Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 28590 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 28590 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SEZZE il 12/12/1992
avverso la sentenza del 08/10/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME COGNOME; lettefserrttte le conclusioni del PG NOME COGNOME k GLYPH eg,r0 ) t ‘x- ( n -, 0- Le- o GLYPH fuat-, GLYPH 9– e- GLYPHa- ()’-( Re 2 Lo
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma, per quanto di interesse in questa sede, ha confermato la sentenza del Tribunale di Latina del 27 novembre 2023 circa la affermazione di penale responsabilità di NOME COGNOME in relazione al delitto di incendio dello stabilimento balneare Duna, su mandato di NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti delle quali si è proceduto separatamente.
Detta Corte ha, altresì, rigettato le richieste, sollecitate con l’atto di appello, di derubricazione del fatto nell’ipotesi di danneggiamento seguito da incendio e di ridimensionamento della pena.
Avverso la suddetta ordinanza propone ricorso per cassazione COGNOME tramite il suo difensore.
2.1. Con il primo motivo di impugnazione deduce violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine alla valutazione della prova di natura indiziaria e all’affermazione di responsabilità di COGNOME per l’incendio contestato.
Rileva il difensore che detta responsabilità è stata fondata sul contenuto del filmato registrato da NOME COGNOME altra imputata nell’originario procedimento, che la Corte di appello ha considerato addirittura “dirimente”, e sulle conversazioni intercettate tra quest’ultima e NOME COGNOME peraltro in contrasto col contenuto di detto filmato.
Osserva che il filmato prodotto dal P.m., contenuto nella chiavetta USB fornita dall’originaria coimputata COGNOME in quanto estrapolato dal suo telefono cellulare, in relazione al quale non è dato comprendere i soggetti coinvolti e il contenuto (incomprensibile), non è utilizzabile, in quanto occorreva una perizia, mentre la trascrizione riportata in sentenza è mero frutto di interpretazione del Giudicante.
Lamenta la difesa che la Corte territoriale riconosce credibilità alla COGNOME nonostante fosse interessata ad escludere la sua responsabilità, come anche la COGNOME, altresì inattendibile.
Aggiunge che le loro conversazioni sono contraddittorie, inverosimili e interessate, confutate dall’intero compendio probatorio.
Rileva che le dichiarazioni di COGNOME secondo cui le donne cercavano un capro espiatorio, nell’essere individuate come conferma della sua responsabilità, sono state travisate.
Lamenta che non vi sono riscontri alle dichiarazioni delle due coimputate e che non può essere ritenuto attendibile un filmato teso a offrire una versione dei fatti idonea a scagionare colei che lo ha prodotto; e che la preoccupazione manifestata dalle due donne nelle loro conversazioni che COGNOME potesse essere stato visto dal guardiano non è riscontrata da altre risultanze investigative circa la presenza di un guardiano nello stabilimento.
La Corte territoriale omette di considerare, secondo il difensore, che la COGNOME nel separato procedimento, di cui alla sentenza prodotta, era assolta.
Si duole che nel caso di specie la sentenza impugnata abbia operato una valutazione parcellizzata e atomistica delle fonti di prova e abbia violato il principio della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.
2.2. Col secondo motivo di ricorso si denuncia l’errata qualificazione della condotta come incendio.
Si rileva che l’ipotizzato uso di una bottiglietta di liquido infiammabile, peraltro non riscontrato, non poteva di certo causare un incendio e che l’intenzione era solo di danneggiare e non di incendiare, come comprovato dal fatto che le fiamme fossero divampate dopo ben venti minuti, difettando il dolo generico dell’incendio e dovendo essere qualificato il fatto ai sensi dell’art. 424 cod. pen.
2.3. Con il terzo motivo di impugnazione vengono rilevati violazione degli artt. 133 e 139 cod. pen., con riferimento all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., e vizio di motivazione.
La Corte d’appello di Roma avrebbe, secondo la difesa, disatteso le richieste in tema di dosimetria della pena e di attenuanti generiche, con una motivazione illogica che non tiene conto del percorso rieducativo dell’imputato in Comunità terapeutica e del suo atteggiamento processuale.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, dott. NOME COGNOME chiede il rigetto del ricorso, mentre l’avv. NOME COGNOME per COGNOME insiste per l’accoglimento del ricorso con o senza rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Inammissibile è il primo motivo di ricorso, in quanto costituito da doglianze rivalutative, reiterative e manifestamente infondate, oltre che generiche.
