto di travisamento del contenuto della prova, così come illogico è stato ascrivere quella conversazione al confezionamento di un alibi.
2.4.4. Ancora con riferimento alla valutazione dei dati relativi al posizionamento del telefono cellulare, si era specificamente segnalato nell’appello che i molteplici cambiamenti di coordinate risultati dalla loro analis erano la dimostrazione del movimento, con minimi spostamenti, dell’utilizzatore nella INDIRIZZO: ebbene – lamenta il ricorrente – questa censura non ha trovato alcuna concreta risposta nella sentenza impugnata, la quale si è richiamata alla decisione di primo grado e ha esposto, come un dogma, la considerazione che il fenomeno rilevato trova spiegazione nel fatto che, trattandosi del posizionamento satellitare, il punto focale della triangolazione satellitare sul terreno della posizione del telefono cellulare era ordinariamente suscettibile di subire minime variazioni, per niente dimostrative di un effettivo spostamento; in ogni caso, anche per questo aspetto, la spiegazione è stata ritenuta quella scientificamente preferibile senza alcuna motivazione inerente agli indicatori che hanno fatto propendere per tale scelta.
2.4.5. Per quanto concerne i riferimenti ai testimoni che avevano visto il killer salire a bordo della moto e darsi alla fuga, si denuncia il travisamento del dato probatorio relativo alle loro dichiarazioni, posto che nell’atto di appello s erano segnalate le parti di tali dichiarazioni (in particolare, quelle della testimone COGNOME) contrarie alla ricostruzione fatta dalla Corte di assise sulla loro base e che i giudici di secondo grado hanno, invece, mancato di analizzare le obiezioni svolte sull’argomento.
Si fa, al riguardo, notare che l’affermazione secondo cui il killer, immediatamente dopo la commissione dell’omicidio, aveva acceso la moto tramite un pedale posto a destra della stessa dopo due spinte, per poi darsi alla fuga, è stata dalla Corte merito travisata, avendo essa ritenuto, che, essendo inesistente il pedale, il movimento del piede dell’omicida si fosse diretto sull’asfalto, in ciò essendosi determinata una difformità tra contenuto
della prova e contenuto dichiarato come acquisito dal giudice in motivazione, rilevabile anche in ipotesi di doppia conforme, avendo entrambe le decisioni perpetuato il medesimo travisamento.
Il ragionamento probatorio sviluppato dai giudici di appello sull’argomento, secondo la difesa, non risponde, in ogni caso, ai canoni fissati dall’art. 192 cod. proc. pen., nel rispetto dei quali il passaggio dal fatto probatorio al fatto provare deve essere giustificato mediante l’esplicitazione del criterio valutativo che si esprime nella massima di esperienza adottata: invece, la Corte territoriale non ha fornito nessuna spiegazione per dimostrare che, venuta meno l’esistenza del pedale, la moto potesse essere avviata con la spinta del piede sull’asfalto.
Né, continuando in tale approfondimento, potrebbe costituire un supporto alla motivazione resa dai giudici di secondo grado il riferimento alle dichiarazioni del testimone COGNOME, pure analizzate nell’atto di appello come da ricollegarsi anch’esse all’uso del pedale nella fase di messa in moto, essendosi la Corte di assise di appello limitata a sostenere che questo dichiarante non aveva fatto riferimento ad alcun colpo sul pedale, bensì ai tentativi di far partire moto girando la chiave nel quadro di accensione.
2.4.6. Si censura, ancora, la motivazione per il carattere apodittico con cui sono stati ritenuti congrui i tempi di percorrenza, quantificati in appena dieci minuti, del tragitto che avrebbe fatto l’imputato per raggiungere la moto in panne: non si sarebbe tenuto conto delle operazioni di carico del motoveicolo sul carrello, della sua imbracatura, del camuffamento per il cambiamento della targa, della ripresa della marcia con inversione e dell’ulteriore tempo occorrente per compiere il tratto di strada in senso opposto.
2.4.7. Infine, la difesa muove analoga critica in ordine alla conclusione della corrispondenza espressa nella decisione impugnata tra il killer e il soggetto ripreso a Piedi dalla telecamera in località Quattrocchi, viziata negli stessi sensi già segnalati.
Il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, osservando che manifestamente infondata era la questione dell’acquisizione documentale di annotazione di polizia giudiziaria senza il consenso delle parti, essendosi trattato della mera comunicazione di un errore di calcolo compiuto nell’annotazione già acquisita, che del tutto generica era la deduzione delle manomissioni dei filmati relativi alle immagini tratte dalle telecamere della videosorveglianza, che l’esito della perquisizione, comunque eseguita, non mette in questione il susseguente sequestro, che, in ordine all’attività istruttoria sfociata nell’identificazione dell’imputato, per i vari a presi in considerazione dal ricorrente, le deduzioni hanno sollevato in nodo non
consentito rivalutazioni di merito.
La difesa delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ha concluso illustrando deduzioni orientate in senso oppositivo rispetto a quelle svolte dal ricorrente, prospettando l’incensurabilità delle valutazioni alla base della sentenza di condanna pronunciata nei confronti dell’imputato, chiedendo il rigetto del ricorso e riportandosi alle conclusioni scritte depositate, unitamente alla nota specifica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte ritiene che l’impugnazione sia, per alcuni aspetti, priva dei requisiti di ammissibilità e, per altri aspetti, infondata e, quindi, debba esser rigettata nel suo complesso.
Non supera il vaglio di ammissibilità il primo motivo con cui si è dedotta l’inutilizzabilità del seguito degli atti acquisiti mediante l’ordinanza emessa i primo grado il 27.05.2021 per la violazione del contraddittorio, con riferimento all’acquisizione dell’annotazione di polizia giudiziaria datata 21.05.2021, dai primi giudici disposta nonostante l’opposizione della difesa.
