Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23125 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23125 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1.NOME nato a BISCEGLIE il 05/09/1974
2.COGNOME NOME nato a MOLFETTA il 12/08/1956
avverso la sentenza del 02/10/2023 della CORTE di APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità di entrambi i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 2 ottobre 2023 la Corte d’Appello di Bari confermava la sentenza emessa il 29 gennaio 2020 dal Tribunale di Bari con la quale gli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati dichiarati colpevoli dei reati di ricettazione loro rispettivamente e in vario concorso ascritti e condannati alle pene di legge.
In particolare, per quel che qui interessa, il COGNOME e il COGNOME erano stati dichiarati colpevoli del reato di ricettazione avente ad oggetto
un’autovettura Ford Focus provento di furto, sulla quale era stata apposta una targa anch’essa risultata provento di furto.
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione, con distinti atti, gli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME per il tramite dei rispettivi difensori, chiedendone l’annullamento.
La difesa del COGNOME articolava due motivi di doglianza.
3.1. Con il primo motivo deduceva erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e mancanza di motivazione, con riferimento ai canoni normativi di valutazione della prova indiziaria.
Dopo aver richiamato i principi enucleati dalla Corte di legittimità in materia di valutazione della prova indiziaria, assumeva che la Corte territoriale, con la sentenza impugnata, aveva reso una valutazione della prova in violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. e dei detti principi, avendo ritenuto determinanti due indizi caratterizzati da incertezza: il primo, costituito dal contenuto di due conversazioni fra presenti intervenute all’interno di un’autovettura Audi A6, dal quale era emerso che gli utilizzatori di tale veicolo si erano rivolti a tale “NOME“; il secondo, costituito dall’attribuzione al ricorrente NOME del soprannome “il pelato”.
Assumeva che in realtà i soggetti intercettati non avevano mai menzionato esplicitamente il COGNOME, ma si erano limitati a fare riferimento ad un soggetto di nome “NOME“, attraverso un soprannome o richiamando la sua residenza, e che tali elementi indiziari non erano caratterizzati da sufficiente gravità, precisione e concordanza, tali da poter assurgere a piena prova del fatto che nell’occasione gli interlocutori avessero fatto riferimento proprio al COGNOME.
3.2. Con il secondo motivo deduceva mancanza di motivazione con riguardo all’omessa valutazione delle dichiarazioni rese dall’imputato, lamentando il fatto che, nel corso del giudizio di appello, il COGNOME aveva reso dichiarazioni spontanee affermando di essere proprietario di un veicolo di legittima provenienza in quanto regolarmente acquistato, laddove che la Corte territoriale, con la sentenza impugnata, in violazione del diritto di difesa non aveva fatto alcun riferimento a tali dichiarazioni, le quali, se considerate, avrebbero consentito di chiarire la posizione del ricorrente posizione rispetto alle accuse mosse.
La difesa del COGNOME articolava due motivi di doglianza.
4.1. Con il primo motivo deduceva erronea applicazione degli artt. 110 e 648 cod. pen., inosservanza degli artt. 192, 533 e 546, lett. e), cod. proc. pen. nonché omessa e contraddittoria motivazione rispetto al devoluto.
Assumeva, in particolare, che la sentenza impugnata non si era confrontata con l’atto di appello, con il quale era stato evidenziato che nessun accertamento era stato compiuto in relazione ai i dati identificativi dell’autovettura Ford Focus oggetto della contestata ricettazione e alla sua provenienza illecita.
Richiamava il contenuto di una conversazione intercorsa tra gli acquirenti (tali COGNOME e COGNOME) della detta vettura (riportato per stralci alle pagi 3 e 4 del ricorso), assumendo che tale contenuto – dal quale in ogni caso non emergevano elementi in relazione alla specifica posizione del ricorrente COGNOME consentiva di ipotizzare i reati di truffa o di appropriazione indebita di autovetture noleggiate in Germania e quindi condotte a Bari, e non anche il contestato reato di ricettazione.
Deduceva che la Corte d’appello non si era confrontata con tale contenuto e che aveva illogicamente attribuito al COGNOME la condotta contestata facendo, del tutto incongruamente, riferimento alla “affermazione dell’Anaclerio di aver chiesto a NOME di procurargli le ruote di una Golf serie 7″.
4.2. Con il secondo motivo deduceva violazione di legge ed omessa motivazione con riferimento agli artt. 53, 58 e 56 della legge n. 689 del 1981, con riferimento alla richiesta subordinata di applicazione della pena sostitutiva della detezione domiciliare, nonché omessa motivazione con riferimento ai motivi devoluti con l’atto di appello in relazione al trattamento sanzionatorio.
Assumeva al riguardo che la Corte territoriale, nel rigettare la richiesta di applicazione della pena sostitutiva, non aveva tenuto conto della risalenza nel tempo dei precedenti penali a carico dell’imputato, dell’età avanzata dello stesso e del valore della vettura oggetto del giudizio, omettendo dunque di effettuare una completa valutazione del caso concreto, ciò che era imposto dal tenore dell’art. 58 su citato, che richiamava i criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
Deduceva inoltre che la motivazione risultava apodittica in punto di diniego delle invocate circostanze attenuanti generiche, in quanto concretatasi in un mero richiamo ai precedenti penali dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Si esamina dapprima il ricorso proposto nell’interesse del COGNOME.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile.
Il motivo è teso a sollecitare una diversa lettura degli elementi di fatto – in particolare del contenuto delle conversazioni intercettate – posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito ed è inammissibile in questa sede, essendo stato comunque l’obbligo di motivazione esaustivamente soddisfatto nella sentenza impugnata con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazion pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno dell’affermazione di responsabilità.
