Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27010 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27010 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/07/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
Sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato il 06/03/1988
NOMECOGNOME nata a Barletta il 07/12/1972
COGNOME NOMECOGNOME nata a Barletta il 06/04/1995
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME e l’inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME
l’avv. NOME COGNOME nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso presentato.
Con sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trani il 30 marzo 2023, pronunciata all’esito di giudizio abbreviato, gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME venivano riconosciuti colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti, ai capi 1, 2 e 3 della rubrica, per i quali, il primo, veniva condannato alla pena di diciotto anni e otto mesi di reclusione, mentre, il secondo, veniva condannato alla pena di cinque anni e otto mesi di reclusione.
In particolare, all’imputato NOME COGNOME si contestavano le ipotesi di reato di cui ai capi
– Relatore –
Sent. n. sez. 500/2025 UP – 04/07/2025
1 (art. 575 cod. pen.) e 2 (artt. 110, 411, 61, primo comma, n. 2, cod. pen.).
All’imputato NOME COGNOME invece, si contestavano i reati di cui ai capi 2 (artt. 110, 411, 61, primo comma, n. 2, cod. pen.) e 3 (art. 378 cod. pen.).
Conseguiva a tali statuizioni la condanna degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME alle pene accessorie di legge, al pagamento delle spese processuali e al pagamento delle spese di mantenimento durante la custodia cautelare in carcere.
Infine, gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME venivano condannati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, da liquidarsi in separata sede, alle quali veniva riconosciuta una provvisionale provvisoriamente esecutiva.
Con sentenza emessa il 9 ottobre 2024 la Corte di assise di appello di Bari, pronunciandosi sulle impugnazioni degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME confermava la decisione impugnata e condannava gli appellanti.
Gli appellanti NOME COGNOME e NOME COGNOME inoltre, venivano condannati al pagamento delle spese del grado di giudizio e delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili costituite, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
Dalle sentenze di merito, pienamente convergenti, emergeva che l’imputato NOME COGNOME, nella notte tra il 15 e il 16 gennaio 2022, cagionava l’omicidio di NOME COGNOME il cui cadavere veniva successivamente soppresso dallo stesso ricorrente, in concorso con NOME COGNOME. La distruzione del cadavere aveva luogo mediante la sua combustione, eseguita, anticipando quanto si dirà di qui a breve, mediante il carburante contenuto in una tanica di benzina, prelevato da COGNOME in un rifornimento di benzina, in un’area periferica di Barletta.
Queste ipotesi di reato venivano contestate a NOME COGNOME ai capi 1 e 2 della rubrica.
All’imputato NOME COGNOME invece, veniva contestato, come detto, in concorso con NOME COGNOME, il delitto di cui al capo 2, nonchØ l’ipotesi di reato di cui al capo 3, riguardante il favoreggiamento personale posto in essere nei confronti dell’autore dell’omicidio di NOME COGNOME, individuato, come detto, nello stesso COGNOME.
Secondo i Giudici di merito, il compendio probatorio acquisito nel corso delle indagini preliminari consentiva di ritenere dimostrata la responsabilità dell’imputato NOME COGNOME per l’omicidio di NOME COGNOME, commesso a Barletta nella notte tra il 15 e il 16 gennaio 2022.
La ricostruzione degli accadimenti criminosi, innanzitutto, traeva origine dall’analisi delle immagini dei sistemi di videosorveglianza installati nelle aree del territorio di Barletta in cui si sviluppava la sequenza degli accadimenti criminosi sfociata nell’omicidio di NOME COGNOME e perfezionatasi con la soppressione del cadavere della vittima da parte di entrambi gli imputati.
Da queste immagini si evinceva che NOME COGNOME, nella tarda serata del 15 gennaio 2022, dopo avere discusso con NOME COGNOME, nell’area antistante la Caffetteria ‘INDIRIZZO‘, ubicata a Barletta, in INDIRIZZO, convinceva la vittima a salire sulla sua autovettura Volkswagen Golf, targata TARGA_VEICOLO, conducendola presso un garage, ubicato nello stesso centro, in INDIRIZZO, che era nella disponibilità della sua famiglia – pur essendo intestato al fratello, NOME COGNOME -, all’interno del quale la persona offesa veniva uccisa.
In questa direzione, si evidenziava che le immagini dei sistemi di videosorveglianza consentivano di accertare che, dopo avere commesso l’omicidio, NOME COGNOME sostava, per circa dieci minuti, davanti l’abitazione di NOME COGNOME, non distante dal luogo del delitto, ubicata a Barletta, in INDIRIZZO
Successivamente, le immagini acquisite registravano la presenza della Ford TARGA_VEICOLO, targata TARGA_VEICOLO, nella disponibilità di NOME COGNOME nella zona dove era ubicato il garage dove era stata uccisa la persona offesa.
Si accertava, infine, che COGNOME operava un primo sopralluogo presso il garage in questione – dove si recava a piedi – e nel quale tornava, guidando la sua autovettura, per prelevare il corpo della vittima e procedere alla sua soppressione, mediante la benzina acquistata nel corso della stessa notte e riposta in una tanica.
Deve anche precisarsi che NOME COGNOME, assunto a sommarie informazioni dal Pubblico ministero, nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 2022, ammetteva che, dopo avere discusso con NOME COGNOME nell’area antistante INDIRIZZO‘ di Barletta, lo aveva fatto salire sulla sua autovettura, allo scopo di fargli apprezzare le prestazioni del veicolo, allontanandosi dal posto e tornandovi, in compagnia della stessa vittima, dopo tre o cinque minuti.
Questa sequenza degli eventi criminosi che culminava nell’uccisione della vittima e nella soppressione del cadavere della stessa, dunque, sul piano logico-processuale, si riteneva corroborata dalla circostanza, ritenuta incontroversa, ancorchØ non registrata dai sistemi di videosorveglianza, che la vittima, dopo il colloquio intrattenuto con l’imputato nello spazio antistante la INDIRIZZO‘, era scomparsa, non facendo piø ritorno presso il locale dove si era recato con alcuni amici. Gli amici con cui COGNOME si era recato nel locale barlettano, del resto, riferivano concordemente che, dopo essersi allontanata in compagnia di Sarcina, la persona offesa non era piø tornata.
Tale ricostruzione degli accadimenti si riteneva ulteriormente corroborata dal ritrovamento, avvenuto il 31 gennaio 2022, di un paio di occhiali da vista compatibili con quelli che indossava NOME COGNOME in un’area, rappresentata dalla INDIRIZZO Barletta, dove era stata localizzato il passaggio dell’autovettura Ford S-Max guidata dall’imputato NOME COGNOME che, come detto, si riteneva l’autore materiale della soppressione, eseguito mediante la combustione del cadavere della persona offesa, realizzata in una zona periferica del centro pugliese.
In una direzione analoga, la Corte di merito, in linea con la pronuncia di primo grado, richiamava il tentativo, posto in essere da NOME COGNOME di sviare le attività d’indagine, riferendo che la presenza di ferite alla mano destra, riscontrate dagli investigatori nella prima fase delle indagini preliminari, era stata causata dalla rottura accidentale di uno specchio, provocato a seguito di un violento litigio che il ricorrente aveva avuto con la sua fidanzata, NOME COGNOME.
La giustificazione fornita da COGNOME, infatti, era smentita dalle verifiche medico legali eseguite nel corso delle indagini preliminari, dalle quali emergeva che le ferite riscontrate sulla mano destra dell’imputato costituivano una ‘tipica ferita da taglio perchØ presentava margini netti e profondi’. A sostegno di tali conclusioni, nelle decisioni di merito, si richiamava anche la certificazione sanitaria rilasciata la mattina del 17 gennaio 2022 dal personale medico degli Ospedali riuniti di Foggia, dopo l’intervento al quale il ricorrente veniva sottoposto.
Si richiamavano, inoltre, le richieste rivolte da NOME COGNOME – tramite il fratello, NOME COGNOME – al titolare della Caffetteria ‘Portobello’, NOME COGNOME, di cancellare le registrazioni presenti nel sistema di videosorveglianza installato nel suo locale, che corroborava l’iniziale ipotesi accusatoria, secondo cui la sequenza degli eventi criminosi culminata con l’omicidio di NOME COGNOME aveva avuto inizio con la discussione intercorsa tra l’imputato e la vittima davanti all’esercizio commerciale barlettano.
Si richiamavano, ancora, gli esiti degli accertamenti tecnici eseguiti il 26 gennaio 2022 sull’autovettura Volkswagen Golf utilizzata dal ricorrente la sera della scomparsa di NOME COGNOME che consentivano di rilevare una traccia di sangue appartenente all’imputato in corrispondenza della parte del volante dove si trovava il clacson.
In questa cornice, che convergeva univocamente nei confronti di NOME COGNOME il coinvolgimento di NOME COGNOME nelle attività finalizzate alla soppressione del cadavere si riteneva dimostrato sulla base degli elementi indiziari acquisiti nei confronti del coimputato, che venivano correlati agli esiti dei tabulati acquisiti nel corso delle indagini preliminari, su impulso del Pubblico ministero, relativi all’utenza telefonica intestata allo stesso ricorrente.
Infatti, dai tabulati del traffico telefonico dell’utenza in uso a NOME COGNOME, che venivano sovrapposti ai tracciati GPS, relativi alla sua autovettura Ford Focus S-Max, emergeva che il veicolo, nella notte della sparizione di COGNOME, stazionava in un’area periferica di Barletta, individuata nella INDIRIZZO, nella quale venivano ritrovati gli occhiali che la persona offesa indossava la sera in cui si allontanava, senza fare piø ritorno, dalla Caffetteria ‘INDIRIZZO‘.
Si muoveva in una direzione analoga, la denuncia di furto dell’autovettura di Borraccino – mai piø ritrovata – presentata dal ricorrente il 23 gennaio 2023, allo scopo evidente di evitare lo svolgimento di accertamenti tecnici da parte degli organi inquirenti, finalizzati all’individuazione di tracce biologiche riconducibili alla vittima.
Deve, infine, evidenziarsi che i Giudici di merito non riuscivano a individuare il movente dell’omicidio di NOME COGNOME, limitandosi a richiamare, in termini generici e irrilevanti sul piano causale, le tensioni sviluppatesi tra NOME COGNOME e la vittima nell’ambiente dello spaccio di sostanze stupefacenti barlettano, nel quale i due soggetti, da tempo, operavano. In questo, generico, contesto causale si richiamavano le dichiarazioni rese il 18 gennaio 2022 dal fratello della vittima, NOME COGNOME che riferiva di avere appreso dal congiunto che lo stesso era stato minacciato da NOME COGNOME
Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi, nei confronti degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME ritenuta corretta la qualificazione dei reati di cui ai capi 1, 2 e 3, venivano emesse le statuizioni processuali di cui in premessa.
Avverso la sentenza di appello gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrevano per cassazione, presentando atti di impugnazione di cui occorre dare partitamente conto.
4.1. L’imputato NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione attraverso due distinti atti di impugnazione.
4.1.1. Con il primo degli atti di impugnazione proposti nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME presentato dall’avv. NOME COGNOME venivano articolate sei censure difensive, parzialmente correlate.
Con il primo motivo si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti al fatto che la Corte di merito non aveva dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano la formulazione del giudizio di colpevolezza nei confronti di NOME COGNOME per i reati di cui ai capi 1 e 2, che era stato espresso nonostante non si fosse acquisita la prova dell’ingresso di NOME COGNOME nell’autovettura Volkswagen Golf utilizzata dal ricorrente e non si fosse raggiunta la certezza dell’avvenuto decesso della persona offesa, affermato in termini svincolati dalle emergenze probatorie, che, tra l’altro, non avevano nemmeno consentito di individuare il movente dell’omicidio.