Lo stesso ricorrente ha dato per assodato che, all’udienza del 21.07.2020, era stata acquisita con il consenso delle parti l’annotazione proveniente dai RAGIONE_SOCIALE del ROS a firma dell’ufficiale NOME COGNOME, relativa alle indagini telematiche e, in particolare, agli accessi alla rete internet inerenti all’account di posta elettronica EMAIL , in uso all’imputato.
Rispetto a tale acquisizione concordata – ha evidenziato la Corte di assise di appello – il seguito acquisito il 27.05.2021, lungi dal costituire il frutt un’effettiva attività integrativa di indagine, si è esaurito nella segnalazione di u errore materiale, verificatosi in sede di conversione degli orari oggetto di rilevazione già nella originaria annotazione, senza l’effettuazione di alcun accertamento avente carattere di novità sul medesimo punto.
In effetti, l’esame del documento oggetto della contestata acquisizione conferma che con esso i redattori, in primis il Capitano COGNOME, hanno segnalato che la rilettura della pregressa (acquisita) annotazione aveva fatto rilevare un errore materiale nella trascrizione degli orari convertiti al fuso orari italiano associati agli indirizzi IP forniti da Google e riferiti alle attività di ac al suddetto profilo di NOME COGNOME, dal momento che gli orari forniti da Google, espressi in UTC, erano stati convertiti in UTC + 1 (in corrispondenza dell’ora solare), anziché in UTC + 2 (per la corrispondenza con l’ora legale), con
conseguente riproposizione dei dati riportati nella Tabella 1 inerente all’annotazione richiamata.
Essendosi esaurita l’informativa suddetta nella mera rettifica di un dato già contenuto nell’annotazione acquisita in via concordata, essa, al di là del fatto che sia stata richiesta dal Pubblico ministero, è stata correttamente qualificata dalle Corte di merito come estranea all’ambito dell’attività integrativa di indagine, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 430 cod. proc. pen.
D’altro canto, non si contesta da parte del ricorrente, non avendo la difesa fornito alcun elemento di contenuto diverso, che ? oltre all’annotazione di base, faceva già parte del compendio probatorio il supporto informatico contenente il tracciamento delle connessioni internet inerenti all’account in esame, sicché la verifica dell’effettività degli orari di accesso alla rete – in relazione all’e considerazione della conversione dell’ora indicata nel sistema Google di rilevazione nell’ora (riconnessa in quel periodo dell’anno 2017 al corso dell’orario legale) corrente in Italia – ben avrebbe potuto essere compiuta da ognuna delle parti e, su loro segnalazione o in via ufficiosa, dal giudice procedente, al di là della, comunque doverosa, segnalazione effettuata dalla polizia giudiziaria quando si era avveduta del disguido.
Non si rileva, dunque, l’effettuazione di alcuna attività integrativa finalizzata all’emersione e alla conseguente rettifica di quella discrasia.
In questo senso si segnala altresì che l’avvenuto – e per altri aspetti controverso – accesso dell’account di COGNOME alla rete internet alle ore 09:47 del 24 giugno 2017 è stato posto a base della disamina delle altre doglianze, dal momento che già la Corte di assise, nella ricostruzione della mappatura degli spostamenti di COGNOME dava per assodato l’accesso dell’account in questione rilevato dalla cella di INDIRIZZO Misà alle ore 09:47 (pag. 7 della sentenza di primo grado), così come, nello stesso ricorso oggetto della presente valutazione, la difesa, nella seconda censura componente il quarto motivo, ha dato per assodata, nel suo ragionamento, la circostanza di fatto della rilevanza dell’accesso in questione alle ore 09:47 del 24 giugno 2017.
Circoscritta la funzione della comunicazione veicolata dal Pubblico ministero e recepita dai giudici di primo grado all’udienza del 27 maggio 2021, deve, contrariamente alla tesi della difesa di COGNOME, ritenersi, per quanto risult dimostrato, la non decisività dell’atto prospettato come inutilizzabile, siccome afferente a un dato reperibile dalle parti attraverso una corretta e più puntuale disamina degli elementi restituiti dal supporto informatico acquisito agli atti.
In tal senso, deve rilevarsi l’inammissibilità della questione: è, invero, onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali, oltre che indicare g atti specificamente affetti dal vizio, chiarire altresì l’incidenza degli stasi
complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato, pena – altrimenti l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416 – 01; Sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019. dep. 2020, Cocciadiferro, Rv. 278123 – 01); e, alla stregua delle riflessioni finora sviluppate, la decisività dell’atto acquisito il 27.05.2021 è stata addotta, ma non dimostrata del ricorrente, una volta chiarite la circoscritta e ancillare natura della stessa e l sua finalità di mera segnalazione di un errore, rilevabile anche aliunde.
Trascorrendo all’esame del secondo motivo, esso riguarda i diversi profili di inutilizzabilità che il ricorrente ha denunciato con riferimento all videoregistrazioni estrapolate, in modo prospettato come unilaterale, dalla polizia giudiziaria in modo e prodotte poi quali prove nel fascicolo processuale, siccome acquisite senza il contraddittorio con la difesa, al pari della consulenza promossa dal pubblico ministero e realizzata dall’AVV_NOTAIO, con la valutazione di ulteriori immagini.
I giudici di appello hanno obiettato alla prospettata questione che i filmati in esame costituiscono esiti di atti irripetibili, ai sensi e per gli effetti di cui 431 cod. proc. pen., mentre non può configurarsi come accertamento tecnico irripetibile la lettura dei supporti informatici contenenti elementi di prova ragione per la quale, per un verso, non sono stati lesi i diritti della difesa nel fase di acquisizione delle immagini e poi della loro lettura e, per altro verso, l’affidabilità della materiale attività di estrapolazione di queste immagini effettuata dalla polizia giudiziaria è restata insuperata, con il conseguente apprezzamento della genuinità e della natura conducente dei filmati in concreto esibiti e valutati nel corso del processo.
L’impugnazione non riesce a superare tali rilievi.
