Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25349 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25349 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a CATANIA il 16/04/1971 NOME nato a CATANIA il 07/11/1985 NOME nato a CATANIA il 25/05/1955 COGNOME NOME nato a CATANIA il 30/01/1981
avverso la sentenza del 02/10/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi degli Avvocati difensori; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo, per COGNOME Davide, l’annullamento con rinvio limitatamente all’aggravante di cui all’art. 624-bis C.P. contestata nel capo C) e alla determinazione della pena dichiarandosi l’inammissibilità nel resto. Chiede, poi, dichiararsi l’inammissibilità degli altri ricorsi.
uditi i difensori:
L’avvocato COGNOME in difesa delle parti civili ALLEGRA NOME COGNOME e COGNOME NOME chiede la conferma della sentenza impugnata e delle statuizioni civili e deposita conclusioni scritte e nota spese. Deposita altresì conclusioni
scritte e nota spese a firma dell’avvocato COGNOME in difesa della parte civile NOME COGNOME
L’avvocato COGNOME NOME COGNOME in difesa di COGNOME l’avvocato NOME COGNOME in difesa di COGNOME NOME e COGNOME insistono per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Felice, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Catania del 02/10/2024 che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Catania, ha rideterminato le pena inflitte a ciascun ricorrente in ordine ai reati rispettivamente ascritti, dichiarando al contempo la prescrizione, per ciascuno di essi, di alcuni reati, con conferma delle statuizioni civi disposte in favore delle parti civili NOME COGNOME Proietto NOME e NOME COGNOME
Le difese affidano i ricorsi a diversi motivi che, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Il P.G. presso questa Corte, con requisitoria-memoria del 23 aprile 2025, ha concluso come in epigrafe.
Con comparsa conclusionale e nota spese del 15 maggio 2025, il patrono e difensore di NOME NOME COGNOME ha chiesto confermarsi la sentenza impugnata e la condanna di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Felice alla rifusione delle spese processuali.
Con distinte comparse conclusionali e note spese del 23 maggio 2025, il patrono e difensore delle parti civili NOME Lucio e COGNOME NOME ha chiesto la conferma della sentenza di appello, la condanna degli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME al risarcimento dei danni materiali e morali nella misura di euro 50.000,00, nonché alle spese di giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ricorso di NOMECOGNOME
Violazione della legge penale.
Con il primo motivo si lamenta, sotto il profilo della violazione di legge e, i particolare, dell’art. 111 Cost. (richiamandosi l’obbligo di motivazione e il dirit dell’accusato alla prova), che la Corte d’appello – malgrado tutte le difese abbiano lamentato le macroscopiche lacune presenti già dalla fase delle indagini (non sono stati svolti accertamenti bancari, acquisiti assegni, sebbene le parti offese stando alle loro dichiarazioni ne abbiano emessi diversi per consegnarli agli imputati e si fosse al cospetto di un potenziale interesse dei testimoni tutti costituitisi parti civili), e colmate in punto di verifica dell’attendibilità del narrato delle persone offese – abbia reso una motivazione del tutto laconica, finendo per richiamare sul punto quella di
primo grado. Tuttavia, né il Tribunale, né quello di appello si erano preoccupati di approfondire le discrasie provocate dalle lacune nelle indagini, peraltro accertare e accettate dai decidenti senza alcun vaglio logico.
Il motivo è inammissibile poiché generico.
Il tema della mancanza di un’attività di indagine a riscontro delle dichiarazioni delle persone offese, quale filo conduttore degli atti di appello di tutti gli imputa risulta essere stato disatteso dalla Corte di merito facendo richiamo alla sentenza di primo grado, ove l’affermazione di responsabilità si fonda sulle convergenti dichiarazioni delle persone offese, ritenute esenti, con diffusa motivazione, da censure in punto di attendibilità e, dunque, idonee a supportare il giudizio di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Essendosi al cospetto di una “doppia conforme”, vale la regola che la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado per formare un unico corpo argomentativo, allorché vi sia concordanza nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente (Sez. 2, n. 37295 del 12/6/2019, E., Rv. 277218 -01). Non sussiste, pertanto, la violazione di legge dedotta anche sotto il profilo dell’obbligo costituzionale di motivazione.
Manifestamente infondata è la censura mossa sotto il profilo della violazione del diritto alla prova dell’imputato.
Il mancato svolgimento da parte del P.M. di attività d’indagine a favore dell’indagato (art. 358 cod. proc. pen.) non ha rilievo processuale alcuno e non determina alcuna nullità, alla luce del principio affermato dalla Corte di legittimit secondo cui l’inattività della pubblica accusa può essere sopperita dallo svolgimento delle attività di investigazione difensiva previste dagli artt. 391 bis e segg. cod. proc pen. (Sez. 3, n. 34615 del 23/06/2010, T., Rv. 248374 – 01).
La circostanza che la polizia giudiziaria si sia limitata a raccogliere le dichiarazioni delle persone offese senza svolgere accertamenti investigativi a supporto del narrato e che il pubblico ministero abbia ritenuto tale compendio probatorio idoneo alle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, non preclude al giudice del merito di poter pervenire all’affermazione di responsabilità dell’imputato allorché la prova di accusa sia stata affidata al narrato dei testimoni e si sia formata nel contraddittorio delle parti. L’esigenza, più volte espressa dalla Corte di legittimità che il giudice conduca la valutazione dell’attendibilità della testimonianza della persona offesa con verifica più penetrante e rigorosa del testimone che non assume detta qualità, non significa affatto che l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato non possa essere tratta da tale fonte di prova, non applicandosi alle sue dichiarazioni le regole di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (ex multis, v. Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 265104 – 01).
Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla attendibilità delle persone offese e motivazione per relationem con riguardo all’affermazione della responsabilità penale dell’imputata per il capo B) della rubrica.
Si evidenzia come nel corso delle indagini non siano stati svolti accertamenti bancari, acquisiti assegni, sebbene le parti offese stando alle loro dichiarazioni ne abbiano emessi diversi per consegnarli agli imputati, a fronte sia del potenziale interesse dei testimoni costituitisi parti civili a fornire una versione dei fatti favore alle loro ragioni risarcitorie sia dell’alta conflittualità tra le parti determinata situazione di disagio economico che avrebbe indotto la famiglia NOME alla richiesta di molteplici prestiti di denaro financo da diversi soggetti.
