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Prova del DNA: quando è sufficiente per la condanna?

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per furto aggravato di un imputato, la cui responsabilità era basata quasi esclusivamente sulla prova del DNA rinvenuto sulla scena del crimine. La sentenza stabilisce che un’analisi genetica con un elevatissimo grado di probabilità costituisce una prova piena e non un mero indizio, rendendola di per sé sufficiente a fondare un’affermazione di colpevolezza, in assenza di spiegazioni alternative plausibili da parte della difesa.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prova del DNA: Unica Prova per la Condanna? L’Analisi della Cassazione

L’evoluzione delle scienze forensi ha reso la prova del DNA uno strumento investigativo di straordinaria efficacia. Ma può questo singolo elemento, per quanto scientificamente solido, essere sufficiente a fondare una condanna penale? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26870/2024, offre una risposta chiara, consolidando un orientamento di grande importanza pratica per il processo penale.

I Fatti del Caso: Furto e Tracce Biologiche

Il caso trae origine da un furto aggravato commesso ai danni di un bar-ristorante e di un’abitazione adiacente. Gli autori del reato, agendo travisati, avevano causato notevoli danni. Le indagini, tuttavia, giungono a una svolta grazie al rinvenimento di tracce ematiche sulla scena del crimine e vicino a parte della refurtiva abbandonata. L’analisi genetica su queste tracce riconduce inequivocabilmente a un soggetto, che viene condannato in appello.

L’imputato ricorre in Cassazione, sostenendo che la sua condanna si basasse esclusivamente sulla prova del DNA, senza altri elementi a supporto. A suo dire, le tracce biologiche avrebbero potuto essere lasciate in un momento successivo al furto, e la sola compatibilità genetica non poteva assurgere a prova certa della sua colpevolezza, specialmente considerando che gli autori erano irriconoscibili nei video di sorveglianza.

La Decisione della Corte e il Valore della Prova del DNA

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno ribadito un principio fondamentale: l’esito di un’indagine genetica sul DNA, quando caratterizzato da un elevatissimo numero di ricorrenze statistiche che rendono infinitesimale la possibilità di errore, non è un mero indizio, ma assume la natura di prova piena.

Questo significa che, in tali condizioni, la prova del DNA è di per sé sufficiente a dimostrare la responsabilità penale dell’imputato, senza la necessità di ulteriori elementi di riscontro.

Le Motivazioni: Perché la Prova del DNA è Stata Ritenuta Decisiva

La Corte ha smontato la linea difensiva attraverso una serie di argomentazioni logiche e giuridiche:

1. Valore Scientifico: L’analisi del DNA aveva prodotto un risultato di compatibilità definito “estremamente forte”. Questa altissima probabilità trasforma l’elemento da indiziario a probatorio, rendendolo autonomamente capace di sostenere l’accusa.

2. Assenza di Spiegazioni Alternative Credibili: L’imputato non ha fornito alcuna spiegazione plausibile per la presenza del suo sangue sulla scena del crimine. La difesa si era limitata a ipotizzare, in modo del tutto generico e congetturale, che l’imputato si fosse ferito dopo la commissione dei furti. Per la Corte, un dubbio, per essere “ragionevole” e portare a un’assoluzione, non può basarsi su ipotesi astratte e prive di riscontri.

3. Contesto Logico: I giudici hanno valorizzato anche elementi logici a contorno. L’imputato risiedeva in un luogo molto distante da quello dei furti, e non vi era alcuna altra ragione che potesse giustificare la sua presenza in quel luogo, se non la paternità dei delitti. Inoltre, le tracce ematiche erano state trovate sia nei pressi dell’immobile sia vicino alla refurtiva, creando un nesso diretto tra l’imputato e l’azione criminosa.

4. Irrilevanza della Videosorveglianza: La mancata identificazione tramite le telecamere è stata considerata irrilevante. Poiché gli autori erano travisati, un confronto fisionomico sarebbe stato comunque inutile. L’impossibilità di questa verifica, quindi, non indeboliva in alcun modo la solidità della prova del DNA.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza consolida un principio di notevole impatto: la prova del DNA non è più un semplice “indizio” da corroborare, ma può rappresentare l’architrave di un’intera accusa. Quando l’esame genetico fornisce risultati statisticamente schiaccianti, l’onere di fornire una spiegazione alternativa e credibile si sposta sull’imputato. In assenza di tale spiegazione, questo singolo elemento scientifico è sufficiente a fondare una sentenza di condanna, segnando un punto fermo nel rapporto tra scienza e processo penale.

La prova del DNA, da sola, è sufficiente a fondare una condanna penale?
Sì, secondo la sentenza, qualora l’indagine genetica presenti un elevatissimo numero di ricorrenze statistiche tali da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, essa assume natura di prova piena e non necessita di ulteriori elementi convergenti a suo sostegno.

Cosa deve fare l’imputato se il suo DNA viene trovato sulla scena del crimine?
L’imputato deve fornire una spiegazione alternativa credibile e “ragionevole” per la presenza delle sue tracce biologiche. Un’ipotesi puramente congetturale e priva di qualsiasi conferma non è ritenuta sufficiente a ingenerare un dubbio idoneo a portare a un’assoluzione.

Perché la mancata identificazione tramite videosorveglianza non ha invalidato la prova del DNA?
La Corte ha ritenuto irrilevante la mancata identificazione visiva perché gli autori del reato erano travisati. L’inutilità di una verifica comparativa, data la circostanza, non indebolisce in alcun modo la forza probatoria dell’esame genetico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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