Per ciò che riguarda il primo profilo, costituisce principio autorevolmente affermato e qui condiviso quello secondo cui le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell’ambito del procedimento penale, vanno incluse nella categoria dei documenti, regolati dall’art. 234 cod. proc. pen., mentre le medesime videoregistrazioni, ove eseguite dalla polizia giudiziaria, anche di iniziativa, sono da includersi nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’art. 189 cod. proc. pen.; con riferimento a queste ultime, siccome si tratta della documentazione di attività investigativa non ripetibile, esse possono essere allegate al relativo verbale e inserite nel fascicolo per il dibattimento (Sez. U, n 26795 del 28/03/2006, COGNOME, Rv. 234267 – 01; Sez. 2, n. 10 del 30/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268787 – 01; Sez. 3, n. 43609 del 08/10/2021,
Piccolo Rv. 282164 – 01).
Per quanto concerne il secondo profilo, occorre ricordare che gli esiti delle videoregistrazioni degli impianti di sicurezza, costituendo documenti disciplinati dall’art. 234 cod. proc. pen. acquisiti e conservati in forma digitale, sono suscettibili di essere utilizzati per estrarne identiche riproduzioni in un numero indefinito di esemplari, pienamente utilizzabili come prova, salvo che se ne deduca e dimostri la manipolazione (Sez. 6, n. 12975 del 06/02/2020, Ceriani, Rv. 278808 – 03; Sez. 6, n. 15838 del 20/12/2018, dep. 2019, Viviano, Rv. 275541 – 01), in tale prospettiva non dovendo annettersi natura di accertamento tecnico irripetibile, per gli effetti di cui all’art. 360 cod. proc. pen., all’at estrapolazione di fotogrammi da un supporto video per il raffronto degli stessi con le fotografie di determinate persone, al fine di evidenziare eventuali somiglianze (Sez. 6, n. 41695 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 268326 – 01); di conseguenza, al di là dell’individuazione del momento in cui COGNOME è stato raggiunto da concreti indizi di reità, la mancata notifica al difensore dell’avviso d tale accertamento non integra nullità.
Trattandosi, quanto alle videoregistrazioni effettuate dai privati con telecamere di sicurezza, di prove documentali, acquisibili ex art. 234 cod. proc. pen., i fotogrammi estrapolati da detti filmati e inseriti in annotazioni di serviz non possono essere considerati prove illegittimamente acquisite e non ricadono nella sanzione processuale di inutilizzabilità (Sez. 5, n. 21027 del 21/02/2020, Nardi, Rv. 279345 – 01). Né – sempre in relazione alla loro precisata natura di prove documentali – la corrispondente utilizzazione in giudizio è subordinata alla loro previa diretta visione nel contraddittorio delle parti, posto che queste ultime hanno diritto di prenderne visione e di ottenerne copia, come con gli altri documenti acquisiti al fascicolo del dibattimento (Sez. 5, n. 31831 del 06/10/2020, Comune, Rv. 279776 – 01).
Pure per quanto concerne l’attività di estrazione di copia di files archiviati in un computer, si ritiene che essa non possa rientrare nel novero degli atti irripetibili, poiché la medesima integra un’operazione meramente meccanica e sempre riproducibile, priva di carattere valutativo e tale da non determinare alcuna alterazione dello stato delle cose in grado di pregiudicare la genuinità del suo contributo conoscitivo (Sez. 2, n. 5283 del 27/11/2020, dep. 2021, Lombardo, Rv. 280618 – 02; Sez. 1, n. 23035 del 30/04/2009, COGNOME, Rv. 244454 – 01).
Nel solco tracciato alla stregua dei principi ora riaffermati, il ricorrente no può dolersi dell’avvenuta acquisizione delle immagini registrate dalle telecamere dei sistemi di videosorveglianza collocati sul percorso a cui sono stati riferiti d parte della polizia i movimenti del motoveicolo in dotazione all’autore
dell’omicidio e dei mezzi impiegati per il suo recupero. Gli inquirenti avevano titolo a operare l’acquisizione di tali immagini per esaminarle e, per il tramite della loro valutazione da parte del Pubblico ministero, introdurle fra i documenti acquisiti al fascicolo del dibattimento.
Sulla correttezza della cernita delle immagini stesse, la censura articolata dal ricorrente prospetta in via soltanto eventuale l’incompletezza o l’arbitrarietà della corrispondente acquisizione selettiva.
Nessuna critica specifica è stata mossa al riguardo, in relazione all’analisi delle immagini prodotte e poi analizzate, sicché la prospettiva di un’arbitraria selezione o di un’alterazione del loro contenuto insita nella doglianza in esame è restata allo stadio di una mera, astratta suggestione, senza alcun ancoraggio radicato nella verifica del concreto compendio dei filmati analizzati.
La difesa, avendo pieno accesso a tali documenti, avrebbe potuto controllare in concreto la sussistenza delle paventate alterazioni: la natura documentale degli atti di cui si tratta, come si è visto, non contempla il contraddittorio pie nella fase della loro acquisizione, ma naturalmente lo implica nella dialettica dibattimentale, non precludendo in alcun modo alla parte interessata di dedurre e provare i limiti o le alterazioni delle immagini oggetto di valutazione.
Nessun vizio nel procedimento selettivo, acquisitivo e anche valutativo dei fotogrammi analizzati è stato concretamente dimostrato.
Quanto, poi, all’in sé del prelievo dai sistemi video delle immagini prodotte, la prospettazione del ricorrente deve ritenersi evanescente: appare chiaro che gli inquirenti avevano proceduto all’estrazione dai supporti delle immagini inerenti ai giorni e alle fasce orarie da loro individuati di interesse investigativo.
Non si vede rispetto a quale ulteriore parametro di completezza la polizia giudiziaria avrebbe dovuto acquisire una più ampia serie di immagini, al di là di quelle ragionevolmente riferibili alle condotte oggetto di accertamento.