Con il secondo motivo si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione
della sentenza impugnata, in riferimento agli artt. 63, 64, 132, 142, 178, 179 e 191 cod. proc. pen., che venivano articolati mediante due, correlate, censure difensive.
Si deduceva, innanzitutto, l’inutilizzabilità delle sommarie informazioni rese da NOME COGNOME nella notte tra il 17 e il 18 dicembre 2023, che erano state acquisite in violazione del combinato disposto degli artt. 63 e 64 cod. proc. pen., essendo già emersa, al momento dell’esame controverso, la condizione di soggetto indagabile del ricorrente, che derivava dal contenuto delle sue stesse dichiarazioni.
Si deduceva, al contempo, che l’inutilizzabilità delle sommarie informazioni rese da NOME COGNOME – in termini analoghi a quelle rese dalla fidanzata dell’epoca, NOME COGNOME – derivava dal fatto che le relative dichiarazioni erano state acquisite nello stesso arco temporale e in presenza degli stessi soggetti, pur se in luoghi differenti; il che rendeva impossibile l’individuazione dei soggetti che avevano preso parte a tale, decisiva, attività istruttoria.
Con il terzo motivo si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all’art. 192 cod. proc. pen., per non avere la Corte di merito dato adeguato conto degli elementi probatori necessari alla formulazione del giudizio di colpevolezza nei confronti di NOME COGNOME per i reati di cui ai capi 1 e 2, non assumendo un rilievo decisivo le prove dichiarative acquisite nel corso delle indagini preliminari; le immagini estrapolate dalle telecamere di videosorveglianza installate nelle aree urbane dove si erano sviluppati gli eventi criminosi; le ferite riscontrate nella mano destra riportate dall’imputato in epoca coeva alla scomparsa della vittima; il ritrovamento di un paio di occhiali compatibili con quelli utilizzati dalla persona offesa al momento della sparizione; gli esiti dell’ispezione eseguita il 15 marzo 2022 con i cani molecolari, nel garage di NOME COGNOME, ubicato a Barletta, in INDIRIZZO
Con il quarto e il quinto motivo, di cui si impone un esame congiunto, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la decisione in esame dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano di ritenere dimostrata la sussistenza dell’ animus necandi necessario alla condanna di NOME COGNOME per il delitto di cui al capo 1 della rubrica. In ogni caso, tali discrasie argomentative, laddove non fossero state accolte le doglianze principali, imponevano di riqualificare l’ipotesi delittuosa contestata a Sarcina al capo 1, ai sensi dell’art. 584 cod. pen., tenuto conto dell’assenza di prova della volontà omicida del ricorrente.
Con il sesto motivo si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte territoriale dato opportuno conto del trattamento sanzionatorio irrogato a NOME COGNOME che veniva censurato per la sua eccessività dosimetrica e per la mancata concessione delle attenuanti generiche, il cui riconoscimento si imponeva alla luce delle, insuperabili, incertezze probatorie sulla sequenza criminosa culminata con la morte di NOME COGNOME censurate con le doglianze precedenti, emergenti dalla stessa decisione censurata.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
4.1.2. Con il secondo degli atti di impugnazione proposti nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME, venivano articolate quattro censure difensive, che risultano prospettate in termini parzialmente sovrapponibili alle doglianze del gravame presentato dall’avv. NOME COGNOME
Con il primo motivo si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto delle ragioni che, quand’anche si ritenesse dimostrato il coinvolgimento del ricorrente, non consentivano di
riqualificare l’omicidio di NOME COGNOME ai sensi dell’art. 584 cod. pen., pur non essendosi individuate le fasi attraverso cui si era sviluppata la sequenza degli eventi criminosi culminata con la morte della vittima, il luogo del delitto e l’atteggiamento dell’imputato. Tali incertezze probatorie, del resto, erano rese incontroverse dal passaggio motivazionale esplicitato a pagina 46 della decisione censurata, in cui si evidenziava l’assenza di accertamenti processuali sulla dinamica del presunto omicidio, che riverberava i suoi effetti sulla prova dell’ animus necandi , richiamandosi la ‘mancanza di esame autoptico sulle cause, mezzi e modalità dell’evento letale’.
Con il secondo motivo e il terzo motivo, di cui si impone una trattazione congiunta, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la Corte di merito non dava esaustivo conto della pena irrogata a NOME COGNOME che veniva censurata per la sua eccessività dosimetrica e per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, il cui riconoscimento si imponeva alla luce delle, incerte, circostanze di tempo e di luogo nelle quali si era concretizzata la morte di NOME COGNOME
Con il quarto motivo si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnata, per non avere la decisione in esame dato adeguato conto dei criteri dosimetrici seguiti per procedere alla quantificazione dell’aumento di pena disposto a titolo di continuazione sulla pena base – determinata con riferimento all’ipotesi delittuosa contestata a Sarcina al capo 1 della rubrica – e per procedere alla determinazione della frazione sanzionatoria relativa alla recidiva, specifica e infrquinquennale, su cui si riscontava l’assenza di motivazione.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
4.2. L’imputato NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, articolando sette censure difensive.
Con i primi due motivi di ricorso, di cui si impone una trattazione congiunta, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti all’illegittima acquisizione dei tabulati telefonici riguardanti l’utenza cellulare usata da NOME COGNOME, nella notte tra il 15 e il 16 gennaio 2022, così come richiamati nell’informativa di reato redatta il 2 marzo 2022 dalla Questura di Barletta Andria Trani, derivante dalla mancanza dei decreti autorizzativi emessi dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani.
Con il terzo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 189 e 191 cod. proc. pen., per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto delle ragioni che consentivano di ritenere utilizzabili e determinanti, ai fini della formulazione del giudizio di colpevolezza di NOME COGNOME, i mezzi di prova atipici della geolocalizzazione dell’autovettura Ford S-Max, condotta dal ricorrente nella notte tra il 15 e il 16 gennaio 2022.
Con il quarto motivo di ricorso si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., per non essersi la Corte di merito confrontata con le ipotesi alternative prospettate dalla difesa di NOME COGNOME, relative alla possibilità di qualificare il ruolo dell’imputato nella sequenza di eventi criminosi culminata nell’uccisione di NOME COGNOME alla sola stregua del favoreggiamento personale ascrittogli al capo 3 e di individuare altri soggetti quali esecutori materiali della soppressione del cadavere della persona offesa, eseguita mediante combustione, così come contestata al capo 2.
Con il quinto motivo di ricorso si deduceva il vizio di motivazione della sentenza
impugnata, per non avere la Corte territoriale dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano di ritenere NOME COGNOME coinvolto nella fase successiva all’esecuzione dell’omicidio di NOME COGNOME non essendosi acquisita alcuna certezza sugli spostamenti effettuati dall’imputato nella notte tra il 15 e 16 gennaio 2022. Le discrasie motivazionali censurate riguardavano, tra l’altro, l’effettuazione di un sopralluogo presso il garage dove sarebbe stato eseguito l’omicidio, ubicato a Barletta, in INDIRIZZO; l’assenza di prova che COGNOME e COGNOME si erano incontrati dopo l’assassinio di COGNOME; la rilevanza indiziaria del ritrovamento degli occhiali della vittima; la rilevanza della denuncia di furto dall’autovettura Ford S-Max dell’imputato, presentata il 23 gennaio 2022.
Con il sesto e il settimo motivo di ricorso, di cui si impone una trattazione congiunta, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto delle ragioni per le quali si ritenevano sussistenti gli elementi costitutivi dell’aggravante del nesso teleologico di cui all’art. 61, primo comma, n. 2, cod. pen., trascurando di considerare che non essendo COGNOME l’autore del reato fine, rappresentato dall’omicidio di cui al capo 1, l’aggravante censurata non gli poteva essere applicata, anche alla luce della contestuale contestazione del favoreggiamento personale di cui al capo 3.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti dagli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere esaminati separatamente.
In via preliminare, deve rilevarsi che le posizioni degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere esaminate separatamente, pur essendo indispensabile, in relazione agli aspetti di censura della sentenza impugnata comuni ai vari atti di impugnazione, richiamare i principi di carattere generale che ne consentono un corretto inquadramento sistematico, alla luce dei parametri ermeneutici consolidati di questa Corte.
2.1. In questa cornice, la prima questione preliminare sulla quale occorre soffermarsi riguarda il rapporto tra la motivazione della sentenza di primo grado e la motivazione della sentenza di secondo grado, che deve essere valutato in stretta correlazione al tema dell’ammissibilità della motivazione per relationem del provvedimento di appello che ci si trova a giudicare in sede di legittimità. Tale questione ermeneutica, ai presenti fini processuali, assume uno specifico per i punti e i capi delle sottostanti decisioni di merito, che, in tutto o in parte, risultano tra loro concordanti, dando luogo a un’ipotesi di doppia conforme giurisdizionale.
Deve, in proposito, osservarsi che, nel valutare la congruità del giudizio di colpevolezza espresso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Tranicon la pronuncia del 30 marzo 2023 – che risulta conforme alla sentenza emessa dalla Corte di assise di appello di Bari il 9 ottobre 2024 -, occorre tenere conto dell’unitarietà del complesso motivazionale costituito da entrambe le decisioni di merito, che Ł imposta dall’esistenza di una doppia conforme giurisdizionale (tra le altre, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277758 01; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, COGNOME, Rv. 258774 – 01; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, COGNOME, Rv. 237207 – 01; Sez. 2, n. 38788 del 09/11/2006, COGNOME, Rv. 235509 – 01; Sez. 2, n. 31890 del 14/06/2006, Brescia, Rv. 234930 – 01).
Questi provvedimenti decisori, infatti, si sviluppano secondo linee logiche e giuridiche concordanti, con la conseguenza che – sulla base dell’orientamento ermeneutico, da tempo,
consolidato di questa Corte – la motivazione della sentenza di primo grado si salda necessariamente con quella della sentenza di appello, formando un corpo motivazionale unitario e inscindibile, a prescindere da eventuali richiami a singoli passaggi argomentativi della decisione impugnata, effettuati, pur pregevolmente, dalle difese degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME. Sul punto, si ritiene indispensabile richiamare il seguente principio di diritto: «Le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata» (Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, COGNOME, Rv. 252615 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 37925 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 10613 del 01/02/2002, COGNOME, Rv. 221116 – 01; Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994, COGNOME, Rv. 197497 – 01).
Ne discende che, nel caso di specie, trovandocisi di fronte a un’ipotesi di doppia conforme giurisdizionale, i singoli passaggi motivazionali della sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trani il 30 marzo 2023 devono necessariamente integrarsi con gli omologhi passaggi esplicitati nella sentenza di secondo grado, pronunciata dalla Corte di assise di appello di Bari il 9 ottobre 2024, componendo i due provvedimenti decisori un percorso argomentativo unitario rispetto alla responsabilità penale di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Questo percorso argomentativo, a ben vedere, risulta pienamente rispettoso delle emergenze processuali e, al contempo, appare conforme ai parametri ermeneutici consolidati di questa Corte, secondo cui: «Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione» (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv. 236181 – 01; Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 2014, COGNOME, Rv. 192250 – 01; Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, COGNOME, Rv. 216906 – 01).
