Prova di Resistenza: Quando l’Inutilizzabilità di una Prova Rende Inammissibile il Ricorso
Nel processo penale, non basta affermare che una prova sia stata acquisita illegittimamente per ottenere l’annullamento di una condanna. È necessario superare la cosiddetta prova di resistenza, dimostrando che quella specifica prova è stata decisiva per la decisione del giudice. Una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale (Sentenza n. 907/2024) offre un chiaro esempio di questo principio, dichiarando inammissibile un ricorso proprio per la sua incapacità di superare tale vaglio.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per i reati di ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale. L’imputato era stato sorpreso, insieme a un complice, nei pressi di un’autovettura risultata rubata. Mentre il complice tentava di avviare il veicolo, l’imputato fungeva da palo a bordo di un’altra auto. All’arrivo dei Carabinieri, entrambi si davano alla fuga, ma venivano fermati. La condanna si basava su questi elementi fattuali, oltre che su messaggi scambiati tramite un’app di messaggistica, acquisiti agli atti tramite un’annotazione di servizio della polizia giudiziaria.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due principali motivi:
1. Inutilizzabilità delle prove: Si contestava l’utilizzo dei messaggi dell’app di messaggistica come prova, sostenendo che fossero stati acquisiti in violazione delle norme procedurali. Secondo la difesa, essendo considerabili ‘documenti’ ai sensi dell’art. 234 c.p.p., avrebbero richiesto almeno una riproduzione fotografica, e non potevano essere introdotti nel processo tramite una semplice annotazione di servizio.
2. Errata applicazione della recidiva: La difesa lamentava che la recidiva fosse stata riconosciuta sulla base di due precedenti penali non pertinenti: uno estinto per indulto e l’altro derubricato a illecito amministrativo. Si contestava la mancanza di una valida motivazione da parte della Corte d’Appello su questo punto.
La Prova di Resistenza Secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione ha respinto il primo motivo di ricorso, applicando rigorosamente il principio della prova di resistenza. I giudici hanno chiarito che, per lamentare l’inutilizzabilità di un elemento a carico, l’imputato deve dimostrare l’incidenza decisiva di tale elemento sull’intero impianto accusatorio. In altre parole, bisogna provare che, senza quella specifica prova, la condanna non avrebbe retto.
Nel caso di specie, la Corte ha osservato che la sentenza d’appello si fondava su elementi ben più solidi e autonomi rispetto ai messaggi contestati. La presenza dell’imputato sul luogo del reato, il suo ruolo di supporto al complice e, soprattutto, la sua fuga alla vista delle forze dell’ordine (che integrava di per sé il reato di resistenza) erano elementi sufficienti a giustificare la condanna. I messaggi, pertanto, assumevano una ‘minima rilevanza’ e la loro eventuale eliminazione non avrebbe cambiato l’esito del giudizio.
La Devoluzione dei Motivi d’Appello
Anche il secondo motivo, relativo alla recidiva, è stato dichiarato inammissibile, ma per una ragione puramente procedurale. La Corte ha rilevato che la questione non era mai stata sollevata nei motivi d’appello. In quella sede, la difesa si era limitata a contestare l’eccessiva entità della pena, senza entrare nel merito del riconoscimento della recidiva.
La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: non possono essere dedotte in sede di legittimità questioni che non siano state specificamente devolute al giudice d’appello. Il ricorso in Cassazione non può diventare l’occasione per introdurre argomenti nuovi, che avrebbero dovuto essere discussi nel grado di merito precedente.
Le Motivazioni
La decisione della Corte si fonda su due pilastri procedurali. In primo luogo, il principio della prova di resistenza, che agisce come un filtro per evitare ricorsi pretestuosi basati su vizi probatori non determinanti. Se il quadro probatorio è solido e variegato, la contestazione su un singolo elemento, anche se fondata, non è sufficiente a demolire l’intera struttura della condanna. In secondo luogo, il principio devolutivo dell’appello, che delimita l’ambito del giudizio di secondo grado ai soli punti della decisione impugnati. Introdurre nuove questioni in Cassazione è una strategia processualmente non consentita e conduce all’inammissibilità del motivo.
Le Conclusioni
Questa sentenza offre importanti lezioni pratiche. Per la difesa, evidenzia la necessità di contestare ogni singolo aspetto della decisione di primo grado già nell’atto di appello e, qualora si lamenti l’inutilizzabilità di una prova, di argomentare in modo specifico sulla sua decisività. Per il sistema giudiziario, riafferma l’importanza dei filtri di ammissibilità per garantire che la Corte di Cassazione si concentri sulla sua funzione di garante della corretta applicazione della legge, senza essere sommersa da ricorsi privi di reale fondamento o basati su vizi procedurali irrilevanti ai fini della decisione finale.