L’aver disatteso il tema della lacunosità delle indagini e, dunque, della ricerca di elementi di conferma del narrato, si poneva in contrasto sia con i principi dettati dalla Corte di legittimità in materia di valutazione della prova dichiarativa, sia con la regol di giudizio in punto di affermazione della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.
Si segnala, quale elemento di contraddittorietà della motivazione, la seguente discrasia: non si comprende il motivo per cui l’incontro tra l’imputata e la p.o. NOME NOME sia avvenuto tramite COGNOME NOME, la quale, da un lato, sconosceva l’attività di usura cui sarebbe stata dedita la ricorrente e, dall’altro, fu la st COGNOME a mettere in guardia la COGNOME dall’imputata che riteneva legata a soggetti pericolosi. Delle due l’una: o la COGNOME non era a conoscenza dell’attività di usura cui era dedita l’imputata o invece lo era e, pertanto, questo punto delle dichiarazioni delle persone offese andava chiarito in maniera certa. Anzi, lo stesso esame ex art. 507 cod. proc. pen. della COGNOME NOME non solo non aveva chiarito le incongruenze denunciate dalla difesa, “ma l’originario divario è divenuto inconciliabilità di dichiarazioni”. A ciò doveva aggiungersi che nessun sequestro vi era stato del “libro mastro” di cui l’imputata sarebbe stata in possesso, nonché degli assegni alla medesima ripetutamente consegnati.
Il motivo è manifestamente infondato.
La circostanza che la COGNOME abbia favorito il contatto tra l’imputata e la p.o. che aveva bisogno di denaro non richiede che la stessa fosse espressamente a conoscenza della natura usuraria del rapporto. Sul punto la sentenza di primo grado precisa che gli accordi vennero presi direttamente tra la ricorrente e la COGNOME. I fatto che, successivamente, l’imputata si sarebbe risentita con la COGNOME per il mancato pagamento della COGNOME, minacciandola tanto da ritenerla “debitrice” al posto della Proietto, non si pone in contraddizione con il narrato, in quanto quest’ultima riferisce, anche con riguardo a tale segmento della vicenda, che la traslazione del debito a suo carico sarebbe stato dovuto “per averci fatto conoscere, così confermando il dato dell’intermediazione svolta per come riferito dalla p.o.”.
È un dato ricorrente quello di ritenere “corresponsabile” colui che si è fatto latore dell’esigenza di ricorso al credito del terzo che, proprio in virtù della fiducia che mutuante ripone nel “mediatore”, riceva poi il prestito. E tanto a prescindere dalla conoscenza o meno della natura usuraria dell’instaurando rapporto. È la stessa p.o., infatti, che dichiara come la COGNOME fosse rimasta “talmente scioccata da tale fatto” e, dunque, dà conto di un epilogo della vicenda non preventivato da quest’ultima, con la conseguenza che la contezza che avrebbe avuto dello spessore criminale della COGNOME non si pone in antitesi con il narrato in quanto causalmente riferita ad un segmento successivo rispetto al quale si pone in termini di logica coerenza.
Il fatto, poi, che la COGNOME – contrariamente a quanto affermato dal Tribunale (v. pag. 32) – non abbia interamente confermato la vicenda narrata dalla COGNOME (v. pag. 6) non assume decisiva interferenza ai fini del vizio motivazionale denunciato, in quanto la stessa sentenza dà comunque atto che la teste, sentita ex art. 507 cod. proc. pen., ha comunque confermato che l’imputata e la p.o. ebbero ad incontrarsi presso la sua abitazione e, dunque, pur a fronte della genericità della testimonianza, non era precluso al giudice del merito, stante il principio di scindibilit della testimonianza e, soprattutto, il contesto fattuale in cui i fatti risultano matura caratterizzato dal timore verso soggetti legati a personaggi gravitanti in ambienti criminali, ricavarne comunque elementi di riscontro.
Infine, il fatto che non si è rinvenuto il libro mastro delle estorsioni di l’imputata, a detta della COGNOME, sarebbe stata in possesso non può valere ad escludere l’attendibilità della teste in quanto non supportato dall’esito di uno specifico accertamento (non è allegato, né risulta che vennero effettuate perquisizioni contro l’imputata che ebbero esito negativo).
Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla attendibilità delle persone offese e motivazione per relationem con riguardo all’affermazione della responsabilità penale dell’imputata per il capo C) della rubrica.
La denuncia del vizio di motivazione si fonda sull’acquisizione – quale prova di accusa – di tre diverse narrazioni della vicenda fornite dalle parti civili e dal loro fi Proietto NOME, la quale aveva appreso direttamente dal figlio NOME NOME della presenza dell’imputata allorché il COGNOME si sarebbe presentato a casa loro per costringerlo a cedere – quale corrispettivo degli interessi usurari dovuti dai genitori – la propria autovettura; NOMECOGNOME il quale riferisce di avere appreso dalla figlia NOME che tra le persone presentatisi presso l’abitazione per togliere la macchina al figlio vi era anche l’imputata; NOME COGNOME il quale non fa alcun riferimento alla ricorrente ma indica nel solo COGNOME colui che lo avvicinò al fine di costringerlo a vendergli la propria autovettura.
La Corte di merito, pur avendo dato atto del contrasto, aveva ritenuto di poterlo
superare richiamando quella parte delle dichiarazioni di NOME NOME COGNOME il quale aveva comunque riferito che il COGNOME si era recato più volte per sollecitare pagamenti anche per conto dell’imputata. Da ciò se ne era fatto illogicamente derivare anche il coinvolgimento della ricorrente nella vicenda estorsiva relativa alla cessione coatta dell’auto da parte di NOME NOME in assenza di alcun elemento dimostrativo del concorso morale.
Il motivo è fondato.
Invero, a fronte di una ricostruzione della vicenda da parte di colui che fu l’esclusivo destinatario delle minacce (NOME NOME) il quale, anche al dibattimento, non ha mai fatto riferimento all’imputata, la Corte di appello trae il coinvolgimento della COGNOME, sotto il profilo del concorso morale, sul rilievo che il COGNOME abbi agito anche per conto dell’imputata, considerato che NOME NOME ha riferito che il COGNOME si era recato più volte per sollecitare pagamenti anche per conto della Giuffrida.
Se si ha riguardo nel dettaglio alla descrizione delle modalità con cui NOME riferisce della vicenda che lo ha costretto alla vendita dell’auto, se ne ricava l’assenza di qualsiasi riferimento alla Giuffrida, tanto nella fase di “esazione” del credito vantato nei confronti dei genitori, quanto in quella successiva della ripartizione del ricavato conseguita alla vendita forzata dell’autovettura alla quale NOME fu costretto in conseguenza delle minacce subite.
