Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7329 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7329 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME nato a Enna il 27/12/1954
COGNOME Vincenzo nato a Pietraperzia il 2/1/1973
COGNOME NOME nato a Enna il 12/4/1983
COGNOME NOME nato a Enna il 5/1/1976
COGNOME NOME nato a Mtez (Francia) il 31/1/1963
COGNOME NOME nato a Caltanissetta il 16/5/1967
avverso la sentenza emessa il 17 novembre 2023 dalla Corte di Assise di appello di Caltanissetta visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi di COGNOME, COGNOME
COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e per l’inammissibilità del ricorso di COGNOME Giuseppe; udite le richieste del difensore della parte civile NOME COGNOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che si è riportato alle conclusioni scritte già depositate; udite le richieste dei difensori dei ricorrenti Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME Avv. NOME COGNOME per COGNOME e COGNOME, Avv. NOME COGNOME per COGNOME Avv. NOME COGNOME Avv. NOME COGNOME per COGNOME i quali hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi e l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza di primo grado emessa dalla Corte di assise di Caltanissetta, i ricorrenti sono stati condannati alla pena dell’ergastolo, quanto a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di anni trenta di reclusione quanto a NOME COGNOME nonché alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 1000 di multa quanto a NOME COGNOME per i seguenti delitti:
-i due COGNOME, COGNOME e COGNOME per il reato di associazione mafiosa pluriaggravata (i due COGNOME con funzioni apicali, COGNOME e COGNOME, quali meri partecipi), operante in condizioni di monopolio in Pietraperzia (Capo A);
-i due COGNOME COGNOME e COGNOME, per concorso nell’omicidio di NOME COGNOME, aggravato dalla premeditazione, dal metodo mafioso e dalla finalità mafiosa (Capo D);
-il solo COGNOME per il delitto di concorso materiale in estorsione, aggravata dal metodo mafioso e dalla finalità mafiosa, ai danni dell’imprenditore NOME COGNOME (Capo C);
–COGNOME NOME e COGNOME per il delitto di concorso in furto pluriaggravato ai danni del supermercato forte di Barrafranca (Capo G).
Con la medesima sentenza sono state applicate le seguenti pene accessorie: interdizione in perpetuo dai pubblici uffici, quanto ai due COGNOME, COGNOME, COGNOME e di COGNOME; interdizione legale e decadenza dalla responsabilità genitoriale, quanto ai due COGNOME, COGNOME e COGNOME; interdizione temporanea e sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale per COGNOME. Al solo di Dio è stata anche applicata la misura della libertà vigilata per la durata di anni tre. È stata inoltre disposta la revoca delle eventuali prestazioni assistenziali e previdenziali e la sospensione dell’eventuale reddito pensione di cittadinanza.
Il solo COGNOME Gaetano è stato, infine, condannato al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede in favore della parte civile NOME COGNOME e al pagamento a titolo di provvisionale della somma di 20.000 6.
2.Con la sentenza impugnata la Corte di assise di appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza di primo grado, previo riconoscimento della continuazione esterna con la sentenza emessa dalla Corte di appello di Caltanissetta, ritenuto più grave il reato di cui al capo D, ha rideterminato la pena inflitta nei confronti di NOME COGNOME in quella dell’ergastolo con isolamento diurno per la durata di anni uno e mesi quattro, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Propongono separati ricorsi per cassazione NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo i motivi di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
NOME COGNOME ha dedotto due motivi e, con successiva memoria, ulteriori tre motivi aggiunti.
4.1 Violazione degli artt. 268 e 178 cod. proc. pen. Il motivo censura l’ordinanza del 14/3/24 con la quale la Corte territoriale ha rigettato l’eccezione di inutilizzabilit delle intercettazioni per violazione del diritto di difesa conseguente al rigetto delle richieste di copia dei file audio e dei dati relativi al rilevamento della posizione mediante GPS formulata dal difensore immediatamente dopo la pronuncia di primo grado. La Corte territoriale, infatti, ha rigettato l’eccezione sul presupposto della presenza agli atti delle trascrizioni e dei file audio, della mancanza di una richiesta specifica da parte della difesa, del contenuto della deposizione del teste di Polizia Giudiziaria, deposizione rinnovata anche in appello, e del carattere meramente
ipotetico del vizio che potrebbe essersi verificato nella trasposizione dei file dal server.
Il ricorrente censura tale motivazione specificando che, pur non contestando l’acquisizione degli atti al fascicolo dibattimentale, detta violazione è intervenuta nella fase in cui doveva redigere i motivi di appello.
La censura dedotta con il motivo in esame è stata ripresa con i primi due motivi aggiunti. In particolare, con riferimento alle intercettazioni ambientali, con il secondo motivo aggiunto il ricorrente ha dedotto il vizio di violazione di legge in relazione alla valenza probatoria e alla intellegibilità delle trascrizioni.
Si deduce, al riguardo, anche la mancanza di motivazione in ordine alla attendibilità delle censure operate dal consulente Prof. COGNOME e di fatto confermate dal CTU Dott. COGNOME
4.2 Violazione di legge sostanziale e processuale, quanto alla valutazione della prova indiziaria, e di motivazione, in tutte le sue declinazioni, in relazione a tutti capi ascritti al ricorrente.
In particolare, si censura la motivazione con cui la Corte territoriale ha ritenuto attendibili ed ha condiviso le conclusioni del perito con riferimento al prog. 9742 dell’8/7/2017, smentendo la motivazione del Giudice di primo grado. Si aggiunge che la motivazione è mancante, illogica e contradditoria in merito alla intellegibilità dei dialoghi intercettati.
4.2.1.Quanto al capo D), il ricorrente rileva i seguenti vizi della motivazione:
carente in ordine alla responsabilità del COGNOME, posto che la sentenza a suo carico ha escluso che fosse uno degli esecutori materiali del delitto;
contraddittoria là dove asserisce che tre degli imputati parteciparono quali esecutori materiali e poi afferma che gli esecutori sono ignoti;
illogica là dove esamina le ragioni dell’omicidio, che, allo stato, non risultano accertate;
illogica e in violazione di legge nella parte in cui valuta gli incontri tra gl imputati a decorrere dal 6/7/2017, atteso che, quanto all’incontro del 6/7/17, il contenuto dei dialoghi è rimasto ignoto e non vi sono elementi che consentono di ricondurlo all’omicidio, mentre, quanto all’incontro dell’8/7/17, la perizia fonica ha smentito i riferimenti a “COGNOME” e a “COGNOME” che, secondo la perizia disposta in primo grado, recepita dalla Corte di Assise, sarebbero contenuti nel dialogo intercettato. Si censura, inoltre, la motivazione relativa al c.d. sopralluogo del 9/7/2017 con riferimento alle tre espressioni utilizzate nel dialogo e valorizzate dalla Corte avuto riguardo
all’utilizzo della Mercedes da parte della vittima, al riferimento al dato “è già sveglio” e all’espressione “Tri su”, nonché, infine, all’espressione del Curatolo che nel rivolgersi a Di Dio, faceva riferimento a otto giorni dopo, dato riferito dalla Corte al giorno di consumazione dell’omicidio.
contraddittoria e in violazione di legge GLYPH in relazione: i) all’incontro dell’11/7/2017, non essendo stato possibile attribuire le frasi ai presenti e non emergendo alcun elemento individualizzante rispetto all’omicidio; ii) all’incontro del 18/7/2017 rispetto al quale manca alcuna motivazione sulle ragioni per cui debba riferirsi all’omicidio.
contraddittoria nella parte in cui ritiene provato il movente mafioso dell’omicidio, gravando sostanzialmente gli imputati dell’onere di dimostrare gli alternativi moventi riconducibili agli omicidi di COGNOME e COGNOME in relazione ai quali era stato indagato proprio COGNOME.
Le censure relative al capo D) sono state riprese nel terzo motivo aggiunto in cui il ricorrente ha dedotto il difetto di motivazione sui punti decisivi, inerent l’interpretazione delle conversazioni intercettate il 9/7/17, relativi alla riconducibilit alla vittima del riferimento alla vettura Mercedes e al suo orario di risveglio, posto che il teste COGNOME ha riferito che il COGNOME utilizzava detta auto solo da due giorni prima dell’omicidio, mentre la moglie della vittima ha riferito che il marito in estate si svegliava sempre alle 7 e mai prima delle 6,30.
4.2.2 Quanto al capo C), si deducono vizi di violazione di legge e di motivazione, non essendo stata indicata dalla Corte territoriale la specifica condotta tenuta del ricorrente, il quale si è limitato a quattro trasferte a Catania.