In questa, univoca, cornice, non Ł nemmeno possibile ipotizzare che, nelle ipotesi di doppia conforme giurisdizionale, analoghe a quelle in esame, la sentenza censurata, per il semplice richiamo, ancorchØ sintetico, a singoli passaggi motivazionali del provvedimento decisorio sottostante, possa ricondursi alla categoria degli atti per relationem , atteso che, nel giudizio di appello, la valutazione della specificità dei motivi di impugnazione si pone in termini differenti e meno stringenti rispetto a quanto Ł necessario per il ricorso per cassazione, in ragione del carattere di mezzo di gravame di tipo devolutivo del primo dei due rimedi processuali, atto a provocare un nuovo esame del merito della posizione degli odierni ricorrenti; tutto questo non può che comportare una valutazione meno rigorosa dei singoli passaggi motivazionali, di volta in volta, considerati dal giudice di secondo grado (tra le altre, Sez. 6, n. 3721 del 24/11/2015, Sanna, dep. 2016, Rv. 265827 – 01; Sez. 5, n. 5619 del 24/11/2014, dep. 2015, COGNOME Rv. 262814 – 01; Sez. 6, n. 13449 del 12/02/2014, COGNOME, Rv. 259456 – 01; Sez. 2, n. 8345 del 23/11/2013, dep. 2014, COGNOME Rv.
258529 – 01).
Ferme restando tali, pur dirimenti, considerazioni, che impongono di escludere la sussistenza nel caso di specie di una sentenza di secondo grado motivata dalla Corte di assise di appello di Bari, in relazione al giudizio di colpevolezza degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME per relationem , nelle ipotesi di doppia conforme giurisdizionale, per il semplice riferimento a singoli passaggi processuali del sottostante giudizio di merito, si deve ritenere che, nel nostro sistema, sia comunque ammissibile la motivazione per relationem delle decisioni di appello, in presenza dei presupposti certamente ricorrenti nel nostro caso – canonizzati dal principio di diritto affermato da Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, COGNOME Rv. 261839 – 01, secondo cui: «La motivazione ‘per relationem’ di un provvedimento giudiziale Ł da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione».
2.2. La seconda questione preliminare su cui occorre soffermarsi riguarda i principi che governano il processo indiziario, incentrandosi le censure proposte dai difensori degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, afferenti al merito della vicenda criminosa, su una lettura alternativa, frazionata e atomistica, degli elementi probatori acquisiti nei giudizi di merito, finalizzata a escludere il coinvolgimento di ricorrenti nella commissione dei reati di cui ai capi 1, 2 e 3 della rubrica.
Non può, invero, non rilevarsi che il compendio probatorio acquisito nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME si caratterizza per le sue connotazioni indiziarie, alla luce delle quali occorre valutare i singoli elementi indiziari censurati dai difensori degli odierni ricorrenti. Ne consegue che, nel caso in esame, assume un rilievo decisivo il procedimento logico attraverso cui da talune premesse indiziarie, relative alla posizione dei ricorrenti si giungeva ad affermare l’esistenza di ulteriori fatti, alla stregua di canoni di probabilità e nel rispetto delle regole di comune esperienza.
Tali affermazioni impongono una valutazione del compendio probatorio acquisito nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME nel rispetto dei principi sul processo indiziario, con cui l’atto di impugnazione in esame si confrontava adeguatamente, per inquadrare i quali occorre richiamare l’orientamento ermeneutico consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nel processo penale indiziario, il giudice di merito deve compiere una duplice operazione, atteso che, dapprima, gli Ł fatto obbligo di procedere alla valutazione dell’elemento indiziario singolarmente considerato, per stabilire se presenti o meno il requisito della precisione e per vagliarne l’attitudine dimostrativa; successivamente, occorre procedere a un esame complessivo degli elementi indiziari acquisiti (tra le altre, Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605 – 02; Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018, Segreto, dep. 2019, Rv. 275299 – 01; Sez. 1, n. 26455 del 26/03/2013, Knox, Rv. 255677 01; Sez. 1, n. 13671 del 26/11/1998, Buono, Rv. 212026 – 01), allo scopo di appurare se i margini di ambiguità, correlati a ciascuno di essi, possano essere superati in una visione unitaria, in modo da consentire l’attribuzione del fatto illecito all’imputato, pur in assenza di
una prova diretta di reità, sulla base di un complesso di dati, che saldandosi logicamente, come nel caso in esame, conducano necessariamente a un giudizio di gravità indiziaria (tra le altre Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, Segura, Rv. 262280 – 01; Sez. 2, n. 42482 del 19/09/2013, COGNOME, Rv. 256967 – 01; Sez. 1, n. 30448 del 19/06/2010, COGNOME, Rv. 248384 – 01).
NØ potrebbe essere diversamente, atteso che, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito «non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, nØ procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza e l’intrinseca valenza dimostrativa e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’ e, cioŁ, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana» (Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, COGNOME, Rv. 266941; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 42482 del 19/09/2013, COGNOME, Rv. 256967 – 01).
L’opzione ermeneutica richiamata, a sua volta, trae origine dal risalente arresto delle Sezioni Unite, secondo cui: «L’indizio Ł un fatto certo dal quale, per interferenza logica basata su regole di esperienza consolidate ed affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare secondo lo schema del cosiddetto sillogismo giudiziario. ¨ possibile che da un fatto accertato sia logicamente desumibile una sola conseguenza, ma di norma il fatto indiziante Ł significativo di una pluralità di fatti non noti ed in tal caso può pervenirsi al superamento della relativa ambiguità indicativa dei singoli indizi applicando la regola metodologica fissata nell’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. Peraltro, l’apprezzamento unitario degli indizi per la verifica della confluenza verso un’univocità indicativa che dia la certezza logica dell’esistenza del fatto da provare, costituisce un’operazione logica che presuppone la previa valutazione di ciascuno singolarmente, onde saggiarne la valenza qualitativa individuale. Acquisita la valenza indicativa – sia pure di portata possibilistica e non univoca – di ciascun indizio deve allora passarsi al momento metodologico successivo dell’esame globale ed unitario, attraverso il quale la relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio può risolversi, perchØ nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice» (Sez. U. n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191230 – 01).
Queste considerazioni, dunque, impongono di effettuare una lettura unitaria e omogenea del compendio indiziario acquisito nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, compiendo un’operazione di ermeneutica processuale di segno esattamente inverso a quella, non consentita, tendente alla valutazione atomistica e frazionata degli indizi posti a fondamento delle sentenze di merito, prospettata, pur in termini pregevoli e suggestivi, dai difensori dei ricorrenti.
3. Tanto premesso, occorre passare a considerare i singoli ricorsi, prendendo le mosse
dalla posizione dell’imputato NOME COGNOME che proponeva due distinti atti di impugnazione, proposti separatamente dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME.
3.1. Deve, innanzitutto, ritenersi infondato il primo degli atti di impugnazione proposti nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME presentato dall’avv. NOME COGNOME che veniva articolato in sei censure difensive.
3.1.1. Deve ritenersi infondato il primo motivo, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti al fatto che la Corte di merito non aveva dato esaustivo conto delle ragioni che, quand’anche si ritenesse dimostrato il coinvolgimento di NOME COGNOME imponevano la formulazione di un giudizio di colpevolezza nei suoi confronti, espresso nonostante non si fosse acquisita la prova dell’ingresso di NOME COGNOME nell’autovettura Volkswagen Golf del ricorrente e non si fosse raggiunta la certezza dell’avvenuto decesso della vittima, affermato in termini svincolati dalle emergenze probatorie, che, peraltro, non avevano nemmeno consentito di individuare del movente dell’omicidio.
Osserva il Collegio che il compendio indiziario acquisito nei giudizi di merito imponeva di ritenere l’imputato NOME COGNOME coinvolto nell’esecuzione dell’omicidio di NOME COGNOME quale esecutore materiale, avvenuto a Barletta ella notte tra il 15 e il 16 gennaio 2022, tenuto conto dei parametri ermeneutici, da tempo consolidati, richiamati nel paragrafo 2.2, cui si rinvia preliminarmente (Sez. U. n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, cit.).
La ricostruzione degli accadimenti criminosi, innanzitutto, traeva origine dalle immagini dei sistemi di videosorveglianza installati nelle aree del territorio di Barletta in cui si sviluppava la sequenza degli eventi culminata nell’assassinio di NOME COGNOME, eseguito all’interno del garage, ubicato a Barletta, in INDIRIZZO, che era nella disponibilità della famiglia del ricorrente, pur essendo intestato al fratello, NOME COGNOME.
Da queste immagini, passate analiticamente in rassegna dal personale della Questura di Barletta Andria Trani nel corso delle indagini preliminari, si evinceva che NOME COGNOME, alle ore 1.37 del 15 gennaio 2022, usciva dalla Caffetteria ‘Portobello’, ubicata a Barletta, in INDIRIZZO iniziando a discutere con NOME COGNOME.
Questo passaggio iniziale della vicenda criminosa Ł incontroverso, atteso che NOME COGNOME, assunto a sommarie informazioni dal Pubblico ministero nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 2022, ammetteva che, dopo avere discusso con NOME COGNOME nell’area antistante la caffetteria in questione, lo aveva fatto salire sulla sua autovettura Volkswagen Golf, targata TARGA_VEICOLO, allo scopo di fare constatare alla vittima le prestazioni del veicolo, allontanandosi dall’esercizio commerciale, dove tornava alcuni minuti dopo. Tali dichiarazioni, a loro volta, risultavano pienamente convergenti con quelle rese, nella prima fase delle indagini, da NOME COGNOME COGNOME un amico della vittima, che riferiva di avere visto uscire dal locale pubblico NOME COGNOME e la persona offesa, da soli, intorno alle ore 1.15 del 16 gennaio 2022.
Le immagini dei sistemi di videosorveglianza, quindi, consentivano di accertare che, alle ore 2.10.10 del 16 gennaio 2022, l’autovettura Volkswagen Golf di NOME COGNOME usciva dalla rampa del garage ubicato in INDIRIZZO, di cui si Ł già detto, per dirigersi verso la INDIRIZZO dove, al numero civico INDIRIZZO, si trovava il condominio nel quale abitava NOME COGNOME, in prossimità della quale il ricorrente parcheggiava il suo veicolo, per raggiungere l’abitazione del correo.
Alcuni minuti dopo, alle ore 2.21.48 della stessa notte, le telecamere di videosorveglianza riprendevano l’autovettura Volkswagen Golf di NOME COGNOME che riprendeva il percorso di marcia per le strade di Barletta, dirigendosi, dapprima, verso la INDIRIZZO
Ofanto e, successivamente, verso la Caffetteria INDIRIZZO, dove si arrestava alle ore 2.42.42.
Nello stesso contesto temporale, alle ore 2.30.22, i sistemi di videosorveglianza riprendevano NOME COGNOME mentre percorreva, con un passo svelto, il tratto di arterie urbane che collegava la INDIRIZZO, dove il ricorrente abitava, alla INDIRIZZO, che, come detto, era nella disponibilità della famiglia COGNOME.
Alle successive 2.39.35 le immagini delle telecamere di videosorveglianza riprendevano l’autovettura Ford TARGA_VEICOLO, targata TARGA_VEICOLO, di NOME COGNOME uscire a fari spenti dal garage del condominio di INDIRIZZO e, subito dopo avere svoltato a destra in direzione della INDIRIZZO, accendere i fari e proseguire la marcia veicolare.
