Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25795 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25795 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a San Nicola dell’Altor i l 25/07/1957
avverso la sentenza del 18/04/2024 della Corte d’assise d’appello di Catanzaro
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante dei futili motivi e rigetto nel resto;
udito il difensore, avv. ANOME COGNOME per le parti civili, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso o, in subordine, il rigetto, e ha depositato conclusioni e nota spese;
uditi i difensori, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concludo chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di assise di appello di Catanzaro ha confermato la condanna, nei confronti di NOME COGNOME resa dalla Corte di assise in sede, in data 12 gennaio 2022, alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per la durata di anni tre, in relazione ai reati di duplice omicidio di NOME e NOME COGNOME per aver esploso, utilizzando un fucile, cinque
cartucce cal. 12, caricate a pallettoni, attingendo NOME COGNOME con tre proiettili a carica multipla e il figlio NOME con due proiettili a carica multipla, con le circostanze aggravanti di aver agito per futili motivi e con premeditazione, nonché dei reati di detenzione e porto del fucile utilizzato per commettere il duplice omicidio, oltre alla condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite.
La vicenda processuale attiene al duplice omicidio, verificatosi in data 22 dicembre 2018 in Pallagorio, località cd. Furci, nei pressi della proprietà Raffa, ove militari dei Carabinieri erano stati chiamati ad intervenire a seguito di una telefonata al numero di emergenza 112 da parte di NOME COGNOME il quale si trovava ad una battuta di caccia al cinghiale e che, preoccupato per aver udito spari inconsueti rispetto alla battuta di caccia in corso, aveva allertato, a mezzo di ricetrasmittente, il suo amico, il cacciatore NOME COGNOME il quale gli aveva comunicato di aver sentito un uomo gridare ( COGNOME, COGNOME mi stai ammazzando) oltre al deflagrare di più spari.
1.1. La sentenza di primo grado giunge alla dichiarazione di responsabilità dell’imputato sulla base di plurime risultanze istruttorie, indicate nelle prove dichiarative rese in sede di sommarie informazioni testimoniali ed acquisite in dibattimento, su accordo delle parti, nelle prove documentali e negli esiti di accertamenti tecnici effettuati dal Reparto di Investigazioni Scientifiche (di seguito RIS), nei frames delle telecamere di videosorveglianza ritraenti il luogo teatro del fatto e i luoghi attraversati dall’imputato nel contesto temporale del delitto, nelle prove empiriche, di tipo fonico, effettuate sul luogo ove si erano svolti i fatti, oltre che in base agli esiti delle intercettazioni ambientali, espletate presso la Casa circondariale di Catanzaro, ove l’imputato era stato sottoposto, dopo il duplice omicidio, a custodia cautelare in carcere.
Il movente, nella prima sentenza, veniva indicato nei cattivi rapporti intercorrenti tra vicini, i COGNOME e i COGNOME, a loro volta riconducibili a una questione relativa al furto di un frangizolle, avvenuto diversi anni prima e al rancore, serbato dall’imputato, per la ritenuta scarsa collaborazione del vicino, NOME COGNOME nell’individuazione del colpevole della sottrazione.
I giudici di primo grado avevano valutato la versione difensiva di COGNOME, sentito nelle immediatezze, la notte degli accadimenti, in tre occasioni, nonché interrogato, successivamente, il 26 luglio 2019 e, infine, in data 12 gennaio 2022 quando aveva reso spontanee dichiarazioni.
La sentenza di primo grado espone la tesi difensiva secondo la quale non vi erano dissapori con le vittime alle quali, anzi, COGNOME aveva concesso in uso gratuito i terreni per il pascolo degli animali e anche con altre persone, in particolare con il COGNOME che, invece, è stato indicato dall’imputato come suo aggressore.
COGNOME, in merito ai suoi spostamenti, nel giorno del duplice delitto, aveva dichiarato di essere tornato nella mattinata da Strongoli, dopo aver fatto rifornimento di carburante alla propria vettura, di essersi fermato dal cognato che aveva aiutato a fare legna, riparando una motosega che aveva lubrificato, sporcandosi la maglia (in quel frangente era stato avvistato da un maresciallo dei Carabinieri). COGNOME, inoltre, aveva dichiarato di aver fatto rientro a casa ove, nel frattempo, era sopraggiunto il nipote, NOME COGNOME al quale aveva chiesto di spostare la propria vettura in garage . L’imputato , quindi, aveva dichiarato che, avendo la maglia sporca di olio lubrificante, era intervenuta sua moglie che l’aveva ripulita, negando che i vestiti fossero stati lavati e affermando, poi, che, una volta tornato a casa, si era lavato e che, precedentemente, aveva maneggiato del concime per le piante di ulivo e si era occupato di lavori di pitturazione su una porta zincata.
La sentenza di primo grado ha reputato sufficienti a provare l ‘ attività di sparo da parte dell’imputato, residui di particelle ternarie rinvenuti su parti significative del corpo di COGNOME, anche se non nella cavità del naso e delle orecchie, accompagnati dalla presenza di ulteriori particelle, sempre ritenute peculiari dello sparo, rinvenute nell’abitacolo della sua autovettura.
La presenza di tali particelle, unita alle registrazioni delle telecamere di videosorveglianza, erano stati reputati elementi che, secondo i giudici di primo grado, avevano smentito la versione difensiva secondo la quale era stato il nipote di COGNOME, NOME COGNOME, a spostare la sua autovettura Fiat Panda, collocandola nel garage . Si è trattato, secondo i giudici di primo grado, di una dichiarazione tesa a giustificare la riscontrata contaminazione dell’autovettura con particelle significative di attività di sparo, posto che COGNOME aveva dichiarato di essere stato a caccia proprio quella mattina.
Gli esiti di tali accertamenti avevano, altresì, consentito di screditare la dichiarazione della moglie dell’imputat o secondo la quale vi era stata contaminazione dell’abitazione di Lerose, ad opera degli stessi militari operanti, i quali avrebbero fatto irruzione nell’appartamento sprovvisti di camici e guanti, immediatamente dopo avere effettuato il sopralluogo sul luogo del delitto.
Inoltre, si segnalava che, dai verbali di polizia giudiziaria, era risultato che i vestiti di Lerose emanavano un forte odore di detersivo e che, comunque, la moglie dell’imputato aveva affermato di aver strofinato la maglia allo scopo di rimuovere una macchia di grasso. Dunque, le testimonianze della COGNOME e di COGNOME venivano reputate false (con trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica competente in relazione all’art. 372 cod. pen.) e quella del cacciatore NOME COGNOME veniva considerata attendibile e credibile quanto al contenuto delle frasi da questo udite durante l’esecuzione dell’omicidio .
Venivano posti a carico dell’im putato anche gli accertamenti anagrafici, effettuati nei tre comuni limitrofi alla zona del duplice delitto e i controlli effettuati sui telefoni cellulari degli interessati da cui si accertava l’assenza, nelle rubriche telefoniche analizzate, di altri soggetti con il nome NOME o NOME.
Si reputava, infine, sussistente la circostanza aggravante dei futili motivi oltre a quella della premeditazione, ravvisabile nella pianificazione dell’agguato, nel transito che l’imputato aveva effettuato dal tabacchino del paese per l’acquisto di un pacchetto di sigarette (anche se non fumava più), condotta tenuta, secondo la sentenza di primo grado, allo scopo di far registrare la sua presenza in paese, come si era desunto dalla registrazione dei colloqui captati in carcere.
1.2. La Corte territoriale, dopo aver svolto perizia, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., nonché integrazione della perizia con riferimento ai dati dei prelievi stub presenti in atti, al fine di accertare se le tracce di residui di sparo, rinvenute nell’autovettura dell’imputato e sui suoi indumenti , potessero essere frutto di contaminazione da parte dell’operatore, è giunta alla conclusione di escludere che eventuali tracce di fertilizzanti, contenenti bario, antimonio e piombo, potessero essere confuse con GSR, ovvero residui dello sparo.
