Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4735 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4735 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a LUCCA il 09/06/1976
avverso la sentenza del 16/10/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16 ottobre 2023, la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale di Lucca che aveva ritenuto, in rito abbreviato, COGNOME colpevole del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv, 624 bis, 625 nn. 2 e 5, 61 nn. 5 e 7, cod. pen., per essersi impossessato, in concorso con altri ed in più occasioni, introducendosi nell’abitazione di NOME COGNOME, di oggetti preziosi, orologi e di una vettura, mediante violenza sulle cose, in orario notturno ed in tre persone, travisate.
1.1. La Corte di merito, in risposta ai dedotti motivi di appello, per quanto qui di interesse, osservava quanto segue.
La prova si fondava sui dati contenuti nelle informative e nelle annotazioni di polizia giudiziaria (si era scelto il rito abbreviato), nei verbali di accertamento urgenti, nelle relazioni del Ris e nei relativi allegati, nella denuncia della persona offesa e nelle testimonianze assunte.
Su luogo del fatto (su un copricuscino e su un armadio) erano state rinvenute due tracce di sostanza ematica, che erano state repertate. Nei pressi dell’abitazione svaligiata, una vicina aveva notato una vettura risultata appartenere alla sorella dell’imputato.
L’imputato risultava essere coinvolto anche in un altro furto, ai danni di diversa persona offesa presso la cui abitazione si era recato ancora con l’autovettura della sorella. Presso l’abitazione della sorella era stata rinvenuta parte della refurtiva di questo secondo furto.
Veniva perquisito il domicilio dell’imputato e veniva prelevato in tale occasione il mozzicone di una sigaretta per operare la necessaria comparazione.
Tutte le censure mosse dalla difesa al repertamento del materiale, della sigaretta da cui estrarre il DNA del prevenuto e della comparazione dei dati non costituivano ragioni di inutilizzabilità patologica della prova talchè dovevano considerarsi sanate dalla scelta del rito semplificato.
Peraltro, dalla relazione del Ris risultava evidente la corretta comparazione e conservazione dei reperti e dei relativi dati estratti. Le lacune relative alla raccolta delle tracce erano state colmate dall’escussione di uno degli operanti.
Propone ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore Avv. NOME COGNOME deducendo, con l’unico motivo, la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 438, 179, 191 e 224 bis cod. proc. pen, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il fatto addebitatigli.
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La prova contestata – il rilievo sul posto di due tracce di sostanza ematica e la comparazione del DNA da queste ricavato con quello certamente riconducibile al prevenuto (per estrazione da una sigaretta da questi fumata) – era affetta da inutilizzabilità patologica così da imporne l’espunzione nonostante la scelta del rito abbreviato.
Non era stato, innanzitutto, redatto alcun verbale in ordine al rinvenimento ed al repertamento delle macchie ematiche nell’abitazione della persona offesa. Non erano agli atti i verbali di trasmissione dei reperti al Ris né i verbali riportanti i passaggi relativi alla custodia, all’esame e alla comparazione dei DNA.
Le due relazioni tecniche del Ris, sulla estrazione dei DNA da comparare evidenziavano anomalie e incompatibilità.
Non era stato fatto l’avviso del prelievo del campione all’imputato.
La maggiore criticità dell’intera raccolta della prova risiedeva nella raccolta del materiale biologico sul luogo del fatto, dovendosi seguire determinate modalità sia nell’inziale repertamento, sia nella successiva custodia. Di quanto era stato fatto a tale proposito non vi era alcuna relazione agli atti con il conseguente grave pregiudizio per i diritti della difesa.
Si era poi contravvenuto al disposto dell’art. 224 bis cod. proc. pen. comma 7 non avvisando l’indagato del diritto di nomina del difensore.
Non potevano poi liquidarsi le discrasie fra le due relazioni con il mero errore nell’indicazione delle date. Né risultava restituito il relativo fascicolo fotografico. Né risultavano restituiti i reperti (la cui raccolta risultava essere avvenuta in data incongrua rispetto al fatto).
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto dott. NOME COGNOME ha inviato memoria con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso promosso nell’interesse del prevenuto non merita accogli mento.
Preliminarmente si deve considerare che, come già ricordato dalla Corte territoriale, quando l’imputato richieda, e si proceda, con il rito abbreviato non è più consentito opporre, in relazione alle prove raccolte, la loro inutilizzabilità salvo si tratti di inutilizzabilità cosiddetta patologica.
Si è infatti costantemente affermato che nel giudizio abbreviato sono rilevabili e deducibili solo le nullità di carattere assoluto e le inutilizzabilità c.d. patologiche, con la conseguenza che l’irritualità dell’acquisizione dell’atto probatorio è
neutralizzata dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza il rispetto delle forme di rito (Sez. 3, n. 23182 del 21/03/2018, COGNOME, Rv. 273345 – 01; Sez. 2, n. 42917 del 27/06/2019, Bitonti, Rv. 277891 – 01).