Alle ore 2.40.19, presso un distributore di benzina IP, i sistemi di videosorveglianza registravo il sopraggiungere dell’autovettura Ford Focus S-Max, proveniente da INDIRIZZO da cui scendeva un ragazzo – che gli investigatori individuavano in NOME COGNOME – con in mano una tanica che riempiva di carburante e riponeva nel portabagagli del mezzo. Il veicolo, quindi, riprendeva la marcia nella stessa direzione da cui provenienza sino a raggiungere INDIRIZZO e discendere la rampa dei garage ubicata al numero civico 2, da dove usciva alle successive ore 2.46.46, allontanandosi velocemente verso la INDIRIZZO
A conferma di questa ricostruzione degli eventi criminosi, nella decisione impugnata, si richiamavano una pluralità di elementi indiziari, qui di seguito enunciati sinteticamente.
Si richiamava, innanzitutto, il ritrovamento, avvenuto il 31 gennaio 2022, di un paio di occhiali da vista compatibili con quelli che indossava NOME COGNOME la sera della sua scomparsa dalla Caffetteria INDIRIZZO‘, in un’area – la INDIRIZZO Barletta dove era stata localizzato il passaggio dell’autovettura Ford S-Max guidata dal NOME COGNOME nelle prime ore del 16 gennaio 2022.
Si richiamavano, inoltre, i tentativi di NOME COGNOME di sviare le attività d’indagine, riferendo che la presenza di ferite alla mano destra, riscontrate dagli investigatori, era stata causata dalla rottura di uno specchio, conseguente a un litigio che aveva avuto con la sua fidanzata, NOME COGNOME. La giustificazione fornita dal ricorrente, però, era smentita dalle verifiche medico-legali eseguite nel corso delle indagini preliminari, dalle quali emergeva che le ferite riscontrate nella mano destra dell’imputato presentavano le caratteristiche di una ferita provocata da un’arma da taglio.
Si richiamavano, ancora, le richieste rivolte da NOME COGNOME – attraverso il fratello, NOME COGNOME – al titolare della Caffetteria ‘Portobello’ di Barletta, NOME COGNOME, di procedere alla cancellazione delle registrazioni presenti nel sistema di videosorveglianza del suo esercizio commerciale, che corroboravano l’ipotesi accusatoria secondo cui la sequenza degli accadimenti culminata con l’assassinio di NOME COGNOME aveva avuto inizio con la discussione intercorsa tra l’imputato e la vittima, di cui si Ł già detto. Tali richieste, a loro volta, erano corroborate dall’intercettazione ambientale registrata il 16 febbraio 2022, alle ore 7.44, tra NOME COGNOME e un suo dipendente, NOME COGNOME al quale il primo dei due interlocutori riferiva di avere ricevuto pressioni, in tal senso, da parte di NOME COGNOME.
Si richiamavano, ulteriormente, gli esiti degli accertamenti tecnici eseguiti il 26 gennaio 2022 sull’autovettura Volkswagen Golf utilizzata dal ricorrente la sera della scomparsa di NOME COGNOME che consentivano di rilevare una traccia di sangue appartenente all’imputato in corrispondenza della parte del volante dove si trovava il clacson.
Si richiamava, quindi, la denuncia di furto dell’autovettura Ford Focus S-Max di NOME
NOME COGNOME che non veniva piø ritrovata, presentata il 23 gennaio 2023, all’evidente scopo di impedire lo svolgimento di accertamenti tecnici da parte degli organi inquirenti, finalizzati all’individuazione di tracce biologiche riconducibili a NOME COGNOME
Infine, tali, convergenti, elementi circostanziali venivano correlati agli esiti dei tabulati acquisiti nel corso delle indagini preliminari, su impulso del Pubblico ministero, relativi all’utenza intestata a NOME COGNOME, che venivano sovrapposti ai tracciati GPS, relativi alla sua autovettura Ford Focus S-Max, facendo emergere che il veicolo, nella notte della sparizione, stazionava nelle aree monitorate dai sistemi di dei sistemi di videosorveglianza che si sono richiamate.
Nella stessa direzione, si richiamavano gli esiti delle intercettazioni, telefoniche e ambientali, attivate nel corso delle indagini preliminari nei confronti dei soggetti, direttamente o indirettamente, collegati a NOME COGNOME che, pur non risultando decisivi ai fini dell’individuazione degli autori della scomparsa della vittima, consentivano di ricostruire il contesto nel quale si erano sviluppati gli eventi criminosi.
In questa, convergente, cornice indiziaria, appaiono pienamente condivisibili le conclusioni raggiunte dalla Corte di assise di appello di Bari, che, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 34 della sentenza impugnata, richiamando i principi che governano il processo indiziaria, sui quali ci si Ł già diffusamente soffermati nel paragrafo 2.2, cui si rinvia ulteriormente, si affermava: «In conclusione, la valutazione olistica del compendio indiziario innanzi considerato alla stregua delle argomentazioni ivi illustrate, realizza quella convergenza del molteplice, richiesta dal costante orientamento dei supremi giudici, condiviso da questa Corte, tale da costituire la prova indiziaria della responsabilità del COGNOME e del COGNOME in ordine ai delitti rispettivamente loro contestati aldilà di ogni ragionevole dubbio. Ed invero, trattasi di indizi certi e gravi le cui possibili letture astrattamente alternative proposte dalle difese, dovute ad una visione atomistica dei predetti indizi, si dissolvono nella considerazione sinergica degli stessi ».
3.1.1.1. Quanto alla correlata censura difensiva, relativa all’assenza di una causale omicidiaria esattamente individuata, deve evidenziarsi che corrisponde al vero che il provvedimento impugnato non individuava il movente dell’omicidio di NOME COGNOME limitandosi a fare genericamente riferimento a, peraltro indimostrati, contrasti tra l’imputato e la vittima, irrilevanti ai presenti fini processuali.
Deve, tuttavia, evidenziarsi che l’assenza di un movente criminoso unitario non inficia, ex se , il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Bari, dovendosi, in proposito, richiamare la giurisprudenza di legittimità consolidata, in tema di azioni omicidiarie, secondo cui: «L’assenza di movente dell’azione omicidiaria Ł irrilevante ai fini dell’affermazione della responsabilità, allorchØ vi sia comunque la prova dell’attribuibilità di detta azione all’imputato; nØ il mancato accertamento del movente può risolversi nell’affermazione probatoria di assenza di dolo del delitto di omicidio, o, tanto meno, di assenza di coscienza e volontà dell’azione» (Sez. 5, n. 22995 del 03/03/2017, M., Rv. 270138 – 01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 25199 del 08/01/2015, COGNOME, Rv. 263922 – 01; Sez. 1, n. 3149 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 254143 – 01).
Tale opzione interpretativa, a sua volta, trae origine dal risalente e consolidato orientamento ermeneutico, nel cui solco si muove la decisione impugnata, secondo cui: «La prova della volontà omicida, sia essa sorretta dal dolo diretto o da quello indiretto, va desunta da elementi oggettivi di carattere sintomatico, quali la micidialità dell’arma usata, la reiterazione e la violenza dei colpi, la parte del corpo colpita, mentre il movente dell’azione di
natura soggettiva, va utilizzata solo in via sussidiaria» (Sez. 5, n. 10994 del 30/09/1981, Albanese, Rv. 151266 – 01).
In questa, consolidata, cornice ermeneutica, tenuto conto dei parametri richiamati nel paragrafo 2.2, cui si rinvia ulteriormente (Sez. U. n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, cit.), appaiono condivisibili le conclusioni alle quali perveniva la Corte di merito, che, in ordine alla mancata individuazione del movente dell’omicidio di NOME COGNOME, nelle pagine 44 e 45 della decisione impugnata, osservava: «Quanto alla mancanza di prova di un movente Ł appena il caso di rimarcare quanto già evidenziato dal primo giudice e cioŁ che seppur non evidente la presenza di un movente nell’azione omicidiaria, ciò non può escludere l’affermazione della responsabilità nei confronti del Sarcina in presenza del coacervo indiziario grave preciso e concordante ».
3.1.1.2. Le considerazioni esposte inducono a ribadire l’infondatezza del primo motivo dell’atto di impugnazione in esame.
3.1.2. Parimenti infondato deve ritenersi il secondo motivo, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, articolati mediante due, correlate, doglianze difensive.
Di tali censure difensive, delle quali occorre rilevare preliminarmente l’infondatezza, ci si deve occupare partitamente.
3.1.2.1. Deve, innanzitutto, ritenersi infondata la doglianza relativa all’inutilizzabilità delle sommarie informazioni rese da NOME COGNOME nella notte tra il 17 e il 18 dicembre 2023, che erano state acquisite in violazione del combinato disposto degli artt. 63 e 64 cod. proc. pen., essendo già emersa, al momento dell’espletamento dell’atto istruttorio, la condizione di soggetto indagabile del ricorrente, che derivava dal contenuto delle sue stesse dichiarazioni.
Osserva il Collegio che l’assunto difensivo Ł smentito dalle emergenze processuali, che non consentono di affermare che, nel momento in cui NOME COGNOME veniva esaminato, nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 2022, erano emersi elementi indiziari che imponevano di ritenerlo indagabile, con la conseguenza che l’imputato, in tale occasione, avrebbe dovuto essere sentito con le garanzie difensive di cui all’art. 63 cod. proc. pen.
Non può, in proposito, non rilevarsi che, nel momento in cui veniva esaminato, non erano emersi elementi indiziari nei confronti di NOME COGNOME non essendo state ancora esaminate, da parte del personale della Questura di Barletta Andria Trani, che seguivano le indagini, le immagini dei sistemi di videosorveglianza da cui si evinceva il coinvolgimento personale del ricorrente; esame dal quale, come si Ł già detto, traevano origine gli accertamenti investigativi che consentivano di ricostruire la sequenza degli accadimenti criminosi, sviluppatasi tra il 15 e il 16 gennaio 2022, culminata con l’omicidio di NOME COGNOME
In questa cornice, l’assenza di precisi indizi di reità nei confronti del ricorrente impediva di ritenere sussistenti i presupposti di applicazione dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., in linea con la giurisprudenza di questa Corte, correttamente richiamata nella decisione impugnata, secondo cui: «L’inutilizzabilità assoluta, ai sensi dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., delle dichiarazioni rese da soggetti che fin dall’inizio avrebbero dovuto essere sentiti in qualità di imputati o di persone sottoposte ad indagini richiede che a carico degli stessi risulti l’originaria esistenza di precisi, anche se non gravi, indizi di reità e tale condizione non può automaticamente farsi derivare dal solo fatto che il dichiarante risulti essere stato coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a suo carico» (Sez . 1, n 48861 del 11/07/2018, COGNOME, Rv. 280666 – 01).
Ne discende che la Corte territoriale, sulla base di un percorso argomentativo ineccepibile, riteneva corretta la decisione del Pubblico ministero di procedere, la notte tra il
17 e il 18 gennaio 2022, all’assunzione delle sommarie informazioni di NOME COGNOME senza le garanzie difensive previste dall’art. 63 cod. proc. pen., giustificandola sulla base dell’assenza di elementi indiziari che, in quel momento, convergevano sulla posizione dell’imputato, che non era indagato e neppure indagabile; percorso motivazionale che, tra l’altro, nel caso di specie, risultando congruamente motivato, si sottraeva al sindacato di legittimità, come affermato da questa Corte (tra le altre, Sez. 6, n. 20098 del 19/04/2016, COGNOME, Rv. 267129 – 01; Sez. 2, n. 51840 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 258069 – 01).