4.2.3.Quanto al capo A), si deducono vizi di violazione di legge e di motivazione. Oltre alla carenza di prova in ordine alla partecipazione all’omicidio, ritenuto un elemento indiziario della partecipazione del ricorrente al sodalizio, si rileva che, al di là della mera presenza dello stesso ad incontri o di semplici contatti, non vi è prova di una singola condotta illecita commessa dal ricorrente nell’interesse del sodalizio e ciò contrasta con la nozione di partecipazione elaborata da questa Corte di legittimità.
Sulla base delle argomentazioni esposte in ricorso si censurano infine le aggravanti ritenute per il reato associativo e per l’omicidio, non sussistendo alcuna prova che questo sia stato commesso per finalità mafiose o con modalità mafiose.
NOME COGNOME ha dedotto sei motivi di ricorso.
5.1 Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al giudizio di responsabilità per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. in relazione al quale, già
con l’atto di appello, era stato rappresentato che gli unici elementi a carico del ricorrente consistono nella messa a disposizione della sua masseria quale luogo di incontro tra i presunti associati – elemento non dirimente per varie ragioni e, tra le altre, in quanto l’oggetto degli incontri è stato desunto sulla base di mere suggestioni – nonché nella sua partecipazione al c.d. sopralluogo avvenuto prima dell’omicidio di COGNOME, elemento questo, frutto di un evidente travisamento della prova.
Sostiene il ricorrente che la sentenza impugnata si è limitata a riportare genericamente l’elenco delle riunioni, omettendo di dare risposta ai rilievi difensivi in merito alla rilevanza probatoria degli incontri, alle loro finalità e all’indicazione quelli cui avrebbe partecipato COGNOME.
La motivazione è, inoltre, contraddittoria nella parte in cui, da un lato, afferma che il ricorrente era consapevole della natura illecita delle discussioni avvenute in tali incontri e, dall’altro lato, afferma che l’estensione e le caratteristiche dell’ovi risultano compatibili con l’assunto difensivo secondo il quale il ricorrente non era a conoscenza del contenuto dei dialoghi tra gli associati.
5.2. Violazione dell’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen. in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e vizio della motivazione. La Corte territoriale ha valorizzato due elementi insufficienti, ovvero le modalità di commissione dell’omicidio di cui al capo D) e, quanto alla conoscenza del carattere armato dell’associazione da parte del ricorrente, il contenuto della conversazione dell’11/7/2017, prog. 9830. Rileva il ricorrente che, quanto a tale conversazione, dalla motivazione non risulta il modo in cui la Corte è pervenuta a stabilire l’identità dei conversanti e che uno di questi fosse proprio COGNOME A tale riguardo, si rileva che anche la sentenza di primo grado aveva affermato che non era possibile identificare le voci dei soggetti dialoganti.
5.3. Violazione degli artt. 110 e 575 cod. pen. in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e vizio della motivazione, mancando elementi certi in merito al contributo, morale o materiale, fornito dal ricorrente all’omicidio di Marchì. La Corte territoriale ha valorizzato, al riguardo: i) la messa a disposizione del suo ovile a favore dei sodali per le riunioni del 6, 8, 11 e 18 luglio 2017, quest’ultima successiva all’omicidio; ii la sua presenza alle riunioni dell’8 e dell’Il luglio; iii) i dialoghi del 18 luglio 20
Ad avviso del ricorrente, si tratta di una motivazione apodittica per le seguenti ragioni: 1) l’incontro del 18 luglio non si svolse presso l’ovile, bensì all’inter dell’autovettura di COGNOME; 2) la partecipazione del ricorrente ai dialoghi dell’8 e dell’Il luglio 2017 è frutto di una mera suggestione in quanto lo stesso è stato identificato solo nella prima fase dei dialoghi. Non vi è, dunque, alcuna prova che il ricorrente abbia messo consapevolmente a disposizione il proprio ovile al fine di
svolgere riunioni preparatorie rispetto all’omicidio di COGNOME. Aggiunge, inoltre, il ricorrente che il dialogo del 18 luglio è avvenuto due giorni dopo il delitto e i dettagl menzionati ben potevano essere stati appresi anche dalla stampa; in ogni caso, qualora si volesse ritenere che lo stesso era a conoscenza di tali particolari prima dell’omicidio, dal dialogo non emerge che lo stesso abbia apportato alcun contributo alla commissione del delitto. Sulla base di tali premesse, si rileva che, al più, può ravvisarsi una connivenza non punibile del ricorrente.
5.4. Violazione dell’art. 577, comma primo, n. 3, cod. pen. in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e vizio della motivazione. Osserva al riguardo il ricorrente, richiamando la giurisprudenza di legittimità sull’aggravante in questione, che l’organizzazione del delitto e l’esecuzione del sopralluogo vanno considerati come evenienze fisiologiche rispetto alla consumazione di un omicidio non premeditato, costituendo circostanze minime per poter commettere consapevolmente siffatto crimine.
5.5 Violazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen., in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., e vizio della motivazione. Ad avviso del ricorrente, la Corte ha illegittimamente confermato la decisione di primo grado, limitandosi sostanzialmente a valorizzare la sola esistenza del sodalizio mafioso e desumendo apoditticamente da tale assunto che tutti i sodali abbiano agito con finalità e modalità mafiose. Quanto al metodo mafioso, si sottolinea la rilevanza che la giurisprudenza di questa Corte attribuisce alla percezione da parte della vittima della dinamica delittuosa, mentre nel caso in esame la vittima è stata attinta alle spalle da sicari.
5.6. Violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, fondato sulla gravità del fatto nonostante il riconosciuto apporto marginale del ricorrente.
6. NOME COGNOME ha dedotto deduce due motivi di ricorso.
6.1 Violazione di legge, anche in relazione agli artt. 111 Cost., 6 e 13 CEDU, e vizio della motivazione in ordine al giudizio di responsabilità dell’imputato per il capo G). In particolare, si deduce il carattere apparente della motivazione relativa alla individuazione del ricorrente come il soggetto di nome “NOME” cui facevano riferimento COGNOME e COGNOME nella conversazione intercettata. Si aggiunge, peraltro, che non vi è alcuna certezza che COGNOME abbia chiamato l’odierno ricorrente.
6.2. Violazione di legge, anche in relazione agli art. 111 Cost., 6 e 13 CEDU, e vizio della motivazione in ordine al diniego delle circostanza attenuanti generiche ed alla determinazione della pena.
A fronte degli elementi positivi indicati nell’atto di appello (attività lavorat svolta dal ricorrente e ruolo marginale nel delitto ascrittogli), la sentenza ha negato il beneficio con motivazione meramente assertiva. La sentenza, infine, ha omesso di motivare sugli elementi positivi indicati nell’atto di appello al fine di ottenere un riduzione della pena, determinata dalla Corte territoriale in violazione dei criteri indicati dagli artt. 133 e 133-bis cod. pen.
NOME COGNOME ha dedotto quattro motivi di ricorso.
7.1 Violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e vizio della motivazione in ordine al giudizio di responsabilità per il delitto di cui all’art. 575 cod. pen.
Si censura, in primo luogo, il ritenuto movente “mafioso” dell’omicidio nonostante l’estraneità a dinamiche associative del ricorrente, la diversa “caratura” criminale della vittima (il cui nome non è mai comparso nei processi celebrati negli ultimi venticinque anni a carico di associati a “cosa nostra”, a parte una generica indicazione fornita da un collaboratore di giustizia che lo ha indicato come autista di NOME COGNOME), la possibilità di moventi alternativi riconducibili, invece, agli omici COGNOME e COGNOME per i quali era stato indagato COGNOME. Si rileva, inoltre, che la tesi condivisa dalla Corte territoriale, secondo cui l’omicidio si inquadrerebbe nell’ambito della contrapposizione interna alla famiglia mafiosa di Barrafranca, non regge alle obiezioni difensive. In particolare, si segnala che nulla è emerso in tal senso nel corso del procedimento denominato “Kaulonia” e che nella conversazione intercorsa tra COGNOME e COGNOME, valorizzata dalla sentenza impugnata, non vi è alcun accenno a Marchì.
Si segnala ancora che nel corso delle indagini risultano captati 21.500 dialoghi dai quali non è emerso alcun sospetto che COGNOME potesse essere un obiettivo di “cosa nostra”. L’asserito movente mafioso dell’omicidio risulta, dunque, in contrasto con la parte della motivazione in cui la Corte territoriale afferma che non risultano accertate le ragioni ultime di tale delitto, i cui moventi alternativi non sono stati mai oggetto indagine da parte degli inquirenti.
Si aggiunge, infine, che, anche a voler ricondurre il delitto ad un interesse della cosca guidata dai COGNOME, risulta, comunque, immotivato il coinvolgimento dell’odierno ricorrente in un fatto delittuoso rispetto al quale lo stesso non aveva
interessi diretti o indiretti, atteso che di Dio, oltre ad essere incensurato non è mai stato accusato di partecipazione mafiosa.