Del resto, come la polizia giudiziaria aveva estratto le immagini ritenute di interesse investigativo, la difesa di COGNOME, una volta che questi era divenuto indagato, avrebbe potuto promuovere le indagini di sua iniziativa per indicarne di ulteriori, ove reputate rilevanti al fine dell’accertamento dei fatti.
La violazione delle garanzie difensive non può, in definitiva, essere riscontrata. Deve, sul tema, ricordarsi che la violazione del diritto di difesa, ch si sostanzi alfine nella mancata ammissione delle prove dedotte, esige che ne sia precisata la portata indicando specificamente le prove che l’imputato non ha potuto assumere e le ragioni della loro rilevanza ai fini della decisione nel contesto processuale di riferimento, considerato che il diritto dell’imputato di difendersi provando trova un limite nel potere del giudice di escludere le prove superflue ed irrilevanti, ex artt. 190 e 495 cod. proc. pen. In corrispondenza di
tale limite il ricorso in sede di legittimità deve indicare in modo specifico ta prove le ragioni della loro rilevanza ai fini della decisione nel contesto processuale di riferimento (Sez. 5, n. 39764 del 29/05/2017, COGNOME, Rv. 271849 – 01; Sez. 5, n. 10425 del 28/10/2015, dep. 2016, Lanzafame, Rv. 267559 01).
In tal senso, il ricorrente non risulta aver promosso alcuna indagine difensiva per enucleare e specificare eventuali altri filmati, da produrre direttamente o, in ipotesi di impossibilità o eccessiva difficoltà dell’acquisizione autonoma, da proporre per l’acquisizione in forza dell’ordine del giudice.
Sotto tutti gli aspetti considerati, pertanto, la doglianza va, nel suo complesso, ritenuta priva di fondamento.
In ordine al terzo motivo, è da confermare che la Corte di assise di appello ha preso atto che la password per l’accesso all’account gmail di COGNOME, i cui dati sono stati poi utilizzati per l’elaborazione del corrispondente positioning nelle fasi di interesse, era stata fornita dal medesimo indagato quando egli si trovava nel carcere di Ancona, nell’occasione della perquisizione informatica effettuata il 28.11.2017, dopo che COGNOME era stato avvertito della ragione della perquisizione, ma aveva fornito l’informazione sulla password con dichiarazione resa senza l’assistenza del difensore.
Posto ciò, i giudici di appello, orientandosi nel solco tracciato dalla Corte di assise nella prima decisione, hanno, in primo luogo, rilevato che la difesa di COGNOME non aveva eccepito il mancato avviso all’imputato circa la facoltà di assistenza del difensore nel corso della perquisizione, eccezione che comunque, secondo la Corte territoriale, avrebbe dovuto essere sollevata nella prima occasione procedimentale utile. In ogni caso – hanno aggiunto i giudici del merito – i dati oggetto del sequestro che era seguito costituivano cose pertinenti al reato, con l’effetto che la misura cautelare reale era stata comunque necessariamente e validamente disposta.
La critica mossa dal ricorrente si incentra sul rilievo che il vizio avrebbe fatto rifluire l’atto fra quelli colpiti da nullità assoluta, per la mancata partecipazio del difensore all’attività dichiarativa di COGNOME quando aveva comunicato la password, con violazione dell’art. 350, in relazione all’art. 64, cod. proc. pen.: nullità da cui si propone scaturisca l’accertamento della nullità per derivazione di tutti gli atti successivi, ai sensi dell’art. 185 cod. proc. pen., atti che si prospe anche attinti da inutilizzabilità di natura patologica.
È da aggiungere che la Corte di primo grado aveva anche segnalato che, ferma restando la ritenuta irritualità dell’acquisizione della password, in quanto era stata ottenuta al di fuori dell’interrogatorio, l’accesso ai dati dell’accountove
NOME non avesse fornito il dato, sarebbe stato ugualmente possibile (attivando la funzione reset), come aveva confermato il testimone NOME COGNOME nel corso dell’udienza del 21.07.2020.
Tutto ciò premesso, è da considerare che il ricorrente non ha obiettato alcunché al rilievo svolto nella sentenza di primo grado secondo cui – inquadrata la fattispecie dai giudici del merito e dalle parti nell’adozione ed esecuzione della perquisizione dell’account per la ricerca dei corrispondenti dati informatici – la difesa non aveva eccepito, deve intendersi fino a quella decisione, il mancato avviso a COGNOME, all’atto della perquisizione, della facoltà di farsi assistere d difensore di fiducia, come prevista dall’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., i relazione all’art. 352 cod. proc. pen., avendo piuttosto la difesa lamentato quale fatto processuale idoneo a determinare la nullità l’avere gli inquirenti richiesto a COGNOME e ricevuto da lui la password mediante la quale la polizia giudiziaria aveva potuto dare corso all’atto.
Orbene, la mancata formulazione dell’eccezione specificamente riferita alla violazione dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. fino alla deliberazione dell sentenza di primo grado ha determinato la sanatoria della nullità afferente alla perquisizione verificatasi, nullità di ordine generale a regime intermedio (quello ora indicato essendo il momento in cui va propriamente individuata l’attivazione del meccanismo sanante di cui all’art. 182 cod. proc. pen. per le ragioni chiarite da Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 263023 – 01).
Quanto alla richiesta della polizia giudiziaria a COGNOME di comunicare la password, ritenuta irrituale dai giudici del merito perché raccolta senza la presenza del difensore – al di là della considerazione che, una volta ritenuta sanata la nullità dipesa dal mancato avviso al destinatario della perquisizione della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia, sarebbe stato da verificare se fosse individuabile un’autonoma causa di nullità nella mera richiesta di consegna della password, richiesta finalizzata alla sola realizzazione dell’attività strumentale alla perquisizione (al pari della richiesta di consegna della chiave per la perquisizione domiciliare), estranea all’ambito dichiarativo afferente alla verifica dell’accusa penale – non risulta persuasivamente contrastato l’argomento dirimente in virtù del quale, pur se avesse avuto accesso ai dati in questione mediante perquisizione invalida o comunque irregolare, la polizia giudiziaria, rilevate in quei dati cose pertinenti al reato, ai sensi dell’art. 353 co proc. pen., ne aveva doverosamente – e validamente – operato il sequestro probatorio.
A questo proposito è stato correttamente richiamato dai giudici del merito il consolidato e condiviso principio di diritto secondo cui l’eventuale illegittimit dell’atto di perquisizione compiuto ad opera della polizia giudiziaria non comporta
AI
effetti invalidanti sul successivo sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, che costituisce un atto dovuto a norma dell’art. 253, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 16065 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 278996 – 01; Sez. 6, n. 37800 del 23/06/2010, COGNOME, Rv. 248685 – 01; Sez. 2, n. 40833 del 10/10/2007, COGNOME, Rv. 238114 – 01).
Alle contrarie osservazioni svolte dal ricorrente, lì dove ha prospettato la necessaria comunicazione della dedotta invalidità della perquisizione agli atti susseguenti, secondo il meccanismo di propagazione disciplinato dall’art. 185 cod. proc. pen. nonché ha ventilato l’emersione di una fattispecie di inutilizzabilità patologica dell’attività procedimentale susseguente, vanno contrapposte le autorevoli, sia pure non recenti, considerazioni espresse dalle Sezioni Unite quando hanno osservato che: in primo luogo, se è vero che l’illegittimità della ricerca della prova del commesso reato, allorquando assume le dimensioni conseguenti a una palese violazione delle norme poste a tutela dei diritti soggettivi oggetto di specifica tutela da parte della Costituzione, non può in linea generale, non diffondere i suoi effetti invalidanti sui risultati che quel ricerca ha consentito di acquisire, è altrettanto vero che, allorquando quella ricerca, comunque effettuata, si sia conclusa con il rinvenimento e il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, è lo stesso ordinamento processuale a considerare del tutto irrilevante il modo con il quale a quel sequestro si sia pervenuti, per cui, in questa specifica ipotesi e ancorché nel contesto di una situazione non legittimamente creata, il sequestro rappresenta un atto dovuto, la cui omissione esporrebbe gli autori a specifiche responsabilità penali, quali che siano state, in concreto, le modalità propedeutiche e funzionali che hanno consentito l’esito positivo della ricerca compiuta; in secondo luogo, l’inosservanza delle formalità prescritte dalla legge ai fini della legittim acquisizione della prova nel processo non è, di per sé, sufficiente a rendere quest’ultima inutilizzabile, per effetto di quanto disposto dal primo comma dell’art. 191 cod. proc. pen.; questa norma, se ha previsto l’inutilizzabilità come sanzione di carattere generale, applicabile alle prove acquisite in violazione ai divieti probatori, non ha, per questo, eliminato lo strumento della nullità, in quanto le categorie della nullità e dell’inutilizzabilità, pur operando nell’area dell patologia della prova, restano distinte e autonome, siccome correlate a diversi presupposti, la prima attenendo sempre e soltanto all’inosservanza di alcune formalità di assunzione della prova – vizio che non pone il procedimento formativo o acquisitivo completamente al di fuori del parametro normativo di riferimento, ma questo non rispetta in alcuni dei suoi peculiari presupposti – la seconda presupponendo, invece, la presenza di una prova che risulta vietata per la sua intrinseca illegittimità oggettiva, ovverò per effetto del proc dimento zi..’ GLYPH Corte di Cassazione – copia non ufficiale
I
acquisitivo, la cui manifesta illegittimità lo pone certamente al di fuori de sistema processuale (Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, COGNOME, Rv. 204644 – 01, in fattispecie relativa a perquisizione illegittima e a successivo sequestro di cose pertinenti al reato, dalla decisione ritenuto atto dovuto).
Per tale dirimente ragione, pertanto, l’esito dei dati scaturiti dal sequestro conseguito all’esame dell’account riferito a COGNOME è stato, in ogni caso, inserito validamente dai giudici del merito nel compendio probatorio oggetto di valutazione.
Il terzo motivo deve, pertanto, essere disatteso.
Vanno affrontate, infine, le questioni cumulativamente poste dal ricorrente con il quarto motivo, volte a segnalare il vizio della motivazione in rapporto ai criteri valutativi imposti dall’art. 192 cod. proc. pen.
5.1. Generica e, in ogni caso, inidonea a contrastare il serrato e coerente tessuto argomentativo che sorregge la motivazione offerta dalla Corte territoriale è la prima censura, secondo cui i giudici di appello non avrebbero addotto ragioni adeguate – sulla scorta delle sole immagini, addotte come non acquisite in modo integrale, e della mera compatibilità delle caratteristiche del motoveicolo e dell’abbigliamento del motociclista – all’accertamento della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.
È opportuno puntualizzare, sul tema, che il principio dell’oltre ragionevole dubbio, introdotto nell’art. 533 cod. proc. pen. dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva neanche l’eventuale duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ove esse siano emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello, giacché – in ogni caso – la Corte è chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di ess imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, COGNOME, Rv. 270519 – 01; Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600 – 01).
Ribadito così il limite di prospettiva della verifica da effettuarsi in sede d legittimità, occorre osservare che contrasta con le deduzioni del ricorrente l’accurata, congrua e non illogica – come tale, incensurabile – disamina svolta dai giudici di appello in merito all’individuazione e all’identificazione di COGNOME quale autore dell’omicidio.
Oltre al pedinamento elettronico, alfine risultato completo dalle primissime
ore del mattino del 24.06.2017 (quando l’imputato aveva lasciato la sua abitazione di Falerna) sino alla fase di recupero della moto in avaria, con l’emersione di elementi di identità ritenuti pienamente affidanti fra il motociclist killer e l’imputato, riconosciuto dagli operanti in alcuna delle immagini della serie esaminata, con susseguente validazione giudiziale (ciò, con riferimento all’immagine restituita dalla telecamera di fonte NOME: v. pag. 9 della sentenza di primo grado), e alla coerenza di tali dati con quelli scaturenti dalla geolocalizzazione del suo telefono cellulare, sono stati considerati in modo razionale anche i solidi, ulteriori elementi di riscontro.