3.1.2.2. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per la correlata doglianza, con cui si deduceva l’inutilizzabilità delle sommarie informazioni rese da NOME COGNOME analogamente a quelle relative alla fidanzata, NOME COGNOME derivante dal fatto che le dichiarazioni dei due soggetti erano state acquisite nello stesso arco temporale, ma in luoghi differenti; il che rendeva impossibile l’individuazione dei soggetti che avevano preso parte a tale attività processuale.
Osserva il Collegio che, al contrario di quanto prospettato dalla difesa del ricorrente, nessuna incertezza sui soggetti che prendevano parte agli atti istruttori controversi emerge dalla lettura dei verbali delle sommarie informazioni rese da NOME COGNOME e NOME COGNOME nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 2022.
Si consideri, in proposito, che il verbale delle sommarie informazioni rese da NOME COGNOME veniva redatto tra le ore 22.30 del 17 gennaio 2022 e le ore 4.14 del 18 gennaio 2022; mentre, il verbale delle sommarie informazioni rese da NOME COGNOME veniva redatto tra le ore 0.47 e le ore 2.10 del 18 gennaio 2022.
Ne discende che l’assunto difensivo, incentrato sull’integrale sovrapponibilità temporale dei due atti d’indagine appare smentito dalle risultanze processuali, dalle quali si evince, in termini incontrovertibili, che le operazioni di verbalizzazione controverse avevano inizio e si concludevano in orari differenti e non coincidenti.
Ne deriva che, nel caso di specie, ci si troverebbe a una sovrapponibilità solo parziale e, per questa sola ragione, non decisiva ai fini della valutazione dell’utilizzabilità delle sommarie informazioni controverse, che non può essere messa in dubbio dalla parziale coincidenza cronologica delle attività d’indagine svolte nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME il cui, peraltro limitato, svolgimento contestuale non Ł vietato da alcuna norma del codice di rito vigente.
Senza considerare, per altro verso, che nemmeno sotto il profilo soggettivo Ł riscontrabile una piena coincidenza tra i due atti processuali, atteso che al verbale delle sommarie informazioni rese da NOME COGNOME, tra il 17 e il 18 gennaio 2022, partecipavano, oltre al Pubblico ministero, gli operatori di polizia COGNOME COGNOME, COGNOME e COGNOME; mentre, al verbale di sommarie informazioni rese da NOME COGNOME, redatto il 18 gennaio 2022, partecipavano, oltre al Pubblico ministero, gli operatori di polizia COGNOME COGNOME e COGNOME.
In ogni caso, a ulteriore conferma di quanto affermato, non può non richiamarsi il principio di diritto affermato da Sez . 2, n. 35160 del 01/07/2022, COGNOME, Rv. 283849 – 01, che si attaglia perfettamente al caso di specie, secondo cui: «La contestuale audizione ex art. 350 cod. proc. pen. di due o piø persone informate sui fatti non determina la nullità o l’inutilizzabilità delle relative dichiarazioni, potendo semmai influire sulla valutazione di attendibilità, da parte del giudice, del contenuto di esse».
3.1.2.3. Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del secondo motivo dell’atto di impugnazione in esame.
3.1.3. Deve ritenersi infondato il terzo motivo, con cui si deduceva il vizio di motivazione
della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito dato adeguato conto degli elementi probatori necessari alla formulazione del giudizio di colpevolezza nei confronti di NOME COGNOME non assumendo, in tale direzione, un rilievo decisivo le prove dichiarative acquisite nel corso delle indagini preliminari; le immagini estrapolate dalle telecamere di videosorveglianza installate nelle aree urbane dove si erano sviluppati gli eventi criminosi; le ferite riscontrate nella mano destra riportate dall’imputato in epoca coeva alla scomparsa della vittima; il ritrovamento di un paio di occhiali compatibili con quelli utilizzati dalla persona offesa al momento della sparizione; gli esiti dell’ispezione eseguita il 15 marzo 2022 con i cani molecolari, presso il garage ubicato in INDIRIZZO
Non può, invero, non rilevarsi che, nell’univoca cornice probatoria descritta nei paragrafi 3.1.1 e 3.1.1.1, cui si deve rinviare, le ipotesi alternative, pur pregevolmente prospettate dal difensore di NOME COGNOME, giustificate dalla parcellizzazione del compendio indiziario acquisito, finalizzate a escludere il suo coinvolgimento nella sequenza degli eventi criminosi culminata nell’uccisione di NOME COGNOME, oltre che illogiche e processualmente incongrue, si sarebbero inevitabilmente poste in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che occorre ulteriormente ribadire, secondo cui: «In tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d’esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza piø verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme con gli altri elementi risultanti dagli atti» (Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252066 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 4, n. 22790 del 13/04/2018, COGNOME, Rv. 272995 01; Sez. 6, n. 36430 del 28/05/2014, Schembri, Rv. 260813 – 01; Sez. 2, n. 44048 del 13/10/2009,COGNOME, Rv. 245627 – 01).
Questo orientamento, del resto, si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, in tema di ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime di esperienza, che si attaglia perfettamente al caso di specie e non consente di rivalutare il compendio probatorio acquisito nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, che Ł possibile esplicitare richiamando il seguente principio di diritto: «Nella valutazione probatoria giudiziaria – così come, secondo la piø moderna epistemologia, in ogni procedimento di accertamento (scientifico, storico, etc.) – Ł corretto e legittimo fare ricorso alla verosimiglianza ed alle massime di esperienza, ma, affinchØ il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame valore di prova, Ł necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l’ipotesi all’apparenza piø verosimile. Ove così non sia, il suddetto dato si pone semplicemente come indizio da valutare insieme a tutti gli altri elementi risultanti dagli atti» (Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 2005, Sala, Rv. 230873 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 49029 del 22/10/2014, Leone, Rv. 261220 – 01; Sez. 6, n. 31706 del 07/03/2003, COGNOME, Rv. 228401 01; Sez. 6, n. 4688 del 28/03/1995, COGNOME, Rv. 201152 – 01).
Tale opzione, a ben vedere, trae origine da un orientamento risalente nel tempo, che Ł possibile esplicitare richiamando il seguente, insuperato, principio di diritto: «In tema di valutazione della prova, la differenza tra massima di esperienza e mera congettura risiede nel fatto che nel primo caso il dato Ł stato già, o viene comunque, sottoposto a verifica empirica e quindi la massima può essere formulata nella scorta dell”id quod plerumque accidit’, mentre nel secondo caso tale verifica non vi Ł stata, nØ può esservi, ed essa resta affidata ad un nuovo calcolo di possibilità, sicchØ la massima rimane insuscettibile di verifica empirica e quindi di dimostrazione. Pertanto, poichØ il giudizio che viene formulato a
conclusione del processo penale non può mai essere di probabilità, ma di certezza, possono trovare ingresso, nella concatenazione logica di vari sillogismi in cui si sostanzia la motivazione, anche le massime di esperienza, non certo le mere conseguenze» (Sez. 1, n. 329 del 22/10/1990, dep. 1991, COGNOME, Rv. 186149 – 01).
Le considerazioni esposte inducono a ritenere infondato il terzo motivo dell’atto di impugnazione in esame.
3.1.4. Devono ritenersi infondati il quarto e il quinto motivo, di cui si impone una trattazione congiunta, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la decisione in esame dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano di ritenere dimostrata la sussistenza dell’ animus necandi necessario alla condanna dell’imputato per il reato di cui al capo 1.
Si evidenziava, al contempo, che l’assenza di prova dell’ animus necandi , nell’ipotesi in cui non fosse stata accolta la doglianza principale, imponeva di riqualificare l’ipotesi omicidiaria contestata a NOME COGNOME al capo 1, ex art. 584 cod. pen., tenuto conto delle incertezze probatorie sull’elemento soggettivo del delitto contestato al capo 1.
Osserva il Collegio che l’assunto difensivo – secondo cui, quand’anche si ritenesse dimostrata la sequenza degli eventi criminosi, le modalità estemporanee con cui l’aggressione di NOME COGNOME si era concretizzata in danno di NOME COGNOME e la concitazione dello scontro fisico imponevano di escludere l’esistenza di una volontà omicida dell’imputato – Ł smentito dalle emergenze indiziarie, così come richiamate nei paragrafi 3.1.1 e 3.1.1.1, alla luce delle argomentazioni, ineccepibili, esposte nelle pagine 46-48 della sentenza impugnata.
Non può, in proposito, non ribadirsi che la sequenza dell’aggressione all’esito della quale NOME COGNOME, all’interno del garage nella disponibilità della famiglia COGNOME, si concretizzava, la notte tra il 15 e il 16 gennaio 2025, non permetteva di ipotizzare l’accidentalità della morte della persona offesa, presupposta dalle censire difensive.
In questa cornice, appaiono condivisibili le conclusioni alle quali perveniva la Corte di merito, che, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 46 e 47 della decisione censurata, evidenziava che «dalle modalità del fatto può inferirsi l’ animus necandi . Il Sarcina esce dal locale con il INDIRIZZO e si dirige con il medesimo a bordo della sua vettura Golf in due minuti circa direttamente presso i box siti in INDIRIZZO. La scelta del luogo non Ł indifferente per la qualificazione giuridica del fatto. Trattasi di un garage interrato condominiale in cui insistono vari box tra cui nella disponibilità di COGNOME NOME, fratello dell’imputato, esponente di spicco della malavita locale , in quel periodo ristretto agli arresti domiciliari per tali delitti presso la sua abitazione sita nel predetto stabile. Trattasi pertanto di luogo ritenuto sicuro dal prevenuto per commettere un delitto, in quanto sapeva di poter contare ragionevolmente sull’omertà dei condomini qualora qualcuno di essi, nonostante l’ora tarda, avesse assistito casualmente al delitto ».
Le emergenze indiziarie richiamate nella decisione censurata, dunque, imponevano di escludere la possibilità di ricondurre l’uccisione di NOME COGNOME alla fattispecie dell’omicidio preterintenzionale di cui all’art. 43 cod. pen., che veniva invocata in palese contrasto con le risultanze processuali, che devono essere vagliate alla luce della giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo cui: «L’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non Ł costituito da dolo e responsabilità oggettiva nØ dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 cod. pen. assorbe la prevedibilità di evento piø grave nell’intenzione di risultato. Pertanto, la valutazione relativa alla prevedibilità dell’evento da cui dipende l’esistenza del delitto ‘de quo’ Ł nella stessa
legge, essendo assolutamente probabile che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa» (Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254386 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 44986 del 21/09/2016, MulŁ, Rv. 268299 – 01; Sez. 5, n. 40389 del 17/05/2012, COGNOME, Rv. 253357 01; Sez. 5, n. 13114 del 13/02/2002, COGNOME, Rv. 222055 – 01; Sez. 5, n. 9197 del 02/10/1996, COGNOME, Rv. 205943 – 01).
Queste conclusioni, a ben vedere, sono armoniche rispetto all’opzione ermeneutica, parimenti consolidata, che si attaglia perfettamente al caso di specie, che, nel distinguere l’omicidio volontario dall’omicidio preterintenzionale, afferma: «Il criterio distintivo tra l’omicidio volontario e l’omicidio preterintenzionale risiede nell’elemento psicologico, nel senso che nell’ipotesi della preterintenzione la volontà dell’agente Ł diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell’evento morte, mentre nell’omicidio volontario la volontà dell’agente Ł costituita dall”animus necandi’, ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale, il cui accertamento Ł rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta» (Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007, COGNOME, Rv. 237685 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 4425 del 05/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259014 – 01; Sez. 1, n. 25239 del 20/05/2001, COGNOME, Rv. 219434 – 01).
Le considerazioni esposte impongono di ribadire l’infondatezza del quarto e del quinto motivo dell’atto di impugnazione in esame, che si sono esaminati congiuntamente.