Il motivo censura, inoltre, l’inconsistenza degli elementi desumibili dalle conversazioni del 6, 8 e 9 luglio. Oltre a segnalare che il ricorrente non era presente la mattina del 6 luglio presso l’ovile di Di Calogero, si aggiunge che il contenuto della conversazione tra lo stesso e COGNOME è rimasto sconosciuto, cosicché detto elemento deve ritenersi privo di rilevanza indiziaria. Si aggiunge, inoltre, che il contenuto dei dialoghi avvenuti il l’8 e il 9 luglio 2017 è stato oggetto di contrasti interpretat derivanti dalla scarsa qualità dell’audio. Inoltre, quanto al dialogo dell’8 luglio, sottolinea che non vi è alcuna prova che il ricorrente vi abbia partecipato, essendo rimasto a bordo dell’auto. La sentenza, invece, ricorrendo a una mera congettura, ha ritenuto che lo stesso abbia in qualche modo percepito e compreso le parole pronunciate dai COGNOME. Si contesta anche la rilevanza delle altre conversazioni (alle quali il ricorrente non ha partecipato), in quanto il contenuto è poco intellegibile, non si fa riferimento a COGNOME (già condannato con rito abbreviato) e, come accertato in appello, non vi è alcun riferimento a COGNOME.
Si segnala, inoltre, che il ricorrente non ha preso parte alla conversazione tra COGNOME e i due sconosciuti presso lo stabilimento RAGIONE_SOCIALE e che lo stesso sparisce dalla scena a partire dal 9 luglio e non partecipa all’incontro dell’Il luglio.
E’, pertanto, illogica la motivazione che sostiene, invece, che il ricorrente, benché rimasto in auto, abbia ascoltato la conversazione in questione atteso che i microfoni posizionati nell’auto registravano solo un generico riferimento ad un appuntamento.
Si deduce, inoltre, che dalla lettura integrale delle conversazioni intercettate il 9 luglio non emerge alcun indizio che si stesse eseguendo un sopralluogo preliminare rispetto all’omicidio. La Corte territoriale, inoltre, è incorsa in un travisament allorché ha attribuito la frase “caa u putimu fari..0 biviu c’è” all’odierno ricorren posto che lo stesso NOME COGNOME ha chiarito che non vi è stato modo di attribuire le frasi pronunciate ai singoli interlocutori. Nell’esaminare le singole espressioni valorizzate in sentenza, il motivo prospetta, inoltre, possibili alternative spiegazioni e, in particolare, la loro riferibilità alla pastorizia, attività di cui si occupava interlocutori.
Sempre in relazione alle conversazioni intercettate il 9 luglio, si articolano censure analoghe a quelle svolte da COGNOME nel secondo motivo di ricorso in merito ai brani valorizzati dalla Corte territoriale (quali il riferimento della vettura Merced a Marchì o l’indicazione “otto giorni avanti” alla data dell’omicidio), sottolineando che
il significato attribuito è frutto di ipotesi e si presta ad alternative interpretaz indicate nel motivo.
Sotto altro profilo, il motivo deduce la carenza di prova del contributo apportato da COGNOME nell’esecuzione del sopralluogo o nella commissione dell’omicidio. In ogni caso, si aggiunge, anche a voler ritenere provata la sua partecipazione al sopralluogo, è certo che COGNOME si limitò ad una mera «presenza passiva» o comunque irrilevante, e non partecipò all’incontro del successivo 11 luglio in cui si assume che le informazioni acquisite sarebbero state comunicate agli esecutori materiali del delitto.
7.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della desistenza volontaria, stante la mancata partecipazione del ricorrente all’incontro dell’Il luglio e la mancata risposta alla telefonata del Curatol il successivo 10 luglio, entrambe sintomatiche del venir meno dell’animus necandi.
7.3 Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla ritenuta aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. per carenza dell’elemento psicologico. Nel motivo si insiste sulla rilevanza delle censure sul movente mafioso dell’omicidio, sulla mancata contestazione a Di Dio della partecipazione al sodalizio mafioso o ad altro reato aggravato ex art. 7 dl. 207/91, nonché sulla mancanza di un qualunque vantaggio derivante dall’omicidio per il sodalizio o per i suoi membri.
7.4 Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sulle aggravanti ed al trattamento sanzionatorio, stante la irrilevanza del ruolo del ricorrente.
NOME COGNOME ha dedotto tre motivi di ricorso.
8.1. Violazione dei criteri legali di valutazione della prova indiziaria e vizio dell motivazione in ordine al delitto di associazione mafiosa ed al ritenuto concorso nel delitto di omicidio. Sostiene il ricorrente che la sentenza impugnata, con motivazione illogica e contraddittoria, violando l’art. 192 cod. proc. pen. ed omettendo di rispondere alle censure in merito ai possibili moventi alternativi dell’omicidio COGNOME, ne ha apoditticamente ribadito il movente mafioso. Invero, si sottolinea che la Corte territoriale, pur condividendo le conclusioni peritali in merito alla non intellegibil della conversazione di cui al prog. 9742 dell’8 luglio 2017, ha operato una sorta di prova di resistenza ed è pervenuta alla conferma del movente mafioso sulla base di mere congetture. Si rileva in particolare che:
la riconducibilità dell’omicidio ad un mandato ricevuto dai COGNOME da parte della famiglia COGNOME non può essere desunta dai rapporti tra le due famiglie, monitorati solo a partire dal dicembre 2017 e, dunque, in data successiva alla
commissione dell’omicidio. Nè a tal fine, possono rilevare, se non con un salto logico, i discorsi intervenuti nel febbraio 2018 tra i soli COGNOME e COGNOME. Si aggiunge ancora che dalla mole di atti processuali non è emerso alcun elemento certo che dimostri che l’omicidio sia stato commesso su “ordine” e “commissione” della famiglia COGNOME;
sotto altro profilo, manca, inoltre, stante la non intellegibilità dell conversazione del luglio 2017, qualunque prova che l’omicidio sia avvenuto su mandato del ricorrente.
l’inquadramento di COGNOME all’interno dello schieramento di NOME COGNOME, del quale sarebbe stato autista, contrasta con le dichiarazioni della moglie della vittima che ha affermato che lo stesso ebbe come “padrino di cresima” NOME COGNOME che, secondo la sentenza, sarebbe uomo di fiducia di NOME COGNOME, uno dei capi dalla contrapposta famiglia mafiosa di Barrafranca.
Si censura, inoltre, la parte della motivazione in cui si attribuisce al ricorrente e al fratello il ruolo di mandanti dell’omicidio in quanto fondata su elementi equivoci ovvero gli incontri tra gli imputati dell’omicidio, di cui, tuttavia, si ignora il conte ed ai quali il ricorrente non fu sempre presente, nonché le precauzioni adottate, il ruolo apicale del COGNOME, il suo comportamento processuale (l’essersi avvalso della facoltà di non rispondere), la commissione del delitto in una zona rientrante nel territorio di competenza del sodalizio e che, dunque, richiedeva la preventiva autorizzazione da parte dei capi.
8.2. Violazione di legge e vizio della motivazione in merito alla ritenuta partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa. Rileva il ricorrente che, a parte i reati contestati nel presente procedimento, dagli atti processuali non è emersa alcuna traccia di reati-fine che consentano di ritenere operativo il sodalizio nel periodo in contestazione e di dimostrarne la direzione da parte del ricorrente. Si rileva, infatti, che la sentenza impugnata, omettendo di rispondere alle censure difensive sulla carenza degli elementi costitutivi del reato, ha posto a fondamento del giudizio di responsabilità i precedenti penali del ricorrente, applicando illogicamente il principio del “mafioso a vita”, e gli incontri con altri pregiudicati, la cui matrice mafiosa è stat apoditticamente desunta dalle cautele adottate, dal luogo degli appuntamenti e dalla mancanza di prova della liceità dell’oggetto degli incontri e degli argomenti trattati (invertendosi, così, l’onere della prova).
8.3. Violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Quanto al primo profilo di censura, si deduce l’illogicità e contraddittorietà della motivazione in quanto la finalità agevolatrice è stata dedotta dalla premessa indimostrata che l’omicidio fosse volto, alternativamente, a consolidare il potere del gruppo criminale nel proprio territorio ovvero alla esistenza di un mandato da parte della famiglia del COGNOME; il metodo mafioso è stato, invece, desunto dalle modalità cruente di esecuzione dell’omicidio, benché la stessa Corte territoriale abbia contraddittoriamente affermato che i dati oggettivi si prestano a diverse letture e che tali modalità sono, comunque, prive di una concreta “simbologia mafiosa”.
Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche si rileva che lo stesso è fondato sulla sola gravità del fatto senza, tuttavia, considerare le considerazioni mosse sul punto dal ricorrente.