La Corte territoriale si è espressa, inoltre, circa il rispetto delle best practices nelle operazioni di prelievo e conservazione del materiale repertato da parte della polizia giudiziaria, affrontando il tema del l’incidenza del fattore temporale sulla persistenza di residui dello sparo (indicato dal perito come pari a circa quattro ore dal momento dello sparo, esteso a sei ore in considerazione di altri fattori, spiegati dal tecnico: cfr. p. 37 e ss. della sentenza di secondo grado), concludendo per tale integrale rispetto, quanto al prelievo relativo alla persona dell’imputato, escludendo, invece, l’ osservanza integrale dei protocolli quanto al prelievo effettuato sull’autovettura di Lerose.
Infine, la Corte territoriale rende conto degli esiti degli accertamenti integrativi -analisi cd. di secondo livello sugli stub – in base ai quali si era giunti ad escludere la contaminazione da parte degli operatori di polizia giudiziaria che avevano svolto gli accertamenti presso l’appartamento dell’imputato, quanto ai prelievi eseguiti sulla persona, sui vestiti e sull ‘ autovettura di Lerose.
Da ultimo, si valorizza, da parte dei Giudici di secondo grado, la compatibilità delle particelle dei residui dello sparo rilevati, con i bossoli repertati sulla scena del duplice delitto, come da accertamenti disposti in sede di integrazione di perizia.
Dopo aver esplicitato le ragioni per le quali la perizia è stata ritenuta attendibile, quanto ai risultati acclarati, la sentenza ha confutato l’alibi fornito la COGNOME, ha escluso l’attendibilità della versione del teste a discarico, NOME
COGNOME, quanto alla possibile contaminazione dell ‘ automobile dell’imputato con particelle di polvere da sparo dovute al fatto che il medesimo COGNOME era appena tornato dalla caccia, ha escluso la superficialità delle indagini sin dal momento della scoperta della notizia criminis da parte dei militari operanti intervenuti presso l’abitazione di Lerose .
I Giudici di secondo grado, poi, si sono soffermati sulla rilevanza della frase riferita dal teste Benevento nelle immediatezze e da questi sentita nel luogo prossimo ove si trovava quel giorno ( Annunziato mi stai ammazzando) , sull’attendibilità dell ‘accertamento fonico , di cui rende conto anche la sentenza di primo grado, in base al quale si è concluso per la piena attendibilità del teste.
Infine, la sentenza di secondo grado, quanto al movente, ha segnalato che tutti i soggetti escussi al dibattimento o a sommarie informazioni, avevano riferito dei pessimi rapporti tra vicini, eccetto la moglie, il cognato e il nipote dell’imputato, rendendo questi una versione considerata puramente solidaristica e risultata non rispondente al vero. Invece, tutti i soggetti esaminati hanno ricondotto le motivazioni della rottura di tali rapporti, all’episodio del furto di un frangizolle, patito da Lerose, in relazione al quale secondo l’imputato, COGNOME non si sarebbe mostrato collaborativo nella ricerca dell’autore del fatto.
La pronuncia impugnata ha confermato la sussistenza della premeditazione, tenendo conto che l’imputato si era appositamente dotato di fucile, poi utilizzato per eseguire il duplice omicidio, pur non essendo detentore di armi ma, anzi, attinto da divieto prefettizio, predisposizione di un mezzo che sicuramente escludeva l’insorgenza in modo improvviso del proposito criminoso. La Corte territoriale ha, inoltre, considerato la scelta del luogo individuato per commettere l’azione, sito che, per vie di accesso e vegetazione, era isolato e coperto alla vista dei passanti, nonché la scelta di un percorso che garantisse anonimato e segretezza dell’azione, segnalando, altresì, la successiva presentazione al tabaccaio del posto, benché l’imputato non fumasse, al solo fine di attestare da parte sua lo svolgimento di una consueta giornata lavorativa. Per tali ragioni, si è reputata dimostrata un ‘ evidente pianificazione delle modalità di esecuzione del duplice omicidio, comunque, messo a segno attraverso quello che, per i giudici di merito, è stato un vero e proprio agguato, così come è stata confermata la sussistenza della circostanza aggravante dei futili motivi. Tanto, valorizzando il rancore, nutrito dall’imputato, nascente da una circostanza di fatto banale e, anzi, del tutto irrilevante, quale l ‘ asserita mancata collaborazione ai fini della individuazione dell’autore di un furto subito dallo stesso imputato diverso tempo prima dell’accaduto.
Propone tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidando le proprie doglianze a otto motivi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 350, comma 2, 6, 97, comma 4, cod. proc. pen.
La Corte territoriale fa riferimento alle dichiarazioni rese dall’imputato nell’immediatezza del fatto, nella notte tra il 22 e il 23 dicembre 2018, al successivo interrogatorio del 26 luglio 2019 e alle spontanee dichiarazioni del 12 gennaio 2022.
Immediatamente dopo la telefonata effettuata da COGNOME, dopo l’evento omicidiario, con la quale era stato riferito che altro cacciatore, Benevento, aveva sentito la frase ‘ Nunziato mi sta ammazzando ‘ Lerose era già indagato per il duplice omicidio. Infatti, si sostiene che i Carabinieri erano stati sollecitati, già dalla descritta telefonata, avendo COGNOME indicato immediatamente il Nunziato della frase sentita dal testimone nel Lerose. Tanto che già nella sera del giorno dei fatti, Lerose era stato prelevato presso l’abitazione e accompagnato in Caserma dalla quale era uscito soltanto il giorno dopo.
Tutti gli interrogatori sono, dunque, inutilizzabili ai sensi dell’art, 350, comma 6, cod. proc. pen. mentre questi sono stati presi in considerazione nella sentenza impugnata.
Anche lo stesso prelievo stub è stato effettuato senza la presenza del difensore.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione in relazione alle opposte risultanze probatorie.
La Corte territoriale sostiene che il movente è da ricercare nel furto di un frangizolle. Si tratta di affermazioni che non trovano conferma nelle prove acquisite e nelle risultanze processuali.
Il furto del frangizolle, poi rinvenuto dopo pochi giorni, è avvenuto nel 2013 o 2014, come segnalato con apposita memoria difensiva depositata alla Corte territoriale, alla quale risultano allegati dei rilievi fotografici che ritraggono due frangizolle, gli unici riportati nel libretto aziendale di Lerose , nell’anno 2021.
La Corte territoriale, invece, fa discendere la rottura dei rapporti tra l’imputato e la famiglia delle vittime, dal furto del frangizolle.
Tanto, dunque, diversamente dalle risultanze processuali e dal fatto emerso della collaborazione offerta da NOME COGNOME Questi, anzi, era stato colui che aveva riferito all’imputato che la sera prima del furto era transitato un pickup di colore bianco.
Dunque, si sostiene che sette testi hanno riferito fatti incompatibili con la pretesa sussistenza dell’ inimicizia dell’imputato con i Raffa, tutti riconducibili agli anni 2017 -2018, come da stralcio delle deposizioni, riportate a p. 4 e ss. del ricorso e ivi commentate, rese da NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
La difesa assume che i testimoni indicati hanno riferito episodi, relativi al periodo 2017 -2018, di rapporti e dialoghi tra i componenti della famiglia NOME e l’imputato. Sicché la pretesa inimicizia, dovuta alla mancata collaborazione per il ritrovamento del frangizolle, come da memoria difensiva depositata alla Corte territoriale, è circostanza indicata dal ricorrente come smentita da tali dati processuali. Su tale memoria e circa le deduzioni ivi svolte, alcuna motivazione, anzi, sarebbe stata resa dai giudici di appello.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione sugli esperimenti vocali svolti dai Carabinieri e dalla difesa.
I militari, effettuato l’ esperimento, hanno concluso nel senso che l’invocazione di aiuto, dal luogo in cui si trovava il cacciatore, NOME COGNOME al luogo dell’esecuzione del duplice omicidio (pari circa a un chilometro), era stata udita.