Inoltre, è lo stesso NOME NOME che, nel ricostruire il contenuto della pretesa avanzata dal COGNOME, precisa che la stessa si nutre anche di una parte riferibile ad un prestito usurario che aveva elargito anche lo Scalogna in favore dei genitori NOME e NOME.
La sentenza di primo grado, poi, nel ricostruire la vicenda riconduce – sulla scorta del dichiarato di NOME Marco – la pretesa del COGNOME anche alla necessità che tale imputato aveva di far fronte, a sua volta, ad una posizione debitoria verso altro soggetto che si trovava agli arresti domiciliari ove condusse NOME al fine di assicurarlo che, attraverso la vendita dell’auto, avrebbe adempiuto al suo debito (v. pag. 15 sentenza del Tribunale).
Ancora, si dà anche atto che, nel segmento relativo alla vendita dell’auto, sono intervenute altre persone in quanto portatrici di un loro diretto interesse a soddisfarsi sul ricavato della vendita, ossia gli zii NOME e NOME COGNOME e “un signore che non conoscevo” (v. pag. 16 sentenza di primo grado).
Anche la moglie di NOME NOME infine, riferisce di avere appreso che la vendita della macchina era dovuta alla necessità di saldare un debito che NOME NOME aveva con il COGNOME (v. pag. 16 sentenza di primo grado).
Pertanto, il generico riferimento di NOME al fatto che il COGNOME agiva anche per conto della Giuffrida non consente di ritenere, come ha fatto la Corte
territoriale, logicamente conseguenziale anche il concorso della COGNOME nell’estorsione relativa alla vicenda della vendita forzosa dell’auto da parte di NOME. Da qui la fondatezza del vizio di motivazione denunciato.
Va, pertanto, disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per nuovo giudizio in ordine al reato di cui al capo C) della rubrica.
Ne consegue l’assorbimento del quarto e del quinto motivo di ricorso inerenti al trattamento sanzionatorio, con cui si è denunciata l’erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione in punto di mancato ancoramento della pena al minimo edittale, nonché il vizio di motivazione in punto di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche concesse con giudizio di equivalenza invece che di prevalenza e minimo della pena.
Deve, invece, dichiararsi irrevocabile il giudizio di responsabilità nei confronti della Giuffrida in ordine al capo B) della rubrica.
Ricorso di COGNOME NOME.
Violazione di legge e mancanza e/o mera apparenza di motivazione in relazione agli artt. 76, 78, 100 e 122 cod. proc. pen.
Vedi sul punto analogo motivo di Scalogna Felice interamente sovrapponibile.
Il motivo non è fondato per le ragioni esposte a proposito del comune motivo del coimputato (analogo difensore).
Violazione degli artt. 56-629 cod. pen., 521, 522 e 604 cod. pen.
Si lamenta che la Corte di merito, nel ritenere l’assorbimento dell’estorsione tentata di cui al capo G) in quella parimenti tentata descritta al capo C), abbia riqualificato il fatto come un’unica vicenda estorsiva consumata, violando l’art. 521 cod. proc. pen. Al riguardo, si sostiene che del tutto inconferente era il richiamo operato dalla Corte territoriale alla carenza di interesse del ricorrente a dolersi di ciò adducendosi che dal mancato assorbimento ne avrebbe subito un trattamento sanzionatorio più grave. La Corte d’appello non aveva invece colto il senso della censura, con cui si denunciava la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, essendo financo mutato il fatto storico oggetto di contestazione. Peraltro, si evidenzia come i fatti di cui ai capi C) e G) della rubrica, fossero diversi sia perché temporalmente chiusi (Capo C, nel febbraio 2010; capo G, dal dicembre 2007 al dicembre 2009), con indicazione di differenti persone offese (Capo C, NOME, Capo G, NOME NOME e NOME) e condotte riferite a fatti storici di riferimento non sovrapponibili (Capo C, con riguardo ai fatti di cui ai capi A e B; Capo G, con riferimento al fatto di cui al capo F).
La sentenza impugnata aveva trascurato la rilevanza della condanna per un fatto
diverso e successivo costituito dalla vendita dell’autovettura di proprietà di NOME COGNOME accaduto nel marzo 2010 (e dunque assumendo rilievo un differente tempus commissi delicti) -così aggiungendo anche temporalmente un segmento non contestato – a fronte di una contestazione (capo C) per tentata estorsione che faceva riferimento ad altro momento occorso nel febbraio 2010, allorquando alcuni soggetti, tra i quali si asserisce fosse presente anche il COGNOME, si sarebbero recati presso l’abitazione di NOME NOME intimandogli di pagare i debiti dei genitori o di vendere la vettura con l’allontanamento dall’abitazione degli imputati.
Peraltro, si evidenziano le ricadute negative anche in tema di pena nell’aver ritenuto l’estorsione consumata, anche con riguardo all’incidenza ai benefici stabiliti dalle norme dell’ordinamento penitenziario.
Conclusivamente, per come dedotto in appello, si era avallata la condanna dell’imputato per un fatto diverso, non oggetto di alcun capo di imputazione e temporalmente successivo ai fatti in contestazione.
Il motivo non è fondato.
Il tema della vendita dell’auto di NOME – quale momento consumativo dell’estorsione contestata in forma tentata al capo C) – è parte immanente del materiale probatorio sin dalla fase delle indagini, riferendone le persone offese e su tale circostanza l’imputato si è compiutamente difeso al processo; inoltre, nel caso di specie non poteva porsi alcun problema in punto di prevedibilità e attuazione del contraddittorio, atteso che la diversa qualificazione giuridica, da reato tentato a consumato, ha fatto parte del contraddittorio delle parti e della discussione. L’attribuzione in sentenza al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. e del principio del contraddittorio di cui all’art. 111 Cost. e 6 Convenzione EDU, qualora la nuova definizione del reato appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, o, comunque, l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine alla stessa (Sez. 6, n. 11956 del 15/02/2017, B., Rv. 269655 – 01; Sez. 5, n. 1697. del 25/9/2013, COGNOME, Rv. 58941 – ol. Da ultimo, Sez. 3 n. 15806 del 01/04/2025, P., non mass.; Sez. 2, n. 4364 del 15/12/2023, dep. 2024, Cicerone, non mass.; Sez. 2, n. 27373 del 13/01/2023, Maior, non mass.).