9. NOME COGNOME ha dedotto sei motivi di ricorso.
9.1. Con i primi tre motivi di ricorso ha dedotto delle censure sostanzialmente sovrapponibili a quelle articolate nei primi due motivi di ricorso da NOME COGNOME cui si rinvia (violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., illogicità contraddittorietà della motivazione relativa al giudizio di responsabilità per l’omicidio di cui al capo D e omessa motivazione in ordine al giudizio di responsabilità per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.)
9.2. Con il quarto motivo sono stati dedotti vizi violazione di legge e di motivazione in relazione alle circostanze aggravanti di cui agli artt. 416-bis, comma quarto, e 416-bis.1 cod. pen., ravvisate dalla sentenza impugnata in ragione dei precedenti penali del ricorrente e del suo ruolo apicale, nonostante l’incertezza del movente, del contenuto dei dialoghi intercettati e dell’identità degli autori del delitto
Nel corpo del motivo si articolano censure analoghe a quelle dedotte da NOME COGNOME con il terzo motivo di ricorso in merito all’aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen.
9.3. Con il quinto motivo sono stati dedotti vizi di violazione di legge e della motivazione, in quanto omessa ed illogica, in relazione al ritenuto concorso nel reato di cui al capo G), desunto dall’intercettazione ambientale del 30 marzo 2018 sebbene dalla conversazione intercorsa tra il ricorrente, COGNOME ed il terzo rimasto ignoto non emerga alcun riferimento al furto. Si rileva che anche in tal caso la colpevolezza del ricorrente si fonda solo sulla sua posizione apicale, sebbene la stessa Corte territoriale abbia dato atto della mancanza di riscontri individualizzanti a suo carico e del fatto che COGNOME non è stato interpellato in merito ai problemi di apertura
della cassaforte, alla spendita delle banconote macchiate e alla ripartizione GLYPH del ricavato.
9.4 Con il sesto motivo sono stati dedotti vizi di violazione di legge e della motivazione in ordine al riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Il motivo riprende le considerazioni già svolte nel quarto motivo e propone sostanzialmente le medesime censure dedotte da NOME COGNOME nel terzo motivo di ricorso.
La parte civile NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte ed ha chiesto il rigetto del ricorso proposto da COGNOME con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il procedimento è stato discusso all’udienza del 26 settembre 2024 e, all’esito della camera di consiglio, Il Collegio ha disposto il differimento della deliberazione all’udienza del 10 ottobre 2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono parzialmente fondati con riferimento alle doglianze formulate da NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione al capo G) e da COGNOME Gaetano in relazione al capo C), per i quali, per le ragioni che saranno di seguito esposte, va disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti dei predetti imputati per non aver commesso il fatto; sono, altresì, fondate le doglianze formulate dai due COGNOME, nonché da COGNOME, COGNOME e COGNOME con riferimento al reato di cui al capo D) in relazione al quale, per quanto si dirà di seguito, va disposto l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Assise di appello di Catania. Gli ulteriori motivi di ricorso dedotti dai due COGNOME, COGNOME e di NOME sono complessivamente infondati e vanno, pertanto, rigettati.
Procedendo in ordine logico con l’esame dell’unica questione processuale dedotta con il primo motivo di ricorso da COGNOME, rileva il Collegio che si tratta d una doglianza priva del requisito della specificità e manifestamente infondata. Il ricorrente, infatti, si limita ad insistere genericamente sulla inutilizzabilità de intercettazioni, paventando una ipotetica violazione del diritto di difesa, senza confrontarsi criticamente con le argomentazioni della Corte territoriale che, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha evidenziato, in primo luogo, la
presenza agli atti dei dati relativi sia ai rilievi tramite GPS, in quanto transit attraverso la deposizione del teste di Polizia giudiziaria, sia al contenuto delle conversazioni intercettate (oggetto di perizia trascrittiva). Si è, inoltre, considerat che il ricorrente non ha presentato alla Corte territoriale alcuna richiesta di accesso ai file audio, nonché il carattere meramente ipotetico del possibile vizio che si assume potrebbe essersi verificato nella trasposizione del file dal server alla copia informatica consegnata al perito trascrittore.
A fronte, dunque, della presenza nel compendio istruttorio del materiale di cui il ricorrente aveva erroneamente chiesto copia al pubblico ministero (istanza da questo rigettata proprio in considerazione dell’avvenuta esecuzione della perizia trascrittiva), nonché della mancata rinnovazione della medesima istanza negli atti preliminari o nel corso del giudizio di appello, non è dato, dunque, comprendere in che modo si sia verificata la violazione del diritto di difesa, genericamente prospettata dal ricorrente.
I motivi relativi alla partecipazione all’associazione mafiosa di cui al capo A), formulati da COGNOME (nel corpo del secondo motivo), COGNOME (primo motivo) NOME COGNOME (secondo motivo) e NOME COGNOME (terzo motivo), sono infondati.
In primo luogo, va rilevato che la sentenza impugnata ha ricostruito sulla base delle sentenze passate in giudicato (alcune delle quali hanno interessato anche i due fratelli COGNOME) la sussistenza del sodalizio mafioso operante in Pietraperzia a partire dagli anni ’90. Tra i vari giudicati esaminati dalla Corte territoriale, assumono rilevanza la sentenza del Tribunale di Enna del 2002 – che ha attestato l’esistenza del sodalizio anche successivamente al 1995 e, in particolare, il ruolo di NOME COGNOME quale “rappresentante” del gruppo e di COGNOME NOME, quale vice, incaricato della gestione delle estorsioni – e la successiva sentenza del Tribunale di Caltanissetta del 2011 con la quale i due fratelli COGNOME sono stati nuovamente condannati per la partecipazione al medesimo sodalizio mafioso.
Quanto alla sussistenza ed operatività del sodalizio anche nel periodo in contestazione, sono stati considerati gli incontri monitorati dalla polizia giudiziaria sia di rilevanza “esterna”, tra membri del sodalizio ed con esponenti di altre famiglie mafiose, che di rilevanza interna ed organizzativa, tra i ricorrenti, nonché il contenuto delle conversazioni intercettate.
In particolare, quanto agli incontri sintomatici della rilevanza “esterna” del sodalizio e del suo riconoscimento ad opera delle altre famiglie mafiose, merita,
innanzitutto, rilievo l’incontro del 9/2/2016 al quale parteciparono esponenti apicali di diverse famiglie mafiose e, tra questi, anche COGNOME, quale delegato di NOME COGNOME che, sulla base di quanto emerso dai dialoghi intercettati, non aveva potuto presenziare in quanto sottoposto a libertà vigilata. Dalle sentenze di merito risulta, infatti, che proprio a partire da tale incontro anche il COGNOME, oltre ai d COGNOME, fu sottoposto ad intercettazioni sia telefoniche che ambientali tramite GPS installato sulla vettura a lui in uso. Tali intercettazioni, peraltro, proseguivano fino al 9/9/2018, allorché il dispositivo veniva scoperto e rimosso dall’auto ad opera di COGNOME, COGNOME e dei due COGNOME.
La sentenza impugnata ha, inoltre, valorizzato la partecipazione dei ricorrenti ai seguenti ulteriori incontri con esponenti di altre famiglie mafiose: 1) due incontri del 31/10/2016 e del 9/11/2016 tra COGNOME e reggenti della compagine mafiosa catanese; 2) il summit del 7/6/2017 presso un agriturismo, cui parteciparono i ricorrenti ed esponenti di spicco della compagine mafiosa catanese NOME Ercolano; 3) gli incontri avvenuti a partire da dicembre 2017 con esponenti della famiglia mafiosa di Barrafranca, incontri cui hanno partecipato ora il solo NOME COGNOME e COGNOME (17/12/2017), ora entrambi i fratelli COGNOME (27/12/2017) ora il solo NOME COGNOME (4/2/2018 e 14/2/2018).
La sentenza di primo grado ha, inoltre, valorizzati altri due incontri: 1) l’incontro de 25/7/17, dopo l’omicidio COGNOME, presso l’ovile di COGNOME, al quale partecipavano esponenti mafiosi di Sommatino che, nella circostanza, venivano accompagnati da COGNOME presso la masseria di Curatolo (ciò, secondo i Giudici di merito, a dimostrazione della fungibilità delle due basi logistiche); 2) l’incontro del 17/12/2017 al quale erano presenti COGNOME, NOME, COGNOME (giunto sul posto con NOME COGNOME condannato per la partecipazione al sodalizio mafioso con giudizio abbreviato) e NOME COGNOME, all’epoca sottoposto alla misura della sorveglianza speciale. Con riferimento a tale ultimo incontro, la sentenza di primo grado ha valorizzato il contenuto della conversazione captata a bordo dell’autovettura di COGNOME dalla quale è emerso che: allo stesso doveva partecipare anche NOME COGNOME; che COGNOME aveva manifestato a NOME COGNOME il suo astio verso il comandante della Stazione dei Carabinieri di Barrafranca; che NOME COGNOME avrebbe dovuto riferire il contenuto dell’incontro al fratello prima che venisse assunta qualunque iniziativa di carattere ritorsivo.
