Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 35711 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 35711 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/10/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sulle conclusioni del Pubblico Ministero,
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Torino il 30 ottobre 2023 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dall’imputato, con cui il Tribunale di Biella il 26 ottobre 2022, all’esito del dibattimento, ha riconosciuto NOME colpevole del reato di guida in stato di ebrezza (capo A: art. 186, comma 2, lett. c, e comma 2-bis, del d. Igs. 30 aprile 1992, n. 285: tasso alcolemico pari a 1,81 grammi/litro alla prima misurazione e 1,84 g/I alla seconda), fatto contestato come commesso il 5 luglio 2019, provocando un sinistro stradale, in conseguenza condannandolo alle pene, principali ed accessoria, di giustizia.
Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite Difensore di fiducia, che, premessa la ricostruzione degli antefatti, si affida a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo lamenta illogicità della motivazione nella parte in cui i giudici di merito hanno ritenuto che l’imputato fosse alla guida al momento del sinistro. Si rileva la illogicità di avere desunto la qualità di conducente da fatto che fosse ancora presente sul luogo dell’incidente al momento dell’arrivo della polizia giudiziaria e di essersi sottoposto al controllo del tasso alcolemico, non potendo la qualità di conducente essere desunta dal fatto che l’imputato, non necessitando di cure mediche, si trovasse ancora in loco. Infatti le conseguenze di un incidente stradale possono riguardare sia il conducente sia il passeggero.
Né essersi sottoposto ad alcool-test, soltanto poiché richiesto dagli agenti di Polizia, dimostrerebbe che in precedenza si trovasse alla guida.
2.2. Con il secondo motivo si duole della violazione dei principi di cui agli artt. 63 e 350, comma 7, cod. proc. pen. in relazione ai verbali sanzionatori elevati dalla Polizia municipale di Biella il 5 luglio 2019 nei confront dell’imputato.
Il ricorrente, che riproduce graficamente nel ricorso i verbali di contestazione amministrativa, sottolinea che eventuali dichiarazioni autoaccusatorie contenute nei verbali di accertamento amministrativo sarebbero radicalmente ed insanabilmente inutilizzabili; del resto, la stessa Corte di appello ha già correttamente affermato (alla p. 3 della sentenza) che le dichiarazioni auto-accusatorie rese da NOME COGNOME alla polizia giudiziaria (all’agente NOME COGNOME) sono inutilizzabili. Né potrebbe avere alcuna rilevanza l’avere firmato tali verbali senza effettuare contestazioni al contenuto degli stessi.
2.3. Tramite il terzo motivo censura travisamento delle prove in ordine al contenuto dei verbali di contestazione di violazione amministrativa e sanzionatori
elevati dalla Polizia municipale di Biella il 5 luglio 2019 e in ordine al verbale di fermo amministrativo del veicolo redatto contestualmente.
Poiché due tra i complessivi sette verbali in questione non sono stati firmati dall’imputato, ciò implicherebbe senza dubbio – si ritiene – la sua manifesta contestazione rispetto alla responsabilità che gli ascrive la Polizia municipale; ciò contrasterebbe con il valore ad essi erroneamente attribuito dalla Corte di appello.
2.4. Infine, con l’ultimo motivo denunzia l’inesistenza in atti della prova in ordine alla mancata impugnazione da parte dell’imputato del verbale del Prefetto di Biella che ha disposto nei suoi confronti la sospensione della patente di guida.
Si sottolinea che si tratta di un argomento che non era stato in alcun modo valorizzato dal Tribunale nellamotivazione della sentenza di primo grado.
Si chiede, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata.
Il P.G. della RAGIONE_SOCIALE nella requisitoria scritta del 3 maggio 2024 ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.I1 ricorso è manifestamente infondato, per le seguenti ragioni.
Appare opportuno trattare congiuntamente i quattro motivi, poiché tutti attengono alla questione, di decisiva importanza, dell’accertamento di chi fosse il conducente dell’auto al momento dell’incidente.
Al riguardo, la Corte di appello (alla p. 3) ha ritenuto raggiunta la prova valutando insieme le tre seguenti circostanza di fatto:
l’essere stato NOME trovato sul posto dell’incidente dalla polizia giudiziaria intervenuta;
l’essersi lo stesso sottoposto all’alcool-test richiesto dalla polizia giudiziaria in qualità di guidatore del veicolo;
e l’avere l’imputato firmato i plurimi verbali di contestazione amministrativi elevati nei suoi confronti dalla p.g. senza nulla osservare, nemmeno in merito alla qualità di conducente del veicolo.
Si tratta, a ben vedere, di un ragionamento adeguato, congruo ed immune da vizi sindacabili in sede di legittimità, che pondera complessivamente le emergenze istruttorie secondo criteri di logica, e che la Difesa tenta, ma invano, di “parcellizzare”. Ed è appena il caso di rammentare che, secondo il costante e condivisibile insegnamento della S.C., «Il difetto di motivazione, quale causa di annullamento della sentenza, non può essere ravvisato sulla base di una critica
frammentaria dei suoi singoli punti, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, sicché, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione risultare anche da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito. (In applicazione del principio, la Corte ha respinto il ricorso per vizi di motivazione che, in un processo indiziario, si fondava su una critica parcellizzata di singoli segmenti della ricostruzione senza tener conto della lettura complessiva e unitaria dei dati indizianti operata in sentenza). (Conf.: n. 8411 del 1992, Rv. 191487-01)» (tra le numerose, Sez. 1, n. 20030 del 18/01/2024, Rossitto, Rv. 286492).
3.Essendo, in definitiva, il ricorso inammissibile e non ravvisandosi ex rt. 616 cod. proc. pen. assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Costituzionale, sentenza n. 186 del 7-13 giugno 2000), alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria nella misura, che si ritiene congrua e conforme a diritto, indicata in dispositivo.
Motivazione semplificata, dovendosi fare applicazione di principi già reiteratamente affermati dalla RAGIONE_SOCIALE e condivisi dal Collegio, ricorrendo le condizioni di cui al decreto del Primo Presidente n. 84 dell’8 giugno 2016.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23/05/2024.