Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37137 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37137 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME nato a Torino il DATA_NASCITA; COGNOME NOME nato a Torino il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 17 marzo 2025 della Corte d’appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
NOME e NOME COGNOME venivano tratti a giudizio per rispondere di plurimi reati di bancarotta contestati, rispettivamente, al capo A), relativo al fallimento della RAGIONE_SOCIALE (dichiarato il 2 novembre 2015), e al capo B),
relativo al fallimento della RAGIONE_SOCIALE (dichiarato il 7 febbraio 2019), delle quali entrambi gli imputati, nei periodi di rispettiva competenza, erano stati amministratori.
In particolare, con riferimento al primo capo d’imputazione (RAGIONE_SOCIALE) gli imputati avrebbero:
-distratto dal patrimonio della società l’importo complessivo di € 2.274.162,32 (mediante prelievi di denaro contante allo sportello effettuati dal conto corrente societario, in assenza di giustificazione contabile e, comunque, economico-aziendale) e gli immobili siti nel comune di Val di Torre (venduti alla società RAGIONE_SOCIALE, società a loro stessi riconducibile, al prezzo complessivo di 245.500 euro, dilazionato in assenza di qualsivoglia garanzia e mai effettivamente corrisposto da parte acquirente);
cagionato, con dolo e per effetto di operazioni dolose, il fallimento della società (esercitando l’attività commerciale in regime di sistematica omissione di versamenti fiscali e contributivi quantomeno a far data dall’esercizio 2010, con una complessiva debitoria fiscale, alla data del fallimento, pari ad oltre 2,6 milioni di euro).
Con riferimento al secondo capo d’imputazione (RAGIONE_SOCIALE), gli imputati avrebbero:
distratto, dal patrimonio della società, l’importo complessivo di € 189.550 (mediante prelievi di denaro contante allo sportello in assenza di giustificazione contabile e, comunque, economico aziendale);
sottratto, allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, i libri e le altre scritture contabili e, comunque, tenendo la contabilità in modo tale da non consentire al curatore la ricostruzione analitica del patrimonio.
La prospettazione accusatoria veniva sostanzialmente confermata sia dal Tribunale (con la sola riduzione della somma contestata come distratta al capo A), sia dalla Corte d’appello .
Ricorrono per cassazione entrambi gli imputati, articolando un unico motivo d’impugnazione , formulato sotto i profili della mancata assunzione di una prova decisiva e del connesso vizio di motivazione ed afferente alla determinazione quantitativa della somma oggetto della distrazione di cui al capo A).
La difesa deduce, da un canto, che il valore dell’oro (oggetto dell’attività economica svolta dalla RAGIONE_SOCIALE) non è costante, per cui il prezzo di acquisto potrebbe essere superiore a quello di rivendita; e, quindi, non si può ritenere, come sostenuto dalla Corte territoriale, che ‘ se le entrate risultano inferiori alle uscite, ciò implica che la differenza deve reputarsi distratta ‘ ; dall’altro, che il
contenuto della cassetta di sicurezza (monete e lingotti d’oro, venduti nella procedura fallimentare al prezzo di 144.000 euro), ritenuto dalla Corte territoriale un attivo patrimoniale dell’impresa, è, in realtà, materiale in oro acquistato da privati con i contanti prelevati dal conto corrente e, quindi, andrebbe a deconto della somma asseritamente distratta. Da ciò la logica necessità di un accertamento peritale, ai fini di una corretta determinazione della consistenza delle somme eventualmente sottratte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono, complessivamente, infondati.
Sotto il profilo motivazionale, la prima censura è indeducibile, essendo le oscillazioni del valore dell’oro dato rilevante per il risultato economico della gestione caratteristica del periodo, ma inconferente rispetto all’imputazione , nella quale si contestano prelevamenti in contanti per oltre 700 mila euro (somma poi ridotta a circa 330 all’esito dell’istruttoria di primo grado); mentre la seconda censura è formulata in termini evidentemente generici, in quanto non si confronta con la specifica argomentazione offerta nella sentenza impugnata, che ha escluso di poter tenere conto dei preziosi trovati all’interno di una cassetta di sicurezza di Valenza, in quanto ‘ di incerta provenienza, privi di documentazione attestante la data dell’acquisto, il relativo valore e l’identità dei venditor i ‘ e quindi non ricollegabili alle uscite in contanti oggetto di contestazione.
Sotto il profilo processuale, dell’omessa assunzione di una prova decisiva, è sufficiente rilevare che la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività. Tanto più che lo stesso ricorrente non indica in che termini l’invocato accertamento sarebbe stato idoneo a condurre ad una pronuncia differente.
I ricorsi, pertanto, devono essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 settembre 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME
NOME COGNOME