Oltre agli incontri con esponenti di vertice di altra famiglie mafiose, sono stati considerati anche gli incontri avvenuti tra gli imputati, soprattutto negli ovili messi disposizione sia da COGNOME che da COGNOME, nonché il contenuto del colloquio in
carcere tra NOME COGNOME e i familiari in cui si faceva riferimento a NOME COGNOME, soprannominato “dottore”, ed al suo ruolo di comando.
La Corte territoriale ha, infine, ritenuto rilevanti anche talune conversazioni intercettate (nonostante il linguaggio criptico utilizzato e le cautele adottate dagli interlocutori, che spesso si allontanavano dalle auto e si dirigevano in aperta campagna per conversare). In particolare, sono state valorizzate: i) la conversazione in cui NOME COGNOME si lamentava con il cugino della “ingratitudine” di NOME COGNOME «nonostante i due favori che gli erano stati chiesti»; ii) la conversazione tra NOME COGNOME e COGNOME in merito al furto commesso in danno di un soggetto legato alla famiglia mafiosa di Pietraperzia da parte di NOME COGNOME; iii) la conversazione in cui COGNOME chiedeva a NOME COGNOME il permesso di «impartire una lezione» a COGNOME.
3.1. Ad avviso del Collegio, acclarata l’esistenza del sodalizio mafioso nel periodo in contestazione, la sentenza impugnata, senza incorrere in alcun vizio logico o giuridico, ha adeguatamente argomentato in merito alla partecipazione dei ricorrenti ed al ruolo apicale attribuito ai due fratelli COGNOME. Sono stati, a tal fine valorizzat i rapporti accertati non solo tra gli odierni ricorrenti, ma anche tra questi ed esponenti di vertice di altre famiglie mafiose, la continuità dell’impiego delle due basi logistiche del gruppo (gli ovili di COGNOME e COGNOME) e il contenuto di taluni colloqui intercettati, correlato al controllo del territorio da parte del gruppo criminale.
In particolare, quanto a COGNOME e COGNOME, sono stati considerati quali indici sintomatici della loro intraneità al sodalizio la loro partecipazione a summit con esponenti di altre famiglie mafiose, la messa a disposizione delle rispettive masserie per gli incontri soprattutto tra i componenti del sodalizio mafioso per cui è processo, nonché la loro partecipazione, unitamente ai due COGNOME, alla “bonifica” dell’autovettura di COGNOME dal GPS installato dagli inquirenti.
Quanto ai fratelli COGNOME entrambi già condannati per la partecipazione al sodalizio mafioso per cui è processo, la Corte territoriale ha desunto la persistenza della loro partecipazione nonché il ruolo apicale assunto all’interno del gruppo, dalla loro partecipazione agli incontri con i vertici delle altre famiglie mafiose con i quali sottolinea la sentenza impugnata, i due fratelli intrattenevano dei rapporti paritari nonché dall’attività di coordinamento rispetto agli altri membri del sodalizio e dal ruolo loro riconosciuto sia da questi ultimi che da terzi. Sono state, in particolare, valorizzate le richieste di “autorizzazione” o di “intervento” rispetto a questioni di rilevanza interna al sodalizio (si richiama la richiesta formulata da COGNOME di avere il permesso di “impartire una lezione” a COGNOME) o attinenti a
vicende che, comunque, potevano rilevare ai fini del controllo del territorio (si richiama la vicenda relativa alla richiesta di “assistenza” in merito al furto subito nel 2018 da NOME COGNOME in relazione alla quale nella sentenza di primo grado si sottolinea che, a seguito dell’interessamento dei COGNOME, veniva individuato l’autore del furto che, preoccupato per le reazioni della famiglia mafiosa, lasciava definitivamente il territorio di Pietraperzia).
A conferma del ruolo apicale di NOME COGNOME, la Corte territoriale ha anche considerato il contenuto del colloquio sopra menzionato tra NOME COGNOME (detenuto in relazione all’operazione denominata “Primavera”), il figlio NOME e la moglie, in cui riferendosi a lui con il soprannome “il dottore”, gli interlocutori n riconoscevano il ruolo di comando e, nel tentativo di evitare che COGNOME collaborasse con la giustizia, gli riferivano il messaggio di COGNOME che gli consigliava di “concentrarsi sulla salute”.
Ad ulteriore conferma del potere disciplinare-gerarchico dei due Monachino, la sentenza impugnata ha considerato, infine, il contenuto delle conversazioni in cui i Monachino invitavano i sodali a non fare errori perché sarebbero andati a cercarli fino a casa (cfr. p. 57 della sentenza impugnata).
3.2. Ad avviso del Collegio tale ricostruzione dei ruoli interni al sodalizio di ciascuno dei ricorrenti appare immune da vizi logici e, soprattutto, coerente con il costante indirizzo di questa Corte, anche a Sezioni Unite, che definisce la condotta di “partecipazione” ad un’associazione di stampo mafioso in chiave dinamica quale stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua “messa a disposizione” in favore del sodalizio, per il perseguimento dei comuni fini criminosi (cfr., da ultimo, Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670 ). Al fine di ravvisare, dunque, una condotta di “partecipazione” al sodalizio mafioso assume assoluta decisività la possibilità di attribuire al soggetto la realizzazione di un qualsivogli “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva.
Si è, inoltre, affermato che, sul piano probatorio, la partecipazione ad una associazione di tipo mafioso può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza del soggetto al sodalizio, purché si tratti di indizi gravi e precisi, come, ad esempio, i
comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo (Sez. U, n. 33748 del 2005, COGNOME), l’accertata sussistenza di un rapporto gerarchico dell’interessato rispetto ai soggetti ritenuti sicuramente partecipi del sodalizio (Sez. 6, n. 1162 del 14/10/2021, dep. 2022, Rv. 282661), oltre a molteplici e significativi “facta concludentia”, idonei, senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670).
In particolare, sono stati considerati quali comportamenti concludenti, idonei a costituire indizio di intraneità al sodalizio criminale, l’essere posto a conoscenza dell’organigramma e della struttura organizzativa delle cosche della zona, dell’identità dei loro capi e gregari, dei luoghi di riunione, degli argomenti tratta l’essere stato ammesso a partecipare ad incontri deputati all’inserimento di nuovi sodali (Sez. 5, n. 25838 del 23/07/2020, COGNOME, Rv. 279597 – 02), la partecipazione, come nel caso di specie, a più riunioni organizzative tenute in un immobile riconosciuto quale “sede” organizzativa del gruppo criminale, non essendo ipotizzabile che un estraneo possa essere ammesso più volte a tali consessi (Sez. 1, n. 26684 del 12/4/2013, COGNOME, Rv. 256045).
Inoltre, proprio in considerazione dell’autonomia del reato associativo rispetto ai reati “fine”, si è esclusa l’indispensabilità, ai fini della prova della partecipazione sodalizio, della commissione di reati “fine” dell’associazione (cfr., con riferimento all’associazione di stampo mafioso, Sez. 1, n. 33033 del 11/07/2003, Vitello, Rv. 225977; detto principio è stato da ultimo ribadito in relazione all’associazione finalizzata al narcotraffico da Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, Rv. 280703).
Infine, quanto al ruolo direttivo e alla funzione di capo di cui all’art. 416-bis comma secondo, cod. pen., si è condivisibilmente affermato che vanno riconosciuti solo a chi risulti al vertice di una entità criminale autonoma, sia essa famiglia, cosca o “clan”, dotata di propri membri e regole (cos’, da ultimo, Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Buono, Rv. 279476 – 03).
I motivi relativi alle aggravanti del 416-bis, comma quarto, cod. pen., dedotti da NOME COGNOME con il secondo motivo, da NOME COGNOME con il terzo motivo e da NOME COGNOME con il quarto motivo, sono infondati
4.1. Va, innanzitutto, ribadito che l’aggravante della disponibilità di armi, prevista dai commi quarto e quinto dell’art. 416-bis cod. pen., ha natura oggettiva,
e, in quanto tale, è configurabile a carico dei partecipi che siano consapevoli del possesso delle stesse da parte della consorteria criminale (Sez. 5, n. 1703 del 24/10/2013, dep.2014, Sapienza, Rv. 258956) o lo ignorino per colpa (Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, Caputo Rv. 278010).