3.1.5. Deve, infine, ritenersi inammissibile il sesto motivo, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte territoriale dato opportuno conto del trattamento sanzionatorio irrogato a NOME COGNOME che veniva censurato per la sua eccessività dosimetrica e per la mancata concessione delle attenuanti generiche, il cui riconoscimento si imponeva alla luce delle incertezze sulla sequenza criminosa culminata con la morte di NOME COGNOME peraltro emergenti dallo stesso provvedimento censurato.
Osserva il Collegio che la pena irrogata a NOME COGNOME quantificata in diciotto anni e otto mesi di reclusione, appare suffragata dalla ricostruzione compiuta dalla Corte di assise di appello di Bari, che si soffermava correttamente sulle connotazioni, oggettive e soggettive, dei reati contestati all’imputato ai capi 1 e 2, escludendo, sulla base di un giudizio dosimetrico ineccepibile, che fosse possibile attenuare il trattamento sanzionatorio nella direzione invocata dalla difesa del ricorrente, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Queste conclusioni, invero, discendevano da una verifica, immune da censure motivazionali, che teneva conto dell’elevato disvalore dei reati contestati a NOME COGNOME ai capi 1 e 2 e della brutalità della vicenda omicidiaria sottoposta alla cognizione della Corte di merito. Tali indici dosimetrici, peraltro, assumevano un rilievo ancora piø significativo, correttamente evidenziato a pagina 49 del provvedimento impugnato, alla luce della «mancanza del benchØ minimo cenno di resipiscenza da parte del COGNOME », della circostanza che «alcuna forma di risarcimento seppur parziale Ł stata offerta ai prossimi congiunti della vittima » e che non era stata espressa «alcuna parola di pentimento o di scuse ai famigliari ».
Si tenga ulteriormente presente, con specifico riferimento al diniego delle attenuanti generiche, che tali circostanze rispondono alla funzione di adeguare la pena al caso concreto, nella globalità degli elementi, oggettivi e soggettivi, che la connotano, sul presupposto del riconoscimento di situazioni fattuali, eventualmente riscontrate con
riferimento alla posizione dell’imputato. La necessità di un giudizio che coinvolga tale posizione nel suo complesso – e che impediva la concessione a NOME COGNOME delle attenuanti invocate – Ł sintetizzata dal seguente principio di diritto: «Le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale ‘concessione’ del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioŁ tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una piø incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena» (Sez. 6, n. 2642 del 14/01/1999, COGNOME, Rv. 212804 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, COGNOME, Rv. 260054 – 01; Sez. 2, n. 35930 del 27/06/2002, COGNOME, Rv. 222351 – 01; Sez. 6, n. 8668 del 28/05/1999, COGNOME, Rv. 214200 – 01).
Questo orientamento ermeneutico, del resto, si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale consolidato e risalente nel tempo, che Ł possibile esplicitare richiamando il seguente, insuperato, principio di diritto: «Le attenuanti generiche non possono essere intese come una benevola e discrezionale ‘concessione’ del giudice ma come il riconoscimento di situazioni, non contemplate specificamente (art. 62 cod. pen.), che non sono comprese tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 stesso codice ovvero che presentano connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una piø incisiva, particolare, considerazione; situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento della quantità del reato e della capacità a delinquere dell’imputato, sicchØ il loro riconoscimento consenta di pervenire ad una piø valida e perspicace valutazione degli elementi che segnano i parametri per la determinazione della pena da irrogare in concreto» (Sez. F, n. 12280 del 28/08/1990, COGNOME, Rv. 185267 – 01).
Queste ragioni impongono di ribadire l’inammissibilità del sesto motivo dell’atto di impugnazione in esame.
3.1.6. Le considerazioni esposte impongono di rigettare l’atto di impugnazione proposto, nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME.
3.2. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per il secondo degli atti di impugnazione proposti nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME presentato dall’avv. NOME COGNOME che veniva articolato in quattro censure difensive, che sono prospettate in termini parzialmente sovrapponibili alle doglianze del gravame presentato dall’avv. NOME COGNOME
Deve, innanzitutto, ritenersi infondato il primo motivo, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto delle ragioni che, quand’anche si ritenesse dimostrato il coinvolgimento del ricorrente, non consentivano di riqualificare l’omicidio di NOME COGNOME ai sensi dell’art. 584 cod. pen., pur non essendosi individuate le fasi attraverso cui si era sviluppata la sequenza degli eventi criminosi, il luogo del delitto e l’atteggiamento dell’imputato.
Si tratta, a ben vedere, di una censura difensiva che, pur articolata in termini pregevoli, risulta prospettata in termini assimilabili al quarto e al quinto motivo dell’atto di impugnazione proposto, nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME su cui ci si Ł diffusamente soffermati nel paragrafo 3.1.4, al quale si deve rinviare per la compiuta ricognizione delle ragioni che impongono di ritenerla destituita di fondamento.
Non può, in ogni caso, non rilevarsi che la doglianza in esame mira a parcellizzare la sequenza degli eventi criminosi sfociata nell’uccisione di NOME COGNOME così come ricostruita nei paragrafi 3.1.1 e 3.1.1.1, cui si rinvia ulteriormente, che imponevano di escludere
l’estemporaneità dell’azione omicida del ricorrente. L’aggressione mortale della vittima, infatti, avveniva all’interno del garage nella disponibilità della famiglia COGNOME, ubicato a Barletta, in INDIRIZZO sulla base di una precisa scelta, che non permetteva di prefigurare l’accidentalità della morte della persona offesa, tenuto conto dei parametri ermeneutici richiamati nel paragrafo 2.2, cui, ancora una volta, si rinvia (Sez. U. n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, cit.).
Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del primo motivo dell’atto di impugnazione in esame.
3.2.2. Devono, invece, ritenersi inammissibili il secondo e il terzo motivo, di cui si impone una trattazione congiunta, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la Corte di merito non dava esaustivo conto della pena irrogata a NOME COGNOME che veniva censurata per la sua eccessività dosimetrica e per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, il cui riconoscimento si imponeva alla luce delle, incerte, circostanze di tempo e di luogo nelle quali si era concretizzato l’assassinio di NOME COGNOME
Si tratta, anche in questo caso, di una censura difensiva che, sebbene articolata pregevolmente, risulta prospettata in termini assimilabili al sesto motivo dell’atto di impugnazione proposto, nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME sul quale ci si Ł diffusamente soffermati nel paragrafo 3.1.5, al quale si deve rinviare per la compiuta ricognizione delle ragioni che impongono di ritenerla destituita di fondamento, alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte (Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, COGNOME, cit.; Sez. 6, n. 8668 del 28/05/1999, COGNOME, cit.; Sez. 6, n. 2642 del 14/01/1999, COGNOME, cit.).
Le considerazioni esposte ragioni impongono di ribadire l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo dell’atto di impugnazione in esame, esaminati congiuntamente.
3.2.3. Deve, infine, ritenersi infondato il quarto motivo, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnata, per non avere la decisione in esame dato adeguato conto dei criteri dosimetrici seguiti per procedere alla quantificazione dell’aumento di pena applicato a NOME COGNOME a titolo di continuazione sulla pena base – determinata con riferimento all’ipotesi delittuosa di cui al capo 1 della rubrica e per procedere alla determinazione della recidiva, su cui si riscontava l’assenza di motivazione.
Osserva il Collegio che il trattamento sanzionatorio irrogato a NOME COGNOME quantificato in diciotto anni e otto mesi di reclusione, veniva esaminato nelle pagine 48 e 50 della sentenza impugnata, attraverso la formulazione di un giudizio dosimetrico ineccepibile, attraverso cui veniva integralmente confermata pena irrogata all’imputato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trani, correttamente enucleata nelle pagine 168171 della decisione di primo grado.
Nel giudizio di primo grado, in particolare, si stabiliva la pena di ventitrØ anni di reclusione per il reato di cui al capo 1, alla quale venivano applicati quattro anni, ex art. 99, sesto comma, cod. pen., e un ulteriore anno, a titolo di continuazione, per il reato di cui al capo 2; infine, alla pena così determinata veniva applicata la riduzione per il rito abbreviato con cui si era proceduto nei confronti dell’imputato, che comportava l’irrogazione di una pena finale di diciotto anni e otto mesi di reclusione.
La Corte di merito, pertanto, procedeva a una corretta determinazione del trattamento sanzionatorio irrogato a NOME COGNOME enucleando le frazioni di pena applicate per i reati di cui ai capi 1 e 2 della rubrica e formulando un giudizio dosimetrico che appare pienamente
rispettoso della giurisprudenza consolidata di questa Corte, che occorre ribadire ulteriormente, secondo cui: «Ai fini della determinazione della pena relativa a piø fatti unificati sotto il vincolo della continuazione, Ł necessario innanzitutto individuare la violazione piø grave, desumibile dalla pena da irrogare per i singoli reati, tenendo conto della eventuale applicazione di circostanze aggravanti o attenuanti, dell’eventuale giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto, e di ogni altro elemento di valutazione; una volta determinata la pena per il reato base, la stessa deve essere poi aumentata per la continuazione» (Sez. 3, n. 225 del 28/06/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272211 – 01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 4413 del 13/01/2016, COGNOME, Rv. 266154 – 01).
Appaiono, infine, smentite dalle emergenze processuali le censure relative alle carenze motivazionali riguardanti l’applicazione a Sarcina della recidiva, specifica e infrquinquennale, dovendosi rilevare che la Corte territoriale riteneva congruo l’aumento di pena disposto nel giudizio di primo grado, richiamando i significativi precedenti penali gravanti sul ricorrente, che inducono a reputare corretto il percorso dosimetrico esplicitato a pagina 170 della decisione di primo grado, espressamente richiamato, in linea con la giurisprudenza citata nel paragrafo 2.1, al quale si deve rinviare (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, cit.; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, cit.; Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 2014, COGNOME, cit.; Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, COGNOME, cit.).
Non può, in proposito, non richiamarsi il passaggio motivazionale esplicitato nelle pagine 49 e 50 della sentenza impugnata, in cui, a proposito della congruità dell’aumento di pena di cui all’art. 99, sesto comma, cod. pen., la Corte di assise di appello di Bari affermava: «Piø che congruo deve considerarsi l’aumento apportato ai sensi dell’art. 99, comma 6, c.p. avuto riguardo ai precedenti recenti e specifici da cui il Sarcina risulta essere attinto, comunque fissato al di sotto del limite massimo consentito per legge. ¨ appena il caso di evidenziare che una volta riconosciuta in concreto l’operatività della contestata recidiva (in sede di gravame non si censura la ricorrenza in concreto di tale aggravante ma solo l’entità dell’aumento di pena) l’implementazione di pena che ne deriva Ł obbligatoria per legge» .
Occorre, pertanto, ribadire l’infondatezza del quarto morivo dell’atto di impugnazione in esame.
3.2.4. Le considerazioni esposte impongono di rigettare l’atto di impugnazione proposto, nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME.
3.3. Queste ragioni impongono conclusivamente di ribadire l’infondatezza del ricorso proposto dall’imputato NOME COGNOME così come articolato a mezzo degli atti di impugnazione proposti separatamente dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME.
Parimenti infondato deve ritenersi il ricorso proposto dall’imputato NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME che veniva articolato in sette censure difensive.