Nel solco già tracciato dalla sentenza in tema delle Sezioni unite (n. 16 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216246 – 01) in cui si era appunto precisato che:
“Il giudizio abbreviato costituisce un procedimento “a prova contratta”, alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all’udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del “dibattimento”. Tuttavia tale negozio processuale di tipo abdicativo può avere ad oggetto esdusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio. Ne consegue che in esso, mentre non rilevano ne’ l’inutilizzabllità cosiddetta fisiologica della prova, cioè quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte “secundum legem”, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l’art. 526 cod. proc. pen., con i correlati divieti di lettura di cui all’art. 514 stesso codice (in quanto in tal caso il vizio-sanzione dell’atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo), ne’ le ipotesi di inutilízzabilità “relativ stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale, va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell’inutilizzabilità cosiddetta “patologica”, inerente, cioè, agli atti probatori assunti “con tra legem”, la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, nonché le procedure incidentali caute/ari e quelle negoziali di merito.”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.1. E, nel caso di specie, nessuna delle procedure che nel ricorso sì affermano essere state omesse determina una inutilizzabilità patologica della prova (la raccolta del DNA sul luogo del fatto, la sua conservazione e la comparazione con quello raccolto dall’imputato, a sua insaputa ma senza procedere ad un prelievo di tipo sanitario).
Si è infatti affermato – per quanto attiene alla mancata verbalizzazione delle operazioni di prelievo delle tracce biologiche, che:
l’obbligo di redazione degli atti indicati dall’art. 357, comma secondo, cod. proc. pen., tra i quali rientrano le operazioni e gli accertamenti urgenti, nelle forme previste dall’art. 373 cod. proc. pen., non è previsto a pena di nullità od inutilizzabilità, con la conseguenza che è ammissibile la testimonianza degli operatori della polizia giudiziaria in merito a quanto dagli stessi direttamente percepito nell’immediatezza dei fatti ma non verbalizzato, anche in relazione alle ragioni della omessa verbalizzazione (Sez. 5, n. 25799 del 12/12/2015, dep. 2016, Stasi, Rv. 267260 – 01);
l’obbligo di redazione degli atti indicati dall’art. 357 comma secondo, cod.proc.pen., tra i quali rientrano le operazioni e gli accertamenti urgenti, nelle forme previste dall’art. 373 cod.proc.pen., non è previsto a pena di nullità od inutilizzabilità. Per le attività di polizia giudiziaria è infatti sufficiente la documentazione, anche in un momento successivo al compimento dell’atto e, qualora esse rivestano le caratteristiche della irripetibilità, è necessaria la certezza dell’individuazione dei dati essenziali, quali le fonti di provenienza, le persone intervenute all’atto e le circostanze di tempo e di luogo della constatazione dei fatti (Sez. 1, n. 34022 del 06/10/2006, Delussu, Rv. 234884 – 01);
– la mancanza del verbale attestante il consenso al prelevamento di campioni biologici non dà luogo a inutilizzabilità “patologica” dell’atto di prelievo, posto che le disposizioni di cui agli artt. 224-bis e 359-bis cod. proc. pen. ne consentono l’effettuazione coattiva. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che fossero utilizzabili, in sede di giudizio abbreviato, gli esiti delle attività di prelievo coatti di capelli e saliva, pur in assenza del verbale attestante il consenso della persona interessata: Sez. 2, n. 35624 del 20/01/2023, COGNOME, Rv. 284952 – 01); tanto più che, nell’odierno caso concreto, non si era neppure trattato di prelievo coattivo ma si sequestro di un oggetto (la sigaretta) presumibilmente utile per estrarre il DNA del soggetto.
Quanto invece alla corretta conservazione ed alla comparazione delle tracce con il DNA dell’imputato regolarmente raccolto (di cui è agli atti il verbale della acquisizione del relativo supporto) depongono le relazioni del Ris dei carabinieri che ne attestano modalità ed esiti (seppure non con appositi verbali, ma ex post con le relazioni finali), senza che nel ricorso si argomentino concrete censure (ma solo ipotetiche incongruità o inesattezze, dovendosi considerare poi, come già rilevato dalla Corte di merito, l’errore di data contenuto in una relazione una mera inesattezza materiale).
A tal proposito si è detto che, in tema di indagini genetiche, l’eccepita inosservanza delle regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e prelievo del DNA non comporta l’inutilizzabilità del dato probatorio ove non si dimostri che la violazione abbia
condizionato in concreto l’esito dell’esame genetico comparativo fondante il giudizio di responsabilità (Sez. 6, n. 15140 del 24/02/2022, Neagu, Rv. 283144 01).
Tanto più che, nel caso concreto, lo si ripete, non si è accertata alcuna irregolarità nella complessa procedura di prelievo delle tracce, del DNA del prevenuto, e di comparazione degli esiti che non sia quella meramente formale della redazione, nell’immediato, dei relativi verbali.
Quanto al mancato avviso all’imputato della possibilità di avvalersi di un difensore al momento in cui gli operanti avevano prelevato quel mozzicone di sigaretta da cui era stato estratto il DNA di comparazione con quello estratto dalle tracce ematiche deve rilevarsi come non sia applicabile il disposto degli artt. 224 bis e 359 bis cod. proc. pen. che dettano la procedura da seguire quando si debbano prelevare, coattivamente, campioni biologici dall’imputato (Sez. 5, n. 12800 del 07/02/2017, COGNOME Rv. 269719 – 01) e non certo quando l’atto di indagini si sia concretato nel solo sequestro di un oggetto dal quale poi era stato estratto il materiale biologico, senza, pertanto, intervento alcuno (né coattivo, né consensuale) sull’imputato.
Deve, infine, rilevarsi come nel ricorso non si sia in alcun modo affrontato l’ulteriore elemento di prova costituito dalla presenza nei pressi dell’immobile all’interno del quale era avvenuto il furto di quella stessa vettura che l’imputato aveva utilizzato in altra, del tutto analoga, occasione.
Così che il ricorso pecca anche di genericità sul punto.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma l’11 dicembre 2024.