Tali elementi sono costituiti, fra gli altri, dal rinvenimento nel appartenenze di COGNOME del carrello utilizzato per il recupero del motoveicolo finito in avaria nel percorso di fuga dopo l’omicidio e dei foglio adesivi A4 di colore nero, utilizzati per la preparazione della moto per l’azione di fuoco, nonché finanche l’emersione di tracce di adesivo ancora presenti sul motoveicolo quando lo stesso era stato sequestrato nel magazzino di un conoscente dell’imputato (NOME COGNOME) nella località Acquafredda, adesivo analizzato e risultato di tipo acrilico, dello stesso genere dei film adesivi (pellicole wrapping) rinvenute in possesso dell’imputato, risultanze ritenute corroborate dal contenuto della conversazione fra l’imputato e il padre avvenuta in carcere il 15 gennaio 2018, per le implicazioni di natura ammissiva e, anzi, confessoria tratte dall’analisi di questo colloquio da parte dei giudici del merito, nonché nell’altra conversazione, captata il 14 agosto 2017, fra COGNOME, la moglie e NOME COGNOME, esposta come assolutamente confessoria del fatto che era stato lo stesso imputato a bordo della sua autovettura a trainare con il carrello e la sua moto, restata in avaria.
5.2. Infondato e, per alcuni versi, esorbitante nella contestazione di merito si rivela, poi, il rilievo secondo cui, per risolvere il contrasto fra l’acc all’account alla rete internet rilevato alle ore 09:47, con aggancio della cella di INDIRIZZO, che copriva la INDIRIZZO, ove era collocato il garage di NOME COGNOME, e il passaggio dell’auto di quest’ultimo in INDIRIZZO alle ore 09:52:55, si sarebbe data illogica prevalenza al dato relativo al passaggio dell’imputato a bordo dell’autovettura in INDIRIZZO, in quanto si era dato per dimostrato il factum demonstrandum al fine di confutare l’elemento di contrasto costituito dal dato della geolocalizzazione del telefono cellulare.
Invero, il ricorrente pare trascurare il dato processuale costituito dall’autonoma valenza probatoria annessa con adeguata motivazione dai giudici del merito al fatto della certa individuazione della sua autovettura e della sua moto .Bmw enduro, stavolta identificata con la sua vera targa, caricata sul carrello in traino, operata dai giudici del merito quanto al passaggio alle ore 09:52:55 in INDIRIZZO, seguita al passaggio in senso opposto della
stessa autovettura dell’imputato con il carrello ancora vuoto in senso opp alle ore 09.42.52, sicché definire il dato di fatto derivante da tale accert come fatto ancora da dimostrare costituisce affermazione che non merita condivisione.
5.3. Per altro verso – e in tal senso si considera anche l’argomento svolto sul tema dalla difesa nella quarta censura introdotta con il motivo in esame non risulta illogica la spiegazione tecnica data dagli investigatori in merito all’aggiornamento automatico tecnicamente compatibile con l’accesso puntuativo a internet dell’account di COGNOME alle ore 09.47 del 24 giugno 2017, da un luogo a sua volta compatibile con il garage di INDIRIZZO: si tratta di spiegazione tecnica fornita dai giudici del merito con ragionamento radicato nelle risultanze processuali, non illogica e soprattutto non smentita da alcun dato o argomento di spessore prevalente.
La valutazione della descrizione e il commento tecnico dei dati della mappatura del telefono cellulare intestato e in uso esclusivo all’imputato, effettuati nel dibattimento dai testimoni qualificati, sono stati recepiti in modo argomentato anche dai giudici di appello, essendo risultati dimostrati sia lo spostamento dell’apparecchio intorno alle ore 05:12:34, da Falerna, luogo di ubicazione dell’abitazione di COGNOME, alla INDIRIZZO, luogo di ubicazione del garage del medesimo, nella stessa ora, vale a dire alle 05:12:43, in cui l’autovettura dello stesso NOME COGNOME era stata ripresa dalle telecamere mentre percorreva la INDIRIZZO Lamezia Terme, sia il medesimo positioning del cellulare, da quel momento, ore 05:15:00, fino alle ore 10:51:00, momento in cui si registrava il nuovo spostamento dell’apparecchio verso Falerna Marina, dalle ore 10:53:00 fino alle ore 11:24:09; orario in cui il cellulare era rientrato nell’abitazione di Falerna.
In particolare, mutuando con razionale spiegazione il dato valutativo scaturito dall’analisi tecnica, i giudici dei due gradi di merito hanno persuasivamente chiarito che, nella permanenza dell’immutato positioning del telefono cellulare nell’ubicazione corrispondente alla INDIRIZZO, il punto focale delle triangolazione satellitare sul terreno della posizione del telefono cellulare poteva subire minime variazioni, assolutamente non indicative di un suo effettivo spostamento: anzi, a ragioni compatibili con tale situazione, scaturente dall’affidabilità della geolocalizzazione, è stato ricollegato dalle Corti di merito il senso effettivo delle affermazioni dell’imputato nel corso della sua conversazione con il padre, captata e già citata, volta a sollecitare la possibilità di sostenere suoi piccoli spostamenti nella medesima zona, così da individuare un alibi che, in qualche modo, contrastasse il gravemente indiziante dato del recupero della moto da parte sua.
Pertanto, deve concludersi che i giudici di merito hanno raggiunto le indicate conclusioni aderendo a valutazioni, fondate su dati tecnici corretti e non contrastati da elementi, anche di matrice specialistica, di segno contrario, sicché la deduzione del ricorrente sulla supposta carenza di motivazione in merito alle ragioni che hanno determinato la Corte di assise di appello a privilegiare la tesi ora richiamata si rivela priva di fondamento.
