Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18919 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18919 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a SAN VITO DEI NORMANNI il 05/11/1971
avverso la sentenza del 28/06/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per i delitti di cui ag artt. 648 e 474 cod. pen. non è consentito poiché non risulta connotato dai requisiti, richiesti a pena di inammissibilità del ricorso, dall’ art. 591, comma lett. c), cod. proc. pen., essendo fondato su profili di censura che si risolvono nell reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non caratterizzati da un effettivo confronto con le ragioni poste a base della decisione, e dunque non specifici ma soltanto apparenti, omettendo di assolvere la tipica funzione di una concreta critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (si vedano le pagg. 2-4 della sentenza impugnata);
che il giudice di appello ha correttamente applicato i principi affermati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui «ai fini della configurabilit del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente» (In motivazione, la S. C. ha precisato che ciò non costituisce una deroga ai principi in tema di onere della prova, e nemmeno un “vulnus” alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice ch richiede, ai fini dell’indagine sulla consapevolezza circa la provenienza illecita dell il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa)» (Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713 – 01); “res”
che la Corte ha spiegato le ragioni per le quali la merce doveva ritenersi contraffatta;
considerato che il secondo motivo di ricorso, che contesta l’eccessività della pena è manifestamente infondato in quanto inerente al trattamento punitivo che risulta sorretto da sufficiente e non illogica motivazione (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata);
che, invero, trattandosi di esercizio della discrezionalità attribuita al giudic del merito, la graduazione della pena – sia con riguardo alla individuazione della pena base che in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previste per le circostanze e per i reati in continuazione – sfugge al sindacato di legittimit laddove la relativa determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non sia stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico;
che, in particolare, l’onere argomentativo del giudice può ritenersi adeguatamente assolto attraverso il richiamo agli elementi di cui all’art. 133 cod.
pen. ritenuti decisivi o rilevanti ovvero attraverso espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, non essendo necessaria una
specifica e dettagliata motivazione nel caso in cui venga irrogata una pena inferiore alla media edittale;
che, peraltro, l’uso del potere discrezionale non deve essere espressamente
giustificato nell’ipotesi in cui venga irrogata una pena in misura corrispondente al minimo edittale o prossima a tale minimo in quanto, proprio in ragione della ridotta
entità della sanzione determinata, è possibile desumere, anche implicitamente, in quale modo abbiano influito i criteri fissati dall’art. 133 cod. pen.;
che la Corte ha motivato anche in ordine all’aumento di pena in continuazione, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e di quella della
ricettazione di lieve entità, con ampie argomentazioni contenute ai fgg. 4-8 della sentenza impugnata, con le quali il ricorrente non si confronta adeguatamente;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 10 aprile 2025.