Nel caso in esame, tra la formulazione dell’accusa e l’accertamento contenuto nella sentenza non sussiste alcun rapporto di assoluta eterogeneità e incompatibilità, tale da porre l’imputato nella condizione di non poter prevedere, secondo un apprezzamento correlato sia alla completa descrizione del fatto contestato, sia alla naturale evoluzione della dinamica processuale scaturente dalle risultanze dell’attività istruttoria, la diversa qualificazione.
E tanto a prescindere dal rilievo che la determinazione della pena, avvenuta sulla scorta dell’ipotesi tentata, esclude anche ricadute pregiudizievoli in ordine al trattamento sanzionatorio, a nulla rilevando, in punto di decisività, che il riconoscimento della forma consumata possa precludere l’accesso ai benefici penitenziari, invece, non normativamente preclusi anche rispetto a detta ipotesi.
Violazione degli artt. 56-629 cod. pen. e vizio di motivazione in relazione ai capi C) e G) dell’imputazione.
Si reitera la censura relativa alla violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., evidenziandosi come la vendita della Suzuki avvenuta nel marzo 2010 non avesse fatto parte del capo di imputazione ove si contestava soltanto l’estorsione tentata (se NOME non avesse consegnato gli interessi usurari relativi ai prestiti di cui ai capi A) e B), avrebbe dovuto consegnare il mezzo di sua proprietà). Fare riferimento – come aveva ritenuto la sentenza impugnata – alla circostanza che tale fatto risultasse ben illustrato nel capo C) e non assumesse alcun rilievo la circostanza che fosse avvenuto i primi giorni di marzo e non nel febbraio come scritto nel capo di imputazione, non risolveva il tema posto dalla difesa, incentrato sulla novità del fatto e sulla certezza dei dati temporali a cui erano state ancorate le condotte (tentate) contestate ai capi C) e G).
Il motivo è infondato, in quanto la lettura in termini unitari delle vicende contestate ai capi C) e G), poi sfociata nella richiesta estorsiva di cui si fa latore e esecutore il COGNOME, è stata operata alla stregua delle emergenze processuali costituite dalle convergenti dichiarazioni delle persone offese e degli altri elementi di conferma pure passati in rassegna. Inoltre, l’elemento di discrasia temporale segnalato dalla difesa risulta superato dal dato istruttorio costituito dalla presenza di un segmento ulteriore di cui si nutre la condotta tentata, rappresentato proprio dall’epilogo della vicenda mediante la forzata vendita dell’auto a cui fu costretto NOMECOGNOME
Violazione degli artt. 110, 644, 629 cod. pen., 192. 530, 533 e 605 cod. pen. e vizio di motivazione in relazione al capo C) della rubrica.
Richiamati i principi in tema di concorso di persone nel reato, si lamenta che la sentenza impugnata non abbia motivato sulla mancanza di prova di un accordo tra l’odierno ricorrente e la coimputata COGNOME COGNOME In particolare, si erano disattese le aporie e carenze illustrate sul punto con il motivo di appello inerenti anche al collegamento tra un prestito avvenuto diversi anni prima rispetto alla contestata condotta estorsiva, facendo ricorso all’argomento che le minacce esplicate per conseguire l’auto avrebbero avuto come scopo quello di conseguire il profitto dell’usura perché, per come risulterebbe dalle dichiarazioni di NOME COGNOME il COGNOME avrebbe fatto riferimento diretto a somme erogate ai genitori e non
restituite. L’affermazione non trovava specificazione col nominativo che il COGNOME avrebbe dovuto indicare quale soggetto che avrebbe vantato un credito dai genitori di NOME, alla minaccia che avrebbe profferito il ricorrente, all’incongruenza delle dichiarazioni di NOME NOME; della presenza passiva del ricorrente all’interno del bar ove a marzo 2010 sarebbe stato effettuato il passaggio di proprietà del veicolo; delle discrepanze in ordine ai soggetti che, nel mese di febbraio 2010, si sarebbero recati presso l’abitazione degli COGNOME, tra i quali non vi è prova che vi fosse anche l’imputato, neppure conosciuto dalla figlia NOME, la quale, come riferito al dibattimento, fu colei che ebbe a notiziare i genitori. Si era così finito sostituire il proprio convincimento alle risultanze probatorie che, invece, deponevano per l’esclusione del coinvolgimento dell’imputato nella vicenda.
Il motivo è manifestamente infondato.
Una volta esclusa la paventata violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., la censura finisce, per un verso, per incentrarsi su profili di corresponsabilità con la coimputata che nulla tolgono al rilievo penale della condotta estorsiva materialmente realizzata dall’imputato, dotata, per quanto si legge nelle sentenze di merito, di una sua compiuta autonomia riguardo all’esistenza di una causale al medesimo, in tutto o in parte, comunque riferibile; per altro verso, ridondano in questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi logici che ha indicato sia gli elementi di prova a corredo dell’affermazione di responsabilità sia escluso qualsiasi altra ipotesi che riconduca la pretesa ad un debito che lo stesso COGNOME avrebbe vantato nei confronti del NOME COGNOME e non a quello usurario riferibile ai suoi genitori.
Violazione degli artt. 56-629 cod. pen., 192, 530, 533 e 604 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento, in ordine al capo G) dell’imputazione.
Si lamenta anzitutto la discrasia esistente nel capo di imputazione ove si contesta al ricorrente una tentata estorsione ai danni di NOME e NOME dal dicembre 2007 al dicembre 2009, finalizzata ad ottenere il pagamento di interesse usurari di cui al capo F) della rubrica che, invece, fa riferimento al delitto d usura che l’imputato avrebbe perpetrato per un prestito che sarebbe stato concesso successivamente dal gennaio al febbraio 2010.
La Corte di appello aveva omesso di motivare, ritenendo sufficiente il ritenuto assorbimento nel capo C) che avrebbe giovato all’imputato, pur in assenza di una pronuncia assolutoria sul punto.
Il motivo è manifestamente infondato, avendo le sentenze di merito, con l’operato assorbimento del capo G), ben individuato, nella sua materialità e cadenza temporale, gli estremi della condotta estorsiva per cui si è pervenuti all’affermazione di responsabilità dell’imputato. Il motivo, pertanto, finisce per porre a fondamento
del vizio di motivazione un profilo di fatto che risulta essere stato motivatamente superato attraverso un’unitaria lettura della vicenda estorsiva coerente – anche nei suoi sviluppi accadimentali e temporali, con gli elementi istruttori passati in rassegna.
Violazione degli artt. 517, 522 e 604 cod. proc. pen. e mancanza di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 629, comma 2, 628, comma 3, n. 3-bis, cod. pen., nella parte in cui richiama la commissione dei fatti contestati all’interno dei luoghi di privata dimora, ex art. 624-bis cod. pen. di cui al capo C) della rubrica, nel quale è stato assorbito il capo G), per omessa contestazione.
La censura investe anche la genericità del capo di imputazione di riferimento, essendosi fatto generico richiamo all’indicazione “all’interno di luoghi di privata dimora”.
Violazione degli artt. 629, comma 2, 628, comma 3 n. 3-bis, 624-bis cod. pen. e 605 cod. proc. pen. per insussistenza del fatto.
Premesso che l’aggravante non poteva individuarsi nella vicenda estorsiva individuata all’interno dell’esercizio commerciale “Bar Petroliti”, quanto, invece, a quella riconducibile al capo C), collocata davanti la porta di ingresso dell’abitazione di NOME, si sottolinea come la circostanza sia stata unicamente ricavata dalle dichiarazioni de relato della Proietto (v. anche pagg. 41 e 42 della sentenza di primo grado). Ad ogni modo si rappresenta la mancanza di una introduzione all’interno dell’abitazione, essendosi l’azione arrestata “alla porta”. A ciò si aggiunge anche il dato costituito dalla presenza degli imputati sui luoghi su richiesta espressa e libera determinazione della stessa p.o.
Infine, quanto ai fatti di cui al capo G) la sentenza impugnata non aveva richiamato alcuna fonte di prova (dichiarazioni di NOME e NOME NOME) in ordine ad un incontro presso un luogo di privata dimora nell’epoca (tra il dicembre 2007 e il dicembre 2009) in cui sarebbe avvenuta la minaccia per ottenere il pagamento degli interessi usurari.
I motivi che investono la sussistenza dell’aggravante della privata dimora, di cui agli artt. 628, comma 3 n. 3-bis, 624-bis cod. pen., sono fondati.
Esclusa, infatti, la ravvisabilità dell’aggravante in relazione alla fase della vendita forzosa dell’auto, avvenuta all’interno di un esercizio commerciale (ipotesi peraltro neppure percorsa dai giudici di merito), dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che la circostanza sia stata ricondotta alle minacce di morte di cui NOME sarebbe stato destinatario davanti alla sua abitazione durante il primo segmento della vicenda estorsiva, vcito a costringerlo a vendere la sua autovettura per far fronte ai debiti usurari dei suoi genitori (v. pagg. 41 e 42).
Con l’atto di appello (v. pagg. 56-59) la difesa lamentava che la circostanza,
genericamente enunciata nell’imputazione, fosse stata tratta esclusivamente dal relato della Proietto che, in quel momento, unitamente al marito, si trovavano a Rimini, nulla avendo riferito sul punto il teste diretto della minaccia, ossia NOMECOGNOME
Si tratta di un tema che non risulta essere stato affrontato dalla sentenza impugnata. Da qui la fondatezza del vizio di motivazione denunciato.
Violazione degli artt. 644 cod. pen. e 192, 530, 533 e 605 cod. proc. pen. in ordine al capo F) dell’imputazione, dichiarato prescritto dalla sentenza impugnata.
La censura attiene al giudizio di attendibilità svolto in ordine alle dichiarazioni d NOME e NOME, quest’ultima de relato dal primo, nonostante le innumerevoli contraddizioni che la difesa passa in rassegna (modalità e dinamiche dell’incontro, l’importo prestato, l’assegno dato in garanzia). Si era finito, pertanto per attribuire alle p.o. una non consentita presunzione di credibilità.
Il motivo incorre anzitutto in un profilo di inammissibilità in quanto, nel giudizio di cassazione relativo a sentenza che ha dichiarato la prescrizione del reato, non sono rilevabili né nullità di ordine generale, né vizi di motivazione della decisione impugnata, anche se questa abbia pronunciato condanna agli effetti civili, qualora il ricorso non contenga alcun riferimento ai capi concernenti gli interessi civili (Sez. 6, n. 23954 del 19/03/2013, COGNOME, Rv. 256625 – 01). Il motivo si presenta spurio di specifici riferimenti alle conseguenze che i giudici di merito ne hanno fatto derivare ai fini delle statuizioni sulla responsabilità civile.
Inoltre, la doglianza è manifestamente infondata in quanto il tema della discrasia delle plurime dichiarazioni delle persone offese, su cui si fonda la sussistenza del fatto illecito, è risolto dalla sentenza impugnata con motivazione non manifestamente illogica, in quanto la maggiore affidabilità di quanto dichiarato al processo si nutre di una rivisitazione in termini di attualità del dichiarato dei testi a seguito contraddittorio delle parti e delle loro contestazioni, dei cui convergenti esiti i giud di merito hanno dato sufficiente contezza.
In conclusione, va annullata la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’aggravante della privata dimora con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catania.
Ne consegue l’assorbimento dei motivi dedotti dalla difesa in ordine al trattamento sanzionatorio e, in particolare, del nono motivo con cui si denuncia la violazione degli artt. 62-bis, 69, 133, 56-629, commi 1 e 2, in relazione all’art. 628, comma 3 n. 3-bis cod. pen. e 624-bis cod. pen. e vizio di motivazione, e del decimo motivo con cui si lamenta la violazione degli artt. 132, 133 cod. pen. e 597 cod. proc. pen., per avere la Corte di appello, nella rideterminazione della multa inflitto all’imputato una pena illegale, in quanto superiore a quella stabilita dal Tribunale
(euro 4.000,00 di multa a fronte di euro 1.500,00 di multa).
Va rigettato il ricorso nel resto, dichiarandosi irrevocabile il giudizio d responsabilità in ordine al capo C) della rubrica.
Ricorso di NOME.
Con un unico motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità e al trattamento sanzionatorio, in ordine ai capi D) e E) della rubrica.
Il motivo non è consentito in sede di legittimità in quanto prospetta deduzioni del tutto generiche, prive dell’indicazione delle ragioni di diritto e dei dati di fatto c sorreggono le richieste.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati.
Ricorso di Scalogna Felice.
Violazione di legge e mancanza e/o mera apparenza di motivazione in relazione agli artt. 76, 78, 100 e 122 cod. proc. pen.
Il motivo investe la legittimità della costituzione di parte civile di NOME NOME e COGNOME NOME (in ordine al capo H della rubrica), adducendo il ricorrente che negli atti di costituzione mancasse l’esposizione delle ragioni a sostegno della domanda e fossero privi della procura speciale.