In particolare, con riferimento alle associazioni di tipo mafioso storiche (come nel caso di specie), per la configurabilità dell’aggravante in esame, non è richiesta l’esatta individuazione delle armi, ma è sufficiente l’accertamento, in fatto, della disponibilità di un armamento, desumibile anche dalle risultanze emerse nella pluriennale esperienza storica e giudiziaria, essendo questi elementi da considerare come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori (così, da ultimo, Sez. 2 n. 22899 del 14/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284761, che, con riferimento all’associazione mafiosa “Cosa nostra”, ha affermato che il riferimento alla stabile dotazione di armi costituisce un fatto notorio, certamente conosciuto da chi rivestiva una posizione di vertice nell’interno del sodalizio).
4.2. Venendo all’esame dei motivi, ritiene il Collegio che, in ragione dell’annullamento della decisione impugnata in relazione al reato di cui al capo D), di cui si dirà di seguito, non può, allo stato, tenersi conto delle argomentazioni spese dalla Corte territoriale proprio con riferimento alle modalità di consumazione di detto reato. Tuttavia, sottoponendo l’apparato argomentativo della sentenza impugnata ad un test di resistenza, lo stesso appare, comunque, adeguatamente motivato ed immune dai vizi dedotti dai ricorrenti.
Va, infatti, considerato che, a prescindere dal giudizio di responsabilità in merito all’omicidio COGNOME, la Corte territoriale ha desunto la disponibilità di armi da parte del sodalizio e la consapevolezza di tale circostanza da parte dei ricorrenti dalle seguenti due conversazioni: i) il colloquio svoltosi in data 11 luglio 2017 tra COGNOME, COGNOME ed altri due soggetti non identificati presso l’ovile di COGNOME in cui si faceva esplicito riferimento all’«azione dello sparare»; ii) la conversazione in cui COGNOME chiedeva a NOME COGNOME il permesso di dare una lezione a COGNOME e COGNOME, pur acconsentendo, lo invitava a stare attento perché COGNOME portava sempre qualcosa (intesa come un’arma) con sé.
Dalla sentenza di primo grado risulta, inoltre, che NOME COGNOME è stato già condannato con sentenza irrevocabile, oltre che per la partecipazione al sodalizio mafioso, anche per il reato di porto e detenzione di arma con l’aggravante del metodo mafioso.
Alla stregua della valutazione congiunta di tali elementi, ritiene il Collegio che la motivazione sul punto sia adeguata ed idonea a rivelare sia la disponibilità di armi da
parte del sodalizio che la consapevolezza di tale circostanza da parte degli odierni ricorrenti.
E’, invece, fondata la censura dedotta da COGNOME in relazione al reato di cui al capo C).
La sentenza impugnata è pervenuta alla conferma del giudizio di responsabilità del ricorrente in merito alla estorsione in danno di COGNOME sulla base di elementi indiziari equivoci e alla stregua di una regola di giudizio fondata, non sul criterio dell'”al di là di ogni ragionevole dubbio”, bensì sulla mera “razionalità logica” dell’ipotesi accusatoria, ancorata a elementi fattuali equivoci e a mere supposizioni dei Giudici di merito.
Sono stati, infatti, valorizzati alcuni incontri cui ha partecipato il ricorrente c esponenti della famiglia COGNOME di Catania nonché con i coimputati COGNOME e COGNOME, incontri di cui non è chiara la finalità né il contenuto dei colloqui intercors tra i partecipi.
Nonostante tale vuoto probatorio, la Corte territoriale, senza indicare alcun elemento fattuale a riscontro del percorso logico seguito né sondare la possibilità di alternative giustificazioni di tali incontri – riconducibili, ad esempio, alla accerta intraneità del Curatolo al sodalizio di Pietraperzia – è pervenuta ad un giudizio di colpevolezza valorizzando, in parte, elementi indiziari equivoci, e, in altra parte, mere presunzioni.
Innanzitutto, appare frutto di una mera presunzione la riconduzione degli incontri alla definizione di un accordo sui termini dell’estorsione tra le due famiglie mafiose di Catania e di Pietraperzia e ciò sulla base della generica considerazione che la società di Catalano stava operando nel territorio di Catania, ma aveva sede in un imprecisato luogo dell’ennese (il che giustificava il coinvolgimento della famiglia di COGNOME).
Hanno, invece, una valenza equivoca gli incontri valorizzati in sentenza (dei quali, si ribadisce, si ignora sia la finalità che il contenuto delle interlocuzi avvenute) in ragione della sola partecipazione di COGNOME, dipendente di Catalano e latore delle richieste estorsive, e di COGNOME, considerato rappresentante della famiglia COGNOME e concorrente nel reato di estorsione.
Va, peraltro, evidenziato che, con riferimento al primo di tali incontri, avvenuto il 7/6/2017, ritenuto “decisivo” dalla Corte territoriale ai fini della definizi dell’accordo tra le due famiglie mafiose sui termini dell’estorsione e sulla spartizione dei proventi, risulta dalla sentenza impugnata che COGNOME e NOME, pur presenti sul
posto, non hanno partecipato direttamente. Si afferma, infatti, che dalle intercettazioni ambientali nell’auto di COGNOME è emerso che i due commentavano dall’esterno l’evento, si davano da fare per fornire il vitto agli altri e, soprattutto, n erano a conoscenza della qualità dei presenti.
La sentenza, peraltro, con un evidente salto logico, correla tale incontro alla estorsione di cui al capo C), sulla base, non del contenuto dei dialoghi intercettati (evidentemente reputato poco significativo), ma di una mera presunzione fondata sulla “qualità dei presenti” e sul fatto che pochi giorni dopo tale incontro sarebbero avvenuti i primi pagamenti da parte di COGNOME in favore di COGNOME.
Va, inoltre, considerato che, nonostante il ruolo defilato di COGNOME all’incontro “decisivo” del 7/6/2017, gli ulteriori incontri valorizzati dai Giudici di merito, d contenuto parimenti ignoto, sono avvenuti solo a partire dall’ottobre 2017, quando ormai COGNOME aveva iniziato a pagare.
Ad avviso del Collegio, contrariamente a quanto apoditticamente asserito dai Giudici di merito, gli elementi indiziari valorizzati non appaiono sintomatici di un concreto ed effettivo contributo del ricorrente alla consumazione dell’estorsione ai danni di COGNOME, essendo rimasti allo stato indimostrati sia il presupposto attinente alla necessaria partecipazione della famiglia mafiosa di Pietraperzia alla consumazione dell’estorsione che il contenuto del contributo offerto da COGNOME.
Alla luce di quanto sopra esposto, poiché sulla base della insufficienza ed equivocità degli elementi indiziari risultanti dalle sentenze di merito risulta inutile u ulteriore accertamento del fatto, non essendo possibile pervenire ad un giudizio di colpevolezza del Curatolo al di là di ogni ragionevole dubbio, va disposto l’annullamento senza rinvio d ‘ ella sentenza impugnata, limitatamente al capo C), per non aver commesso il fatto, con conseguente revoca delle statuizioni civili.
Sono, inoltre, fondati, i motivi relativi al capo D), dedotti da COGNOME (nel corpo del secondo motivo), COGNOME (terzo motivo), COGNOME (primo e secondo motivo), NOME COGNOME (primo motivo) e NOME COGNOME (primo e secondo motivo).
6.1. Va, innanzitutto, premesso che, in base alla costante giurisprudenza di questa Corte, qui ribadita, la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., consente di pronunciare sentenza di condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto ricostruzioni alternative costituenti eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui
effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 3, n. 5602 del 21/1/2021, Rv. 281647; Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018, dep. 2019, Segreto, Rv. 275299; Sez. 1, n. 17921 del 03/03/2010, COGNOME, Rv. 247449).
Le Sezioni Unite hanno, infatti, statuito che il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio, per la sua immediata derivazione dal principio della presunzione di innocenza, esplica i suoi effetti conformativi non solo sull’applicazione delle regole di giudizio ma anche, e più in generale, sui metodi di accertamento del fatto, imponendo protocolli logici del tutto diversi in tema di valutazione delle prove e dell contrapposte ipotesi ricostruttive in ordine alla fondatezza del tema d’accusa: la certezza della colpevolezza per la pronuncia di condanna, il dubbio originato dalla mera plausibilità processuale di una ricostruzione alternativa del fatto per l’assoluzione (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430, in motivazione).
Si tratta, dunque, sia di una regola di giudizio, che definisce lo standard probatorio necessario per pervenire alla condanna dell’imputato, escludendo l’utilizzabilità di criteri alternativi di giudizio, quali “la consistente verosimiglian la forte plausibilità” della ricostruzione adottata, sia di un metodo dialettico accertamento del fatto, che obbliga il giudice a sottoporre, nella valutazione delle prove, la tesi accusatoria alle confutazioni costituite dalle ricostruzioni antagoniste prospettate dalle difese (cfr. Sez. 6, n. 45506 del 27/04/2023, COGNOME, Rv. 285548 – 15; Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, Jvad, Rv. 251507).