4.1. Devono, innanzitutto, ritenersi infondati i primi due motivi di ricorso, di cui si impone una trattazione congiunta, con cui si deducevano la violazione di legge della sentenza impugnata, conseguenti all’illegittima acquisizione dei tabulati telefonici riguardanti l’utenza cellulare usata da NOME COGNOME nella notte tra il 15 e il 16 gennaio 2022, richiamati nell’informativa di reato della Questura di Barletta Andria Trani, redatta il 2 marzo 2022, derivante dalla mancanza dei decreti autorizzativi emessi dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani.
Si deduceva, al contempo, che l’assenza, originaria, dei decreti autorizzativi emessi dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani non poteva essere surrogata dalla produzione effettuata dalla Procura generale presso la Corte di appello di Bari, nel giudizio di secondo grado, all’udienza del 14 febbraio 2022.
Occorre precisare preliminarmente che la sequenza processuale attraverso cui venivano acquisiti i decreti autorizzativi censurati non Ł controversa, essendo avvenuta all’udienza del 14 febbraio 2024, dopo la relazione svolta dal Presidente del collegio della Corte di assise di appello di Bari, che celebrava il giudizio di secondo grado, su impulso del Sostituto procuratore generale, che come evidenziato a pagina 8 della sentenza impugnata, chiedeva «l’acquisizione agli atti dei decreti autorizzativi relativi alle intercettazioni telefoniche nonchØ alla acquisizione dei relativi tabulati in oggetto, trattandosi di provvedimenti che dovevano essere già inseriti nell’incarto processuale al fine di rendere possibile un controllo sulla legittimità dell’attività di acquisizione dei dati, contestata peraltro in sede di gravame dalla difesa del COGNOME».
Presupposta, pertanto, l’acquisizione postuma degli atti processuali controversi nel fascicolo processuale, occorre verificare se le modalità di inserimento dei decreti autorizzativi, seguite nel caso di specie, possono ritenersi connotate da tardività e se tale, eventuale, tardività concretizza una patologia processuale rilevabile in questa sede.
A tale quesito occorre fornire risposta negativa.
Deve, in proposito, rilevarsi che Ł pacifico che l’omesso deposito dei decreti autorizzativi, riguardanti le intercettazioni e le acquisizioni di tabulati, in termini analoghi a quanto si verificava con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, concretizza una nullità di ordine generale a regime intermedio, rilevante ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen., che Ł posta, dal sistema processuale, a garanzia dei diritti di difesa dell’imputato e dell’indagato.
L’omesso deposito di tali atti d’indagine, dunque, concretizza una nullità di ordine generale rilevante ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen., stabilita a garanzia dei diritti della difesa, che risultano certamente pregiudicati dal difetto di comunicazione in questione, che non consente l’attuazione di un contraddittorio adeguato sui mezzi istruttori, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 6, n. 28156 del 17/06/2014, Bottino, Rv. 262141 – 01; Sez. 2, n. 43772 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 257304 – 01).
In questi casi, dunque, ci si trova di fronte a una nullità di ordine generale a regime intermedio, rispetto alla quale la parte processuale deve rispettare gli oneri probatori che gravano sulla sua posizione, consistenti sia nel dimostrare la tempestività della richiesta difensiva indirizzata all’autorità giudiziaria, sia nel dimostrare l’omesso rilascio della documentazione afferente al giudizio di primo grado, conseguente all’omessa comunicazione del deposito degli atti oggetto di vaglio giurisdizionale; oneri processuali, questi, ai quali da difesa di NOME COGNOME si Ł correttamente conformata nel giudizio di primo grado, celebrato davanti al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trani.
Non può, tuttavia, non rilevarsi che questa opzione ermeneutica deve essere correlata alle caratteristiche rituali proprie del giudizio abbreviato, nel quale sono rilevabili e deducibili esclusivamente le nullità di carattere assoluto e le inutilizzabilità patologiche degli atti processuali. Ne consegue che, in questi casi, l’irritualità dell’acquisizione dell’atto istruttorio Ł neutralizzata dalla scelta negoziale di tipo abdicativo delle parti, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza rispetto delle forme di rito, come affermato da Sez.
3, n. 29240 del 09/06/2005, COGNOME, Rv. 232374 – 01, secondo cui: «Nel giudizio abbreviato sono rilevabili e deducibili solo le nullità di carattere assoluto e le inutilizzabilità cosiddette patologiche. Ne consegue che l’irritualità nell’acquisizione dell’atto probatorio Ł neutralizzata dalla scelta negoziale delle parti di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza rispetto delle forme di rito».
In altri termini, nel giudizio abbreviato, l’imputato non può fare valere, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen., le nullità a regime intermedio attinenti agli atti propulsivi e introduttivi del rito, tanto Ł vero che, in tali ipotesi, non nØ possibile sollevare l’eccezione d’incompetenza per territorio, pur se in precedenza già proposta e disattesa, perchØ la parte ha accettato di essere giudicata con un rito speciale, che presenta, ineludibili, connotazioni processuali di premialità deflattiva.
Questo orientamento ermeneutico, del resto, si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale consolidato e risalente nel tempo, che Ł possibile esplicitare richiamando il seguente, insuperato, principio di diritto: «Il giudizio abbreviato costituisce un procedimento ‘a prova contratta’, alla cui base Ł identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all’udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del ‘dibattimento’. Tuttavia, tale negozio processuale di tipo abdicativo può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio. Ne consegue che in esso, mentre non rilevano nØ l’inutilizzabilità cosiddetta fisiologica della prova, cioŁ quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtø dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte ‘secundum legem’, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l’art. 526 cod. proc. pen., con i correlati divieti di lettura di cui all’art. 514 stesso codice (in quanto in tal caso il viziosanzione dell’atto probatorio Ł neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo), nØ le ipotesi di inutilizzabilità ‘relativa’ stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale, va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell’inutilizzabilità cosiddetta ‘patologica’, inerente, cioŁ, agli atti probatori assunti ‘contra legem’, la cui utilizzazione Ł vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, nonchØ le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito» ( Sez. U, n. 16del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216246 – 01).
Queste considerazioni impongono di ribadire l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso, esaminati congiuntamente.
4.2. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per il terzo motivo di ricorso, con cui si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto delle ragioni che consentivano di ritenere utilizzabili e determinanti, ai fini della formulazione del giudizio di colpevolezza di NOME COGNOME i mezzi di prova atipici della geolocalizzazione dell’autovettura Ford SMax, condotta dal ricorrente nella notte tra il 15 e il 16 gennaio 2022.
Osserva il Collegio che l’assunto difensivo, relativo alla rilevanza indiziaria del mezzo istruttorio controverso, Ł smentito dalle emergenze processuali, atteso che il sistema di tracciamento GPS dell’autovettura Ford Focus S-Max, a bordo della quale viaggiava Cosimo
NOME COGNOME la notte della scomparsa di NOME COGNOME attraverso cui veniva eseguito il pedinamento elettronico del ricorrente, non era valutato isolatamente, ma in correlazione con i dati dei tabulati telefonici – della cui utilizzabilità ci si Ł occupati nel paragrafo 4.1, cui si rinvia – riguardanti l’utenza cellulare del ricorrente, che confermavano le conclusioni alle quali si era pervenuti sulla base dell’esame dei tracciati elettronici del veicolo. NØ per le ragioni esposte nel paragrafo precedente, cui si rinvia, Ł possibile dubitare dell’utilizzabilità dei tabulati nel corso delle indagini preliminari, derivante dalla modalità rituali con cui si procedeva nei confronti dell’imputato (Sez. 6, n. 28156 del 17/06/2014, COGNOME, cit.; Sez. 2, n. 43772 del 03/10/2013, COGNOME, cit.).
In altri termini, i movimenti effettuati da COGNOME a bordo della sua autovettura, la notte tra il 15 e il 16 gennaio, risultavano accertati sulla base dei tabulati telefonici acquisiti nel corso delle indagini preliminari, che, di per sØ soli, confermavano l’ipotesi accusatoria, secondo cui il ricorrente aveva proceduto alla soppressione del cadavere di COGNOME mediante combustione del corpo, dopo averlo prelevato nel garage dove la vittima era stata uccisa da Sarcina.
In questa cornice, appaiono assolutamente pertinenti le conclusioni alle quali perveniva la Corte di merito, che, a pagina 39 della sentenza impugnata, evidenziava «che il motivo di gravame articolato dalla difesa del COGNOME circa l’inutilizzabilità per idoneità all’accertamento dei fatti del sistema di geolocalizzazione mediante GPS del veicolo Ford TARGA_VEICOLO, deve considerarsi sostanzialmente depotenziato all’esito della produzione da parte del PG dei decreti autorizzativi dal GIP presso il Tribunale di Trani inferenti i tabulati telefonici dell’utenza in uso al Borraccino, che pertanto sono pienamente utilizzabili per la decisione ».
Non Ł, in ogni caso, possibile, al contrario di quanto dedotto dalla difesa di NOME COGNOME, dubitare dell’utilizzabilità del sistema di geolocalizzazione dell’autovettura Ford Focus S-Max utilizzata dal ricorrente la notte della scomparsa di NOME COGNOME in linea con quanto, da ultimo, affermato da Sez. 2, n. 37395 del 18/09/2024, COGNOME, Rv. 286949 – 01, secondo cui: «In tema di indagini preliminari, la localizzazione degli spostamenti tramite sistema di rilevamento satellitare GPS (c.d. pedinamento elettronico) Ł mezzo di ricerca della prova atipico, non implicante un accumulo massivo di dati sensibili da parte del gestore del servizio, sicchØ le relative risultanze sono utilizzabili senza necessità di autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria, non trovando applicazione per analogia nØ la disciplina di cui all’art. 132, comma 3, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e successive modifiche, in tema di tabulati, nØ i principi affermati dalla sentenza della CGUE del 05/04/2022, C. 140/2020, relativa alla compatibilità di ‘data retention’ con le Direttive 2002/58/CE e 2009/136/CE, sul trattamento dei dati personali e la tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni».
NØ potrebbe essere diversamente, dovendosi, in proposito, evidenziare che l’inutilizzabilità dei risultati del sistema di geolocalizzazione, eccepita dalla difesa del ricorrente, richiamando la disciplina in materia di intercettazioni telefoniche, non tiene conto del fatto che la localizzazione degli spostamenti veicolari, effettuata tramite sistema di rilevamento satellitare GPS, Ł un mezzo di ricerca della prova atipico che, essendo connotato da sporadicità, non implica un accumulo massiccio di dati personali sensibili da parte del gestore del servizio telefonico, con la conseguenza che le relative risultanze sono utilizzabili senza necessità di autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria procedente (tra le altre, Sez. 6, n. 15422 del 09/03/2023, COGNOME, Rv. 284582 – 01; Sez. 2, n. 21644 del 13/02/2013, COGNOME, Rv. 255542 – 01; Sez. 2, n. 23172 del 04/04/2019, M., Rv. 276966
– 01)
Le considerazioni esposte impongono di ribadire l’infondatezza del terzo motivo di ricorso.
4.3. Deve ritenersi infondato il quarto motivo di ricorso, con cui si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non essersi la Corte di merito confrontata con le ipotesi alternative prospettate dalla difesa di NOME COGNOME relative alla possibilità di qualificare il ruolo dell’imputato nella sequenza di eventi criminosi culminata nell’uccisione di NOME COGNOME alla sola stregua del favoreggiamento personale ascrittogli al capo 3 della rubrica e di individuare altri soggetti quali esecutori materiali della soppressione del cadavere della persona offesa, eseguita mediante combustione, così come contestata al capo 2.
