Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11595 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11595 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTEhlIZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Provaglio Val Sabbia (Bs) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/5/2023 della Corte di appello di Brescia ; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso ; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME ;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammi.ssibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23/5/2023, la Corte di appello di Brescia confermava la pronuncia emessa il 7/11/2022 dal locale Tribunale, con la q uale NOME COGNOME era stato giudicato colpevole del reato di cui a g li artt. 81 cpv. cod. pen., 44, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e, previa riqualificazione della condotta ai sensi della lett. c) della stessa norma, era stato c:ondannato alla pena di tre mesi di arresto e 15.000 euro di ammenda.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo i seguenti motivi:
mancata assunzione di prova decisiva; violazione dell’art. 234 cod. proc. pen. Il Tribunale avrebbe affermato che la difesa, per produrre una relazione peritale, avrebbe dovuto citarne l’estensore, solo così poi depositando in giudizio il documento; questa interpretazione, tuttavia, sarebbe in contrasto con la granitica giurisprudenza di questa Corte, secondo cui sarebbe sempre legittima l’acquisizione al processo penale della consulenza tecnica, anc:he ai sensi dell’art. 237 cod. proc. pen. che consente l’acquisizione di qualsiasi documento proveniente dall’imputato;
mancanza di motivazione. La difesa avrebbe affermato che il portico sarebbe stato edificato addirittura nel 1940 e che non vi sarebbe alcuna prova di responsabilità in capo al ricorrente, che GLYPH sarebbe limitato ad ereditare la struttura; la Corte di appello, tuttavia, avrebbe trascurato questa tematica, senza motivare sul punto ed appiattendosi sulla sentenza del Tribunale;
erronea applicazione dell’art. 131-bis c:od. pen. Premesso che il ricorrente sarebbe imputato di aver realizzato 8 strutture abusive nella sua proprietà, la sentenza non avrebbe considerato che molte di queste sarebbero di tipo smontabile o precario, oppure parzialmente demolite, oppure ancora in corso di smantellamento, di demolizione o di parziale manutenzione. Ebbene, questa Corte avrebbe affermato che l’eliminazione dell’opera abusiva, attraverso la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, implicando la cessazione dell’illecito consentirebbe l’applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui alla norma citata, dunque erroneamente negata in appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo alla prima censura, relativa alla negata produzione di una “relazione peritale firmata dal geometra AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO“, la Corte osserva che la questione ha costituito oggetto della sentenza impugnata, la cui motivazione sul punto, tuttavia, non è stata affatto valutata dal ricorrente, che alla stessa non ha dedicato neppure un passaggio.
4.1. Già solo per questo, dunque, il motivo risulta inammissibile, non contenendo alcun confronto con l’argomento speso dalla Corte di appello, peraltro proprio su sollecitazione dell’imputato.
4.2. Con questo argomento, inoltre, la sentenza ha correttamente ed efficacemente superato la doglianza, evidenziando che il documento che la difesa aveva chiesto di produrre, ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., non costituiva una consulenza redatta in altro e diverso procedimento, ad esempio di natura civile (quello, peraltro, al quale si riferisce la sentenza di questa Corte n. 15431 del
2018, citata nel ricorso), ma una consulenza tecnica di parte avente ad oggetto proprio i manufatti interessati in questo giudizio penale. La difesa, dunque, anziché chiedere l’audizione del proprio consulente o, in subordine, la produzione dello scritto di questi, in forza dell’art. 190 cod. proc. pen., aveva irritualmente cercat di veicolare la stessa consulenza come documento proveniente dall’imputato, ai sensi dell’art. 237 cod. proc. pen.; una tale soluzione, tuttavia, non poteva ritenersi corretta, dato che per “documento proveniente dall’imputato” si intende quello del quale questi è l’autore ovvero quello che riguarda specificamente la sua persona, ancorché da lui non sottoscritto, e non anche qualsiasi documento dal medesimo prodotto (per tutte, Sez. 6, n. 36874 del 13/6/2017, Romeo, Rv. 270813), come nel caso di specie.
4.3. A ciò si aggiunga, peraltro, che questa prova viene indicata nel ricorso come decisiva, ma di ciò non si offre alcun effettivo argomento. Premesso che per tale deve intendersi, secondo la previsione dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., solo la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia, ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (cfr., tra le tante, Sez. 4, n 6783 del 23/01/2014, COGNOME, Rv. 259323; Sez. 3, n. 27581 del 15/06/2010, M., Rv. 248105); tanto premesso, il ricorso non consente affatto di individuare un simile carattere, limitandosi ad affermare – c:on espressione invero oscura – che “tale relazione attestava la veridicità della situazione relativa alla posizion dell’odierno imputato.”
Il primo motivo di ricorso, dunque, risulta manifestamente infondato.
Alle stesse conclusioni, poi, la Corte giunge anche quanto alla seconda censura, in punto di responsabilità; non si ravvisa ancora, infatti, alcun confronto con la motivazione della sentenza di appello che, contrariamente a quanto si legge nella doglianza, si è misurata con la questione posta, superandola con un argomento del tutto solido ed adeguato che il ricorso neppure menziona.
5.1. In particolare, la riferibilità degli abusi edilizi proprio al ricorrente è ricavata dalla circostanza – pacifica – che lo stesso era diventato proprietario dell’area nel 1978, quando alcune delle opere già esistevano; le stesse, tuttavia, erano state successivamente ampliate (ad esempio, la tettoia del ricovero delle attrezzature agricole), così che ogni intervento illecito doveva esser per certo attribuito al solo COGNOME, nella piena disponibilità dell’area. Lo stesso imputato, peraltro, il 20/11/2019 aveva presentato una richiesta di permesso di costruire in sanatoria con riguardo a tutti gli interventi indicati in contestazione, cos ulteriormente confermando la gravità indiziaria circa i reati contestati.
Il ricorso, infine, risulta manifestamente infondato anche sull’ultima censura, che lamenta l’erronea applicazione della legge penale quanto alla causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
6.1. Pronunciandosi sulla medesima questione, la Corte di appello ha evidenziato, in senso contrario, la particolare offensività dell’abuso edilizio, al luce del numero delle opere illecitamente realizzate, nonché il fatto che alcune di queste fossero state eseguite in area sottoposta a vincolo di tutela monumentale. Ebbene, il ricorso – che non si confronta affatto con questa motivazione – si limita ad affermare che le 8 strutture in questione sarebbero di tipo smontabile o precario, o che sarebbero state demolite, in tutto o in parte, o che sarebbero in corso di demolizione, se non di parziale manutenzione: in sintesi, una serie di considerazioni di puro merito, proprie della sola fase di cognizione e non consentite in sede di legittimità.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la pari:e abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1:remila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29 febbraio 2024