Sul giudice grava, dunque, l’onere di individuare gli elementi di conferma dell’ipotesi accusatoria accolta, in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla prospettazione alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (cfr. Sez. 6, n. 10093 del 5/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275290; Sez. 4, n. 22257 del 25/3/2014, COGNOME, Rv. 259204).
In questo articolato contesto, la regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio pretende percorsi epistemologicamente corretti, argomentazioni motivate circa le opzioni valutative della prova, giustificazione razionale della decisione, standard conclusivi di alta probabilità logica in termini di certezza processuale, essendo indiscutibile che il diritto alla prova, come espressione del diritto di difesa, estende il suo ambito fino a comprendere il diritto delle parti ad una valutazione legale, completa e razionale della prova.
Si è, inoltre, chiarito, con riferimento alla valutazione della prova indiziaria, ch il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa risolversi, sulla base di una visione unitaria, consentendo di attribuire il reato all’imputato al di là di og ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. U, n. 6682 del 4 febbraio 1992, COGNOME, Rv. 191231; Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv. 280605 – 02).
6.2 La sentenza impugnata è pervenuta ad un giudizio di colpevolezza dei ricorrenti in violazione della regola dell'”al di là di ogni ragionevole dubbio nell’accezione specificata nel precedente paragrafo, sulla base di una lettura del compendio probatorio non conforme al canone di alta credibilità razionale della ricostruzione fattuale fatta propria dalla Corte territoriale, in quanto desunta, non da elementi probatori specifici ed individualizzanti, ma in ragione di mere presunzioni e congetture, senza alcuna analisi della concreta possibilità di ipotesi alternative.
Anzi, proprio in relazione alle tesi alternative sollecitate dalla difesa, la Cort territoriale sembra affermare che fosse onere degli imputati dimostrare la riconducibilità del contenuto (incerto) degli elementi indiziari a loro carico, incontri conversazioni intercettate, all’attività di acquisto e vendita di bestiame (che risult svolta da COGNOME) o ad altre attività, lecite o illecite. Ad analoghe conclusioni sembra pervenire anche in relazione a possibili diversi inquadramenti dell’omicidio di COGNOME anche in contesti estranei a logiche mafiose. Si tratta di affermazioni gravemente in contrasto con la regola di giudizio, oltre che probatoria, di certezza processuale codificata all’art. 533 cod. proc. pen., regola che, muovendo dai capisaldi del processo penale accusatorio della presunzione di innocenza e dell’onere della prova gravante sulla pubblica accusa, impone al giudice, e non all’imputato, di verificare il tasso di univocità degli elementi probatori agli atti e la concreta sostenibilità, sul base di quanto acquisito nell’istruttoria dibattimentale e delle regole della logica, d
diverse ricostruzioni fattuali idonee a indurre un ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’imputato.
Oltre a tale lacuna del percorso decisionale adottato, di per sè già sufficiente a determinare la necessità di un nuovo giudizio sul capo in esame, rileva il Collegio che la stessa valutazione degli elementi probatori offerta dalla Corte territoriale è stata condizionata da una sostanziale presunzione relativa alla riconducibilità dell’omicidio ad un “contesto mafioso” e ad un ordine impartito dai COGNOME e da un salto logico in merito alla correlazione delle condotte ascrivibili a COGNOME, COGNOME e Di Dio alla consumazione del delitto in esame.
6.3. Quanto al primo profilo, GLYPH una volta escluso il valore probatorio della conversazione n. 9742 dell’8/7/2017 (oggetto di una seconda perizia in appello), da cui i Giudici di primo grado avevano desunto il conferimento a tal COGNOME (identificato nel COGNOME) del mandato ad uccidere COGNOME, la Corte territoriale ha ribadito il ruolo di mandanti dei due COGNOME senza individuare alcun concreto elemento probatorio che supportasse tale conclusione, ma sulla base di mere congetture correlate alla loro posizione apicale nel sodalizio mafioso operante a Pietraperzia e al fatto che l’omicidio è stato commesso proprio nell’ambito di detto territorio. In buona sostanza, da tali elementi si è desunto, quasi in forza di una mera responsabilità di posizione, come dedotto nel ricorso di NOME COGNOME, che i due fratelli non potevano non sapere e, dunque, non potevano non avere autorizzato la commissione dell’omicidio.
Va, infatti, considerato che la stessa sentenza ha ammesso che non vi sono elementi per inserire COGNOME nell’ambito della locale criminalità organizzata, stante la risalenza al 1992 della sua collaborazione come autista di NOME COGNOME (capo di una delle due famiglie rivali di Barrafranca) e che è ignoto il movente dell’omicidio, non essendo emerso alcun elemento che consenta di collegarlo ad altri omicidi avvenuti nel medesimo contesto territoriale (si fa riferimento agli omicidi di Bonanno e Zuccalà).
Ciò nonostante, la Corte territoriale, pur consapevole della giurisprudenza di questa Corte che reputa non rilevante l’accertamento del movente dell’azione omicidiaria ai fini del giudizio di responsabilità allorché sussista, comunque, la prova dell’attribuibilità di detta azione all’imputato (così, da ultimo, Sez. 5, n. 20851 d 12/03/2021, COGNOME, Rv. 281109), ha superato frettolosamente le obiezioni difensive relative a possibili alternativi moventi riconducibili a precedenti indagini per omicidi a carico della vittima, e, sulla base di mere congetture legate alla fenomenologia dell’associazionismo mafioso, ha comunque, ricondotto l’omicidio ad un non ben
precisato contesto mafioso, premessa indispensabile per poi poter pervenire al coinvolgimento dei due vertici del sodalizio.
Si è, così, affermato, senza, tuttavia, individuare alcun elemento fattuale di riscontro, che l’omicidio di COGNOME va inquadrato, alternativamente, ad esigenze di controllo del territorio da parte dei COGNOME o a un “favore” fatto da tale gruppo criminale alla famiglia COGNOME di Barrafranca. E ciò sulla sola base del coinvolgimento di tre soggetti intranei al sodalizio mafioso (COGNOME, COGNOME e COGNOME, quest’ultimo giudicato separatamente con giudizio abbreviato) e della loro partecipazione ad incontri, anche con i due fratelli COGNOME, antecedenti la commissione dell’omicidio, incontri di cui, tuttavia, non si conoscono finalità e gli argomenti discussi dai partecipi.
Si tratta di una conclusione viziata in quanto fondata su una sorta di ragionamento sillogistico invertito: la sentenza, infatti, pur a fronte delle citate lacun probatorie, ha utilizzato la conclusione, ovvero il contesto mafioso in cui si assume maturato il delitto, necessario al fine di inquadrarlo nell’ambito della sfera di operatività del sodalizio mafioso di Pietraperzia, per ritenere dimostrati sia il contenuto degli incontri cui hanno partecipato gli imputati che il mandato impartito dai COGNOME.
6.4. La motivazione è carente anche in relazione alla posizione degli altri imputati in quanto la Corte territoriale ha posto a fondamento della loro responsabilità delle condotte avvenute in data antecedente la commissione, si ribadisce, ad opera di ignoti, dell’omicidio di Marchì, omettendo di argomentare in merito alla loro rilevanza – causale, agevolatrice o di rafforzamento del proposito criminoso altrui – rispetto alla consumazione del delitto.
Va, infatti, rammentato che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, dal Collegio pienamente condivisa e ribadita, per la configurabilità del concorso di persone nel reato è necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato (Sez. 5, n. 43569 del 21/06/2019, Rv. 276990; Sez. 6, n. 1986 del 06/12/2016, dep.2017, COGNOME, Rv. 268972).
Rileva, infatti, il Collegio che tutti gli elementi probatori valorizzati in senten si collocano temporalmente, per la maggior parte, fino ad una settimana prima
dell’omicidio. Si tratta di tre incontri avvenuti il 6, 8 e 11 luglio 2017 presso l’ovil Di Calogero, e del c.d. sopralluogo del 9 luglio 2017.
Va, tuttavia, considerato che il contenuto degli incontri del 6 e dell’8 luglio è rimasto ignoto e, al di là della circostanza della partecipazione dei ricorrenti, manca qualunque elemento che consenta di ricondurli alla preparazione dell’omicidio.
Per quanto attiene, invece, al sopralluogo, al quale hanno partecipato solo COGNOME e COGNOME (unitamente a COGNOME giudicato separatamente), sebbene la ricostruzione effettuata dai Giudici di merito in ordine alla sua riconducibilit all’abitazione di COGNOME e alle sue abitudini non appaia implausibile, rileva il Collegio che la motivazione della sentenza è, comunque, incorsa nella violazione della regola di certezza processuale, sancita all’art. 533 cod. proc. pen., in quanto ha omesso di valutare l’esistenza di elementi probatori che consentano di affermare con certezza che le informazioni apprese durante detto sopralluogo siano state trasmesse agli esecutori materiali dell’omicidio (rimasti ignoti) ed abbiano, dunque, avuto una effettiva rilevanza causale o, comunque, agevolatrice rispetto alla sua consumazione.