1.1. Quanto al primo aspetto, non poteva ritenersi sufficiente il riferimento al capo di imputazione, tra l’altro trascritto in maniera incompleta e del tutto eterogeneo rispetto alle contestazioni elevate e alle persone offese presenti. Mancava, dunque, l’indicazione della causa petendi, ossia delle ragioni che giustificano la domanda, del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante, nonché della condotta contestata al ricorrente. Inoltre, cumulativo ed indistinto era il riferimento agli asseriti dan morali di rilevante gravità, cosicché non era possibile discernere se e in che misura fossero direttamente ricollegabili alla condotta contestata allo Scalogna. Dinanzi a tali lacuna, nessun rilievo aveva la mera indicazione del numero del procedimento, del titolo dei reati e la generica enunciazione della richiesta di ottenere il risarcimento integrale di ogni danno subito, integrandosi, in tal modo, soltanto il petitum.
1.2. Analogo vizio di legittimità era dato rilevarsi a proposito della procura rilasciata dalle persone offese NOME COGNOME e NOME COGNOME in quanto mancante dell’oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce.
Né al riguardo era valido l’argomento utilizzato dalla Corte di merito, la quale aveva ritenuto l’idoneità dell’atto poiché richiamato il numero del procedimento e la
nomina del difensore quale procuratore speciale con la dizione “allo scopo di rappresentarla e difenderla nel giudizio”. In realtà, dovendosi tenere distinta la procura speciale da quella ad litem, pur conferibili con un unico atto, mancava il riferimento alla duplicità del mandato e, in particolare, al potere di costituirsi part civile, in nome e per conto del rappresentato, considerato che le persone offese non si erano costituite personalmente ma a mezzo del difensore con deposito in cancelleria (con preclusione quindi di alcuna sanatoria o ratifica successiva in udienza).
Entrambi i motivi non sono fondati, avendo la Corte d’appello fatto corretta applicazione dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità in materia.
Quanto, poi, alla correlazione immediata tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria, la sentenza impugnata ha richiamato un passaggio di quella del Tribunale laddove si afferma che non vi è dubbio che il reato di usura abbia costituito danno patrimoniale per chi abbia dovuto corrispondere interessi così esosi, mentre, riguardo al danno non patrimoniale, è stato integralmente riportato un passaggio delle dichiarazioni della Proietto, indicato come particolarmente esplicativo del clima id sofferenza rappresentato dalla parte civile.
Con riguardo alla prima questione, questa Corte, con orientamento consolidato formatisi prima delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150 del 2022 all’art. 78 cod. proc. pen. (ed entrate in vigore dal e, dunque, successivamente al momento in cui è stata spiegata l’azione civile nel presente giudizio), ha affermato che, in tema di costituzione di parte civile, l’indicazione delle ragioni, che giustificano la domanda risarcitoria, è funzionale esclusivamente all’individuazione della pretesa fatta valere in giudizio, non essendo necessaria un’esposizione analitica della “causa petendi”, sicché, per soddisfare i requisiti di cui all’art. 78, lett. d), c.p.p., è sufficiente richiamo al capo di imputazione descrittivo del fatto, allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risulti con immediatezza. Nel caso in esame, per come precisato dai giudici di merito, nell’atto di costituzione la parte civile ha richiamato integralmente il capo di imputazione e ha espresso la volontà di ottenere il risarcimento del danno, discendente dall’accertamento della condotta descritta. Ciò rende valido l’atto di costituzione, essendovi nella descrizione della condotta, effettuata nel capo di imputazione, il chiaro riferimento ai fatti costituti su cui si fonda l’intrapresa azione civile nel processo penale (Sez. 6, n. 32705 del 17/4/2014, COGNOME, Rv. 260325 – 01 e Sez. 2, n. 23940 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279490 – 01. In termini, Sez. U, n. 38481 del 25705/2023, D, in motivazione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile, non è necessario che il danneggiato provi l’effettiva sussistenza dei danni e il nesso di causalità tra questi e l’azione dell’autore dell’illecito, essendo sufficient l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose. La
suddetta pronuncia, infatti, costituisce una mera “declaratoria juris” da cui esula ogni accertamento relativo alla misura e alla stessa esistenza del danno, che sono rimessi al giudice della liquidazione (Sez. 4, n. 12175 del 3/11/2016, COGNOME, Rv. 270386 – 01).
Con riferimento alla seconda questione, questa Corte ha affermato che nei casi in cui nel giudizio penale sia prescritto che la parte stia in giudizio col ministero difensore munito di procura speciale, il mandato, in virtù del generale principio di conservazione degli atti, deve considerarsi valido anche quando la volontà del mandante non sia trasfusa in rigorose formule sacramentali, ovvero sia espressa in forma incompleta, potendo il tenore dei termini usati nella redazione della procura speciale e la sua collocazione escludere ogni incertezza in ordine all’effettiva portata della volontà della parte. (Fattispecie relativa a dichiarazione di costituzione di parte civile sottoscritta dal solo difensore di fiducia e recante, in calce, la sola procura “ad litem”, con cui erano stati conferiti i poteri di rappresentanza tecnica ai sensi dell’art. 100 cod. proc. pen., in cui la Corte ha ritenuto che la volontà della parte di farsi rappresentare potesse evincersi dall’esplicito riferimento, contenuto nella procura, all’intento di costituirsi (Sez. 4, n. 3445 del 11/09/2019, dep. 2020, Piazza, Rv. 278026 – 01; conforme: Sez. 3, n. 32450 del 20706/2023, R., non mass.).
Al riguardo, il giudice di appello, con valutazione non sindacabile in questa sede in quanto inerente agli elementi di fatto della costituzione di parte civile, ha richiamato una pluralità di indici logicamente dimostrativi dell’effettiva volontà della parte di conferire al difensore anche la procura speciale. E tanto basta ad escludere il denunziato vizio di legittimità.
Violazione di legge e mancanza o mera apparenza della motivazione in relazione agli artt. 644 cod. pen., 192, 530, 533 e 605 cod. proc. pen. (capo H dell’imputazione, estinto per prescrizione).