Non occorre, invero, soffermarsi ulteriormente sulla sequenza degli eventi criminosi descritti ai capi 1, 2 e 3 della rubrica e sul ruolo svolto in tale contesto da NOME COGNOME e NOME COGNOME, su cui ci si Ł già soffermati analiticamente nei paragrafi 3.1.1 e 3.1.1.1, ai quali si deve rinviare ulteriormente.
Rispetto a questa ricostruzione degli accadimenti il contributo di COGNOME alla combustione del cadavere, funzionale a impedirne il ritrovamento e a consentire di individuare COGNOME come autore dell’omicidio, non Ł dubitabile, con la conseguenza che prive di rilievo, rispetto alla programmazione delle modalità di soppressione del corpo della vittima, concertate tra i correi, appaiono le censure difensive, che contrastano con i parametri ermeneutici sul processo indiziario, richiamati nel paragrafo 2.2, cui si rinvia ulteriormente (Sez. U. n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, cit.).
Ne discende che le emergenze indiziarie, al contrario di quanto dedotto dalla difesa di COGNOME, smentiscono che il suo contributo potesse essere confinato a un apporto alla fase successiva all’esecuzione dell’omicidio, svincolato dalla soppressione del cadavere di NOME COGNOME imponendo di attribuire al ricorrente la sola ipotesi delittuosa di cui all’art. 378 cod. pen., che deve essere ricostruita in termini oggettivi, tenendo conto delle modalità di soppressione del cadavere della vittima. Di tali modalità, infatti, l’imputato aveva piena consapevolezza, avendo provveduto personalmente all’acquisto del carburante necessario per procedere alla combustione del corpo della vittima, che bruciava nelle prime ore del 16 gennaio 2022, dopo averlo prelevato dal luogo dell’assassinio; il che impone di ritenere l’imputato estraneo ai comportamenti criminosi descritti al capo 2 della rubrica.
A conferma della correttezza del percorso argomentativo esplicitato nella sentenza impugnata, si ritiene utile richiamare il principio di diritto, che si attaglia perfettamente alla posizione di COGNOME, secondo cui: «In forza dell’espressa clausola ‘fuori dei casi di concorso’ contenuta nell’art. 378 cod. pen., il delitto di favoreggiamento personale presuppone che il soggetto attivo non sia stato coinvolto, nØ oggettivamente nØ soggettivamente, nella realizzazione del reato presupposto» (Sez. 6, n. 21439 del 18/02/2008, Mori, Rv. 240062 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 18376 del 21/03/2013, COGNOME, Rv. 255838 – 01; Sez. 5, n. 4997 del 17/01/2007, COGNOME, Rv. 236066 – 01).
Si muove, del resto, nella stessa direzione l’arresto ermeneutico, risalente e tuttora insuperato, secondo cui: «L’ipotesi delittuosa del favoreggiamento personale, in forza dell’espressa clausola ‘fuori dei casi di concorso’ contenuta nell’art. 378 cod. pen., in tanto ricorre, in quanto il soggetto non sia stato coinvolto nel reato presupposto nØ oggettivamente, mediante un apporto materiale alla sua consumazione, nØ soggettivamente, attraverso la manifestazione, antecedente all’esecuzione del reato, di disponibilità a fornire
all’autore, in caso di necessità, un rilevante aiuto, così da rafforzarne la determinazione a delinquere» (Sez. 1, n. 33450 del 26/06/2001, COGNOME, Rv. 219892 – 01).
Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del quarto motivo di ricorso.
4.4. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per il quinto motivo di ricorso, con cui si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte territoriale dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano di ritenere NOME COGNOME coinvolto nella fase successiva all’esecuzione dell’omicidio di NOME COGNOME non essendosi acquisita alcuna certezza sugli spostamenti effettuati dall’imputato nella notte tra il 15 e 16 gennaio 2022.
L’incongruità del percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito, tra l’altro, era resa evidente, dalle discrasie motivazionali riguardanti l’effettuazione di un sopralluogo presso il garage dove sarebbe stato eseguito l’omicidio; l’assenza di prova che COGNOME e COGNOME si erano incontrati dopo l’assassinio; la rilevanza del ritrovamento degli occhiali della vittima; la rilevanza della denuncia di furto dall’autovettura Ford S-Max dell’imputato, presentata il 23 gennaio 2022.
Si tratta, invero, di una doglianza prospettata in termini sostanzialmente assimilabili al primo e al terzo motivo dell’atto di impugnazione proposto, nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME, sui quali ci si Ł soffermati diffusamente nei paragrafi 3.1.1, 3.1.1.1 e 3.1.3, postulando una rivalutazione degli eventi criminosi, incompatibile con il compendio indiziario acquisito nel corso delle indagini preliminari.
Non si può, in ogni caso, non ribadire che, con la doglianza in esame, si persegue l’obiettivo processuale, legittimo ma contrastante con le emergenze indiziarie, di parcellizzare le condotte illecite poste in essere dal ricorrente, in concorso con il coimputato, trascurando di considerare il dato probatorio, peraltro incontroverso, secondo cui il suo intervento nelle attività finalizzate alla distruzione, mediante combustione, del cadavere di NOME COGNOME conseguiva alla decisione, condivisa con il correo, di occultare le tracce dell’omicidio commesso all’interno del garage ubicato a Barletta, in INDIRIZZO nel quale l’aggressione mortale si concretizzava.
Il coinvolgimento personale di COGNOME nelle operazioni finalizzate alla soppressione del corpo della vittima, del resto, appare corroborato, oltre che dagli elementi indiziari ai quali ci si Ł riferiti nei paragrafi 3.1.1, 3.1.1.1 e 3.1.3, cui si rinvia ulteriormente, dalla denuncia presentata il 23 gennaio 2023, relativa al furto dell’autovettura del ricorrente, che non veniva mai ritrovata, che, nella cornice indiziaria che orientava il vaglio della Corte di merito, appare evidentemente finalizzata a impedire lo svolgimento di accertamenti tecnici da parte degli investigatori, finalizzati all’individuazione di tracce biologiche riconducibili alla persona offesa.
Da questo punto, ancora una volta, appare opportuno richiamare la sentenza impugnata, che, nel passaggio motivazionale esplicitato nelle pagine 46 e 47, evidenziava, che risultavano provate le condotte illecite ascritte a COGNOME ai capi 2 e 3 della rubrica, rappresentando che «l’omicidio non fu premeditato e pertanto il COGNOME non ebbe modo di pianificare al meglio le fasi successive al delitto, di guisa che la scelta ricadde sul Borraccino in una situazione emergenziale in cui vi era l’urgente necessità di far sparire il corpo del povero COGNOME ». D’altra parte, che «COGNOME poi fosse persona totalmente a disposizione dei COGNOME lo si evince da fatto che lo stesso accettò ex abrupto l’incarico, in piena notte, senza alcun preavviso, adoperandosi immediatamente per l’esecuzione dell”incarico’ ricevuto, impiegando la propria autovettura che ben sapeva munita di GPS, così esponendosi a grave pericolo per la sua libertà ».
Le considerazioni esposte impongono di ribadire l’infondatezza del quinto motivo di ricorso.
4.6. Devono, infine, ritenersi infondati il sesto e il settimo motivo di ricorso, dei quali si impone una trattazione congiunta, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di assise di appello di Bari dato esaustivo conto delle ragioni per le quali si ritenevano sussistenti gli elementi costitutivi dell’aggravante del nesso teleologico di cui all’art. 61, primo comma, n. 2, cod. pen., trascurando di considerare che non essendo COGNOME l’autore del reato fine, rappresentato dall’omicidio di cui al capo 1, l’aggravante censurata non gli poteva essere applicata, anche alla luce della contestuale contestazione del favoreggiamento personale di cui al capo 3.
Osserva, in proposito, il Collegio che l’assunto difensivo risulta smentito dalle emergenze probatorie, così come richiamate nei paragrafi precedenti, cui si deve rinviare preliminarmente, che impongono di ribadire che l’occultamento del cadavere di NOME COGNOME contestato al capo 2, conseguiva alla decisione di NOME COGNOME di coinvolgere NOME COGNOME nella combustione del corpo della vittima, allo scopo di occultare le tracce dell’assassinio commesso all’interno del garage nella disponibilità della famiglia COGNOME, a sua volta contestato al capo 1.
NØ rileva la circostanza che la condotta strumentale a impedire l’accertamento della responsabilità riguardava un soggetto diverso dall’agente, rappresentato da NOME COGNOME al quale Ł contestato il capo 1 senza il concorso di NOME COGNOME attesa l’univoca formulazione dell’art. 61, primo comma, n. 2, cod. pen., a tenore del quale l’aggravante in esame si applica quando Ł il reato Ł commesso «per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sØ o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato».
Le emergenze probatorie, pertanto, impongono di ribadire l’esistenza di un nesso di strumentalità, penalmente rilevante, tra l’omicidio di NOME COGNOME – commesso dal solo NOME COGNOME – e l’occultamento del suo cadavere, commesso in concorso da entrambi i ricorrenti, essendo pacifico che l’aggravante di cui all’art. 61, comma primo, n. 2, cod. pen. sanziona la condotta dell’imputato che pone in essere una condotta illecita funzionale alla commissione di un ulteriore comportamento criminoso, attribuibile, indifferentemente all’agente o a un terzo. Sul punto, non si può che richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 61, primo comma, n. 2, cod. pen., Ł sufficiente che la volontà dell’agente sia collegata a un reato-fine e che a tale scopo l’agente abbia posto in essere il reato-mezzo, rappresentati, nel caso di specie, dalle fattispecie di cui ai capi 1 e 2 della rubrica (tra le altre, Sez. 5, n. 38399 del 10/07/2017, E., Rv. 271211 – 01; Sez. 6, n. 48522 del 18/11/2009, COGNOME, Rv. 245342 – 01; Sez. 2, n. 29486 del 19/05/2009, COGNOME, Rv. 244434 – 01; Sez. 2, n. 4751 del 31/05/1989, Costa, Rv. 183912 – 01).
Appaiono, pertanto, congrue le conclusioni della Corte territoriale, che riteneva configurabile l’aggravante di cui all’art. 61, primo comma, n. 2, cod. pen., evidenziando, a pagina 48 della decisione censurata, che ricorreva «la circostanza aggravante contestata dell’art. 61 n.2 c.p., in quanto oggetto dell’addebito al COGNOME Ł l’aver commesso i reati a lui ascritti al fine di garantire l’impunità per il reato sub 1) ascritto al Sarcina, condotta alternativamente prevista dalla prefata previsione normativa alla c.d. connessione teleologica, questa sì contestabile esclusivamente all’autore del ‘reato fine’».
Privo di rilievo, infine, Ł la contestuale contestazione del favoreggiamento personale di
cui al capo 3, che, alla luce della ricostruzione degli accadimenti criminosi effettuata nei paragrafi 3.1.1, 3.1.1.1, 3.1.3 e 4.6, postula una rivalutazione degli eventi criminosi, incompatibile con il compendio indiziario acquisito nel corso delle indagini preliminari, che impone di ribadire l’autonomia delle condotte illecite ascritte a NOME COGNOME ai capi 2 e 3 della rubrica.
Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del sesto e del settimo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente.
4.7. Le considerazioni esposte impongono di rigettare il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME
Le argomentazioni esposte nei paragrafi precedenti impongono conclusivamente il rigetto dei ricorsi proposti dagli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Consegue a tali statuizioni processuali la condanna degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che liquida in complessivi euro 5.616,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che liquida in complessivi euro 5.616,00, oltre accessori di legge.
Così Ł deciso, 04/07/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
ALESSANDRO CENTONZE