5.4. Versato in fatto e volto, nella prospettiva di un soltanto predicato travisamento, a sollecitare un’alternativa interpretazione della risultanza probatoria compiuta, con congrua e logica articolazione, dai giudici di appello è il rilievo introdotto nella terza censura del motivo in esame, con cui la difesa ha stigmatizzato la valorizzazione dell’intercettazione del colloquio fra COGNOME e il padre, captato in carcere in data 15.01.2018, lamentando che non si sia avuta risposta da parte dei giudici di appello alla censura con cui si era dedotta la natura travisante della lettura che al colloquio avevano dato i giudici di primo grado.
È da osservare, in contrario, che la Corte di assise di appello ha analizzato nuovamente il contenuto della captazione e ha spiegato, ripercorrendone i tratti salienti, le ragioni per le quali dalle affermazioni e sollecitazioni formulat dall’imputato al padre si è colta la consapevolezza sia della rilevanza della geolocalizzazione del suo telefono cellulare e della sua persistenza nel garage, nonché della sua prospettazione che, da quel dato, poteva trarsi materia per la costruzione di un alibi (la sua uscita per andare al bar e il suo ritorno nel garage), sempre che però tale versione non venisse poi smentita dalle immagini di una qualche telecamera collocata in zona.
Da questa ricerca di un conforto alla prospettazione della tesi di non essersi mosso dalla zona di collocazione del telefono cellulare i giudici del merito hanno tratto, argomentandone le ragioni, la valutazione della valenza confessoria e comunque ammissiva della necessità per COGNOME di addurre un andamento dei fatti non corrispondente al vero, quindi di un alibi senza basi effettive.
Non si intravede, dunque, alcuna obliterazione del contenuto della prova (il significante), né una interpretazione ictu ()culi illogica del contenuto stesso nell’operazione di estrazione del corrispondente significato.
Posto ciò, non può non ribadirsi che, in tema di intercettazioni, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità, salvo, quindi, il limite della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazi
cui esse sono recepite (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 01; fra le successive, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 01; Sez. 1, n. 54085 del 15/11/2017, Quaranta, Rv. 271640 – 01).
La valutazione dei giudici di appello della suindicata conversazione (come, del resto, di quella del 14.08.2017, pure ritenuta di notevole rilievo) si dispiegata nel binario suindicato, con la conseguente inammissibilità della censura formulata dal ricorrente.
5.5. Eguale approdo deve raggiungersi con riferimento alla quinta censura del motivo oggetto di scrutinio, essendosi, con essa, prospettato il travisamento delle prove dichiarative inerenti alla fase in cui il killer, dopo aver perpetrato l’omicidio, era risalito a bordo della moto e aveva avuto difficoltà nell’accensione del motoveicolo: si era fatto carico ai giudici di primo grado – e, da parte del ricorrente, si replica la censura anche avverso la decisione di secondo grado – di avere sostanzialmente oscurato, con effetto travisante, il contenuto delle testimonianze, in primis quella di NOME COGNOME, che avevano fatto emergere l’azione di spinta sul pedale del motoveicolo da parte dell’assassino in fuga sulla moto, elemento ritenuto di grande rilevanza, in quanto la moto in uso a COGNOME, poi individuata e sequestrata, era dotata soltanto di starter, ossia di sistema di accensione, elettrico, incompatibile con la messa in moto con il sistema a pedale.
Contrariamente alla prospettazione del ricorrente, già il primo giudice aveva affrontato l’argomento segnalando che la deposizione della testimone COGNOME non aveva contenuti sostanzialmente contrastanti con la caratteristica strutturale della moto di COGNOME, posto che ella, discorrendo della spinta da parte del centauro sul pedale, aveva descritto un gesto che il motociclista stava compiendo dal lato opposto – dunque coperto dalla moto – rispetto al punto di vista della dichiarante, quindi nascosto alla sua vista, per cui il gesto descritto era da riferirsi alla duplice progressiva spinta del piede del centauro sull’asfalto, l prima senza esito, la seconda coincisa con l’accensione per inerzia del mezzo. D’altro canto – avevano argomentato i giudici di primo grado – il testimone NOME COGNOME, descrivendo le medesime difficoltà incontrate dal killer nell’accensione della moto, aveva discorso dei tentativi da costui effettuati girando la chiave nel quadro.
A fronte della deduzione critica della difesa di COGNOME, poi, i giudici di appello hanno valutato in termini conformi le risultanze processuali, secondo iter che all’evidenza si profila congruo, frutto di meditata ponderazione del complesso dichiarativo e per nulla travisante.
Sul tema, premessa la puntualizzazione per cui, quando la dialettica processuale sia caratterizzata da una doppia sentenza di merito conforme, il vizio
del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, pu essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado, e nel caso in cui entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155 – 01; Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018 – 01), deve constatarsi che, lungi dall’evidenziare l’omessa considerazione della prova in questione, il ricorrente ha inteso prospettarne una diversa valutazione.
Tale deduzione, però, a fronte dell’adeguata e coerente motivazione offerta, nello scrutinio della medesima prova dalla Corte territoriale, si rivela inammissibile, giacché non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, c contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fat (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623 – 01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362 – 01).
5.6. Parimenti ed evidentemente esorbitante nella non consentita rivalutazione di merito risulta la critica difensiva della dettagliata e linea ricostruzione compiuta dal giudici del merito, sulla base di passaggi logici precisi, effettuati sulla scorta delle testimonianze qualificate che hanno illustrato i corrispondenti dati e hanno esposto la consecutio dei passaggi della moto di COGNOME, dal luogo dell’omicidio a quello, nei pressi di INDIRIZZO di Lamezia Terme, in cui il centauro era stato costretto, per l’avaria della moto, a proseguire a piedi fino a INDIRIZZO, e poi alla susseguente fase di recupero del motoveicolo fra la contrada Quattrocchi e la contrada Zappanotte, mediante l’impiego della sua autovettura con il carrello al traino, fino a ricostruire anche i movimenti dell’imputato a bordo della sua autovettura, sia nelle prime ore del 24 giugno 2017, sia nelle ore successive al recupero del motoveicolo, fino al ritorno di COGNOME nella sua casa di abitazione di Falerna.