Si censura la valenza dimostrativa degli elementi probatori valorizzati dai giudici di merito, per come esposto nel secondo motivo di appello, che la difesa definisce in parte confusi con riferimento al prestito, al soggetto che lo avrebbe ricevuto, alla pattuizione degli interessi usurari e, in parte, addirittura attestanti l’estraneità de stesso ricorrente, relativamente alla circostanza che la parte civile NOME avrebbe ricevuto il prestito da altro soggetto, COGNOME NOME; si evidenziano, altresì, le aporie derivanti dalla mancanza di contatti e/o colloqui con il ricorrente, dell’assenza dell’imputato presso il bar ove si sarebbe verificata la vendita dell’autovettura dell’Allegra Marco a soddisfacimento, come ritenuto, dei debiti contratti con gli interessi dai suoi genitori, nonché della ricezione di qualche somma da tale vendita.
Si censura la motivazione della decisione impugnata anche nella parte in cui si era negata in radice la genuinità delle dichiarazioni dell’imputato (il riferimento
contenutistico è tanto a quelle rese nel corso dell’interrogatorio di garanzia che a quelle intercettate presso la Casa circondariale).
Così l’affermazione difensiva che l’imputato non aveva prestato del denaro (500,00 euro) ad NOME NOME, bensì al figlio NOME, era stata smentita facendo riferimento al dato che la circostanza non trovava conferma nelle dichiarazioni di quest’ultimo, omettendo, però, di indicare i passaggi dell’istruttoria dibattimentale in cui la circostanza gli fosse stata chiesta.
Né la sentenza impugnata aveva dipanato la questione sull’esistenza di due prestiti, uno a favore di NOME ed un altro di NOME COGNOME
Del tutto inadeguata e fondata su congetture era la motivazione con cui si era esclusa la valenza a discarico dei colloqui in cui l’imputato protestava la sua innocenza e manifestava indignazione contro la famiglia NOME.
Quanto alla sussistenza del reato, del tutto illogico era dare credito alle dichiarazioni di NOME, il quale riferisce di avere ricevuto dall’imputato il prestito di euro 500,00 (e che in un mese ne avrebbe dovuti restituire 800,00), escludendo, al contempo, la Corte territoriale che la parte offesa abbia mai incontrato personalmente l’imputato o abbia avuto contatti con lo stesso, avendo invece ricevuto l’intera somma da altro soggetto. Se nessun incontro vi era stato tra NOME e l’imputato, se la somma era stata consegnata da altro soggetto e se in relazione a detta consegna non vi era prova di un accordo tra i due, non se ne poteva far discendere l’affermazione di responsabilità.
Ad analoghe conclusioni in punto di assenza di capacità dimostrativa degli elementi enunciati dal giudice del merito si giunge con riguardo alla richiesta di restituzione, in un mese, della somma di euro 800,00 (cinquecento a titolo di capitale e trecento a titolo di interessi che lo Scalogna avrebbe ricevuto dalla vendita dell’auto), essendosi fatto riferimento, quale dato confermativo, alla vicenda relativa alla vendita dell’auto del figlio della p.o. (NOME NOME, da cui l’imputato avrebbe ricevuto gli 800,00 euro), che però la p.o. (NOME COGNOME aveva riferito de relato.
Richiamati i principi in tema di valutazione delle dichiarazioni della p.o. – che so denuncia la Corte di merito abbia violato – si evidenzia che le dichiarazioni accusatorie di NOME siano contrastanti con la sua stessa denuncia, nella quale non si fa alcun riferimento all’imputato, nonché con quelle della moglie NOME rese in sede di denuncia, acquisite in atti, in cui ella non faceva richiamo ad alcun prestito per conto dell’imputato.
Il motivo, al pari di quello di seguito formulato, incorre anzitutto nell’analogo profilo di inammissibilità rilevato quanto all’ottavo motivo del ricorso del coimputato COGNOME COGNOME (v. sub 8). Invero, anche il presente motivo, al pari del successivo, si presentano spuri di specifici riferimenti alle conseguenze che i giudici di merito ne hanno fatto derivare ai fini delle statuizioni sulla responsabilità civile
rese per entrambi i capi (H e L) a favore di parti civili differenti.
In ogni caso la censura risulta infondata.
Si contesta all’imputato di avere concesso un prestito ad NOME e COGNOME NOME dell’importo di euro 500,00 e, successivamente, di avere chiesto interessi usurari nella misura del tasso del 20% mensile, pretendendo la restituzione nei successivi tre mesi dell’importo di euro 800,00, comprensivo di interessi e sorte capitale.
Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che la dazione della somma alla p.o. NOME non avvenne direttamente da parte dell’imputato, ma fu consegnata da COGNOME NOME, il quale nel versargli quella di mille euro gli avrebbe fatto presente che la metà provenivano dallo Scalogna (v. anche p. 25 verbale ud. 1° marzo 2016, trascritto nell’atto di appello). La circostanza, poi, che a tale somma NOME avrebbe dovuto aggiungere altri 300,00 euro quali interessi di natura usuraria è successivamente appresa dal figlio. Quest’ultimo, per come precisato in sentenza (pag. 14) e nell’atto di appello (che a pag. 17 ne riporta l’esame testimoniale), nell’indicare l’imputato tra i beneficiari della vendita della propria auto a cui era stato costretto dal COGNOME al fine di ripianare i debiti che gli usurari vantavano nei confronti dei propri genitori, ha dichiarato di averla appresa de relato (per lo più da voci correnti nel pubblico).
È, dunque, un dato acquisito al processo che le due fonti di prova d’accusa non abbiano avuto notizia diretta della richiesta di interessi a tasso usurario. Infatti, se può darsi per provato che il prestito vi fu, avendolo ammesso anche lo stesso imputato nel corso del suo interrogatorio e risultando motivata la sentenza impugnata sul punto (p. 37), resta aperto il profilo legato alla natura usuraria di quell pattuizione. Sul punto, la Corte di merito, pur rendendosi conto che è riferita de relato la circostanza che l’imputato si sia soddisfatto – nei termini ipotizzati dall’accusa sul ricavato complessivo della vendita dell’auto di NOME NOME, attribuisce valenza di prova diretta al dichiarato di NOME NOME, il quale “ha riferito in ordine all pattuizione”, non avvedendosi che anche tale circostanza è appresa dal dichiarante de relato, non essendovi stata alcuna consegna diretta da parte del ricorrente.
Non si è dunque al cospetto di una prova diretta di colpevolezza, ma più correttamente deve farsi riferimento ad indizi, valenza che va riconosciuta alle dichiarazioni doppiamente de relato (Sez. 3, n. 41835 del 22/09/2015, G., Rv. 265436 – 01).