Nel caso in esame, il giudice di merito ha ineccepibilmente osservato che la prova della responsabilità del ricorrente si desumeva, oltre che dalla accertata frequentazione fra quest’ultimo e il coimputato COGNOME, dalla sicura identificazione nel ricorrente del soggetto appellato “NOME” dagli acquirenti della vettura oggetto del reato contestato, soggetto che aveva lo stesso nome del ricorrente, che era senza capelli – nel corso delle conversazioni intercettate veniva chiamato “il pelato” – come il ricorrente e, come il ricorrente, abitava nei pressi del bivio per Bisceglie, subito dopo il cavalcavia dello svincolo Bisceglie Ovest sulla strada statale 16 bis lato monte, circostanza quest’ultima ritenuta dai giudici di merito sulla scorta di una conversazione intercettata nel corso della quale uno degli acquirenti della vettura ricettata aveva proferito la seguente frase: “come arrivammo quasi per girare a Bisceglie, la Brava dei Carabinieri stava … Madonna, dissi, non possiamo entrare più. Meno male che là … non ci videro di girare, scendemmo e andammo a casa a quello, quello che ci fece entrare dentro alla casa con la macchina dentro al recinto” (v. pag. 9 della sentenza impugnata). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr., Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944-01; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, lakani, Rv. 216260-01; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074-01; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, COGNOME, Rv. 280601-01).
1.2. Il secondo motivo è del pari manifestamente infondato e pertanto inammissibile in quanto con il medesimo il ricorrente non deduce alcunché in ordine al carattere dirimente o quantomeno alla rilevanza delle dichiarazioni spontanee rese dall’imputato in relazione al percorso motivazionale che caratterizza il provvedimento impugnato.
Va evidenziato in premessa come la Corte territoriale si sia espressamente confrontata con le fondamentali deduzioni difensive e l’omessa specifica valutazione degli altri dati richiamati nel ricorso non configura il vizi denunciato: va ribadito, infatti, che il giudice di appello, in presenza di una “doppia conforme (è il caso di specie) nella motivazione della sentenza, non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593-01; Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260841-01; Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, COGNOME, Rv. 281811-01, non mass. sul punto).
Inoltre, la presenza di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nel provvedimento impugnato, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sull completezza e globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti
disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (cfr., Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227-01; Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267723-01; Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, COGNOME, Rv. 253445-01). Neppure la mancata enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, co riguardo all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione, determina la nullità della sentenza d’appello per mancanza di motivazione, se tali prove non risultano decisive e se il vaglio sulla loro attendibilità possa comunque essere ricavato per relationem dalla lettura della motivazione (cfr., Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 27585301; Sez. 2, n. 26870 del 12/05/2022, COGNOME, non mass.).
Si esamina a questo punto il ricorso depositato nell’interesse del Cuocci.
2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato, e pertanto inammissibile, per le stesse ragioni illustrate in sede di trattazione del primo motivo di ricorso dedotto nell’interesse del COGNOME, in quanto anch’esso teso a una inammissibile rivalutazione nel merito del contenuto delle conversazioni intercettate.
In particolare, la Corte d’appello ha congruamente osservato che la prova della provenienza delittuosa della vettura oggetto del reato e della responsabilità del ricorrente si desumeva, oltre che dalla accertata frequentazione fra quest’ultimo e il coimputato COGNOME dalla conversazione intervenuta in data 26 gennaio 2016, progr. 464 (menzionata a pag. 10 della sentenza impugnata) nel corso della quale gli interlocutori facevano riferimento alla cessione della vettura Ford Focus da parte di “NOME” agli acquirenti COGNOME NOMECOGNOME NOME e NOME Giacomo, affermando espressamente che la vettura era provento di un furto perpetrato in Germania, e ancora da altra conversazione (menzionata per stralcio alla pagina 11 del provvedimento impugnato) dalla quale emergeva che il COGNOME aveva fornito agli acquirenti della vettura specifiche indicazioni relative alla marca, al modello e al fatto che alla stessa era stato tolto lo spoiler.
2.2. Parimenti inammissibile è il secondo motivo, dovendosi ritenere che la Corte d’appello abbia reso una motivazione immune da vizi in relazione al diniego dell’applicazione della invocata pena sostitutiva, con il congruo richiamo ai gravi e specifici precedenti penali dell’imputato (per reati contro il patrimonio, reati in armi e omicidio preterintenzionale), che non consentivano di formulare
una prognosi favorevole sul suo futuro comportamento (cfr., in tema, Sez. 5, n. 39162 del 04/10/2024, Epidendio, Rv. 287062-01, secondo cui, in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, il giudice, in caso di diniego della sostituzione della pena detentiva non può limitarsi a valutare la congruità della pena attraverso i criteri di gravità del fatto e di pericolosità de soggetto, ma è tenuto anche a motivare, in chiave prognostica, le ragioni per cui gli elementi considerati rendono la pena sostitutiva inidonea a raggiungere la finalità rieducativa).
La Corte territoriale ha anche adeguatamente motivato in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla congruità del trattamento sanzionatorio, effettuando un congruo richiamo ai precedenti penali, all’assenza di elementi da valutarsi positivamente per l’imputato e al lieve discostamento della pena applicata dal minimo edittale.
Si deve opportunamente evidenziare che, secondo il consolidato orientamento del Giudice di legittimità, condiviso da questo Collegio, in tema di circostanze, ai fini del diniego della concessione delle cicostanze attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli a ma è sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale rilevanza tenga conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, COGNOME, Rv. 282693-01).
Alla stregua di tali rilievi i ricorsi devono, dunque, essere dichiarati inammissibili; i ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che i ricorrenti versino, ciascuno, la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 11/03/2025