La messa in discussione dei tempi per le operazioni di recupero della moto con la sottolineatura del più lungo lasso che avrebbe dovuto impiegarsi per il carico del motoveicolo sul carrello, la sua imbracatura, il camuffamento relativo
al cambiamento della targa e la ripresa della marcia con inversione della direzione, in relazione al tempo dei due passaggi, all’andata (ore 09:42:52) e al ritorno (ore 09:52:55), come ripresi dalla telecamera di INDIRIZZO si scontra con le argomentate valutazioni formulate dalla Corte territoriale sul medesimo punto.
I giudici di appello, infatti, ponderata la velocità plausibilmente mantenuta dall’autovettura, in relazione alla pressante urgenza dell’operazione di recupero, hanno valutato il tempo netto, desumibile dai due passaggi suindicati, del tutto congruo e hanno, poi, ribadito il dato, storicamente insuperabile, costituito dalla constatazione direttamente risultante dalle immagini che, sul carrello di traino, nel corso del ritorno dell’autovettura verso il garage di INDIRIZZO, era collocata certamente la moto di proprietà di COGNOME, come confermava ineludibilmente la targa identificativa del mezzo, che il trasportatore aveva dovuto giocoforza disvelare eliminando quella falsa del camuffamento, siccome ora il mezzo non poteva viaggiare più in incognito, essendo trasportato dall’autovettura.
La censura, pertanto, si esaurisce in una generica, oltre che ottativa, rivalutazione con contenuti di merito delle prove suindicate.
5.7. Non merita considerazione la critica del complessivo ragionamento probatorio nella parte in cui ha valorizzato – nel quadro del complessivo e convergente compendio – l’elemento che la difesa ritiene essere stato impropriamente considerato, come il dato della corrispondenza di fattezze fra il soggetto effigiato nelle immagini, in particolare quelle riprese in INDIRIZZO, e la figura dell’imputato.
Sull’argomento, è da osservare che i giudici di entrambi i gradi di merito hanno valorizzato – non una generica corrispondenza di fattezze, ma – elementi più specifici, relativi anche all’abbigliamento (fino al logo su una delle maniche della maglia), per pervenire all’identificazione.
Inoltre, in via ancor più dirimente, i giudici di appello – con riferimento ad altra susseguente immagine della persona oggetto del continuo pedinamento elettronico, quella ripresa dalla telecamera di fonte NOME – hanno espresso il convincimento, adesivo all’esito delle indagini di polizia giudiziaria, che quello ritratto era COGNOME, giacché ciò era “rilevabile ictu °culi dallo stesso dato fotografico posto a confronto con la visione in aula delle fattezze del giudicabile”; tale riconoscimento viene a essere confermato in prima battuta dalle stesse parole dell’imputato che, nel già citato colloquio con il padre del 15.01.2018, aveva confermato come egli avesse inteso deliberatamente lasciare il suo telefono cellulare presso il garage di INDIRIZZO, in costanza dell’azione criminosa per occultare i suoi spostamenti.
Nella stessa direzione è stata valutata la corrispondenza della moto ritratta nelle immagini con quella in uso all’imputato, anche con riferimento al singolare assetto della marmitta, che il venditore del motoveicolo in possesso del COGNOME, NOME COGNOME, nel generale riconoscimento di compatibilità, aveva evidenziato: si trattava dello scarico costituito da una marmitta “remus”, peculiare per le fascette che la collegavano al telaio, elementi da NOME identificati nella visione dei frames ritraenti la moto usata dal killer.
Va, in tal senso, specificato anche che, sulla base dei dati di fatto analizzati dai giudici di merito, è da annettere valore indiziante all’individuazione derivante dalla comparazione tra immagini su base esclusivamente percettiva, così da legittimare l’efficacia dimostrativa della percezione diretta nei casi in cui, come quello in esame, la sovrapponibilità dei tratti sia stata ritenuta di tale evidenza da non richiedere una specifica analisi antropometrica.
Ammessa la valenza probatoria del riconoscimento su base percettiva, deve conseguentemente escludersi la possibilità di rivisitare in sede di legittimità il corrispondente approdo, che resta riservato all’ambito della valutazione di merito (Sez. 2, n. 42041 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277013 – 01).
Conclusivamente, il ricorso deve essere, nel suo complesso, rigettato.
A tale statuizione consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Questo esito determina i conseguenti effetti in ordine alle statuizioni civili.
Quanto al regolamento delle spese del grado sostenute dalle parti civili mente alla posizione delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, che, con difesa unitaria, hanno svolto attività processuale in questa sede, le stesse vanno poste a carico dell’imputato, anche qui soccombento rispetto all’azione civile proposta nei loro confronti,
Tali spese sono da liquidarsi adeguatamente nella misura complessiva richiesta, pari a euro di euro 10.131,20: la quantificazione viene effettuata secondo la seguente specifica, ex artt. 12 e 16 d.m. 10 marzo 2014, n. 55, come successivamente modificato anche dal d.m. 13 agosto 2022, tenuto conto – in relazione alle voci precisate nella nota – dell’attività svolta, delle questioni trattate e anche del numero di parti unitariamente rappresentate dal patrono).
TABLE
TABLE
Spettano, inoltre, ex art. 2 d.m. n. 55 del 2014, gli accessori di legge, ossia il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15%, oltre all’IVA ed al contributo per la Cassa previdenziale, da computarsi sull’imponibile.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME che liquida in complessivi euro 10.131,20, oltre accessori di legge.
Così deciso il 30 gennaio 2024
Il Presid nte