Tuttavia, dalla lettura della sentenza impugnata possono ricavarsi ulteriori elementi a carico dell’imputato che consentono di ritenere l’affermazione di colpevolezza corredata da elementi idonei, ex art. 192, comma 2, cod. proc. pen., ad asseverare la condanna, ai quali la Corte d’appello ha fatto espresso riferimento.
Rileva anzitutto l’inverosimiglianza della tesi difensiva, secondo cui il prestito
sarebbe stato concesso a NOME COGNOME e non a NOME, gratuitamente e senza interessi. Al riguardo, la Corte di appello ne ha svalutato il rilievo precisando che lo stesso imputato ha affermato che il prestito era chiesto dal figlio nell’interesse del genitore e di averlo inoltre erogato attingendo a denaro che, a sua volta, aveva preso a prestito da una finanziaria per ristrutturare casa, per il quale era obbligato a pagare restituzioni rateali, versione che si pone, sul piano logico, in antitesi con l’assenza della pattuizione di interessi e le date di restituzione. Si è, quindi, escluso che i dubbio a cui tendeva la tesi difensiva sia dotato di plausibile razionalità, con la conseguenza che il mancato riscontro della tesi a discarico consente al giudice del merito di trarre elementi di prova a carico dell’imputato (Sez. 6, n. 10423 del 19/02/2020, Oneata, Rv. 278751 – 01).
Inoltre, non affatto sfornito di altrettanto rilievo a carico è la genesi dell’ulterio vicenda illecita di cui al capo L), che vede lo COGNOME usare minaccia per costringere NOME NOME a rendere una testimonianza a suo favore nell’ambito del procedimento instauratosi nei suoi confronti proprio in conseguenza della denuncia di usura presentata dal NOME COGNOME. Il movente illecito che ha caratterizzato l’agire dell’imputato, ben ricostruito nella sentenza impugnata, dà ragionevolmente conto di come una tale iniziativa costituisca espressione di un’unitaria vicenda illecita, della quale la pattuizione usuraria ne costituisce il necessario e causale antecedente.
Infine, assume pure valenza la circostanza che le sentenze di merito danno atto del fatto che la situazione debitoria in cui versavano le persone offese era pienamente idonea, per come anche riferito, a costringerle a cercare o accettare erogazioni provenienti da una pluralità di soggetti, tra i quali è stato indicato e collocat l’imputato.
Violazione degli artt. 611 cod. pen., 192, 530, 533 e 605 cod. proc. pen. e vizio di motivazione (capo L dell’imputazione, estinto per prescrizione).
Si lamenta che il riferimento alla presunta minaccia indicata nell’imputazione, “sarebbe cosa di sparare una fucilata in un piede a tuo padre”, riferita a s.i. da NOME NOME per averla appresa dal figlio NOME, sia stata invece da quest’ultimo per la prima volta indicata in dibattimento e non in sede di denuncia. Illogico era quindi il richiamo, al fine di superare il contrasto, alla circostanza del tempo trascorso dai fatti che, semmai, avrebbe dovuto portare a valorizzare quanto affermato a ridosso degli stessi e non sei anni dopo. Del tutto indimostrato, poi, era lo stato di intimidazione in cui all’epoca si sarebbe trovato il dichiarante, alla luce del dato costituito dall lunga conoscenza personale tra le parti (si cita anche che il NOME avesse abitato presso la casa del fratello dell’imputato).
Parimenti illogico era aver attribuito valenza dimostrativa dello stato di intimidazione subito da NOME NOME verso l’imputato al contenuto del messaggio (“sono con te fratello, tranquillo, ti voglio bene”), da ricondursi, invece, a sincer
mortificazione per l’accaduto e a nulla valendo che il ricorrente fosse notoriamente figlio di un noto recluso e amico di un mafioso conclamato (il COGNOME).
Il motivo è inammissibile risolvendosi, per lo più, in un’alternativa di merito che investe anche il significato delle espressioni utilizzate che risulta essere stata disattesa dalla Corte territoriale con motivazione non manifestamente illogica.
Quanto, poi, alla discrasia delle dichiarazioni della fonte di prova a carico vale quanto già evidenziato con riguardo ad analoga doglianza del coimputato COGNOME: il tema è stato affrontato dalla sentenza impugnata con motivazione non manifestamente illogica, in quanto la maggiore affidabilità di quanto riferito al processo si nutre di una rivisitazione, in termini di attualità del dichiarato e della genesi che ha determinato il teste alle plurimi dichiarazioni che hanno finito per coinvolgere gli imputati. Del resto, non manifestamente illogico è il richiamo anche al tempo trascorso dai fatti per giustificare la novità di una circostanza riferita a dibattimento, in quanto tale dato si nutre di una complessiva rivisitazione del narrato la cui genesi, per quanto riguardante la posizione di NOME, è idonea ad escludere la presenza di illogiche ragioni del “disallineamento”.
Dalle considerazioni esposte, segue il rigetto del ricorso dell’imputato, con condanna al pagamento delle spese processuali.
Le statuizioni civili.
Alla declaratoria di rigetto e/o inammissibilità dei ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME, segue:
la condanna in solido di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME e COGNOME NOME, ammessi al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Catania con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato;
la condanna in solido di COGNOME e COGNOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME che liquidate come in dispositivo tenendo conto dell’attività defensionale svolte e di quanto richiesto con la nota spese.
È, invece, inammissibile la richiesta, contenuta nella nota di conclusioni del patrono e difensore delle parti civili NOME COGNOME e NOME NOME, di condanna degli imputati al risarcimento dei danni materiali e morali nella misura di euro 50.000,00 stante la natura di merito del petitum formulato, estraneo alle spese di giudizio, unico ambito consentito nel presente grado di legittimità dalle parti civili non ricorrenti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Grazia limitatamente al reato di cui al capo C) con rinvio per nuovo giudizio su detto capo ad altra sezione
della Corte di appello di Catania. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso della
Giuffrida e irrevocabile il giudizio di responsabilità con riguardo al capo B);
annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’aggravante della privata dimora con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra
sezione della Corte di appello di Catania, rigetta nel resto il ricorso di COGNOME e dichiara irrevocabile il giudizio di responsabilità;
rigetta il ricorso di COGNOME Felice che condanna al pagamento delle spese processuali;
dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Condanna, inoltre, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME e COGNOME NOME, ammessi al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Catania con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Condanna, inoltre, in solido COGNOME e COGNOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME che liquida in complessivi euro 3497,00, oltre accessori di legge.
Così deciso, il 27 maggio 2025.