La difesa, attraverso il consulente tecnico di parte, ha acclarato, invece, che le parole urlate, nel corso dell’espletamento dell’esperimento, ponendo le mani a imbuto intorno alla bocca e gridando, si erano sentite ma che una delle frasi pronunciate non era stata udita e che, comunque, l’esperimento era inficiato dal fatto che si conosceva già la parola o la frase che chi parlava nel corso dell’esperimento (avv. COGNOME) avrebbe urlato.
Si evidenzia, poi, che Benevento ha reso tre dichiarazioni ai Carabinieri cambiando, ogni volta, il contenuto della frase che avrebbe udito. Questi in udienza, poi, a seguito di contestazioni del pubblico ministero, ha riferito di aver sentito ‘ Nunziato mi stai ammazzando ‘ pronunciata in italiano senza riferirla nella lingua dialettale, come richiesto dal presidente del Collegio.
Inoltre, il teste, nella prima dichiarazione, aveva affermato di aver riconosciuto la voce di NOME COGNOME ma, una volta acquisito il dato autoptico, in base al quale era risultato che la vittima era stata uccisa sul colpo, Benevento successivamente, sempre ai Carabinieri, aveva affermato trattarsi della voce del figlio NOME.
Si segnala, inoltre, che NOME COGNOME è stato attinto da tre proiettili ed è immediatamente deceduto mentre era al posto di guida e che NOME COGNOME è stato attinto da alcuni pallettoni mentre era ancora seduto nel veicolo, uno dei quali gli aveva spaccato il femore sinistro. Sicché, a parere del ricorrente, non sarebbe plausibile che quest ‘ultimo , una volta colpito e nelle condizioni in cui si trovava in quel momento, avesse avuto la forza di reggersi in piedi, portare le mani alla bocca e gridare a squarciagola la frase asseritamente udita da Benevento.
Tanto, considerato anche, che per comune esperienza, a circa un chilometro di distanza, nessuno è in grado di udire parole o frasi e che, comunque, la
vittima si trovava all’interno dell’autoveicolo, era caduta al suolo subito dopo essere scesa dall’auto per essere stata colpita anche al braccio sinistro.
Infine, si segnala che la frase riferita dal teste, dal suo contenuto, non è un’invocazione di aiuto ma si rivolge a chi sta sparando e, dunque, non può essere stata urlata a squarciagola come è invece avvenuto nell’esperimento.
Da ultimo, si segnala che l’ordinanza cautelare è stata emessa solo a seguito del l’acquisizione degli esiti degli stube e che i Carabinieri hanno eseguito un esperimento giudiziale senza ordinanza del Giudice e senza la presenza delle parti, in violazione dell’art. 210 cod. proc. pen., con risultati quindi inutilizzabili (si richiama precedente di legittimità indicato come in termini n. 4704 del 8/01/2014).
2.4. Con il quarto motivo si denuncia omessa motivazione quanto al tardivo reperimento del cellulare di NOME COGNOME e sui mancati accertamenti su tale supporto.
Si deduce che il telefono cellulare della vittima era stato rinvenuto il 24 ottobre 2019, fatto del quale è stata informata la Procura della Repubblica soltanto il 17 novembre 2019 e senza sottoporre il telefono a esami o verifiche.
Nel corso del giudizio di merito è emerso soltanto che non vi erano comunicazioni utili tra le utenze dell’imputato e Raffa o risultanze investigative ritenute di rilievo per la vicenda omicidiaria.
Si segnala, invece, la necessità di procedere a perizia onde valutare se, dopo il 22 dicembre 2018, vi fossero stati interventi di manipolazione sul cellulare. Si rileva, inoltre, che il telefono è stato rinvenuto all’interno di un capannone, insistente nell’azienda dei Raffa. Quindi un esame sul contenuto del telefono e il recupero di dati cancellati avrebbe potuto assicurare un contributo per l’accertamento dei fatti, diversamente da quanto affermato dal teste di polizia giudiziaria, COGNOME, all’udienza del 9 dicembre 2020.
2.5. Con il quinto motivo si denuncia vizio di motivazione con riferimento alla presunta falsità della deposizione di NOME COGNOME
La Corte territoriale ha ritenuto inattendibile la deposizione del teste basandosi sul presupposto che la vettura del dichiarante era stata immortalata mentre percorreva prima INDIRIZZO in direzione Strongoli, lungo la strada che conduce al cimitero comunale, tra le 12:33 e le 12:34 e, poi, tra le 12:46 e 12:56 del giorno del duplice omicidio, mentre impegnava la stessa strada, nel senso di marcia opposto, nonché attraversare INDIRIZZO nel centro di San Nicola.
Successivamente, si legge che i fotogrammi avevano ritratto la vettura percorrere alle 14:46 INDIRIZZO in direzione Strongoli, verso l’uscita del paese, lungo la strada che conduce a Monte San Michele che aveva impegnato al ritorno, alle successive ore 15:09.
La Corte territoriale afferma che il teste è inattendibile: pur riconoscendo che l’auto che guidava, intestata al padre, era quella che usava e avendo ammesso di non averla prestata ad alcuno, gli orari del transito, immortalati dalle telecamere, non coincidevano con il suo racconto.
Si deduce che l’abitazione dell’imputato è posta al civico nINDIRIZZO di INDIRIZZO e quella della madre di NOME COGNOME, NOME COGNOME, al civico n. 75 della stessa via, concludendo che le due abitazioni sono tra loro confinanti. Si tratta di immobili attigui come risulta dalla riproduzione al catasto e dalla georeferenziazione del fabbricato su ortofoto, come da allegati al ricorso (cfr. p. 11 e ss.).
Quindi, a parere del ricorrente, non è condivisibile la conclusione della Corte territoriale, secondo la quale, quando il teste ha affermato di aver spostato la macchina Fiat Panda dello zio, da INDIRIZZO ove era parcheggiata al garage , sarebbe falsa la dichiarazione in virtù della presenza di registrazioni di telecamere che riprenderebbero il teste lontano dall’abitazione materna. Russano, alle 10:57 (orario reale, 11:16) viene ripreso dalla telecamera tabacchi -parcheggio, a bordo della Fiat Punto di colore grigio di proprietà di suo padre, ma utilizzata dallo stesso teste.
L’immagine di seguito raffigurata lo ritrae al INDIRIZZO nei pressi del tabacchino INDIRIZZO, direzione INDIRIZZO verso l’abitazione propria, al n. 75, ma anche di quella dello zio, perché sita nella medesima via, al n. 73 (come quella della nonna, sita al n. 71).
Il teste ha dichiarato di aver ricevuto dallo zio una telefonata, intorno a 12:00, telefonata che interviene all’orario esatto delle 12:13, come emerge da p. 10 dei tabulati telefonici acquisiti al fascicolo processuale.
Tale circostanza viene indicata dalla difesa come riscontro probatorio confermato dall’aggancio delle due utenze, di zio e nipote, alla medesima cella telefonica, come emerge dalla consultazione del traffico radio mobile dell’utenza intestata all’imputato.
Il teste ha dichiarato di aver messo la macchina dello zio all’interno del garage , di avergli fatto vedere la beccaccia appena cacciata, di aver ricevuto dallo zio una bottiglia di vino nuovo e di essersi, poi, allontanato.
Infine, il teste ha ribadito di ricordare di essere uscito alle 14:30 e alle ore 16:30 per recarsi a Crotone, la prima volta per fumare una sigaretta.
Si tratta di affermazione omessa dalla Corte territoriale; quindi, non corrisponde a verità la circostanza secondo la quale la fonte non ha saputo offrire alcuna giustificazione dopo le contestazioni del Pubblico ministero. Lo stesso teste, invece, ha giustificato lo spostamento dalla casa materna adducendo che era uscito a fumare una sigaretta. Infatti, risulta che il teste, a bordo della sua autovettura, è partito dalla casa materna per transitare dopo 200 metri, da INDIRIZZO
COGNOME ripreso dalla telecamera alle 12:33, come raffigurato nelle immagini allegate a p. 18 e ss. del ricorso.