La Corte territoriale ripercorre i passaggi della sentenza di primo grado ed evidenzia che: – dall’ascolto della conversazione ambientale del 23 febbraio 2022 tra NOME COGNOME titolare della concessione sul tratto di spiaggia limitrofo a quello interessato dall’incendio in questione, e un altro uomo emergeva un esplicito riferimento agli autori di detto delitto, indicati quali NOME e COGNOME che si sarebbero pubblicamente vantati della bravata che avevano compiuto, affermando altresì gli interlocutori che la vicina di COGNOME‘Omo aveva loro corrisposto una ricompensa; – si risaliva, pertanto, a COGNOME, il cui soprannome era appunto NOME, e a COGNOME (NOME), nonché a NOME COGNOME (la vicina) che gestiva, insieme a marito (NOME COGNOME) e figlia (NOME COGNOME) lo stabilimento vicino a Dell’Orno; – dalle intercettazioni sulle utenze in uso a COGNOME, COGNOME, alla COGNOME e alla COGNOME e all’interno delle vetture in uso a COGNOME si apprendeva dei rapporti di amicizia di COGNOME con le due donne; – le stesse, all’uscita dalla caserma, ove erano stati tutti convocati per essere sentiti a sommarie informazioni, si interrogavano sul perché quest’ultimo fosse stato convocato dai carabinieri, ipotizzando che potesse essere stato visto dal guardiano, e ipotizzando, quanto alla loro convocazione, che qualcuno le avesse potute indicare come responsabili dell’incendio.
Rileva la Corte territoriale che sottolinea il primo Giudice come dette conversazioni rendano evidente il coinvolgimento della COGNOME e della COGNOME quali mandanti del delitto e di COGNOME quale esecutore materiale; come non sia altrimenti spiegabile la preoccupazione dalle stesse manifestata in merito alla convocazione in caserma di COGNOME e al possibile arresto dello stesso; come significativa sia la spiegazione che le due donne forniscono, a riprova della loro conoscenza dell’azione incendiaria dal suddetto compiuta; e come rilevante sia altra conversazione nella quale la COGNOME, rivolta alla figlia, la invitava a stare attenta a che COGNOME non le chiedesse altro denaro, segno evidente che quest’ultimo era stato da loro retribuito per quanto aveva fatto.
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Osserva che il primo Giudice evidenzia che elemento comprovante il coinvolgimento di COGNOME, quale autore materiale dell’incendio, emergeva dal contenuto inequivoco di un filmato girato con il cellulare da NOME COGNOME a insaputa di COGNOME, mentre passeggiavano con i cani in un parco, riversato su un dispositivo USB prodotto in atti, nel quale i due parlavano dell’incendio del 6 gennaio 2022, COGNOME affermava di “averlo fatto” perché sapeva che a lei avrebbe fatto piacere e rivendicava il fatto di avere agito per conto della madre di NOME in cambio di una ricompensa pari a mille euro, mentre la ragazza negava ogni coinvolgimento della madre, volendo verosimilmente precostituirsi una prova a discarico.
La Corte a qua ritiene emergente dalle prove raccolte in modo inequivocabile il coinvolgimento di COGNOME che, peraltro, come evidenziato dal primo Giudice si limitava a negare il suo coinvolgimento, affermando di non spiegarsi perché la COGNOME e la COGNOME lo accusassero e di essersi trovato nel lasso temporale in cui si verificava l’incendio con tale NOME non meglio identificata.
Sottolinea come sia dirimente il contenuto del filmato registrato da NOME COGNOME in quanto contenente una sostanziale confessione da parte di COGNOME in merito al fatto di avere incendiato lo stabilimento nell’interesse e per conto di NOME COGNOME; come la conversazione sia inequivocabile e non lasci margini di interpretazione, fornendo, altresì, il movente del delitto da identificarsi nella ricompensa in denaro pattuita (1.000 euro); e come non possa essere condivisa l’osservazione della difesa circa l’inutilizzabilità delle trascrizioni della conversazione registrata dalla COGNOME, in quanto non oggetto di perizia. A tale riguardo osserva che la prova è costituita dal filmato, presente in atti, che il primo Giudice nonché la stessa Corte hanno visionato, e che nessun dubbio sussiste in ordine al fatto che i due partecipanti alla conversazione fossero COGNOME (autrice del filmato, evidentemente realizzato per dimostrare l’assenza di responsabilità sua e della madre) e COGNOME, dati anche gli appellativi reciprocamente utilizzati (“NOME” e “Tatià”) e i fotogrammi nei quali risulta riconoscibile COGNOME.