Va, inoltre, sottolineato che la motivazione della sentenza appare poco chiara anche in merito alla rilevanza dell’incontro dell’11/7/2017, al quale parteciparono i soli COGNOME e COGNOME unitamente ad altri soggetti riamasti ignoti.
Rileva, infatti, il Collegio che sebbene l’interpretazione del contenuto dei dialoghi intercettati non appaia manifestamente illogica, avuto riguardo al riferimento a luoghi situati nelle vicinanze dell’abitazione di COGNOME e all’azione dello sparare, manca nella motivazione della sentenza impugnata l’individuazione di elementi fattuali certi che consentano di correlare, in termini di certezza processuale, i dialoghi captati all’omicidio di COGNOME (mai menzionato dagli interlocutori) o alla eventuale comunicazione da parte di COGNOME e COGNOME agli altri ignoti interlocutori delle circostanze apprese durante il precedente sopralluogo.
Manca, inoltre, una compiuta argomentazione in merito alla impossibilità di una ricostruzione alternativa dei dialoghi in questione.
Va, infatti, considerato che dalla sentenza impugnata risulta che le voci di COGNOME e COGNOME sono state identificate con certezza solo in relazione ai primi dialoghi, riferiti al bestiame da spostare, dialoghi che, sempre secondo la ricostruzione dei Giudici di merito, sono avvenuti appena sei minuti prima la conversazione contenente i riferimenti ai luoghi e all’azione dello sparare, ricondotti all’omicidio di COGNOME. Gli interlocutori di tale parte della conversazione sono, tuttavia, rimasti ignoti (nella sentenza impugnata si afferma, infatti, che le voci d COGNOME e COGNOME sono state riconosciute solo in relazione alla prima parte delle
conversazioni) e tale circostanza appare incompatibile con l’eventuale individuazione dell’incontro in esame quale anello di collegamento tra il sopralluogo – i cui risultati non potevano che essere comunicati da COGNOME o, al più, de relato, da COGNOME – e la commissione dell’omicidio.
Rileva, infine, il Collegio che la medesima carenza motivazionale connota anche la valutazione degli incontri avvenuti a distanza di pochi giorni dall’omicidio. Si tratta infatti, di due incontri, avvenuti sempre presso la masseria di Di Calogero, di cui uno, tra COGNOME e COGNOME, connotato da dialoghi ambigui e, comunque, inidonei a colmare il vuoto motivazionale in merito alla rilevanza del contributo singolarmente offerto rispetto alla consumazione dell’omicidio (la sentenza riporta il dialogo in cui COGNOME chiedeva a COGNOME se era tutto a posto e l’altro faceva riferimento a due o tre «pecore», termini che, nonostante l’attività di allevamento del bestiame svolta da COGNOME, sono stati riferiti al numero degli esecutori dell’omicidio) e il secondo, dal contenuto sconosciuto, tra COGNOME ed «esponenti mafiosi» non identificati.
6.5. Alla luce di tali gravi lacune della motivazione, va disposto l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di cui al capo D) con rinvio per nuovo giudizio su detto capo alla Corte di Assise di appello di Catania, la quale procederà, nel rispetto della regola di giudizio di cui all’art. 533 comma 1, cod. proc. pen., ad una nuova valutazione del compendio probatorio verificando se dallo stesso emergano elementi concreti per: a) individuare i mandanti dell’omicidio nei due fratelli COGNOME; b) individuare il contributo apportato alla consumazione di detto reato da ciascun ricorrente, verificando se gli elementi probatori consentano di correlare le condotte ascrivibili a ciascuno in termini anche solo di mera agevolazione della consumazione del reato.
7) L’accoglimento delle doglianze relative al capo D) ha una valenza assorbente rispetto all’esame degli ulteriori motivi concernenti la sussistenza delle aggravanti della premeditazione e del metodo mafioso (quarto e quinto motivo di NOME COGNOME; terzo motivo di COGNOME; terzo motivo di NOME COGNOME; quarto e sesto motivo di NOME COGNOME) la cui configurabilità sarà oggetto di nuova valutazione da parte del Giudice del rinvio.
Sono, inoltre, assorbite anche le ulteriori doglianze relative al trattamento sanzionatorio e al diniego delle circostanze attenuanti generiche (sesto motivo di ricorso di COGNOME, quarto motivo di COGNOME, terzo motivo di NOME COGNOME, quarto e sesto motivo di NOME COGNOME).
Sono, infine, fondati i motivi relativi al capo G) dedotti da COGNOME (primo motivo) e da NOME COGNOME (quinto motivo di ricorso).
Anche con rifermento a detto reato colgono, infatti, nel segno tutte le doglienze difensive, avendo la sentenza impugnata formulato un giudizio di colpevolezza dei due ricorrenti sulla base di mere congetture e in assenza di qualunque elemento che consenta di individuarne un contributo alla consumazione del furto per cui si procede.
Invero, con riferimento a NOME COGNOME la sentenza impugnata, facendo sempre riferimento ad una sorta di responsabilità di posizione correlata al suo ruolo apicale nel sodalizio, senza, tuttavia, nemmeno correlarla logicamente ai pochi elementi indiziari agli atti, ha ritenuto «di chiara valenza indiziaria» la conversazione del 30 marzo 2017, l’unica cui partecipò COGNOME, unitamente COGNOME e un terzo non identificato, nel corso della quale qualcuno dei tre faceva riferimento a qualcosa da compiere entro la mezz’ora successiva.
Ebbene, benché il furto di cui al capo G) sia stato commesso il successivo 3 aprile, pur prendendo atto che dalle parole proferite dai tre non si evinca alcun riferimento specifico a tale reato, la Corte territoriale, con un volo pindarico, ha ritenuto che l’unico significato possibile della conversazione sia riferibile all preparazione e alla esecuzione del furto.
La responsabilità di COGNOME è stata, invece, desunta, con motivazione parimente assertiva e manifestamente illogica, dalla correlazione tra due dati indiziari che, ad avviso del Collegio, sono connotati da estrema equivocità: i) le risultanze dei dati del GPS collocato sull’auto di COGNOME dalle quali è emerso che lo stesso e COGNOME eseguirono un sopralluogo nei pressi del supermercato e il contenuto della conversazione intercettata in tale circostanza nel corso della quale i due parlavano del furto, facendo riferimento ad esempio ad una vetrata o all’allarme, e menzionavano tal “NOME“; ii) la circostanza che il giorno successivo al furto, COGNOME, dopo essere stato informato da COGNOME delle difficoltà di aprire la cassaforte asportata, dinanzi alle difficoltà di mettersi in contatto con COGNOME, telefonava a COGNOME, chiamandolo “NOME” o “NOME“, che in quel momento era proprio con COGNOME.
Sulla base di tali elementi meramente indiziari e della presunzione che il “NOME” menzionato nella prima conversazione fosse COGNOME, la sentenza impugnata ha ritenuto che l’unica spiegazione logica plausibile del successivo contatto tra COGNOME e COGNOME debba essere ricondotta ad un suo non ben specificato contributo alla consumazione del furto. Il tutto senza alcuna valutazione di possibili alternative
v
ricostruzioni fattuali, eventualmente correlate a condotte, anche penalmen rilevanti, successive alla consumazione del furto.
Ad avviso del Collegio, tale impianto argomentativo è affetto da gravi vizi, n solo logici, ma anche giuridici, difettando qualunque argomentazione sulla natura d
contributo apportato e sulla sua rilevanza ai fini della consumazione del reato.
tale ragione, poiché sulla base degli scarsi elementi indiziari agli atti e de equivocità non appaiono prospettabili ulteriori accertamenti di fatto, va disp
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME
NOME e COGNOME NOME per il reato di cui al capo G) per non aver commesso il fatto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Vincenzo e COGNOME
COGNOME NOME per il reato di cui al capo G) nonché nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui al capo C) per non aver commesso il fatto.
Annulla la medesima sentenza nei confronti di COGNOME Giovanni, COGNOME Vincenzo, COGNOME Gaetano, COGNOME Vincenzo e COGNOME NOME per il reato di cui al capo D) e rinvia per nuovo giudizio su tale capo alla Corte di assise di appel Catania.
Rigetta nel resto i ricorsi di COGNOME Vincenzo, COGNOME Giovanni, COGNOME Gaetano e COGNOME Vincenzo.
Dispone l’immediata scarcerazione di COGNOME NOME se non detenuto per altra causa nonché la formale e parziale scarcerazione di COGNOME NOME e COGNOME Gaetano limitatamente ai soli reati rispettivamente loro contestati ai capi G e Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui all’articolo 626 cod. proc. pen. Così deciso il 10 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
Il Pregdente