La circostanza degli spostamenti che sono stati segnalati dalla Corte territoriale non è stata mai esclusa dal teste il quale, alla domanda del Pubblico ministero su tale circostanza, ha indicato questi passaggi come probabili. Peraltro, è giustificato che la testimonianza non sia stata precisa perché resa a distanza di tre anni dal verificarsi dei fatti e, quindi, sarebbe stato impossibile ricordare l’orario preciso (delle 12:13) in cui il teste aveva ricevuto la telefonata, nonché quello delle ore 12:33, momento in cui era stato ripreso dalla telecamera COGNOME
Sono trascorsi, infatti, venti minuti durante i quali è credibile lo svolgimento dell’attività raccontata dal teste (consistita nell’aver spostato la macchina dello zio, averla riposta all’interno del garage , avergli mostrato la beccaccia e aver rinvenuto la piuma del pennino del pittore, aver ricevuto e preso una bottiglia di vino nuovo, per poi essersi allontanato dal garage ).
Non è vero, quindi, che vi sono registrazioni delle telecamere che attestano la presenza del teste altrove già dalle 12:33. Il teste ha riferito di deve spostato la macchina dello zio intorno a 12:00, orario approssimativo perché questi non poteva ricordarsi, a tre anni di distanza, l’ora precisa in cui aveva ricevuto la telefonata e l’orario in cui aveva spostato l’auto.
Quindi, non è fondata la ricostruzione elaborata dalla Corte territoriale secondo la quale Russano, dalle 12:33 alle 12:56, non si trovava presso l’abitazione materna, in contrasto con quanto riferito nel corso della sua deposizione.
In definitiva, la difesa assume che non esiste alcun contrasto perché il teste ha indicato l’orario delle ore 12:00, per intendere intorno alle 12:00 a nulla rilevando quanto effettuato dalle 12:33 alle 12:56. Tra l’abitazione della madre e INDIRIZZO, cioè nel punto dove è installata una telecamera, vi è una distanza di circa cento metri, percorribili in auto in pochi secondi, di qui la piena attendibilità della deposizione del teste.
2.6. Con il sesto motivo si denuncia erronea applicazione della circostanza aggravante dei futili motivi.
Se si considera che il furto di frangizolle di scarso valore è avvenuto cinque anni prima dell’evento omicidiario e che ben sette testi hanno riferito che il ricorrente e NOME COGNOME si parlavano regolarmente, negli anni 2017 – 2018, non si possono asserire futili motivi della presunta condotta.
Anzi, il motivo, indicato dalla Corte territoriale come futile, è, in realtà, inesistente.
2.7. Con il settimo motivo si denuncia vizio di motivazione quanto alla asserita falsità della deposizione della moglie dell’imputato, NOME COGNOME.
La Corte territoriale in relazione a tale deposizione ritiene che la teste abbia ripetutamente negato che, con i vicini, si fossero interrotti i rapporti. Inoltre, i Giudici di secondo grado hanno ritenuto che la teste avesse palesemente mentito insinuando che la sera del duplice delitto i Carabinieri, fatta irruzione in casa, non avevano attuato alcun protocollo o utilizzato dispositivi atti a non contaminare l’ambiente.
Secondo la Corte territoriale, la testimonianza sarebbe falsa in quanto la donna era uscita di casa, recandosi alla locale guardia medica, circostanza in contraddizione con quanto riferito, in sede di sommarie informazioni testimoniali, il 23 dicembre 2018, quando aveva affermato di essere rimasta in casa.
Nella sentenza di primo grado, tuttavia, si riporta la giustificazione addotta dalla teste in merito alle ragioni per le quali aveva dimenticato di esplicitare che, nel pomeriggio, era uscita.
Secondo la Corte d’appello, la teste avrebbe mentito in ordine ai rapporti con i vicini per non aver saputo datare da quanto tempo le famiglie non si incontravano più. Sul punto, secondo la difesa occorre prendere in considerazione il complesso dell’istruttoria dalla quale emerge che la teste riferisce che i rapporti tra le due famiglie erano di stima reciproca, perché si tratta di confinanti, anche se non andavano a ‘ mangiare la pizza insieme ‘. A l contrario di quanto asserito dalla Corte territoriale, la teste ha affermato che non li vedeva più da una quindicina di giorni perché la strada era interrotta.
Con riferimento al costo delle sigarette si assume che la teste ne conosceva il prezzo, come emerge dall’istruttoria dibattimentale e circa le circostanze del sopralluogo effettuate dai Carabinieri riferite dalla donna, si precisa che dall’esame del teste di polizia giudiziaria Lena non risulta che tutto il personale, entrato in casa dell’imputato, indossava guanti e camici, quindi, la falsa testimonianza su questo tema non sussiste.
Peraltro, non si comprende come mai l ‘ altro teste, NOME COGNOME che è stato palesemente reticente in ordine ai motivi per cui costrinse l’imputato a fermarsi per chiarire alcune divergenze, come dichiarato agli agenti di polizia in ospedale, senza dare alcuna giustificazione del contrario affermato nell’immediatezza, nonché su altre circostanze, è stato, invece, ritenuto teste veritiero.
2.8. Con l’ottavo motivo si chiede l’annullamento della sentenza per violazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 125 comma 3, 192 comma 2, 546 cod. proc. pen. con particolare riferimento agli artt. 81, 575, 577 n 3 e 4 cod. pen. e 2, 4, 7 legge n. 895 del 1967.
Secondo la sentenza di secondo grado, nelle attività di prelievo relativamente all’esecuzione dello stub risultano ‘ sostanzialmente ‘ rispettate le best practices forensi, come ritenuto dal perito. La stessa Corte di appello però si
esprime nel senso che l’esperto non giunge alla stessa conclusione con riferimento al prelievo effettuato sulla Fiat Panda intestata ed in uso all’imputato.
Dalla lettura del verbale dell’esecuzione della procedura, infatti, non si ha contezza di un cambio totale di DPI, nonché dell ‘ esecuzione del preliminare cd. stub bianco, di controllo relativo all’operatore.
Del pari, sono indicate come non rispettate le best practices forensi anche per quanto riguarda i prelievi sugli abiti utilizzati dall’imputato.
Ciononostante, il perito e, di conseguenza, la sentenza escludono che vi sia stato un transfer secondario attivo da parte dell’operatore, cioè che questi abbia, accidentalmente, contaminato gli indumenti.
Dunque, il perito, da una parte, afferma che non sono stati rispettati i protocolli dall’altra però conclude per la verosimiglianza dell’esito dell’accertamento scientifico.
Diversamente, la difesa aveva sostenuto che i risultati dello stub non potevano essere considerati attendibili perché erano decorse quattro ore dallo sparo, al momento in cui era stato effettuato il prelievo.
Su questa deduzione, si osserva che la sentenza risponde solo apparentemente. Si assume che il dato di attendibilità può essere spostato da quattro a sei ore, ma senza dare conto della contrarietà del risultato rispetto a quanto sostenuto dalla letteratura scientifica segnalata con l’atto di appello.
Ancora, secondo il ricorrente, la sentenza non risponde al dato di riscontro oggettivo di carattere negativo con il quale si evidenziava che il riscontro alla ricostruzione denotante l’assenza di attività di fuoco è dato dal rinvenimento di un bossolo vuoto, di tipo e marca diversi, nella disponibilità dell’imputato rispetto a quelli utilizzati dagli sparatori. Si tratta di dato irrilevante perché dall’esame dei RIS è emerso che la cartuccia non è stata certamente sparata dal fucile utilizzato per gli omicidi.
Si assume che la ricostruzione peritale è fallace, circostanza che, però, la sentenza omette di considerare rendendo una ricostruzione illogica.
La pronuncia non terrebbe conto che lo stesso perito, attraverso una ricostruzione soggettiva, ha concluso per la verosimiglianza del risultato funzionale alla responsabilità penale del ricorrente; tuttavia, il mancato rispetto dei protocolli elaborati dalle più autorevoli autorità in materia scientifica inficia il risultato raggiunto.