Rileva che gli altri elementi di prova offrono importanti riscontri nello stesso senso. A tale riguardo osserva che: – è indiscutibile il significato da attribuire alla conversazione intrattenuta tra la COGNOME e la COGNOME dopo la loro convocazione per rendere dichiarazioni in merito all’incendio, già evidenziato dal primo Giudice; – significativi sono i riferimenti al possibile arresto di COGNOME e alle gravi conseguenze che ne sarebbero potute derivare anche per loro se il ragazzo avesse parlato; – significativo è l’invito che la
COGNOME rivolgeva alla figlia, temendo che COGNOME potesse chiederle altro denaro; – ulteriori elementi emergono dall’esame di COGNOME, che oltre ad avere affermato di non spiegarsi le accuse delle due donne (giudicate separatamente e condannate in primo grado quali mandanti dell’azione incendiaria in esame), risulta avere fornito un alibi non provato e non essere riuscito a dare spiegazioni circa le inequivocabili conversazioni registrate nel corso delle indagini.
E’ evidente che a fronte di tali argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici circa l’utilizzabilità e la rilevanza probatoria diretta del filmato, quale sostanziale confessione del fatto, nonché circa gli ulteriori elementi indiziari che integrano il compendio probatorio a carico di COGNOME, in particolare le conversazioni intercettate dal chiaro tenore letterale, il motivo di ricorso che insiste sulla non utilizzabilità del filmato, definendolo, altresì, poco comprensibile (nonostante due collegi affermino di averlo visionato e compreso), sulla non attendibilità della COGNOME e della COGNOME, sulla contraddittorietà e sulla scarsa chiarezza delle conversazioni intercettate, sul travisamento delle dichiarazioni di COGNOME, sulla assenza di riscontri all’attività di intercettazione e su una condanna in violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, dimostra di non confrontarsi con tali argomentazioni, incorrendo nella genericità, nella manifesta ·infondatezza e nel non consentito, laddove sembra sollecitare una non ammessa rivisitazione fattuale.
1.2. Manifestamente infondata e reiterativa è la doglianza sulla mancata derubricazione della condotta da incendio a danneggiamento seguito da incendio, di cui al secondo motivo di ricorso.
I Giudici di appello, invero, osservano che la natura e la dimensione dell’incendio, la composizione del bene incendiato (in legno), l’utilizzo di liquido infiammabile, la violenza delle fiamme visibili da lontano e domate con difficoltà, la possibile propagazione anche agli stabilimenti confinanti, in caso di mancato tempestivo intervento dei vigili del fuoco, non lasciano dubbi in merito alla qualificazione del reato contestato, rendendo evidente che l’autore non abbia avuto quale unico scopo quello di danneggiare il bene, accettando quale evento ulteriore il propagarsi delle fiamme, ma che abbia inteso cagionare un vero e proprio incendio, apparendo in tal senso significativo che, attingendo una struttura in legno, non abbia adottato alcuna cautela per impedire alle fiamme di propagarsi anche nella zona circostante.
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Di contro il motivo di ricorso, insistendo sulla mera intenzione di danneggiare dell’agente come comprovata dallo stesso lento divampare delle fiamme, dimostra di non confrontarsi con tali argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici, facenti leva sulla progressione e pericolosità dell’incendio, secondo un giudizio ex ante, di per sé sufficiente, e anche con riferimento ai danni provocati in concreto, già indicativi di un’oggettiva gravità del fatto.
1.3. Inammissibile, infine, è il terzo motivo di impugnazione, in cui ci si duole che la Corte d’appello di Roma, nel disattendere le richieste di un più favorevole trattamento sanzionatorio, in particolare tramite la concessione delle circostanze attenuanti generiche, non abbia considerato il percorso rieducativo dell’imputato in Comunità terapeutica e il suo atteggiamento processuale.
E ciò a fronte di una motivazione non manifestamente illogica e giuridicamente corretta, che fa leva sull’impossibilità di riconoscere dette circostanze, avuto riguardo alla pluralità e alla natura dei precedenti, alla violazione della misura cautelare degli arresti domiciliari concessi, tale da rendere necessario il ripristino della custodia cautelare in carcere, alla mancanza di qualsiasi segnale di resipiscenza e alla negazione di circostanze emerse con assoluta evidenza, nonché sulla congruità della pena inflitta, attestata peraltro su una misura vicina al minimo edittale, avuto riguardo alla gravità del reato e alla sussistenza della recidiva PI uriaggravata.
Invero, la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l’onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure che reclamino una rivalutazione in fatto di elementi già oggetto di valutazione ovvero la valorizzazione di elementi che si assume essere stati indebitamente pretermessi nell’apprezzamento del giudice impugnato.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento a favore della Cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente