Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22367 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22367 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato il 8/02/1950 a Bronte avverso la sentenza del 15/04/2024 della Corte di appello di Catania
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME sentite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di ‘Catania, all’esito di rito abbreviato, ha confermato la sentenza del Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Catania del 30 novembre 2018, che condannava COGNOME COGNOME per il reato di peculato continuato, alla pena di anni uno, mesi quattro e giorni
dieci di reclusione, concesse le circostanze attenuanti di cui agli artt. 323-bis e 62bis cod. pen.
Si contesta all’imputato, nella qualità di pubblico ufficiale quale direttore contabile dell’Istituto Autonomo Case Popolari di Catania, avendo per ragioni di ufficio la disponibilità della carta prepagata a lui intestata – sulla quale veniva versato dall’Ente, con mandato del 18 febbraio 2013, la complessiva somma di euro 5.000,00 -, di avere con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso fatto uso della predetta per operazioni estranee all’esercizio delle sue funzioni e agli adempimenti contabili dello IACP.
In particolare, erano effettuati acquisti per un totale di oltre 1.400,00 euro da RAGIONE_SOCIALE store; acquisti per un totale di oltre 73,00 euro da RAGIONE_SOCIALE; acquisti per un totale di oltre 1.400,00 euro da Sole 24 Ore spa; un prelievo in contanti per 3.000,00 euro il 10 dicembre 2013 e un ulteriore prelievo in contanti di oltre 460,00 euro.
Il compendio probatorio è costituito dalla denuncia del Direttore generale dello IACP, nonché dall’esame della documentazione in atti dalla quale emergerebbe, a giudizio dei Giudici di merito, che l’imputato ha utilizzato la carta prepagata in questione non soltanto per effettuare acquisti per l’Ente, ma anche per ragioni strettamente personali, procedendo all’acquisto on line di pubblicazioni del tutto distoniche rispetto all’oggetto dell’Istituto e prelevando 3.000,00 euro in contanti per motivi rimasti ignoti e, comunque, mai convincentemente spiegati.
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 314 cod. pen. con riferimento alla condotta di acquisto da RAGIONE_SOCIALE store.
La consultazione degli estratti conto prodotti dalla difesa ha dimostrato la pressoché totale pertinenza degli acquisti effettuati rispetto alle esigenze di ufficio. I due audiolibri (del valore di euro 14,98) rappresentano l’unica spesa che non trova giustificazione, come affermato dalla stessa Corte d’appello.
Difetta quindi il requisito della apprezzabilità del danno prodotto al patrimonio della persona offesa ovvero, alternativamente, della concreta lesione alla funzionalità dell’ufficio del pubblico ufficiale. Sotto altro profilo, va osservato come l’eliminazione della locuzione “distrazione” dal testo dell’art. 314 cod. pen. abbia determinato il transito di talune ipotesi di reato prima puniti a titolo di peculato nell’area di rilevanza penale del reato di abuso d’ufficio.
Si ribadisce, in ogni caso, che l’acquisto delle due app non rappresenta una appropriazione per finalità proprie dell’agente, ma rientra nell’ambito delle spese relative al miglioramento della produttività e delle performance del personale, nell’ambito lavorativo riferibile all’imputato.
E, comunque, non può considerarsi appropriazione l’utilizzo di una esigua somma di denaro per l’acquisto di un bene dematerializzato, destinato a permanere in un archivio cloud e consultabile on line da ogni dipendente dell’Ente.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di peculato con riferimento alla condotta relativa al prelievo di 3.000,00 euro in contanti effettuato il 10 dicembre 2013.
Come evidenziato in appello, l’imputato, in qualità di dirigente dell’area contabile, gestiva un fondo economato con il quale fare fronte alle spese gestionali tra cui l’acquisto di libri, riviste, periodici specializzati e quotidiani.
Si trattava di una somma di denaro contante che COGNOME custodiva sotto la propria responsabilità all’interno di una cassaforte, della quale egli solo deteneva le chiavi.
In base al regolamento di contabilità, approvato con delibera commissariale numero 42 del 7 giugno 2012, all’art. 62, comma 3, lo IACP di Catania aveva attivato presso la banca che svolgeva il servizio di tesoreria una carta prepagata.
In prossimità di chiusura dell’esercizio, l’imputato avrebbe dovuto classificare gli acquisti per tipologia e capitoli di spesa con emissione dei corrispondenti mandati di pagamento intestati all’economo, nonché recarsi presso la banca tesoriere per prelevare come economo intestatario il contante relativo ai mandati di cui sopra e poi riversare detto contante nel conto dell’ente presso la stessa banca tesoriere. Quindi l’imputato avrebbe dovuto procedere alla emissione di un mandato di pagamento in suo favore per gli acquisti effettuati on line pari a circa 1.600,00 euro, prelevare dalla carta prepagata la rimanenza in contanti e, tramite reversale di incasso, restituire alla banca tesoriere la dotazione originaria di euro 5.000,00.
Alla luce di ciò, la affermazione secondo la quale non è comprensibile la ragione del prelievo di 3.000 euro, appare illogica. D’altra parte costituisce ormai principio consolidato quello per cui, nel caso di ritardato versamento, il reato non si perfeziona allo spirare del termine fissato giacché la responsabilità consegue solo quando si è raggiunta la prova della interversione del titolo del possesso.
Le sentenze di merito risultano viziate da un ragionamento che si traduce in una sostanziale inversione dell’onere della prova. Non era l’imputato a dover fornire la prova della custodia in cassaforte, ma l’accusa a dover dimostrare il compimento di atti compatibili esclusivamente con la volontà di trattenere o utilizzare per sé la somma di denaro. La sola operazione di prelievo, di per sé, non può assurgere a prova della interversione del possesso per il semplice fatto che tale operazione era, per regolamento, prodromica alla rendicontazione della carta prepagata.
Del resto, era stata proprio la Corte di appello a valorizzare le circostanze che avevano reso impossibile la rendicontazione e a prendere atto di un vero e proprio
atteggiamento persecutorio nei confronti dell’imputato da parte del direttore generale dell’epoca (poi condannato in relazione ad altri fatti per peculato). La impossibilità di accedere ai documenti che gli avrebbero permesso di provare che aveva speso la somma di euro 1.600,00 nel corso dell’anno, non consentiva all’imputato di completare l’iter di rendicontazione e per l’effetto gli imponeva di riporre la somma prelevata nella cassaforte dell’ente al pari di tutte le somme del Fondo economato.
Del tutto priva di tenuta logica appare il passo della sentenza nel quale si sottolinea che di detta somma non è stata fatta alcuna menzione nel verbale di consegna del 9 aprile 2014, giorno in cui(imputato, andando in pensione, aveva riconsegnato al direttore le chiavi delle cassaforti presenti nei locali della direzione dell’Ente. Alla data del 9 aprile 2014, infatti, la somma non era più custodita in cassaforte giacché l’imputato aveva già provveduto a ricostruire la dotazione integrale della carta. E infatti il giorno precedente veniva redatto un verbale di consegna dei beni in suo possesso. In calce a tale verbale e senza che nessuno avesse mai fatto prima il riferimento all’esistenza della carta, lo stesso imputato chiedeva espressamente di potere visionare gli atti di ufficio per la carta prepagata in suo possesso al fine di potere adempiere alla chiusura della carta in argomento.
Non potendo consultare gli atti, il giorno successivo l’imputato indirizzò una raccomandata con la quale spiegava le ragioni per le quali non era stato possibile chiudere la rendicontazione e provvdetr,e con le proprie disponibilità, e senza che glielo avesse chiesto, nessuno (a ricostituire il fondo di 5.000,00 euro con il quale era stata aperta la carta, in attesa di poter entrare in possesso della documentazione comprovante gli esborsi di euro 4.600,00 ed euro 486,00 facendo riserva di chiedere il rimborso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Catania.
2.Deve, preliminarmente, ribadirsi il principio consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo il quale la incompletezza o l’inadeguatezza della rendicontazione delle spese operate dal pubblico ufficiale potrebbero servire a ritenere configurabile una responsabilità di natura amministrativa e contabile del pubblico ufficiale, ma non possono valere, da sole, ad integrare una responsabilità penale dell’agente per peculato, che necessita della prova della concreta appropriazione del denaro, cioè della sua destinazione a finalità privatistiche; con la conseguenza che l’illecita interversione del possesso del denaro rilevante
penalmente, lungi dal poter essere desunta da mere irregolarità o incompletezze nella formazione di documenti giustificativi delle relative spese, potrebbe considerarsi indirettamente provata in sede penale solamente da “situazioni altamente significative”, quali la totale mancanza di atti che permettano di collegare l’impiego del denaro alle funzioni istituzionali ovvero la sistematica elusione di specifiche regole disciplinanti le modalità di adempimento dell’obbligo di rendicontazione (Sez. 6, n. 40595 del 02/03/2021, COGNOME, Rv. 282742 02): situazioni che, nel caso di specie, sono pacificamente assenti, tenuto conto che COGNOME risulta essersi trovato nella impossibilità materiale di redigere il rendiconto delle spese e che è stata proprio la Corte di appello territoriale a valorizzare le circostanze che avevano, di fatto, reso impossibile la rendicontazione, prendendo atto di un atteggiamento persecutorio nei confronti dell’imputato da parte del Direttore generale dell’epoca.
Spetta, pertanto, alla pubblica accusa fornire la prova certa della contestata finalità privatistica perseguita dall’imputato con l’effettuazione delle spese contestate, non potendo quella dimostrazione essere desunta, in maniera automatica, dalla assenza di rendicontazione.
In altre parole, l’eventuale mancanza di prova del perseguimento della finalità pubblicistica (ovvero la) mancanza di prova in ipotesi derivante dalla assenza di rendicontazione, non equivale alla prova del perseguimento di una finalità privatistica.
La sentenza della Corte di appello di Catania richiama, in conclusione, una giurisprudenza oramai superata in ordine al fatto che la mancata rendicontazione delle spese sostenute è sintomatica della avvenuta appropriazione.
2.1.Per quanto concerne, in particolare, la somma di 3.000,00 euro, oggetto della contestazione, la Corte di appello motiva unicamente avendo riguardo al fatto che l’imputato non ha fornito giustificazione alcuna. In realtà, il predetto ha spiegato che, in prossimità di chiusura dell’esercizio annuale, avrebbe dovuto procedere all’emissione di un mandato di pagamento in suo favore (in qualità di economo) per gli acquisti effettuati on line (euro 1.600,00), a prelevare dalla carta prepagata la rimanenza in contanti e, tramite reversale di incasso, a restituire alla banca tesoriere la dotazione originaria di 5.000,00. In effetti, l’imputato ha dimostrato di avere versato direttamente sul conto tesoreria dello IACP la somma di euro 4.600,00 e di euro 486,00 (si vedano le quietanze prodotte dalla difesa).
D’altra parte, come si evince dalla sentenza, non risulta effettuato alcun accertamento sul punto e, soprattutto, non risulta che la Procura abbia dimostrato il compimento da parte dell’imputato di atti compatibili esclusivamente con la volontà di trattenere o utilizzare per sé la somma. La operazione di prelievo non può assurgere a prova dell’interversione del possesso per il semplice fatto che tale
operazione era, per regolamento, prodromica alla rendicontazione della carta prepagata.
2.2. La sentenza conferma, inoltre, la condanna per l’appropriazione di
1.600,00 euro in acquisti on line
e non si confronta con quanto evidenziato dalla difesa circa il fatto che si trattava di denaro speso per abbonamenti
on line
a
quotidiani (Repubblica, Sole 24 ore e molti altri) che tutto il personale avrebbe potuto leggere.
Premesso che, con riferimento al denaro speso per acquisti on line,
sembra configurabile non tanto la condotta di appropriazione quanto, piuttosto, quella di
distrazione per uso diverso dai fini istituzionali, in ogni caso la Corte di appello analizza solo due acquisti, sempre
on line, dei quali avrebbe potuto sempre
beneficiare tutto il personale, aventi ad oggetto due audio libri: “Impara a raggiungere i tuoi obiettivi con l’impegno e l’autodisciplina” e ancora
“Self Help allenamenti mentali in 60 minuti”, il valore dei quali era pari a 24,00 euro.
La sentenza non si confronta con il motivo della difesa che analizza analiticamente gli acquisti
on line e spiega le ragioni dell’acquisto in considerazione
della possibilità per i dipendenti di aggiornarsi e documentarsi.
3.La sentenza deve, in conclusione essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Catania, che dovrà adeguarsi al principio di diritto sopra enunciato e colmare le lacune motivazionali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania.
Così deciso il 13/02/2025