Del resto, il ragionamento svolto non consente di superare il ragionevole dubbio, regola di giudizio che impone al giudice il ricorso a un metodo di verifica dell’ipotesi accusatoria secondo il criterio del dubbio; con la conseguenza che il giudicante deve effettuare detta verifica in modo da scongiurare la sussistenza di dubbi esterni o interni. Diversamente la Corte territoriale ha ritenuto la perizia precisa, dettagliata, immune da contraddizioni nonché in linea con l’accreditata
letteratura scientifica anche con riferimento alla dedotta inattendibilità del prelievo stub .
La difesa ha fatto pervenire tempestiva richiesta di trattazione in pubblica udienza partecipata, ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 11, c ommi 2, lettere a), b), c) e 3 del d.l. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120, richiesta accordata.
All’odierna udienza le parti presenti hanno concluso nel senso precisato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo è inammissibile.
In ordine all’utilizzazione , ai fini della decisione, degli interrogatori dell’imputato si osserva che la sentenza di secondo grado elenca le fonti di prova a carico (v. p. 8), indicandole come fonti esposte nella prima sentenza e tra queste non annovera le dichiarazioni dell’imputato rese negli interrogatori.
L’elenco delle dichiarazioni rese da COGNOME in diverse circostanze è contenuto nella sentenza di secondo grado (v. p. 27) nella quale si illustra, nelle successive pagine, la versione difensiva, ma senza specificare in quale punto questa versione sia stata tratta dagli interrogatori o dalle spontanee dichiarazioni rese dall’imputato nel dibattimento.
In ogni caso, si tratta della versione difensiva che viene riportata anche nei motivi di appello, elencati nella parte iniziale della sentenza impugnata.
La sentenza di primo grado, poi, (v. p. 24) precisa che la versione dell’imputato è stata resa nel corso del primo interrogatorio al Pubblico ministero, con argomenti riproposti in sede di spontanee dichiarazioni all’esito del dibattimento. Dunque, per quanto concerne il contenuto di queste ultime dichiarazioni, non sussistono limiti alla loro utilizzabilità per la decisione (cfr. Sez. 5, n. 2929 del 05/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274588 -01 nel senso che le dichiarazioni spontanee rese ai sensi dell’art. 494 cod. proc. pen., costituiscono normalmente uno strumento di auto -difesa, ma non si può escludere che possano assumere valenza confessoria o comunque contenere elementi di prova a carico dell’imputato, né è precluso al giudice di chiedere all’imputato di precisare o chiarire eventuali contenuti oscuri o scarsamente comprensibili delle sue dichiarazioni, senza che ciò incida sulla piena utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee ai fini della decisione).
Né il rilievo difensivo è specifico perché non precisa quali sarebbero le dichiarazioni, diverse da quelle spontanee rese al dibattimento, tratte dalle prime
dichiarazioni rese dall’imputato senza assistenza del difensore, che sarebbero state indebitamente utilizzate dai giudici di merito ai fini della decisione.
In particolare, circa le dichiarazioni rese alla p olizia giudiziaria dall’imputato, prima ancora di essere sentito dal Pubblico ministero, si tratta, comunque, di affermazioni che non risultano utilizzate, in alcuna parte, dai provvedimenti di merito e che, anzi, sono indicate da quella di appello per illustrare il dato storico che l’imputato era stato sentito più volte, sia dagli investigatori, sia dall’Autorità giudiziaria.
Infine, si deve riscontrare che, ai fini dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, le convergenti sentenze di merito hanno privilegiato altri elementi a carico, rispetto ai quali, peraltro, il ricorrente non svolge la cd. prova di resistenza. Invero, è noto che, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cd. prova di resistenza, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti e ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 26921801; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Calabrese, Rv. 26201101; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 25945201).
Quanto, infine, all ‘ecce zione di inutilizzabilità dell’esame stub , questa è enunciata in modo generico e, comunque, risulta formulata, per la prima volta, in sede di ricorso per cassazione e, dunque, è inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Costa, Rv. 269632; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 5,n. 48416 del 06/10/2014, Dudaev, Rv. 261029; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, COGNOME, Rv. 255940).
In ogni caso, il Collegio osserva che la giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’afferma re il condivisibile principio secondo il quale per il cd. stub , non essendo accertamento tecnico irripetibile, non è richiest o l’avviso alla difesa dell’indagato .
In particolare, si è affermato (Sez. 1, n. 26621 del 07/02/2019, COGNOME, Rv. 276489 -01; Sez. 6, n. 48415 del 14/10/2008, COGNOME, Rv. 242385 -01) che l’analisi spettroscopica sulle particelle di polvere da sparo prelevate a mezzo del cosiddetto stub è un accertamento tecnico ripetibile e, dunque, per la sua esecuzione nel corso delle indagini preliminari non deve essere previamente avvisato il difensore dell’indagato (conf. Sez. 1, n. 15679 del 14/03/2008, COGNOME, Rv. 239616 -01). Infatti, si è specificato che non costituisce attività di accertamento tecnico e, pertanto, non comporta la necessità di intervento
della difesa, il prelievo, pur irripetibile, di frammenti di polvere da sparo, prodromico all’effettuazione di accertamenti tecnici, mentre il successivo accertamento, rappresentato dall’ esame spettroscopico sulle particelle estratte e fissate dal processo di metallizzazione (cd. stub ) è suscettibile di ripetizione senza pregiudizio per la sua attendibilità.
1.2. Il secondo motivo è inammissibile.
La memoria difensiva viene citata nella sentenza di secondo grado -come atto depositato all’esito dell’u dienza del 18 aprile 2024 -e la motivazione (cfr. p. 53 e ss.) rende argomenti che risultano incompatibili, nel loro complesso, con la deduzione difensiva del tempo in cui si colloca il furto del frangizolle e della circostanza che il macchinario, successivamente, era stato ritrovato, così riducendo la sottrazione ad un mero spossessamento temporaneo.
Il Collegio osserva che il primo giudice (v. p. 32 e ss.) scredita del tutto la versione difensiva sul punto e commenta le varie deposizioni, rese in ordine ai rapporti tra le due famiglie coinvolte nei fatti, con ragionamento completo e non manifestamente illogico.
Si evidenzia che i testi COGNOME e NOME COGNOME avevano riferito che l’imputato aveva sospettato che le vittime avessero omesso di fornirgli indicazioni sugli autori del furto del descritto frangizolle, avvenuto anni prima del duplice omicidio, sino a ritenere che proprio i COGNOME fossero stati coinvolti nell’attività illecita. Tanto, anche sulla scorta di quanto riferito da NOME COGNOME circa l’ingresso, nei terreni, di gente sconosciuta a bordo di un pickup in coincidenza con la sottrazione del macchinario. I rapporti tra i due gruppi familiari vengono indicati come interrotti proprio a causa di questo screzio.
Rispetto a tale episodio, invece, i testi a discarico, anche familiari dell’imputato, hanno negato che si fosse trattato di furto affermando che si era verificato un mero spossessamento temporaneo posto che Lerose aveva recuperato, in poco tempo, la disponibilità del bene.
La motivazione dei Giudici di merito, non manifestamente illogica, è nel senso che la versione resa dai testi a discarico non è attendibile ma solidaristica, nell’interesse dell’imputato (v. p. 33 e ss. della sentenza di primo grado).
La sentenza di appello (v. p. 53 e ss.) commenta la questione del movente e, comunque, nella parte iniziale, rende conto diffusamente del contenuto delle deposizioni dei testi e conclude, con ragionamento immune da vizi di ogni tipo, nel senso che solo i familiari di NOME avevano esposto che i rapporti tra le parti erano privi di astio, quindi reputando questa versione dei fatti, nel suo complesso, in contrasto con il contenuto delle altre testimonianze raccolte.
In ogni caso, si osserva che il ricorrente devolve a questa Corte, anche commentando le deposizioni testimoniali non allegate al ricorso integralmente ma riportate solo per stralcio, il riesame delle fonti di prova, operazione non
consentita al giudice di legittimità, senza, comunque, denunciare un ammissibile travisamento delle prove testimoniali utilizzate. Peraltro, ai fini dell’autosufficienza, risultano allegati al ricorso solo i motivi di appello e la memoria difensiva indicata, non anche i verbali di prove testimoniali assunte e che si commentano (cfr. p. 28 del ricorso).
Sul punto, va richiamato il costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale l’esito del giudizio di responsabilità fondato, come nel caso in esame, su motivazione non manifestamente illogica né contraddittoria, non può essere invalidato da prospettazioni alternative del ricorrente, che si risolvano in una rilettura degli elementi posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di diversi parametri di ricostruzione e di valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dai giudici di merito, perché indicati come più plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità probatoria (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, COGNOME, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012, dep. 2013, Cena, Rv. 254226; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, dep. 28/12/2006, Rv. 235507).
2.3. Il terzo motivo è infondato.
La deposizione del teste COGNOME è stata reputata attendibile sulla base di un ragionamento complessivo, immune da illogicità manifesta e convergente, reso dalle due sentenze di merito (v. p. 50 e ss. di quella di appello, v. p. 27 e ss.).
La censura, peraltro, è generica perché non si confronta con due dati ulteriori e convergenti, di cui danno conto i provvedimenti: 1) era stato per primo COGNOME a contattare, tramite ricetrasmittente, Benevento perché aveva sentito degli spari ‘pesanti’ che lo avevano insospettito in quanto non compatibili con la qualità degli spari dei cacciatori intenti nella battuta di caccia in corso; 2) gli esiti del l’accertamento svolto dai Carabinieri circa l’inesistenza, nelle amicizie e conoscenze delle vittime, di altra persona con nome Annunziato o Nunziato.
Peraltro, i giudici di merito segnalano che la stessa prova fonica svolta sui luoghi, in data 4 marzo 2019, secondo il consulente di parte della difesa, escusso al dibattimento, aveva condotto all’ascolto d ella frase urlata nel corso dei rilievi, b enché il fonografo non l’avesse registrata (cfr. p. 28 della sentenza di primo grado).
Il ricorrente sostiene, comunque, che l’ accertamento svolto dai Carabinieri non è attendibile, perché inficiato dalla circostanza che chi ascoltava già conosceva la frase che sarebbe stata pronunciata; inoltre, se ne deduce l’inutilizzabilità perché svolto in assenza delle parti e senza provvedimento autorizzativo dell’Autorità giudiziaria .
Il Collegio osserva che la Corte territoriale ha proceduto a un esame approfondito degli esiti degli esperimenti vocali espletati e ha sostenuto, con ragionamento immune da illogicità manifesta, che la testimonianza di Benevento ha trovato riscontro in detti esiti. Anzi, lo stesso consulente tecnico di parte, in dibattimento, secondo quanto esposto dalla Corte territoriale, ha affermato di aver udito la frase urlata, ancorché non registrata dal fonometro, dunque, in definitiva, percepita dall’orecchio umano alla distanza accertata (di circa 735 metri) dal luogo dell’omicidio, così considerando detto esito di piena conferma della deposizione del teste.
La sentenza impugnata, poi, ha spiegato, con ragionamento immune da vizi di ogni tipo, la percezione da parte di Benevento di una voce urlante e anche l ‘identificazione personale dell’urlatore , come riferito dal teste reputato attendibile, identificazione contestata dal ricorrente con argomenti integralmente versati in fatto e, dunque, non rivalutabili nella presente sede.
La dedotta impossibilità di NOME COGNOME di urlare per essere stato colpito a morte è ricostruzione che non si confronta con i dati di fatto riportati nelle convergenti sentenze di merito, secondo i quali NOME COGNOME era stato colpito alle gambe e solo dopo era stato colpito da un altro colpo, quando era ormai uscito dall’auto vettura, quindi, in grado di emettere un grido prima di spirare.
Infine, quanto al l’eccepita inutilizzabilità dell’esperimento svolto dai Carabinieri, il Collegio condivide l’orientamento di legittimità secondo il quale l’esperimento giudiziale è una prova che deve essere assunta nel contraddittorio delle parti e, pertanto, nella ipotesi in cui sia stato eseguito da una sola parte, i suoi risultati possono essere acquisiti al fascicolo per il dibattimento solo con il consenso delle altre parti (Sez. 1, n. 4704 del 08/01/2014, Adamo, Rv. 259413 -01, fattispecie riguardante materiale filmico e grafico formato dalla difesa e dai suoi consulenti sulla base delle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia con l’intento di dimostrare l’incompatibilità delle loro versioni con lo stato dei luoghi e con dati obiettivi già acquisiti al processo).
Tuttavia, rispetto al complesso degli ulteriori elementi di prova assunti sul punto, cioè gli esiti della deposizione testimoniale del teste COGNOME e della consulenza tecnica di parte su cui si è assunta la testimonianza al dibattimento, non risulta svolta la cd. prova di resistenza, richiamandosi gli argomenti esposti nella parte finale del § 1.1.
1.4. Il quarto motivo è inammissibile.
La richiesta di perizia tecnica relativa al telefono cellulare della vittima si riferisce a dati probatori indicati dal ricorrente soltanto in modo ipotetico e generico; né viene illustrata, puntualmente, la rilevanza della prova che si assume trascurata denunciando, in sostanza, un travisamento per omissione, senza specificare la decisività dell’accertamento istruttorio che sarebbe stato
omesso, peraltro, secondo la stessa prospettazione del ricorrente, dagli esiti incerti e non specificamente indicati.
Va ricordato, innanzitutto, il carattere eccezionale della rinnovazione istruttoria in appello, essendo la relativa decisione rimessa alla discrezionalità del giudice, il quale deve ammetterla soltanto quanto non possa decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266820-01)
È noto, poi, che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Sez. 3, n. 47293 del 28/10/2021, R., Rv. 282633), nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende comunque inammissibile la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attività meramente esplorativa di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente, non sussistendo pertanto, riaspetto ad essa, alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame.
Peraltro, la Corte territoriale ha giustificato con ragionamento sufficiente il mancato espletamento di specifici esami sull’apparecchio, esponendo che, in sede investigativa, non erano emersi elementi tali da reputare utile l’accertamento.
1.5. Il quinto motivo è infondato.
In primo luogo, si osserva che il ricorrente reitera, in massima parte, in punto valutazione di attendibilità della testimonianza di COGNOME, la stessa prospettazione che è stata respinta dalla Corte territoriale con ragionamento immune da illogicità manifesta e completo.
Il dato oggettivo, valorizzato dalla sentenza impugnata, è quello delle riprese delle telecamere. Il teste è indicato come presente, alle ore 12:33, in luogo diverso da quello da lui indicato nelle dichiarazioni testimoniali, secondo la scansione cronologica esposta specificamente dalla Corte territoriale, alla quale, in definitiva, il ricorrente oppone che il ricordo del teste non era stato preciso per il decorso del tempo tra la deposizione e i fatti.
Tale deduzione, però, non si confronta con il fatto che lo stesso teste, come riportato dalle sentenze di merito, risulta aver precisamente indicato, quindi mostrando di conservare, ad onta del tempo trascorso, un nitido ricordo dei fatti, l’ orario in cui si trovava presso il garage dello zio, oltre ad indicare tutti i movimenti svolti in quel frangente.
In secondo luogo, si osserva che il motivo è diretto, in sostanza, ad esporre ragioni per escludere la falsità della testimonianza resa da COGNOME. La sentenza di primo grado, sul punto, ha disposto la trasmissione degli atti al Pubblico ministero p er il reato di cui all’art. 372 cod. pen.
Il primo giudice (v. p. 26 e ss.) ha reputato falsa la deposizione quanto alla guida della vettura da parte del teste appena tornato dalla caccia, la mattina dell’omicidio.
Detta ricostruzione viene considerata funzionale a sostenere l’inquinamento da particelle dello sparo reperite nella vettura Fiat Panda dell ‘imputato, a causa dei residui che lo stesso COGNOME aveva indosso, dopo la battuta di caccia, così trasferitisi sul veicolo.
Secondo il primo giudice la registrazione delle telecamere attesta la presenza altrove di Russano, già alle 12:33, secondo spostamenti che non sono stati riferiti in sede di esame dibattimentale e che sono stati contestati dal Pubblico ministero, quanto alla cronologia degli eventi relativi all’incontro con lo zio narrata dal teste.
Russano alle 12:33 non si trovava presso l’abitazione materna e questa circostanza è stata reputata in contrasto con quanto riferito nel corso dell’istruttoria, quando il teste si era mostrato certo dell’orario (ore 12:30) in cui era stato presso la casa dello zio.
La sentenza di primo grado (v. p. 22 e ss.) evidenzia che le registrazioni del 22 dicembre 2018 avevano immortalato la vettura di Russano percorrere la strada INDIRIZZO in direzione Strongoli, lungo la strada che conduce al cimitero comunale, tra le 12:33 e le 12:34, per poi fare ritorno nella stessa strada, in inverso senso di marcia, alle 12:46. Si fa riferimento anche ad altri spostamenti successivi, rispetto ai quali il teste aveva dichiarato di non ricordare esattamente, comunque, confermando che quella videoregistrata era la sua auto.
La sentenza di secondo grado riporta la stessa motivazione del primo giudice ed evidenzia che secondo la contestazione del Pubblico ministero, il teste nel corso della deposizione si era mostrato sicuro nel sostenere che, alle 12:30, dopo la telefonata ricevuta dallo zio, aveva spostato la sua macchina nel garage .
In ogni caso, a parte gli esiti del procedimento avviato su iniziativa della Corte d’assise, a prescindere da ogni giudizio di merito – non consentito nella presente sede -sulla falsità della deposizione resa, appare comunque adeguatamente motivata la conclusione dell’inattendibilità della deposizione del teste.
La tesi del ricorrente, peraltro, non è precisa perché, da una parte, sostiene che il teste ha reso deposizione circa tre anni dopo gli accadimenti e, quindi, afferma che non poteva ricordare l’orario esatto di quando aveva spostato l’auto dello zio; dall’altr a, rende conto di una deposizione precisa e dettagliata, circa la telefonata ricevuta, le condotte tenute nella mattina che interessa e, soprattutto, circa i movimenti che aveva fatto Russano (posare macchina in garage , mostrare
la beccaccia cacciata, reperire una piuma, ricevere vino) dando quindi conto di dettagli espressione di un ricordo cristallino e preciso degli accadimenti.
Dunque, la motivazione resa è sufficiente e non manifestamente illogica quanto meno nella parte in cui reputa la deposizione -al di là della falsità o meno delle dichiarazioni da accertare aliunde -non attendibile in ordine alla circostanza de ll’avvenuta guida della vettura dello zio, quella mattina, da parte del teste.
1.6. Il sesto motivo è inammissibile.
Si tratta di deduzione integralmente versata in fatto, fondata sulla tesi difensiva diretta a negare l’esistenza di qualsiasi astio o dissapore tra le fam iglie dei vicini Lerose e Raffa che non si confronta con gli esiti istruttori di cui rendono conto le sentenze di merito. Sul punto, invero, la Corte territoriale svolge una motivazione puntuale e immune da vizi di ogni tipo (v. p. 55 e ss.; v. anche p. 33 e ss. della sentenza di primo grado).
La pronuncia di merito fa buon governo dei principi di diritto, affermati da questa Corte di legittimità, in relazione alla circostanza aggravante dei futili motivi. Secondo un primo indirizzo, la sproporzione andrebbe rapportata al parametro costituito dal comune sentire , cioè ad una condivisa percezione della distanza tra reato realizzato e motivo che lo ha determinato, nel senso che il motivo è futile quando esso possa essere ricondotto a qualsiasi causale così lieve, banale e sproporzionata rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa (Sez. 5, n. 38377 del 1/02/2017, COGNOME, Rv. 271115; Sez. 5, n. 41052 del 19/06/2014, COGNOME, Rv. 260360; Sez. 1, n. 39261 del 13/10/2010, COGNOME, Rv. 248832; Sez. 1, n. 59 del 1/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258598).
A tale impostazione, che collega la sussistenza della circostanza aggravante a un incerto parametro di comparazione, di tipo soggettivo, si affianca altro giudizio sulla proporzionalità della condotta criminosa, rispetto al motivo che l’ha determinata, ancorato a un parametro di tipo oggettivo, individuato nelle norme costituzionali e dalla gerarchia che esse, dal punto di vista del valore attribuito agli interessi in gioco, definiscono. Si è, però, notato che tale percorso interpretativo presenta il limite di individuare la futilità del motivo ogni volta che è commesso un grave reato contro la persona. Sicché si è prospettata la necessità che l’accertamento della futilità del motivo si realizzi secondo una scansione bifasica (Sez. 1, n. 16889 del 21/12/2017, dep. 2018, Rv. 273119).
A fronte della rilevata sproporzione tra reato e ragione soggettiva che lo ha determinato, deve essere svolto altro giudizio, per verificare se essa abbia o meno connotato, in maniera particolarmente significativa e pregnante,
l’atteggiamento dell’agente rispetto al reato, giustificando un giudizio di maggiore riprovevolezza e di più accentuata pericolosità nei suoi confronti.
Quindi, al dato oggettivo della sproporzione, tra la ragione soggettiva che ha determinato la condotta criminosa e il reato, concretamente realizzato, si affianca quello soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare la sproporzione quale espressione di un moto interiore, assolutamente ingiustificato, che si traduca in mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale, del tutto avulso da uno scopo che non sia la mera commissione del reato.
Alcuna prospettazione, nel motivo di ricorso formulato, va nella direzione indicata dalla Corte di legittimità con il ragionamento sin qui riportato, limitandosi la censura a segnalare che le risultanze processuali condurrebbero all’inesistenza del movente individuato dai provvedimenti di merito e, dunque, all’impossibilità di considerare sussistente la circostanza aggravante .
Tuttavia, si osserva che le sentenze di merito, in definitiva, indicano il movente nel sentimento di rancore di Lerose, nei confronti delle vittime, rancore attestato dal fatto che i rapporti tra vicini erano irrimediabilmente compromessi, a partire dalla vicenda del furto del frangizolle. Sono descritte le vicende relative a tale furto e a divieti di accesso ai fondi che avevano caratterizzato, nel tempo, i rapporti tra le parti.
L’esistenza di detto rancore avverso la famiglia NOME è attestato, altresì, dalle deposizioni, riportate dalla Corte territoriale, reputate attendibili a fronte delle dichiarazioni dei testi a discarico, di diverso tenore, secondo un ragionamento svolto, dai giudici di merito, in termini di certezza con riferimento al movente.
Non è ostativo, nella specie, per la configurabilità della circostanza aggravante dei motivi futili che il movente del reato sia stato identificato nel sentimento di rancore covato nel tempo dall’imputato, verso i vicini Raffa, trattandosi di movente acclarato con certezza, in assenza di ambiguità probatoria (Sez. 1, n. n. 54074 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 272035 -01; Sez. 1, n. 45326 del 11/11/2008, COGNOME, Rv. 242333 – 01 nel senso che la configurabilità della circostanza aggravante dei motivi abietti o futili occorre che il movente del reato sia identificato con certezza, non potendo l’ambiguità probatoria sul punto ritorcersi in danno dell’imputato).
1.7 Il settimo motivo è inammissibile.
La censura è versata in fatto e tesa alla rilettura delle dichiarazioni della coniuge dell’imputato , escussa come teste, ampiamente commentate nei provvedimenti di merito e considerate non veritiere (v. p. 48 e ss. della sentenza di secondo grado e p. 36 di quella di primo grado).
In ogni caso, si osserva che la censura non è specifica perché non si confronta con le conclusioni cui giunge la Corte territoriale, in base agli esiti delle
intercettazioni captate in carcere , dopo l’esecuzione della misura cautelare a carico dell’imputato, circa il ricostruito tentativo di COGNOME di recuperare un solido alibi.
Le intercettazioni vengono indicate come attestanti colloqui chiaramente svolti dai conversanti nella piena consapevolezza della registrazione in atto e, reputati, con ragionamento immune da illogicità manifesta, funzionali a introdurre temi atti a scagionare l’imputato e a consolidare la versione difensiva.
Si fa riferimento all’uso del concime da parte di COGNOME la mattina del fatto e al tema del fumo e delle sigarette, perché emergono reiterate esortazioni all’imputato a fumare poco e, comunque, a non fumare. Tanto, anche se nel corso del dibattimento la sentenza di secondo grado ha evidenziato essere emerso che COGNOME non fumava da almeno due anni prima dell’omicidio (come riferito dal proprietario del tabacchino del paese, escusso come teste).
Le esortazioni registrate risultano corredate anche da riferimenti alla circostanza che anche la moglie dell’imputato era solita fumare qualche sigaretta, per giunta della stessa marca del pacchetto acquistato dall’imputato poche ore prima del delitto, marca che, però, la moglie dell’imputato, in sede di dibattimento, come segnala la sentenza impugnata, non era riuscita a pronunciare correttamente.
In definitiva, la conclusione cui giungono le sentenze, con ragionamento completo, nel senso che l’imputato, poco prima di commettere il reato, si era recato al tabaccaio nel quale non entrava da tempo, come riferito dal teste COGNOME al solo fine di essere visto in paese per precostituirsi un alibi, è assistita da logicità, linearità ed è aggredita con argomenti versati in fatto, non consentiti nella presente sede.
Infine, anche in ordine alla circostanza relativa ai rapporti con i vicini, è svolto, in sede di merito, un completo esame, comparato rispetto alle altre dichiarazioni testimoniali che ha condotto, quanto meno, a un giudizio lineare di non attendibilità delle dichiarazioni rese della teste, come tale, non rivedibile nella presente sede.
1.8. L’ottavo motivo è infondato.
La sentenza di appello rende conto che, rispetto a due prelievi di campioni, sulla vettura e sugli abiti di Lerose, non era stato dato atto delle operazioni preliminari di verifica con il cd. stub bianco sull’operatore, per entrambi i prelievi, e del cambio dei DPI, per la prima analisi.
Si è specificato che, secondo il perito, le best practices forensi richiedono, per ogni nuova tipologia di rilievo, l’esecuzione d i un’apposita procedura di prelievo, della quale, dal verbale di prelievo sull ‘ autoveicolo, non si aveva contezza, quanto al cambio totale di DPI e circa il preliminare cd. stub bianco relativo all’operatore, comunque concludendo per l’efficacia probatoria
dell’accertamento svolto e dei risultati di laboratorio emersi, considerata la doverosa esecuzione dell’analisi di secondo livello.
Ancora le attività tecniche di rinvenimento e sequestro degli indumenti, indossati dall’imputato, secondo il perito, non erano state svolte secondo le best practices forensi, non risultando, in particolare, eseguito il preliminare stub bianco di controllo relativo all’operatore, prima della formazione dei reperti.
Con integrazione di perizia (v. p. 14 della sentenza di appello e 35) risulta essere stato conferito apposito incarico al tecnico, di procedere ad accertamento diretto a ll’ analisi cd. di secondo livello, in relazione ai dati degli stub in atti, al fine di accertare se le tracce di residui dello sparo, rinvenute nell’autovettura e sugli indumenti dell’imputato, potessero essere state frutto di contaminazione da parte dell’operatore.
Per gli altri stub eseguiti e che hanno dato risultati di piena compatibilità, su lla persona dell’ imputato e di compatibilità con i bossoli reperiti n ell’ auto delle vittime, si dà atto, nella sentenza impugnata, che questi erano risultati conformi alle best practices e conver genti rispetto all’a ttività di sparo, quel giorno, da parte di Lerose. Secondo i giudici di secondo grado, in particolare, risultavano pienamente rispettate le best practices relativamente alla perquisizione locale e domiciliare eseguita presso l’abitazione dell’imputato, così come in ordine agli accertamenti tecnici di microspia elettronica, eseguiti dai RIS.
Infine, si rileva che la sentenza di secondo grado rende conto d ell’e sito dell’e same di secondo livello svolto, concludendo per la compatibilità (cfr. anche § 1.2. del ritenuto in fatto ), dando altresì atto della risposta del perito nel senso, comunque, che il non completo rispetto delle procedure non inficiava per ciò solo l’esito dell’esame (cfr. p. 39 e ss.).
Sicché gli argomenti affrontati con il ricorso non si confrontano con alcuni aspetti fondamentali, posti in luce nell ‘ articolata motivazione della sentenza impugnata, che prendono in esame, superandole, le critiche difensive già devolute con il gravame e che danno atto degli esiti dell’integrazione di perizia svolta.
In particolare, viene trascurato il dato, riportato dai Giudici di merito, dell’accertata compatibilità tra le tracce trovate addosso all’imputato e quelle rilasciate dai bossoli reperiti nella vettura delle vittime. Si tratta di accertamento che, peraltro, svaluta del tutto, dal punto di vista della decisività, la deposizione resa dal testimone COGNOME, diretta a giustificare la presenza, nella vettura di Lerose, di tracce di polvere da sparo. Infatti, i provvedimenti di merito reputano decisivo che le tracce di polvere da sparo siano state reperite sulla persona dell’imputato (l’assenza di tracce solo nel naso o in bocca è spiegata per la lunghezza della canna del fucile usato per il duplice omicidio) e che queste tracce
sono state considerate compatibili con i bossoli reperiti nella vettura delle vittime.
Anche quanto alla distanza dal l’ora della sparatoria del l’avvenuto prelievo stub, si rileva che il tema è trattato in modo esauriente nella sentenza di appello (cfr. p. 37 e ss.).
L ‘e vento delittuoso risale alle ore 15:30 del 22 dicembre 2018 e il prelievo stub risulta avvenuto alle successive ore 21:30, con un intervallo temporale tra l’evento e il successivo rilievo tecnico prossimo a sei ore. Il perito, sul punto, ha comunque affermato quanto ai tempi descritti, il rispetto delle best practices forensi, tenuto conto che un più ampio lasso temporale si deve comparare con il contatto prolungato con l’arma da sparo.
Per quanto sin qui esposto, la motivazione è esauriente, in quanto razionale e immune da illogicità manifesta.
È noto, invero, che, in tema di prova scientifica, la Corte di legittimità non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice delle acquisizioni tecnico-scientifiche, essendo solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al relativo sapere, che include la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. Ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti della prova suddetta, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente argomentato (tra le altre, Sez. 1, n. 58465 del 10/10/2018, T., Rv. 276151 -01).
Coerente, poi, rispetto al canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio risulta la motivazione, sia nel contenuto che nella forma utilizzata dall’estensore.
Il criterio di attribuzione della responsabilità, cui ha fatto ricorso la Corte territoriale, fonda, infatti, su parametri del tutto in linea con quello normativo di indispensabile valutazione della colpevolezza penale. Si tratta, come è noto, di parametro di verifica obbligatoriamente prescritto dall’art. 533 cod. proc. pen. che, connesso alla presunzione di innocenza o non colpevolezza, richiede il superamento dell’oltre ogni ragionevole dubbio e non già la mera plausibilità o la semplice verosimiglianza, sia pur dotata di forte plausibilità, della ricostruzione adottata, così assicurando lo standard richiesto dal legislatore, in conformità all’art. 27 Cost. (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430, in mot.). Anzi, proprio in adesione a tale canone di giudizio, i Giudici di secondo grado, anche attraverso il disposto accertamento peritale, hanno ragionato in termini di certezza della colpevolezza di Lerose.
Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Segue, inoltre, la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, NOME COGNOME e NOME COGNOME che liquida nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Candioti NOME e NOME che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso, il 4 aprile 2025