Quando un motivo di ricorso sull’inutilizzabilità di una prova è considerato inammissibile?
Quando l’appellante non riesce a dimostrare che l’eliminazione di quella specifica prova avrebbe cambiato l’esito del processo. Questo principio è noto come ‘prova di resistenza’: se la condanna si basa su altre prove sufficienti e autonome, il vizio della singola prova diventa irrilevante.
È possibile presentare in Cassazione un motivo di ricorso non discusso in Appello?
No, di regola non è possibile. La Corte di Cassazione non può pronunciarsi su questioni che non sono state specificamente sollevate nei motivi di appello, a meno che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Il ricorso deve vertere sui punti già sottoposti al vaglio della Corte d’Appello.
Come vengono considerate le conversazioni su app di messaggistica nel processo penale?
La sentenza fa riferimento all’orientamento secondo cui i messaggi conservati su un supporto informatico sono qualificabili come documenti ai sensi dell’art. 234 del codice di procedura penale. La loro acquisizione, pertanto, non è soggetta alle rigorose regole sulle intercettazioni, ma richiede quantomeno una riproduzione fotografica per essere validamente introdotta nel processo.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 907 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 907 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CERIGNOLA il 21/05/1970
avverso la sentenza del 24/11/2022 della CORTE APPELLO di BARI
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bari, con sentenza del 24 novembre 2022, confermava la sentenza di primo grado con la quale NOME COGNOME era stato condannato in primo grado per il reato di ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale.
1.1 Avverso la sentenza propone ricorso il difensore di COGNOME eccependo che già con l’atto di appello si era lamentato l’utilizzo quale elemento di prova dei messaggi presuntivamente scambiati dai concorrenti nel reato mediante l’app di messaggistica “whatsapp”, vista la mancata acquisizione dei tabulati telefonici in ordine alle suddette conversazioni; sul punto nessuna motivazione vi era nella sentenza impugnata, malgrado il contenuto dei messaggi fosse venuto a conoscenza del giudice di primo grado mediante lettura dell’annotazione di servizio fornita dagli operanti di polizia giudiziaria, violazione del disposto dell’art. 526 comma 1 cod. proc. pen.; rileva come l’orientamento di questa Corte militi a favore del riconoscimento dei messaggi conservati su supporto informatico come documenti ex art. 234 cod. proc. pen. , per la cui acquisizione si rende necessaria quantomeno la riproduzione fotografica, non soggiacendo alle regole ex art. 254 cod. proc. pen., né alla più rigorosa disciplina delle intercettazioni telefoniche.
1.2 Il difensore lamenta che nei confronti dell’imputato la recidiva era stata riconosciuta dal giudice di primo grado in virtù di due precedenti penali, il primo soggetto all’effetto estintivo dell’indulto ed il secondo ad una fattispeci degradata ad illecito amministrativo; non vi era stata, da parte della Corte di appello, una valida motivazione in merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1 Relativamente al primo motivo di ricorso, si deve rilevare che, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità d elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza “, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (cfr. Sez.3 del 2.10.2014, n. 3207, rv. 262011; Sez.2., 18.11.2016, n. 7986, rv. 269218); nel caso in esame, manca qualsiasi confronto con la sentenza impugnata nella parte in cui osserva che
COGNOME era arrivato nel luogo ove era l’autovettura oggetto di furto alla guida di una autovettura sulla quale vi era anche il coimputato COGNOME che entrava nel veicolo rubato e cercava di metterlo in moto; una volta intervenuti i carabinieri, COGNOME si era dato alla fuga, compiendo il reato di resistenza (su cui non vi è motivo di ricorso); la Corte di appello aveva quindi concluso che evidentemente COGNOME e COGNOME avevano la disponibilità del mezzo, e stavano cercando di recuperarlo valorizzando anche la fuga di COGNOME alla vista dei militari; pertanto, il riferimento ai messaggi scambiati tra i complici assume minima rilevanza, posto che non influisce in alcun modo sulla motivazione relativa alla affermazione di responsabilità.
1.2 II motivo relativo alla recidiva è inammissibile per non essere stato proposto in appello, nel quale l’appellante censurava soltanto l’eccessiva entità della pena: ne consegue che sul punto il ricorso è inammissibile, essendo noto che non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione, ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e di quelle che non sarebbe stato possibile proporre in precedenza (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, COGNOME, Rv. 269745); Il principio trova la sua ratio nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 07/12/2023